Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-02-19, n. 201801063

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-02-19, n. 201801063
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801063
Data del deposito : 19 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/02/2018

N. 01063/2018REG.PROV.COLL.

N. 01242/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1242 del 2012, proposto da G F, rappresentato e difeso dall'avvocato L T, con domicilio eletto presso lo studio della stessa in Roma, via Giuseppe Ferrari, 11;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante “ pro tempore ”, rappresentata e difesa dagli avvocati A C e R M, dell’Avvocatura di Roma Capitale, con domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA - SEZIONE I QUATER, n. 8506/2011, resa tra le parti, concernente ingiunzione di demolizione di opera abusiva;


Visto il ricorso il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Vista l’ordinanza di questa Sezione n. 1145 del 2012 di accoglimento della istanza di sospensione della esecutività della sentenza appellata;

Vista la memoria difensiva dell’appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica dell’8 febbraio 2018 il cons. M B e udita per la parte appellante l’avv. L T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Viene in decisione il ricorso in appello con il quale il signor G F ha impugnato la sentenza in forma semplificata del Tar Lazio – Sezione I quater, n. 8506 del 2011, chiedendone la riforma per la parte di interesse.

Il giudice di primo grado, infatti, ha accolto soltanto in parte il ricorso promosso dal F per l’annullamento della determinazione dirigenziale di Roma Capitale n. 825 del 9 maggio 2001, concernente ingiunzione a rimuovere un’opera abusiva.

2.La vicenda trae origine da un accertamento eseguito dalla Polizia municipale di Roma in data 14 gennaio 2011, in Via Andrea del Castagno, 64, su un appartamento, di proprietà del ricorrente e odierno appellante, che si sviluppa su due piani, il quinto e il sesto, e sul quale, come risulta dagli atti, “ sono state eseguite le seguenti opere: realizzazione della copertura, a falda inclinata, del terrazzo di pertinenza ubicato al piano sesto, mediante il posizionamento di lastre schluter e tegole tipo coppi (esternamente) e coibentato internamente con lastre di cartongesso. L’ambiente ottenuto, dotato di lucernaio di m. 1,10 X 1,36 circa, è stato accorpato alla unità immobiliare e ha dimensioni di m. 2,93 X 4,95 circa con altezza variabile da m. 1,57 alla gronda a m. 2,38 al colmo (per una) consistenza complessiva di mq. 14,5 circa”. “Al piano quinto, diversa distribuzione degli spazi interni”. “L’attività edilizia risulta ultimata. Nel corso del sopralluogo è stata rilevata la seguente presunta violazione urbanistico – edilizia: opere in assenza di permesso di costruire. Tipologia della violazione accertata: art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001;
art. 16 della l. r. n. 15 del 2008”
.

All’accertamento ha fatto seguito la determinazione dirigenziale n. 825/2011 di ingiunzione a rimuovere l’opera abusiva.

3.Il ricorso proposto dal signor F, dinanzi al Tar del Lazio, contro l’ordine di rimozione, è stato accolto, con la sentenza in epigrafe, nella sola parte in cui il ricorrente, con riferimento alla sanzione ripristinatoria inerente alla contestata “ diversa distribuzione degli spazi interni ” al quinto piano, ha qualificato l’intervento come riconducibile nell’ambito della “ manutenzione straordinaria”, come tale “non abbisognevole di alcun titolo edilizio abilitativo ”.

Nella seconda parte della sentenza il Tar ha invece respinto il ricorso “ con riferimento a quella parte del provvedimento che riguarda la creazione di nuova volumetria” , evidenziando, per quanto in questa sede di appello più rileva, che:

-le opere indebitamente realizzate dal ricorrente integrano un “ ampliamento di volumetria ”, ossia la creazione di un “ organismo in tutto o in parte diverso dal precedente ”, che, come tale, deve essere qualificato –e come tale è stato correttamente considerato in sentenza- come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, e non già come intervento di manutenzione, ordinaria o straordinaria, categoria che presuppone la conservazione dello stato dei luoghi e in particolare della volumetria e della superficie preesistenti, requisito che nella fattispecie non ricorre;

