Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-05-23, n. 201903349

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-05-23, n. 201903349
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903349
Data del deposito : 23 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/05/2019

N. 03349/2019REG.PROV.COLL.

N. 09005/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9005 del 2014, proposto da
Trenitalia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Bruno Buozzi, 51;

contro

Autorita' per L'Energia Elettrica e il Gas ed il Sistema Idrico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
3 C Lavorazione Pelli S.r.l., Rete Ferroviaria Italiana S.p.A non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 01599/2014, resa tra le parti, concernente aggiornamento delle componenti tariffarie destinate alla copertura degli oneri generali e di ulteriori componenti dei settori elettrico e del gas


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorita' per L'Energia Elettrica e il Gas ed il Sistema Idrico e di Ministero dello Sviluppo Economico e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati F C e Fabio Tortora dell'Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame la società odierna parte appellante, Trenitalia s.p.a., impugnava la sentenza n. 1599 del 2014 con cui il T Lombardia aveva dichiarato irricevibile l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla medesima impresa al fine di ottenere l’annullamento della deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas n. 641/2013/R/COM del 27 dicembre 2013, recante “Aggiornamento, dal 1 gennaio 2014, delle componenti tariffarie destinate alla copertura degli oneri generali e di ulteriori componenti del settore elettrico e del settore gas”, nonché le delibere presupposte a questa antecedenti.

In particolare, Trenitalia affermava di aver appreso in data 20 gennaio 2014 da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. dell’aumento, dal 1° gennaio 2014, del costo della c.d. corrente elettrica di trazione, per effetto dell’impugnata deliberazione dell’Autorità, recante una riduzione della quota di esenzione dalla partecipazione al finanziamento degli oneri generali del sistema elettrico precedentemente riconosciuta alle imprese c.d. energivore non manifatturiere, fra le quali la stessa R.F.I.

All’esito del giudizio di prime cure il T dichiarava il ricorso irricevibile per tardività, in quanto la sola deliberazione tempestivamente impugnata avrebbe ad oggetto la sola quantificazione delle componenti tariffarie, già individuate dai provvedimenti anteriori, ponendosi per il resto quale atto meramente applicativo di precedenti determinazioni. Le doglianze della ricorrente sarebbero dirette, in particolare, contro l’individuazione – che la deliberazione in questione assume come data – delle imprese c.d. energivore, beneficianti delle agevolazioni in materia di compartecipazione agli oneri generali del sistema elettrico.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava il seguente motivo di appello:

- error in iudicando e in procedendo, nella parte in cui la sentenza del T ha ritenuto il ricorso irricevibile per tardività, in violazione degli artt. 1, 29, 35 e 119 cod proc amm, nonché per omessa pronuncia sulla istanza di rimessione in termini per errore scusabile;

Veniva altresì dedotto, anche per l’omessa pronuncia del T, il motivo articolato di prime cure: violazione della direttiva 2003\96 e dei principi comunitari sulla concorrenza e dell’obbligo di non discriminazione, degli artt. 39 d.l. 22\6\2012 n. 83 e 3 l. 241\1990,, nonché diversi profili di eccesso di potere, non avendo l’Autorità il potere di restringere la platea delle imprese energivore, avendo solo quello di i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema ed i criteri di ripartizione.

Veniva altresì richiesto l’eventuale rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, in virtù della violazione delle norme e dei principi europei.

Le parti appellate si costituivano in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 16\5\2019, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’appello, formulata in specie dalla difesa erariale in relazione alla omessa impugnazione, da parte della società appellante, delle successive deliberazioni con cui l’Autorità ha aggiornato, a partire dall’1\1\2’17, sia la componente Ae che le ulteriori a copertura degli oneri generali di sistema, nonché il d.m. 21\12\2017 e la successiva regolazione attuativa;
così facendo RFI avrebbe rinunciato a coltivare il gravame, prestando acquiescenza al regime tariffario delle imprese energivore. Avendo i provvedimenti qui impugnato esaurito la propria efficacia, vi sarebbe altresì l’improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza di interesse.

L’eccezione è infondata sotto entrambi i profili. Se per un verso i provvedimenti ulteriori invocati riguardano un periodo successivo a quello oggetto delle delibere in contestazione, senza quindi che i primi abbiano alcuna diretta incidenza sugli effetti lesivi dispiegati da quelli impugnati, per un altro verso questi ultimi hanno mantenuto la propria piena efficacia in relazione al periodo oggetto di vigenza ed applicazione, anche nei confronti della odierna appellante, la quale pertanto mantiene l’interesse diretto, concreto ed attuale alla relativa impugnazione.

