Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-09-05, n. 201704195

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-09-05, n. 201704195
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704195
Data del deposito : 5 settembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/09/2017

N. 04195/2017REG.PROV.COLL.

N. 03390/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3390 del 2016, proposto da:
G C D F, D A, D S, M C, A G T, rappresentati e difesi dall'avvocato G G, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Gregorio VII n. 350;

contro

Ministero dell'Interno-Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

Sia Plez, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 3233/2016, resa tra le parti, concernente l’esclusione dalla procedura comparativa per il conferimento dell’incarico di Medico del Servizio Sanitario presso i Comandi Provinciali, le Scuole Centrali Antincendi e per la Formazione Operativa dei VV.FF. della Regione Lazio.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno-Dipartimento Vigili del Fuoco-Soccorso Pubblico - Difesa Civile;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2017 il Cons. Sia Santoleri e uditi per le parti l’avvocato Alfredo Cirillo su delega dichiarata di G G e l'avvocato dello Stato Attilio Barbieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - I ricorrenti hanno partecipato alla procedura comparativa indetta con avviso pubblico del 6 novembre 2015 per il conferimento di n. 14 incarichi, a tempo determinato, di “Medico del Servizio Sanitario” presso i Comandi Provinciali, le Scuole Centrali Antincendi e per la Formazione Operativa dei VV.FF. della Regione Lazio.

Con provvedimenti di identico contenuto, datati 26 gennaio 2016, sono stati esclusi dalla procedura, in quanto “lavoratori collocati in quiescenza”.

2. - Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio, hanno impugnato l’avviso pubblico con cui è stata indetta la procedura selettiva, i loro provvedimenti di esclusione, e le graduatorie di merito.

Hanno dedotto – in estrema sintesi – l’inapplicabilità della norma invocata dall’Amministrazione per disporre la loro esclusione dalla procedura comparativa (art. 5 comma 9 del D.L. n. 95/2012, come modificato dall’art. 6, comma 1, della L. 11 agosto 2014, n. 114) poiché l’incarico in questione non rientrerebbe tra quelli vietati ai lavoratori in quiescenza.

Ciò si evincerebbe dalla circolare n. 6/2014 del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

3. - Con la sentenza impugnata il TAR ha respinto il ricorso ritenendo applicabile al caso di specie la suddetta disposizione normativa.

4. - Avverso tale sentenza i ricorrenti hanno proposto appello, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado.

4.1 - Si è costituita l’Amministrazione appellata che ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.

4.2 - Con ordinanza n. 2102/2016 la domanda cautelare è stata accolta.

5. - All’udienza pubblica del 6 luglio 2017 l’appello è stato trattenuto in decisione.

6. - L’appello è fondato e va dunque accolto.

6.1 - Gli appellanti sono medici in quiescenza ed hanno partecipato alla selezione per il conferimento dell’incarico di medico del servizio sanitario, a tempo determinato, nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, indetta con l’avviso pubblico del 6 novembre 2015.

Sono stati esclusi dalla procedura in applicazione dell’art. 6 comma 9 del D.L. n. 95/2012, come modificato dal D.L. n. 90/2014, convertito in L. n. 114/2012, secondo cui : “È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (…) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza”. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi….”.

6.2 - Il TAR ha ritenuto legittima la loro esclusione rilevando che: “la funzione di medico del servizio sanitario a tempo determinato dei vigili del fuoco si possa considerare comunque come un incarico di collaborazione, tenuto conto della circostanza che il medesimo incarico può essere svolto anche da dipendente in servizio di una pubblica amministrazione a titolo di collaborazione e previa autorizzazione ai sensi dell’art. 53 d.lgs. n. 165/2001”.

6.3 - Avverso tale statuizione i ricorrenti hanno dedotto che:

- la motivazione della sentenza si fonda su un erroneo presupposto;

- l’art. 5, comma 9 cit. si riferisce ai soli casi di “incarichi di studio e consulenza”, e agli “incarichi dirigenziali o direttivi”, e non si estende quindi alle prestazioni sanitarie;

- la norma dell’art. 5 comma cit. è di stretta interpretazione e quindi non può estendersi a casi non espressamente previsti;

- la circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 6/2014 ha chiarito che non sussistono preclusioni al conferimento di questo tipo di incarico al personale medico in quiescenza;

- altri Enti (quali l’INPS o l’ENEA), infatti, hanno conferito analoghi incarichi a medici in quiescenza.

7. - Le doglianze sono condivisibili.