-la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 33, comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001 può essere applicata solo nel caso di assoluta e oggettiva impossibilità di procedere alla demolizione, requisito la cui ricorrenza non è stata nemmeno dedotta nell’atto introduttivo;

-l’ordine di demolizione, costituendo esplicazione di una potestà vincolata, è congruamente motivato, come avviene nella specie, mediante il riferimento alle opere contestate e al carattere abusivo delle stesse, con la conseguente superfluità della indicazione di un interesse pubblico ulteriore a sostegno della misura repressiva;

-la normativa prevista dalle leggi regionali n. 21/2009 e n. 10/2011 (c. d. Piano Casa della Regione Lazio) è inapplicabile alla fattispecie in quanto la disciplina citata presuppone il previo rilascio del titolo abilitativo e non consente una sanatoria “ ex post ” degli interventi realizzati;

-la prospettata violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990 concretizza un vizio procedimentale inidoneo a comportare, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della medesima l. n. 241/1990, l’annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato, stante la correttezza sostanziale del provvedimento stesso nella parte in cui ha ad oggetto l’ampliamento di volumetria.

4.Il signor F ha proposto appello con tre motivi, che saranno esaminati in appresso.

Si è costituita per resistere Roma Capitale.

Con l’ordinanza n. 1145 del 2012 questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare e, per l’effetto, ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata considerando sussistente il “ periculum in mora ” avuto anche riguardo alla modesta entità dell’asserito abuso.

In prossimità dell’udienza di discussione parte appellante ha depositato una memoria, con la quale evidenzia tra l’altro che il ricorso al Tar diretto all’annullamento del silenzio rigetto formatosi sulla istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del t. u. n. 380 del 2001 presentata dal F il 13 ottobre del 2011, vale a dire alcuni mesi dopo la determina di demolizione impugnata, adottata il 9 maggio 2011, è stato deciso dalla Sezione II bis del Tar del Lazio con la sentenza n. 6894 del 2012, di accoglimento, passata in giudicato e con la quale il Tar ha giudicato il silenzio rigetto illegittimo “ per violazione di legge ed eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, per la parte in cui il Comune ha omesso di pronunciarsi sul punto della richiesta di accertamento di conformità …concretante in realtà, secondo il tenore sostanziale della domanda ed indipendentemente dal relativo titolo, una domanda di accertamento della tenuità dell’abuso e del danno conseguente alla sua demolizione, e quindi della irragionevolezza, alla stregua di un criterio di proporzionalità, della disposta demolizione in luogo della previsione di una sanzione pecuniaria ai sensi degli artt. 33 DPR n. 380/2001 e 16 legge regionale Lazio n. 15/2008, posto che alla stregua di un principio di correttezza e tutela dell’affidamento l’Amministrazione, a giudizio del Collegio, non può esimersi dal pronunciarsi sulla domanda di applicazione di una diversa sanzione fintantoché la disposta riduzione in pristino dell’abuso, ancorché già disposta, non abbia avuto, come in questo caso, esecuzione… (di qui l’accoglimento del ricorso) limitatamente al profilo da ultimo esaminato, conseguendone l’obbligo del Comune di pronunciarsi sulla sanzione da applicare…” .

Nella memoria si soggiunge che, poco tempo dopo la pubblicazione della citata sentenza n. 6894 del 2012, l’Amministrazione, con la determinazione dirigenziale n. 944/2012, ha respinto in modo esplicito l’istanza di sanatoria ex art. 36 cit. .

L’odierno appellante ha impugnato tale diniego davanti al Tar del Lazio, con il ricorso n. 11520/2011, tuttora pendente.

Parte appellante ha quindi insistito per l’accoglimento dell’appello e alla udienza dell’8 febbraio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

5. L’appello è infondato e va respinto.

Le impugnate statuizioni della sentenza di primo grado sono corrette e vanno confermate.

