Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-01-29, n. 202400861

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-01-29, n. 202400861
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202400861
Data del deposito : 29 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/01/2024

N. 00861/2024REG.PROV.COLL.

N. 02891/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2891 del 2023, proposto da:
Comune di Piedimonte Matese, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G M S, T S e F C, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'istruzione e del merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Comune di Benevento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Abbamonte, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi, 5;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 17000/2022.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'istruzione e del merito e del Comune di Benevento;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. Laura Marzano;

Nessuno presente per le parti nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2024;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il Comune di Piedimonte Matese ha impugnato la sentenza del Tar Lazio, sez. III bis, n. 17000 del 19 dicembre 2022, con cui è stato dichiarato improcedibile il ricorso proposto per l’annullamento della nota dell'8 maggio 2022, recante la comunicazione di esclusione dalla procedura di cui al «D.M.2dicembre2021, n.343 –Avviso pubblico prot.n. 48048 del 2 dicembre 2021 per la presentazione di candidature per la realizzazione di nuovi edifici scolastici pubblici mediante sostituzione edilizia, da finanziare nell'ambito del PNRR, Missione2– Rivoluzione verde e transizione ecologica – Componente3 – Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici – Investimento 1.1: “Costruzione di nuove scuole mediante sostituzione di edifici”, finanziato dall'Unione europea– Next Generation EU. CUP: D12C22000130006» e della nota del 9 giugno 2022, recante la conferma dell’esclusione a seguito di rinnovata istruttoria.

In data 2 dicembre 2021 il Ministero dell’istruzione pubblicava l’avviso pubblico per la presentazione di candidature per la realizzazione di nuovi edifici scolastici pubblici mediante sostituzione edilizia, da finanziare nell’ambito del PNRR.

L’avviso veniva predisposto in attuazione del decreto del Ministro dell’istruzione 2 dicembre 2021, n. 343, di concerto con il Ministro per il sud e la coesione territoriale, con il Ministro per la famiglia e le pari opportunità e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, con cui sono state ripartire su base regionale, secondo i criteri ivi previsti, le risorse pari ad € 800.000.000,00, destinate a garantire la realizzazione di scuole innovative dal punto di vista architettonico e strutturale, altamente sostenibili e con il massimo dell’efficienza energetica, inclusive e in grado di garantire una didattica basata su metodologie innovative e una piena fruibilità degli ambienti didattici, mediante sostituzione edilizia di edifici pubblici vetusti, non adeguati sismicamente e non efficienti.

In data 7 febbraio 2022 il Comune di Piedimonte Matese presentava la candidatura dell’intervento CUP D12C22000130006 per ottenere un finanziamento di € 17.900.000. In particolare, l’intervento candidato prevedeva la demolizione edilizia con delocalizzazione di quattro edifici scolastici composti da più unità strutturali ciascuno.

All’esito delle verifiche della documentazione presentata in sede di candidatura emergeva che il documento caricato, riguardante la verifica di interesse culturale, non corrispondeva a quanto richiesto dall’avviso pubblico e che uno dei quattro edifici scolastici composti da più unità strutturali ciascuno, oggetto della proposta, presentava un indice di rischio IR superiore a 0,8, in contrasto con quanto previsto dall'art. 5, comma 2, lett. f), dell’avviso pubblico, che sancisce l’inammissibilità a finanziamento delle “proposte relative a edifici oggetto di demolizione terminati dopo il 1995 e/o che presentino un indice di rischio sismico maggiore o uguale a 0.8, anche se riferito ad una sola unità strutturale, o posseggano classe energetica A”.

Pertanto, stante l’assenza dei suddetti requisiti di ammissibilità per il finanziamento, l’amministrazione adottava il provvedimento del 9 maggio 2022, di esclusione dell’intervento proposto dal Comune di Piedimonte Matese dalla graduatoria relativa alla procedura.