7.1 - Con la circolare n. 4 del 4 dicembre 2014 il Dipartimento della Funzione Pubblica ha fornito le direttive agli uffici per l’individuazione degli incarichi vietati e consentiti al personale in quiescenza.

Nell’art. 4 della circolare, il Dipartimento ha ricordato che “La disciplina in esame pone puntuali norme di divieto per le quali vale il criterio di stretta interpretazione ed è esclusa l'interpretazione estensiva o analogica (come chiarito dalla Corte dei conti. Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, deliberazione n. 23/2014/prev del 30 settembre 2014). Incarichi vietati, dunque, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllali. Il legislatore ha voluto perseguire gli obiettivi sopra ricordati, vietando il conferimento a soggetti in quiescenza di incarichi e cariche che. indipendentemente dalla loro natura formale, consentono di svolgere ruoli rilevanti al vertice delle amministrazioni.

Un'interpretazione estensiva dei divieti in esame, non coerente con il fine di evitare che soggetti in quiescenza assumano rilevanti responsabilità nelle amministrazioni potrebbe determinare un'irragionevole compressione dei diritti dei soggetti in quiescenza in violazione dei princìpi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale che ammette limitazioni a carico dei soggetti in questione purché imposte in relazione a un apprezzabile interesse pubblico (si vedano, in particolare, le sentenze n. 566 del 1989, n. 406 del 1995 e n. 33 del 2013 della Corte Costituzionale).

Ai fini dell'applicazione dei divieti, occorre prescindere dalla natura giuridica del rapporto, dovendosi invece considerare l'oggetto dell'incarico. La disciplina in esame, dunque, non esclude alcuna delle forme contrattuali contemplate dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ma impedisce di utilizzare quelle forme contrattuali per conferire incarichi aventi il contenuto proprio degli incarichi vietati”.

Nell’art. 5 della stessa circolare, si chiarisce che: “Tutte le ipotesi di incarico o collaborazione non rientranti nelle categorie finora elencate sono da ritenersi sottratte ai divieti di cui alla disciplina in esame”, “il divieto riguarda determinati contratti d'opera intellettuale, ma non gli altri tipi di contratto d'opera. Non è escluso, dunque, il ricorso a personale in quiescenza per incarichi che non comportino funzioni dirigenziali o direttive e abbiano oggetto diverso da quello di studio o consulenza (in questo senso la citata deliberazione della Corte dei conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato). Non è escluso neanche il conferimento a soggetti in quiescenza di incarichi professionali, quali quelli inerenti ad attività legale o sanitaria, non aventi carattere di studio o consulenza”.

7.2 - Alla luce dei chiarimenti forniti dal Dipartimento della Funzione Pubblica emerge in modo chiaro che la norma invocata dall’Amministrazione – e richiamata nell’avviso di selezione – non impediva la partecipazione dei ricorrenti alla procedura selettiva.

Alcuna preclusione poteva derivare dalla clausola contenuta nello stesso avviso pubblico (punto 4.2), tenuto conto del tenore della norma ivi richiamata, così come interpretata con la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Tale clausola è stata comunque impugnata dai ricorrenti nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ove dovesse interpretarsi nel senso seguito dalla Commissione del concorso.

7.3 - Non può essere condivisa neppure la tesi dell’Amministrazione appellata secondo cui la scelta di non ammettere alla procedura selettiva il personale in quiescenza rientrerebbe nella propria discrezionalità, di tipo misto, in quanto le ragioni addotte per l’esclusione si fondano su una scorretta interpretazione della normativa nazionale, e non riguardano particolari “qualificazioni” o “requisiti professionali” richiesti ai candidati, per i quali potrebbe effettivamente sussistere il potere discrezionale da parte della P.A.

Nel caso di specie non viene in rilievo una scelta discrezionale dell’Amministrazione, ma una scorretta interpretazione della normativa.

8. - L’appello va pertanto accolto, e per l’effetto va riformata la sentenza di primo grado e conseguentemente va disposto l’annullamento dei provvedimenti di esclusione dalla procedura selettiva.

9. - Deve essere quindi esaminata la domanda risarcitoria.

9.1 - Con l’azione di annullamento i ricorrenti miravano ad ottenere l’ammissione alla procedura selettiva e ad ottenere il conferimento dell’incarico. Il rigetto del ricorso di primo grado ha impedito loro di partecipare al concorso e di ottenere l’incarico di durata annuale, che nelle more del giudizio, è ormai terminato.

Allo stato, essi pur essendo vittoriosi, non possono più conseguire il bene della vita al quale aspiravano.