2.1 Passando quindi all’esame del primo e preliminare motivo di appello, concernente la contestazione della ritenuta tardività del ricorso originario, va ricordato come il T abbia sul punto ritenuto che la deliberazione 641/2013, unica tempestivamente impugnata entro il termine decadenziale dalla pubblicazione, avrebbe ad oggetto la sola quantificazione delle componenti tariffarie, già puntualmente individuate dalla precedente deliberazione 467/2013/R/EEL del 24 ottobre 2013, pubblicata sul sito dell’Autorità il 25 ottobre 2013, recante “Prima applicazione delle disposizioni in materia di agevolazioni relative agli oneri generali di sistema per le imprese a forte consumo di energia elettrica”. Dal nesso di stretta presupposizione esistente tra la deliberazione 467/2013 e la deliberazione 641/2013 il T ha fatto derivare l’onere di tempestiva impugnazione dell’atto presupposto ed immediatamente lesivo, non essendo consentito attendere l’emanazione dell’atto meramente applicativo del precedente, con conseguente tardività del ricorso introduttivo, in quanto tempestivamente notificato solo avuto riguardo alla deliberazione n. 641/2013, ma non rispetto alla presupposta deliberazione 467/2013, impugnata anch’essa espressamente, ma oltre il termine di cui agli articoli 29 e 119, comma 2, cod. proc. amm..

2.2 Il motivo di appello appare fondato.

Infatti, se per un verso la società appellante ha impugnato in termini di presupposti tutti gli atti e le delibere attuative del sistema di rideterminazione tariffaria in questione, per un altro verso la delibera 641, impugnata entro il richiamato termine decadenziale dalla relativa pubblicazione, appare costituire la definitiva determinazione dei criteri e delle conseguenti somme dovute in base al nuovo sistema, concernente quindi il fondamentale e conclusivo elemento della procedura lesiva della situazione giuridica azionata. Al riguardo, ferma ed impregiudicata l’an dell’assoggettamento al pagamento dell’energia, la sfera giuridica azionata da parte appellante concerne la determinazione del quantum dovuto ed i relativi definitivi criteri da applicare, cosicché la rilevanza in termini di interesse diretto attuale e concreto non può che riferirsi alla conclusione del complesso iter procedimentale, con la definitiva individuazione delle regole e dei criteri in grado di determinare la tariffa applicata.

Sul punto occorre altresì fare rinvio a quanto già statuito dalla giurisprudenza della sezione, da cui anche per evidenti ragioni di certezza del diritto e di congruità di trattamento non vi sono ragioni per derogare (cfr. ad es. l’ordinanza n. 1930 del 15 aprile 2015 e sentenza n. 346\2018): l’art. 41, comma 2, cod. proc. amm. stabilisce che il termine di sessanta giorni per proporre impugnativa dinanzi al giudice amministrativo decorre «dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge»;
- è pacifico che le delibere dell’Autorità, in quanto atti a contenuto generale, non siano soggette a forme di notificazione individuale;
non vi è alcuna prova in atti del fatto che l’impresa appellante avesse acquisito piena conoscenza del contenuto delle delibere invocate in data anteriore, e il relativo onere di provare il fatto contrario grava su chi eccepisca la tardività;
non risulta in atti che la pubblicazione delle delibere dell’Autorità del tipo di quelle adottate nel corso del 2013 sia puntualmente prevista o disciplinata dalla legge o in base alla legge (con particolare riferimento alla legge 14 novembre 1985, n. 481, istitutiva dell’Autorità). Inoltre, il collegio condivide quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, che costituisce principio conforme alla garanzia della effettività della tutela giurisdizionale, che il termine per l'impugnazione degli atti amministrativi generali, che incidono sulla sfera giuridica di singoli destinatari, decorre dalla data in cui gli stessi ne abbiano avuto sicura e piena conoscenza, a nulla rilevando che tali provvedimenti siano stati assoggettati a forme di pubblicità nei confronti della generalità indistinta dei destinatari (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, n. 568/2008).

3. L’appello è fondato, in parte qua (cioè relativamente alle imprese del trasporto ferroviario), anche in relazione agli ulteriori vizi dedotti avverso il merito delle delibere impugnate.