Il Comune inoltrava istanza di autotutela che veniva respinta con nota del 9 giugno 2022, prot. n. 48559 in quanto, a seguito di ulteriore istruttoria, il Ministero da una parte non ravvisava elementi utili per l’eventuale adozione di un provvedimento in autotutela e, dall’altra, rilevava la carenza di un ulteriore requisito di ammissione, non individuato prima.

Tale provvedimento, unitamente alle graduatorie dei soggetti ammessi, è stato impugnato dinanzi al Tar il quale, dopo aver ordinato l’integrazione del contraddittorio per pubblici proclami nei confronti dei controinteressati, ossia dei soggetti ricoprenti le posizioni utili in ciascuna delle graduatorie impugnate, con ordinanza n. 5046 del 3 agosto 2022, ha dichiarato improcedibile il ricorso per non aver il Comune ottemperato all’ordine di deposito della prova dell’avvenuta notifica nel termine perentorio ivi fissato.

L’impugnazione della sentenza n. 17000 del 19 dicembre 2022 è affidata a tre motivi con i quali ne è dedotta l’erroneità sia per avere il Tar ritenuto perentorio, a pena di improcedibilità, anche il termine assegnato per il deposito della prova dell’avvenuta integrazione del contraddittorio, pur in assenza di espressa previsione di legge, sia per non aver disposto la rimessione in termini per errore scusabile.

In subordine la parte appellante prospetta una questione di illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 3, c.p.a., ultimo periodo, per contrasto con l’art. 76 cost., nonché con gli artt. 3, 24, comma 1, 111, 113 e 117, comma 1., cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, lamentando altresì la violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, di garanzia ed effettività del diritto di difesa, del giusto processo e del diritto di accesso ad un giudice.

Inoltre l’appellante ripropone i motivi non esaminati dal giudice di primo grado lamentando:

- violazione della lex specialis di cui all’avviso pubblico del 2 dicembre 2021, a causa del difetto di istruttoria relativo ad entrambi i profili di inammissibilità ravvisati dal Ministero (motivo 1);

- violazione dell’art. 7 legge n. 241/1990 ed eccesso di potere per carenza di istruttoria con riferimento alla nota recante il diniego di autotutela, sia perché adottata senza il necessario coinvolgimento procedimentale del Comune istante, sia perché fondata su una circostanza asseritamente non vera, dal momento che al Comune di Piedimonte Matese non risulterebbe che negli ultimi 5 anni l’immobile sia stato oggetto di finanziamenti.

Il Ministero appellato si è costituito nel presente grado di giudizio depositando memoria con cui ha resistito a tutte le censure chiedendo la conferma della sentenza impugnata e, in ogni caso, deducendo l’infondatezza del ricorso introduttivo.

Si è, altresì, costituito il controinteressato Comune di Benevento depositando memoria con cui ha resistito all’impugnazione.

In vista della trattazione lo stesso Comune di Benevento ha depositato memoria conclusiva in cui ha richiamato le argomentazioni difensive formulate in primo grado, riproponendo, altresì, l’eccezione (di merito) di inammissibilità del ricorso introduttivo per non avere la parte fornito la cd. “prova di resistenza”.

Con separati atti tutte le parti costituite chiesto la decisione della causa sugli scritti.

All’udienza pubblica del 23 gennaio 2024, in assenza di ulteriori scritti difensivi, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. La sentenza impugnata va confermata.

La tesi di parte appellante, secondo cui il termine di deposito della prova dell’avvenuta integrazione del contraddittorio sarebbe ordinatorio, non è fondata.

Deve ricordarsi, in punto di fatto, che con ordinanza n. 5046 del 3 agosto 2022 il Tar, nell’ordinare l’integrazione del contraddittorio mediante notifica per pubblici proclami, ha disposto che « dette pubblicazioni dovranno essere effettuate, pena l’improcedibilità del ricorso e degli eventuali motivi aggiunti, nel termine perentorio di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione della presente ordinanza, con deposito della prova del compimento di tali prescritti adempimenti presso la Segreteria della Sezione entro il successivo termine perentorio di giorni 10 (dieci) dal primo adempimento ».