Non ci sono quindi margini per la tutela in forma specifica.

9.2 - Nel ricorso di primo grado, però, i ricorrenti avevano avanzato anche la domanda risarcitoria in forma generica, e tale domanda è stata riproposta in appello, in quanto nelle conclusioni si dichiara espressamente di voler “accogliere integralmente le conclusioni rassegnate nel ricorso di primo grado”.

Con tale domanda i ricorrenti hanno chiesto il risarcimento del danno patrimoniale, chiedendo la corresponsione delle retribuzioni perdute a causa dell’illegittima esclusione dalla procedura concorsuale.

In merito alla domanda di risarcimento non patrimoniale, di carattere morale, hanno chiesto il ristoro dei danni conseguenti al disagio interiore patito per l’esclusione dal concorso e dalla mancata tempestiva assunzione.

10. - La domanda può essere accolta solo limitatamente.

10.1 - Innanzitutto ritiene il Collegio che nel caso di specie ricorrano tutti i presupposti ex art. 2043 c.c., in quanto l’illegittima esclusione dal concorso ha comportato per i ricorrenti l’impossibilità di conseguire l’incarico, che ha sua volta li ha privati della possibilità di percepire il relativo compenso.

Sussiste chiaramente il doppio rapporto di causalità tra il provvedimento lesivo ed il danno evento e tra quest’ultimo ed il danno conseguenza, in base ai principi della causalità giuridica.

10.2 - Quanto all’elemento soggettivo, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento e (o) comportamento illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare la illiceità della condotta tenuta dall'Amministrazione, quale indice presuntivo della colpa, restando a carico della P.A. l'onere di dimostrare che si è trattato di errore scusabile (cfr., tra le tante, Cons. Stato Sez. IV, 06-04-2016, n. 1347).

Nel caso di specie non ricorrono i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile, tenuto conto che l’avviso pubblico è datato 6 novembre 2015, e la circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica risale a più di un anno prima, essendo risalente al 4 dicembre 2014.

Non vi è dubbio che la P.A. fosse in condizione di ben comprendere quale fosse il tenore della disposizione normativa dell’art. 5 c. 9 del D.L. n. 95/2012, come modificato dall’art. 6 del D.L. n. 90/14, convertito in L. 114/14, evitando così di fornirne un’interpretazione estensiva o analogica non consentita.

Ne consegue che ricorrono tutti gli elementi dell’illecito.

10.3 - Occorre quindi esaminare la singole domande di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale proposte dagli interessati.

10.4 - Quanto alla prima domanda, i ricorrenti hanno chiesto la condanna dell’Amministrazione alla corresponsione dei compensi relativi all’intera durata dell’incarico, che hanno perso a causa dell’illegittima esclusione dalla procedura.

10.5 - La domanda non può essere accolta nei termini in cui è stata formulata.

Infatti, come già precisato dalla Sezione, “in sede di quantificazione per equivalente del danno in ipotesi di omessa o ritardata assunzione, questo non si identifica nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione, elementi che comporterebbero una vera e propria restitutio in integrum e che possono rilevare soltanto sotto il profilo, estraneo al presente giudizio, della responsabilità contrattuale, occorrendo invece, caso per caso, individuare l'entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta del datore di lavoro” (Cons. Stato Sez. III, 30/07/2013, n. 4020).

Inoltre, la corresponsione integrale dei compensi presuppone la certezza del conferimento dell’incarico, che però nel caso di specie non sussiste, non essendovi prova della sicura spettanza del bene della vita.

Il danno che hanno patito i ricorrenti è, infatti, inquadrabile nell’ambito della perdita di chance, essendo stati privati della possibilità di partecipare alla procedura selettiva e di conseguire l’incarico.

Tenuto conto che essi avevano già svolto in precedenza tale incarico, la loro chance può considerarsi apprezzabile, e quindi il danno risarcibile può essere quantificato equitativamente (in applicazione del combinato disposto degli atti artt. 2056, co. 1 e 2, e 1226 c.c. ), in una somma pari al 50 % dei compensi che sarebbero stati loro corrisposti per lo svolgimento del servizio, maggiorata degli interessi e della rivalutazione monetaria.

Il danno morale soggettivo non può essere invece riconosciuto, non essendo stato provato.

11. - In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado va accolto il ricorso di primo grado e vanno conseguentemente annullati i provvedimenti di esclusione con essi impugnati.

Va accolta, altresì, nei termini di cui in motivazione, la domanda risarcitoria.

12. - Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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