3.1 La corretta interpretazione e qualificazione delle delibere in questione impone un riassunto del complesso meccanismo normativo e procedimentale oggetto di rilevanza ai fini della presente controversia, anche alla luce dei precedenti approfondimenti svolti dalla giurisprudenza della sezione e di quella europea, debitamente interpellata in sede di rinvio pregiudiziale.

3.2 Nel rispondere a due quesiti sollevati dal Consiglio di Stato (cfr. ordinanza Sez. VI 15 aprile 2015 n. 1930), la Corte europea (Corte di giustizia dell’UE, Sez. IX, 18 gennaio 2017, C- 189/15) ha affrontato il tema in oggetto, concernente gli sgravi fiscali per le imprese a forte consumo di energia.

Nel sollevare la relativa questione, questa sezione aveva preso le mosse dalla ricostruzione del quadro normativo, sia nazionale che europeo.

In particolare, è emerso che, fra il 2012 e il 2013, l’ordinamento italiano ha predisposto un articolato sistema di agevolazioni in favore delle imprese “energivore”. Tle sistema non è stato previsto e definito da un unico atto normativo ma si è perfezionato attraverso una serie concatenata di atti normativi e amministrativi – per così dire – ‘a cascata’.

Sul versante europeo, la direttiva 96 del 2003 fissa le aliquote minime di imposta (anche) per il consumo di elettricità da parte di ‘entità commerciali’ e fissa i presupposti e le condizioni che consentono agli Stati di riconoscere livelli ridotti di tassazione per le entità commerciali che esercitano attività economiche, con particolare riguardo alle cc.dd. “imprese a forte consumo di energia”.

Secondo la tesi posta a fondamento del ricorso di un soggetto - ricorrente in quanto escluso dagli incentivi - e della conseguente rimessione disposta dalla sesta sezione, il sistema nazionale di incentivi alle imprese potrebbe porsi in contrasto con gli articoli 11 e 17 della direttiva i quali consentono, sì, agli Stati membri di applicare agevolazioni economiche in favore delle imprese ‘energivore’, ma non consentirebbero di operare discriminazioni fra le diverse imprese a seconda del settore produttivo in cui operano.

3.3 La sentenza della Cge, nel rispondere ai due quesiti proposti, ha qualificato i corrispettivi a copertura degli oneri generali del sistema elettrico alla stregua di imposte indirette. Pertanto, secondo il diritto europeo, l’elettricità può formare oggetto di un’imposizione indiretta diversa dall’accisa istituita dalla specifica direttiva se, da un lato, tale imposizione persegue una o più finalità specifiche e se, dall’altro, rispetta le regole d’imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta;
sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni. Sul punto, la sentenza rimette l’applicazione di tali principi al giudice del rinvio, il quale dovrà verificare se i corrispettivi a copertura degli oneri generali del sistema elettrico soddisfino le riassunte condizioni.

In termini più generali, la Corte ha evidenziato come gli Stati membri siano liberi di limitare il beneficio di sgravi fiscali a favore di imprese a forte consumo di energia alle imprese di uno o di più settori industriali, cosicché in astratto la disciplina europea non osti ad una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, che riconosce incentivi relativi ai corrispettivi a copertura degli oneri generali del sistema elettrico unicamente al settore manifatturiero;
ciò in quanto la direttiva si propone di lasciare agli Stati un certo margine per definire e attuare politiche adeguate ai rispettivi contesti nazionali.

Peraltro, la sentenza si chiudeva lasciando aperto un possibile spazio problematico in termini di effetti di “aiuto di Stato”, nella misura in cui la norma in discussione venga a limitare il beneficio di uno sgravio fiscale ad uno specifico settore industriale. La problematica non viene approfondita in quanto reputata al di fuori dell’oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale.

3.4 Successivamente, la giurisprudenza della sezione (cfr. in specie sentenza n. 346\2017), ferma la tempestività del ricorso (nei termini sopra richiamati e da reputarsi validi anche per la presente fattispecie) ha inteso applicare i principi dettati dalla Corte, prendendo le mosse dalla ricostruzione del quadro normativo interno alla luce delle ricevute indicazioni europee.

Il citato art. 39 d.l. n. 83/2012, ai commi 1, 2 e 3 statuisce come segue:

«1. Con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto col Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro il 31 dicembre 2012, sono definite, in applicazione dell’articolo 17 della Direttiva 2003/96/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003, le imprese a forte consumo di energia, in base a requisiti e parametri relativi a livelli minimi di consumo ed incidenza del costo dell’energia sul valore dell’attività d’impresa.