Non è contestato che l’integrazione del contradditorio è avvenuta mediante pubblicazione sul sito del Ministero dell’istruzione in data 5 settembre 2022, mentre il deposito della prova della pubblicazione è avvenuto in data 4 novembre 2022.

È opportuno ricostruire brevemente il quadro normativo di riferimento.

L'art. 49, comma 3, c.p.a. prevede che « Il giudice, nell'ordinare l'integrazione del contraddittorio, fissa il relativo termine, indicando le parti cui il ricorso deve essere notificato (...). Se l'atto di integrazione del contraddittorio non è tempestivamente notificato e depositato, il giudice provvede ai sensi dell'art. 35 ».

L'art. 35, lett. c) del c.p.a. sanziona con l'improcedibilità del ricorso l'omessa integrazione del contraddittorio nel termine assegnato.

Ciò posto deve ricordarsi che, nel processo amministrativo, l'ordinanza di integrazione del contraddittorio deve obbligatoriamente contenere, a mente dell'art. 49, comma 3, primo periodo, c.p.a, il termine perentorio entro cui effettuare le notifiche, ma non anche (o non necessariamente) il termine per il successivo deposito, essendo al riguardo dettata, nell'art. 45, comma 1, c.p.a., la disposizione generale, che inequivocabilmente impone un termine di trenta giorni per il deposito degli atti notificati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2018, n. 1534 che richiama Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2015, n. 1626).

È stato, inoltre, precisato, che « Nel caso in cui il giudice amministrativo abbia esercitato la facoltà, che gli artt. 39 e 49 comma 3, c.p.a. gli conferiscono, di fissare il termine sia per la notifica che per il deposito dell'atto di integrazione del contraddittorio, tali termini (di per sé eccezionali rispetto a quelli ordinariamente fissati dal codice per l'instaurazione del contradditorio) devono essere rispettati a pena di irricevibilità del ricorso » (Cons. Stato, sez. III, 26 febbraio 2016, n. 788).

Nel caso in esame il Comune, pur avendo effettuato nei termini la pubblicazione sul sito del Ministero, non ha rispettato il termine perentorio di 10 giorni fissato nell’ordinanza per il deposito della prova dell’avvenuta notifica.

Anche accedendo alla tesi di parte appellante secondo cui il giudice non potrebbe attribuire perentorietà ad un termine in assenza di espressa previsione di legge, deve osservarsi che, nel caso di specie, non risulta rispettato neanche il termine perentorio (di trenta giorni) prescritto dall'art. 45, comma 1, c.p.a. per il deposito degli atti soggetti a preventiva notificazione, con la precisazione che, poiché la procedura oggetto di ricorso rientra nella previsione dell’art. 12 bis del decreto legge 16 giugno 2022, n. 68, convertito in l. n. 108/2022, trattandosi di “interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR”, il termine di legge di 30 giorni deve intendersi dimidiato a 15.

Il comma 5 della richiamata disposizione stabilisce infatti che « Ai procedimenti disciplinati dal presente articolo si applicano, in ogni caso, gli articoli 119, comma 2, e 120, comma 9, del codice del processo amministrativo, di cui all’allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 ».

È chiaro, dunque, che non risulta rispettato neanche il termine di legge suindicato, essendo stato, l'atto in questione, depositato soltanto il 4 novembre 2022.

Neanche appare corretta l’interpretazione della complessiva disciplina dell’improcedibilità che l’appellante fornisce tralasciando un significativo inciso della disposizione contenuta nell’art. 49 c.p.a.: tale norma stabilisce che « Il giudice, nell’ordinare l’integrazione del contraddittorio, fissa il relativo termine, indicando le parti cui il ricorso deve essere notificato. Può autorizzare, se ne ricorrono i presupposti, la notificazione per pubblici proclami prescrivendone le modalità. Se l’atto di integrazione del contraddittorio non è tempestivamente notificato e depositato, il giudice provvede ai sensi dell’articolo 35 ».

