Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-10-31, n. 202309376

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-10-31, n. 202309376
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202309376
Data del deposito : 31 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/10/2023

N. 09376/2023REG.PROV.COLL.

N. 00003/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3 del 2021, proposto da
Green Network S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati V C I e E P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato V C I in Roma, via Dora n. 1;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Autorità Garante per l'Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Associazione Codici - Centro per i Diritti del Cittadino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carmine Laurenzano e Ivano Giacomelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 9763/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Associazione Codici - Centro per i Diritti del Cittadino, dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dell’Autorità Garante per l'Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico e dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2023 il Cons. Giovanni Gallone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Ad esito di procedimento istruttorio (n. PS9834) avviato in data 15 aprile 2015 a seguito di segnalazioni pervenute da parte di consumatori, loro associazioni rappresentative ed imprese concorrenti, con provvedimento adottato all’adunanza dell’11 novembre 2015 recante n. prot. n. 0070839, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito anche A.G.C.M.) ha accertato che la Green Network Luce &
Gas S.r.l., società operante nella vendita al dettaglio di energia elettrica e gas naturale a clienti domestici e non domestici di piccole dimensioni, avrebbe posto in essere pratiche commerciali “scorrette”, ai sensi degli artt. 20, comma 2, 24, 25, lett. d), e 26, lett. f), del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (di seguito anche Codice del Consumo).

Con il medesimo provvedimento l’Autorità ha, altresì accertato che la Green Network Luce &
Gas S.r.l. avrebbe tenuto una condotta violativa degli artt. 49, comma 1, lett. h), 51, comma 6, 52, comma 2, lett. c), e 54 del medesimo Codice del Consumo concludendo, dopo la data del 13 giugno 2014 di entrata in vigore del d.lgs. n. 21 del 2014 (concernente la “Attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, recante modifica delle direttive 93/13CEE e 1999/44/CEE e che abroga le direttive 85/577/CEE e 97/7/CE”) contratti a distanza e fuori dai locali commerciali senza l’osservanza dei requisiti di forma prescritti dalla legge.

Nel dettaglio l’A.G.C.M. ha accertato che la predetta società avrebbe:

a) attivato forniture non richieste di energia elettrica in assenza di una corrispondente manifestazione di volontà, diffuso informazioni ingannevoli o omissive al fine di effettuare attivazioni di forniture non richieste, nonché ostacolato il diritto di recesso dei consumatori, in violazione degli articoli 20, comma 2, 24, 25 lettera d), e 26, lettera f), del Codice del Consumo;

b) attivato forniture non richieste di gas naturale in assenza di una corrispondente manifestazione di volontà, diffuso informazioni ingannevoli o omissive al fine di effettuare attivazioni di forniture non richieste, nonché ostacolato il diritto di recesso dei consumatori, in violazione degli articoli 20, comma 2, 24, 25 lettera d), e 26, lettera f), del Codice del Consumo;

c) posto in essere dal 13 giugno 2014 le seguenti condotte: mancata acquisizione del consenso espresso ed informato del consumatore ad effettuare le conferme su supporto durevole, non messo nella piena disponibilità di tutti i consumatori la registrazione della telefonata in modo che questi ultimi potessero conservarla e accedervi in futuro per un congruo periodo di tempo, né ottenuto la sottoscrizione del contratto o l’accettazione scritta da parte del consumatore prima di considerarlo vincolato;
non messo il consumatore in condizione di individuare con certezza il dies a quo dal quale decorreva la possibilità di esercitare il diritto di recesso e, infine, mancata consegna al consumatore del modulo per l’esercizio del diritto di recesso, in violazione degli articoli 49, comma 1, lett. h), 51, co. 6, 52, comma 2, lett. c), e 54 del Codice del Consumo.

Ha, quindi, irrogato a Green Network Luce &
Gas S.r.l. una sanzione amministrativa pecuniaria di € 180.000 in riferimento alla pratica commerciale descritta al punto a), di € 60.000 in riferimento alla pratica commerciale descritta al punto b) e di € 100.000 con riferimento alle condotte descritte al punto c), vietando altresì l’ulteriore continuazione delle medesime condotte.

2. Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per il Lazio - sede di Roma Green Network Luce &
Gas S.r.l. ha chiesto l’annullamento, previa sospensione, del suddetto provvedimento. In subordine ha, poi, chiesto la riduzione della sanzione irrogata.

2.1 A sostegno del ricorso ha dedotto i motivi di gravame così rubricati:

1) Insussistenza dell’illecito in relazione alle pratiche commerciali scorrette contestate. Violazione e falsa applicazione art. 20, comma 2, 24, 25 lett. d). e 26 lett. f) Cod. Cons. Mancanza dei presupposti in fatto e in diritto. Irragionevolezza. Travisamento dei fatti. Eccesso di potere;

2) Insussistenza dell’illecito in relazione alle pratiche commerciali scorrette anche sotto il profilo della mancanza di imputabilità soggettiva. Violazione e falsa applicazione artt. 20, comma 2, 24, 25 lett. d), e 26 lett. f) Cod. Cons. Violazione e falsa applicazione art. 3 L. n. 689/1981. Irragionevolezza. Travisamento dei fatti e dei presupposti. Eccesso di potere ;

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 24, 25, 26 lett. f) e 66-quinquies del Codice del Consumo (d.lgs. n. 206/2005), Violazione e falsa applicazione degli artt. 49, comma1, lett. h), 51, comma 6, 52, comma2, lett. c) e 54 Cod. Cons.. Eccesso di potere. Travisamento dei fatti. Difetto dei presupposti in fatto e in diritto. Istruttoria contraddittoria e perplessa. Illogicità ;

4) in via gradata. Violazione dei principi fondamentali di proporzionalità, imparzialità e trasparenza espressi nel trattato istitutivo delle Comunità Europee. Violazione e falsa applicazione degli artt. 27, comma 13, d.lgs. 206/2005 e 11 L. 689/1981. Eccesso di potere. Travisamento dei fatti e/o errore dei presupposti di fatto e di diritto, sviamento, illogicità, grave errore e difetto di istruttoria .