2. I decreti di cui al comma 1 sono finalizzati alla successiva determinazione di un sistema di aliquote di accisa sull’elettricità e sui prodotti energetici impiegati come combustibili rispondente a principi di semplificazione ed equità, nel rispetto delle condizioni poste dalla direttiva 2003/96/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003, che assicuri l’invarianza del gettito tributario […].

3. I corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema elettrico ed i criteri di ripartizione dei medesimi oneri a carico dei clienti finali sono rideterminati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas entro 60 giorni dalla data di emanazione dei decreti di cui al comma 1, in modo da tener conto della definizione di imprese a forte consumo di energia contenuta nei decreti di cui al medesimo comma 1 e nel rispetto dei vincoli di cui al comma 2, secondo indirizzi del Ministro dello sviluppo economico».

Il sistema introdotto in via di principio dal d.-l. n. 83/2012 si articola, dunque, in due diverse tipologie di incentivi per le imprese energivore:

(i) al comma 2 viene prevista l’introduzione, per tali imprese, di un sistema di aliquote di accisa di favore rispetto a quelle ordinarie;

(ii) al comma 3 viene prevista la rimodulazione, in senso favorevole alle imprese energivore, dei corrispettivi posti a copertura degli oneri generali del sistema elettrico.

Il decreto ministeriale 5 aprile 2013 (pubblicato nella G.U.R.I. n. 91 del 18 aprile 2013 e rubricato «Definizione delle imprese a forte contenuto di energia»), attuando la previsione di cui all’articolo 39, commi 1 e 2, d.-l. n. 83/2012: - reca una definizione di «imprese a forte contenuto di energia», compatibile con quella dell’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 2003/96/CE e fondata su requisiti e parametri relativi ai livelli minimi di consumo e all’incidenza del costo dell’energia sul valore dell’attività d’impresa (articolo 2);
- fissa disposizioni in tema di rideterminazione degli oneri generali del sistema elettrico (articolo 3).

L’articolo in questione, attuando l’art. 39, comma 3, d.-l. n. 83/2012, stabilisce che tale rideterminazione sia finalizzata all’instaurazione di un sistema di agevolazioni in favore delle imprese a forte contenuto di energia, previa emanazione dell’atto ministeriale di indirizzo di cui all’articolo 39, comma 3, d.-l. n. 83/2012.

In particolare, l’art. 3, al comma 1, prevede che «la rideterminazione degli oneri generali di sistema elettrico di cui all’art. 39, comma 3, del decreto-legge n. 83 del 2012, si applica esclusivamente alle imprese per le quali la condizione di cui all’art. 2, comma 1, lettera a) del presente decreto, si sia verificata con riferimento alla sola energia elettrica ed il rapporto tra il costo effettivo dell’energia elettrica utilizzata ed il valore del fatturato non sia risultato inferiore al 2 per cento», mentre, al successivo comma 2, stabilisce che «la rideterminazione degli oneri generali di sistema elettrico è elaborata secondo criteri di decrescenza in funzione dei consumi di energia elettrica e del rapporto di cui al comma 1, eventualmente anche con riferimento ai settori di attività di cui ai codici ATECO», ossia con riferimento al sistema nazionale di codifica delle attività economiche.

Il successivo art. 6 prevede la pubblicazione su base annuale, da parte della CCSE, di un elenco delle imprese a forte contenuto di energia.

L’atto di indirizzo del Ministro dello sviluppo economico del 24 luglio 2013 (impugnato nel giudizio in primo grado, unitamente agli atti consequenziali) ha attuato la previsione di cui all’art. 39, comma 3, d.-l. n. 83/2012 e di cui all’art. 3 del decreto ministeriale del 5 aprile 2013, e, per quanto qui interessa, ha demandato all’Autorità odierna appellata di ridefinire i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema:

- non estendendo tali benefici a tutte le imprese che fossero qualificabili «energivore» (art. 17 della direttiva 2003/96/CE;
articolo 39, comma 3, d.-l. n. 83/2012);

- ma limitando tali benefici alle sole imprese energivore che operassero nel settore manifatturiero.