5.1. In via preliminare, anche in relazione a quanto dedotto dall’appellante nell’ultima parte del secondo motivo di impugnazione, specie sulla omessa considerazione, da parte del Tar, della avvenuta presentazione, da parte del F, della istanza di cui all’art. 36 del t. u. n. 380 del 2001, istanza che avrebbe un “ effetto caducante ” sulla ingiunzione a demolire contestata in primo grado, il Collegio ritiene di dover puntualizzare che l’avvenuta presentazione della istanza e il fatto che sia pendente, davanti al Tar del Lazio, un giudizio proposto dal F avverso e per l’annullamento del diniego di accertamento di conformità n. 944/2012 opposto dal Comune sulla istanza del ricorrente medesimo avanzata ai sensi del citato art. 36 (v. sopra, p. 4., “ in finem ”), non assume rilievo ai fini di una eventuale pronuncia di (im)proseguibilità del presente gravame.

A questo proposito, rammentato in via preliminare che secondo il principio “ tempus regit actum ”, la valutazione della legittimità del provvedimento impugnato va condotta “ con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione” (sentenza n. 49 del 2016;
si veda anche sentenza n. 30 del 2016)
(così C. cost., n. 224 del 2016);
e precisato che l’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 cit. risulta datata 13 ottobre 2011 e quindi è posteriore di alcuni mesi rispetto alla ordinanza di demolizione per la quale oggi è controversia, adottata il 9 maggio 2011, il Collegio ritiene di dover rilevare, in linea generale e con riferimento alla fattispecie odierna, che:

-in difetto di preventiva istanza di parte non poteva esigersi che il Comune dovesse verificare d’ufficio la conformità urbanistica dell’opera in contestazione, atteso che un onere siffatto non è previsto nella disciplina vigente concernente i poteri di vigilanza e sanzionatori sull’attività edilizia abusiva;

-né può ritenersi che la validità ovvero l’efficacia dell’ordinanza di demolizione risultino compromesse dalla presentazione della istanza di accertamento di conformità ex art. 36 cit. , con conseguente improcedibilità della impugnazione odierna per sopravvenuta carenza di interesse;

-la giurisprudenza che ha riconosciuto l'obbligo di riadottare un provvedimento sanzionatorio dopo il rigetto della istanza di sanatoria si è formata in tema di condono edilizio, ossia in presenza di una richiesta che trova il suo fondamento in una disposizione di carattere legislativo, che, innovando alla disciplina urbanistica vigente, consente, a determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo, la sanatoria degli abusi commessi: ma quei principi non possono trovare applicazione quando sia stata formulata una istanza ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, ossia sulla base di una disposizione che, prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia conformità, limita la valutazione dell'opera sulla base di una disciplina preesistente;

-sostenere che, nell'ipotesi di presentazione della istanza di accertamento di conformità, e di rigetto, esplicito o implicito, della istanza stessa, l'Amministrazione debba riadottare l'ordinanza di demolizione, e questo perché la presentazione della istanza ex art. 36 cit. ha avuto un effetto caducante sull’ingiunzione a demolire, equivarrebbe a riconoscere in capo a un soggetto privato, “ ad libitum ” del destinatario del provvedimento repressivo, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento sanzionatorio della pubblica autorità, il che non può ammettersi;

-posto che la validità ovvero l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano compromesse dalla presentazione della istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del menzionato d.P.R. n. 380 del 2001, l’istanza medesima comporta piuttosto un arresto dell’efficacia della misura ripristinatoria, che rimane soltanto sospesa, determinandosi uno stato di temporanea quiescenza dell’atto, all’evidente fine di evitare, nel caso di accoglimento della istanza (o, si può aggiungere, nel caso di accoglimento del ricorso contro il diniego di accertamento di conformità ex art. 36 cit.), la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o in difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente : sicché qualora sia accolta la domanda di sanatoria (o se viene accolto, in sede giurisdizionale, il ricorso contro il “diniego ex art. 36”), l’ordine di demolizione decade per il venire meno del suo presupposto, vale a dire del carattere abusivo dell’opera realizzata, in ragione delle conformità dell’intervento, verificata in via amministrativa, o anche in sede giurisdizionale, alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento e sia al momento della presentazione della domanda;
mentre, nel caso di rigetto della istanza, tacito o esplicito, divenuto inoppugnabile,