La disposizione riportata se, da una parte, conferma che il giudice deve fissare necessariamente il termine per la notifica, senza specificare che debba fissare anche il termine per il deposito, tuttavia connette la dichiarazione di improcedibilità del ricorso di cui all’art. 35 c.p.a., al mancato rispetto non solo del termine di notifica ma anche del termine di deposito.

Tale ultimo termine, come già visto, se non è fissato dal giudice, va individuato in quello ordinario di trenta giorni di deposito degli atti soggetti a notifica che nel caso di specie, comunque, non risulta rispettato.

Né il Tar avrebbe potuto disporre la rimessione in termini, come opina l’appellante, non essendo ravvisabile alcun errore connotato da “scusabilità”, in assenza di qualsivoglia incertezza sia sul significato della norma di cui all’art. 49 cit., estremante chiara, sia sul contenuto dell’ordinanza nella parte in cui ha fissato i due termini in discorso. Né la parte ha addotto alcun impedimento di fatto in ipotesi “ostativo” al deposito nei termini dell’atto di integrazione del contraddittorio.

Infine, non sono ravvisabili profili di illegittimità costituzionale della norma citata la quale, diversamente da quanto ipotizza l’appellante, non risulta viziata da eccesso di delega, inserendosi coerentemente nella disciplina del processo amministrativo che, secondo le indicazioni del legislatore delegante, risulta coordinato con le norme del codice di procedura civile, oltre che con i principi generali del processo.

In proposito è utile evidenziare che l’art. 371 bis c.p.c., dispone che « Qualora la Corte abbia ordinato l'integrazione del contraddittorio, assegnando alle parti un termine perentorio per provvedervi, il ricorso notificato, contenente nell'intestazione le parole “atto di integrazione del contraddittorio”, deve essere depositato nella cancelleria della Corte stessa, a pena di improcedibilità entro venti giorni dalla scadenza del termine assegnato ».

Secondo la costante giurisprudenza della Corte di legittimità, qualora la Corte di cassazione abbia ordinato l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 371 bis c.p.c., il deposito del relativo atto di integrazione oltre il termine di venti giorni dalla scadenza del termine concesso, comporta l'improcedibilità, rilevabile d'ufficio, del ricorso in cassazione, restando del tutto irrilevante un tardivo deposito dell'atto integrativo (cfr. Cass. civ., sez. II, 4 maggio 2022, n. 14150;
id. 17 luglio 2020, n. 15308;
id. 5 febbraio 2020, n. 2660).

In modo del tutto coerente, dunque, sebbene con diversa formulazione lessicale, l’art. 49, comma 3, c.p.a., stabilisce che « Se l'atto di integrazione del contraddittorio non è tempestivamente notificato e depositato, il giudice provvede ai sensi dell'articolo 35 » essendo irrilevante, ai fini della declaratoria di improcedibilità, che il termine di deposito non rispettato sia quello fissato dal giudice, che ne ha facoltà, ovvero, in mancanza, sia quello (nel caso di specie di 15 giorni) fissato per legge.

Non sono neanche ravvisabili i denunciati profili di incostituzionalità della norma in rassegna per possibile contrasto con l’art. 76 cost., nonché con gli artt. 3, 24, comma 1, 111, 113 e 117, comma 1., cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU.

La norma, invero, per la sua chiarezza e per la sua coerenza sistematica, non pregiudica l’esercizio del diritto di difesa, né è in grado di vulnerare il principio del giusto processo ovvero di ledere l’accesso alla giustizia.

La questione prospettata, oltre che della “non manifesta infondatezza”, difetta anche del requisito della “rilevanza” nel presente giudizio.

Alla luce della formulazione dell’art. 41 c.p.a. (che ha riproposto, con alcune modifiche, il testo dell’art. 16 del

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