3.5 La decisione della sezione ha reputato, sulla scorta di tale ricostruzione normativa, che l’atto di indirizzo ministeriale del 24 luglio 2013, nella parte in cui ha stabilito che gli incentivi non spettavano a tutte le imprese energivore, ma solo a quelle operanti nel settore manifatturiero, si è posto in linea sia con il precedente decreto ministeriale del 5 aprile 2013, il quale già prevedeva che la rideterminazione degli oneri generali del sistema elettrico dovesse essere elaborata secondo criteri di decrescenza in funzione dei consumi di energia elettrica, eventualmente anche con riferimento ai settori di attività di cui ai codici ATECO – e ciò non soltanto ai fini della quantificazione tecnico-finanziaria degli oneri di sistema, ma anche ai fini della individuazione delle imprese a forte consumo di energia e alla loro possibilità di accedere ad un regime agevolato nella corresponsione dei corrispettivi degli oneri generali di sistema (da non confondere con le misure in tema di accise) –, sia con l’art. 39, comma 3, d.-l. n. 83/2012 che ha previsto, in via generale, un sistema nazionale di agevolazioni in favore delle imprese energivore, definite in modo conforme all’art. 17, par. 1, lettera a), della direttiva 2003/96/CE.

In tale ottica la pronuncia precedente ha ritenuto legittima la conclusione derivante dal complesso di atti in contestazione in quanto, e nella misura in cui, le imprese energivore non manifatturiere, proprio per il diverso tipo di attività che svolgono (essenzialmente, la produzione di servizi), si trovano nella condizione di poter più facilmente ridurre i propri consumi energetici, tendenzialmente fino al punto di non essere più imprese energivore ai sensi della direttiva 2003/96/CE, non rappresentando, per tali imprese, l’energia un costo non comprimibile.

3.6 Invero, tale ultima indicazione, fermo il principio, non è direttamente applicabile al caso delle imprese ferroviarie, come parte appellante, per le quali, pur svolgenti attività non manufatturiera ma di servizio, l’energia non costituisce un costo comprimibile, costituendo anzi l’unico elemento propulsivo dei treni.

Conseguentemente, fermo il quadro ricostruttivo derivante dalla giurisprudenza pregressa, nel caso di specie la disposta esclusione, sia in generale che in relazione alla esenzione oltre la soglia di 12 GWh, non trova l’invocato fondamento giustificativo predetto, applicato in relazione alla fattispecie già decisa dalla sezione.

Non a caso, in piena coerenza con il dato legislativo (anche inteso alla luce delle indicazioni europee), il d.m. attuativo della legge del 2012 prevedeva la facoltà, ma non l’obbligo, di fare riferimento ai codici Ateco e quindi alla tipologia di imprese, nell’ambito di quelle oggettivamente (in termini di consumo quantitativo) energivore. La conseguente diversa opzione in termini di esclusività del riferimento alle imprese manifatturiere, individuate appunto tramite codice Ateco, se giustificata (nei limiti indicati dalla sezione nella sentenza 346\2017) in relazione alla generale figura di imprese di servizi, non è coerente e logicamente spiegabile (né risulta essere stata accompagnata da adeguata motivazione ed istruttoria) rispetto ad imprese, in linea generale certamente energivore in termini quantitativi, quale quelle concernenti il trasporto ferroviario, basate esclusivamente sull’utilizzo dell’energia, unica o comunque del tutto prevalente fonte di movimento della relativa attività.

Tle conclusione si muove nel pieno solco delle linee tracciate e delle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia la quale, se per un verso ha stabilito che gli Stati membri sono liberi di limitare il beneficio di sgravi fiscali a favore di imprese a forte consumo di energia alle imprese di uno o di più settori industriali (senza che il diritto europeo lo imponga, anzi), per un altro verso non esclude, piuttosto impone, che tale scelte siano coerenti alle finalità specifiche (nel caso di specie non logicamente né legislativamente individuate), al dato legislativo ed ai principi generali in termini di ragionevolezza, proporzionalità e par condicio.

Se al riguardo la stessa Corte ha paventato la questione concernente la possibile configurazione delle scelte limitate ad alcuni settori in termini di aiuto di Stato, nel caso in esame sia la norma di legge che il decreto attuativo non dettano una previsione limitativa nei termini posti a fondamento degli atti impugnati nel presente giudizio.

Conseguentemente, le determinazioni contestate in parte qua, oltre a non trovare copertura legislativa, non appaiono coerenti ai principi predetti, nei termini già evidenziati e fatti propri dalla giurisprudenza della sezione. In particolare appare fondato il vizio dedotto in termini di difetto di motivazione ed illogicità delle determinazioni in parte qua, cioè nella parte in cui vengono escluse dai benefici in esame le imprese ferroviarie.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato nei termini predetti e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado in parte qua.

Sussistono giusti motivi, in specie a fronte della complessità della controversia, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

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