la misura repressiva adottata a suo tempo riacquista la sua efficacia, che non era definitivamente cessata, ma soltanto sospesa, in attesa della conclusione del nuovo iter procedimentale, con la sola specificazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione decorre dal momento in cui il diniego perviene a conoscenza dell’interessato, il quale non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà prevista dalla legge e deve, pertanto, poter usufruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso;

-il procedimento di verifica della compatibilità urbanistica dell’opera avviato a istanza di parte è un procedimento del tutto autonomo e differente dal precedente procedimento sanzionatorio / repressivo avviato d’ufficio e conclusosi con l’ordinanza di demolizione dell’opera eseguita in assenza o difformità del titolo abilitativo, di tal che non vi sono ragioni per imporre all’Amministrazione comunale il riesercizio del potere repressivo a seguito dell’esito negativo del procedimento di accertamento di conformità urbanistica, atteso che il provvedimento di demolizione costituisce un atto vincolato (a suo tempo) adottato in esito a un procedimento amministrativo sul quale non interferisce l’eventuale conclusione negativa del procedimento ad istanza di parte ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001: un nuovo procedimento e provvedimento sanzionatorio si concretizzerebbe, infatti, in assenza di una esplicita previsione legislativa, in una inutile e antieconomica duplicazione dell’azione amministrativa.

5.2. Ciò precisato preliminarmente, con il primo motivo di appello il F deduce che l’Amministrazione comunale –e la sentenza- avrebbero errato nel classificare le opere eseguite quali opere di ristrutturazione, come tali assoggettate a permesso di costruire.

Il giudice di primo grado avrebbe errato nel non prendere in considerazione la preesistenza della copertura del terrazzo per cui è causa.

Detta preesistenza cambia radicalmente la qualificazione del contestato abuso, classificabile come intervento di manutenzione ordinaria o, a tutto voler concedere, di manutenzione straordinaria, ma non come intervento di ristrutturazione.

Diversamente da ciò che ritiene il Comune, viene in considerazione non la realizzazione “ ex novo ” della copertura del terrazzo, che la stessa Amministrazione ha riconosciuto essere “ già delimitato sui quattro lati” , quanto invece una “ bonifica della copertura preesistente ” come si presentava nel 2009, anno in cui il ricorrente acquistò l’immobile.

I detti lavori di bonifica –prosegue l’appellante- sono stati eseguiti nel contesto di lavori di manutenzione ordinaria che il ricorrente ha eseguito nel 2009 e per i quali ha presentato DIA lo stesso anno.

Nella specie, si sostiene, viene in considerazione un intervento di rinnovo e mera sostituzione del precedente pannello di alluminio posto a copertura del terrazzo.

Il Tar, nel dubbio sulla preesistenza, o meno, della copertura, avrebbe dovuto disporre una istruttoria e non limitarsi a respingere la censura, ignorando le prove fornite dal ricorrente.

Nella specie, andava applicata una sanzione pecuniaria di 258 euro, ai sensi dell’art. 6, comma 7, del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione alla mancata comunicazione dell’inizio lavori.

Con il secondo motivo parte appellante deduce violazione di legge ed eccesso di potere per errore e falsità di presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, e ciò sull’assunto che l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto valutare la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria, in luogo della demolizione, in considerazione della modesta entità dell’abuso raffrontato con il danno arrecato alla funzionalità dell’immobile, destinato alla residenza del ricorrente e del suo nucleo familiare (l’ambiente contestato è destinato a soggiorno – letto).

La demolizione è gravosa e carente sul piano della motivazione in ordine al pubblico interesse, aspetto sul quale parte appellante insiste.

Ciò risulta avvalorato anche alla luce dell’art. 3 della legge regionale n. 10/2011 (Piano Casa della Regione Lazio), il quale prevede la possibilità di realizzare interventi di ampliamento degli edifici, in deroga agli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, nel limite massimo del 20 % per ogni unità immobiliare, previa denunzia di inizio attività ai sensi dell'art. 23 del d.P.R. n. 380/2001.

La statuizione del Tar sulla inapplicabilità del Piano Casa della Regione Lazio alla fattispecie non può essere condivisa.

Il giudice di prima istanza non ha, poi, tenuto conto della avvenuta presentazione, da parte dell’appellante, della domanda ex art. 36 del t. u. n. 380 del 2001.

L’avvenuta presentazione della istanza di cui al citato art. 36 avrebbe un effetto caducante sulla determinazione dirigenziale di ingiunzione a demolire, impugnata in prima istanza.

Con il terzo motivo si ripropone la già dedotta violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990.

Il Tar avrebbe errato nel ritenere che, venendo in considerazione un ampliamento di volumetria, il provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato.

Nell’appello si sostiene che, se l’Amministrazione comunale avesse effettuato la comunicazione di avvio del procedimento, anche a mezzo dell’ordine di sospensione lavori, l’appellante avrebbe potuto prendere atto della circostanza che l’Amministrazione comunale considerava l’opera abusiva e sanzionabile con la demolizione e sarebbe stato così messo in grado di segnalare la consistenza effettiva dei lavori e di domandare l’applicazione della sanzione pecuniaria.

5.3. In ordine alla corretta qualificazione dell’attività edilizia realizzata sull’immobile, nel formulare il primo motivo parte appellante non considera che l’intervento preesistente, rispetto al quale l’intervento sanzionato con la demolizione si configurerebbe come intervento di rifacimento, non risulta essere stato né adeguatamente comprovato e neppure, a tutto concedere, a suo tempo assentito, sicché è corretto il punto di partenza dal quale ha preso le mosse l’Amministrazione nel rilevare la creazione di una nuova volumetria, annessa alla unità immobiliare, realizzata mediante la copertura di un terrazzo di pertinenza, venendo a esistenza un organismo diverso dal precedente.

Quanto realizzato dal signor F non presenta le caratteristiche di una attività di manutenzione ordinaria o straordinaria, ma si connota quale intervento implicante un incremento volumetrico assoggettato quindi a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001, venendo in discorso l’avvenuta realizzazione di un organismo edilizio diverso dal preesistente, caratterizzato da dimensioni maggiori e come detto da un aumento della volumetria.

Correttamente, pertanto, gli organi del Comune hanno preso in considerazione la realizzazione “ex novo” della copertura del terrazzo e l’avvenuta creazione di una nuova volumetria.

E bene il Tar ha “inquadrato” l’intervento compiuto nell’ambito della categoria della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3 del t. u. n. 380 del 2001.

Passando ora al secondo motivo di appello, in primo luogo la – oggettivamente - modesta entità dell’abuso (si tratta, come detto, della creazione di un nuovo vano, adibito a soggiorno – letto, avente una superficie di circa 14,5 mq), rapportata al pregiudizio arrecato alla funzionalità dell’immobile, destinato a residenza, non costituisce, in sé, elemento rilevante che l’Amministrazione era tenuta a prendere in considerazione all’atto dell’adozione della misura repressiva, in presenza di una alterazione dei luoghi.

Neppure è fondato e va accolto il rilievo di parte appellante secondo cui andava considerata la possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria “alternativa” alla demolizione, e ciò sulla base del combinato disposto di cui all’art. 33, commi 1 e 2, del t. u. n. 380 del 2001, disposizione che, nel testo vigente all’epoca della emanazione dell’ingiunzione a demolire impugnata in primo grado (9 maggio 2011), stabiliva quanto segue:

1.Gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 10, comma 1, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformita' da esso, sono rimossi ovvero demoliti e gli edifici sono resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l'ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell'abuso.

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