3. Nel corso del giudizio di primo grado l’A.G.C.M., con provvedimento adottato all’esito dell’adunanza del 13 luglio 2016 e notificato via PEC in data 28 luglio 2016, confermando l’impianto motivazionale che aveva portato alla sanzione, ha deliberato di accogliere l’istanza di riesame presentata dalla società il 21 giugno 2016 e di “rideterminare le sanzioni amministrative pecuniarie da irrogare alla Società Green Network S.r.l. - oggi incorporata nella società Green Network S.p.A. - di cui alle lettere d), e) e f) del dispositivo del provvedimento n. 25708 dell’11 novembre 2015, nella misura di 135.000 € (centotrentacinquemila euro) in relazione alla lettera d), nella misura di 45.000 € (quarantacinquemila euro) in relazione alla lettera e);
nella misura di 75.000 € (settantacinquemila euro) in relazione alla lettera f)”.

4. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 20 ottobre 2016 e depositato il 28 ottobre 2016 Green Network S.p.A., nella quale a far data dal 1° dicembre 2015 è stata fusa per incorporazione la Green Network Luce e Gas S.r.l., ha impugnato tale ulteriore provvedimento dell’A.G.C.M. chiedendone l’annullamento. Ha chiesto, in subordine, la riduzione della sanzione irrogata.

4.1 A sostegno del ricorso per motivi aggiunti ha dedotto le censure così rubricate:

1) Insussistenza dell’illecito in relazione alle pratiche commerciali scorrette contestate. Violazione e falsa applicazione art. 20, comma 2, 24, 25 lett. d). e 26 lett. f) Cod. Cons. Mancanza dei presupposti in fatto e in diritto. Irragionevolezza. Travisamento dei fatti. Eccesso di potere ;

2) Insussistenza dell’illecito in relazione alle pratiche commerciali scorrette anche sotto il profilo della mancanza di imputabilità soggettiva. Violazione e falsa applicazione artt. 20, comma 2, 24, 25 lett. d), e 26 lett. f) Cod. Cons. Violazione e falsa applicazione art. 3 L. n. 689/1981. Irragionevolezza. Travisamento dei fatti e dei presupposti. Eccesso di potere ;

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 24, 25, 26 lett. f) e 66-quinquies del Codice del Consumo (d.lgs. n. 206/2005), Violazione e falsa applicazione degli artt. 49, comma1, lett. h), 51, comma 6, 52, comma2, lett. c) e 54 Cod. Cons.. Eccesso di potere. Travisamento dei fatti. Difetto dei presupposti in fatto e in diritto. Istruttoria contraddittoria e perplessa. Illogicità ;

4) in via gradata. Violazione dei principi fondamentali di proporzionalità, imparzialità e trasparenza espressi nel trattato istitutivo delle Comunità Europee. Violazione e falsa applicazione degli artt. 27, comma 13, d.lgs. 206/2005 e 11 L. 6898/1981. Eccesso di potere. Travisamento dei fatti e/o errore dei presupposti di fatto e di diritto, sviamento, illogicità, grave errore e difetto di istruttoria .

5. Nel successivo svolgimento del giudizio di primo grado, all’esito della pubblica udienza del 25 gennaio 2017, il T.A.R. per il Lazio - sede di Roma adito, con ordinanza collegiale n. 2550 del 17 febbraio 2017, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea i seguenti quesiti pregiudiziali:

“1) Se la “ratio” della direttiva “generale” n. 2005/29/CE, intesa quale “rete di sicurezza” per la tutela dei consumatori, nonché, nello specifico, il “Considerando n. 10”, l’art. 3, paragrafo 4, e l’art. 5, paragrafo 3, della medesima direttiva ostino a una norma nazionale che riconduca la valutazione del rispetto degli obblighi specifici previsti dalle direttive settoriali n. 2009/72/CE e n. 2009/73/CE a tutela dell’utenza nell’ambito di applicazione della direttiva generale n. 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette, escludendo, per l’effetto, l’intervento dell’autorità di settore - nel caso di specie AEEGSI - a reprimere una violazione della direttiva settoriale in ogni ipotesi che sia suscettibile di integrare altresì gli estremi di una pratica commerciale scorretta o sleale;

2) Se il principio di specialità di cui all’art. 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE deve essere inteso quale principio regolatore dei rapporti tra ordinamenti (ordinamento generale e ordinamenti di settore), ovvero dei rapporti tra norme (norme generali e norme speciali) ovvero, ancora, dei rapporti tra autorità indipendenti preposte alla regolazione e vigilanza dei rispettivi settori;

3) Se la nozione di “contrasto” di cui all’art. 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE possa ritenersi integrata solo in caso di radicale antinomia tra le disposizioni della normativa sulle pratiche commerciali scorrette e le altre norme di derivazione europea che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali, ovvero se sia sufficiente che le norme in questione dettino una disciplina difforme dalla normativa sulle pratiche commerciali scorrette, tale da determinare un concorso di norme in relazione a una stessa fattispecie concreta;

4) Se la nozione di norme comunitarie di cui all’art. 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE abbia riguardo alle sole disposizioni contenute nei regolamenti e nelle direttive europee, nonché alle norme di diretta trasposizione delle stesse, ovvero se includa anche le disposizioni legislative regolamentari attuative di principi di diritto europeo;

5) Se il principio di specialità, sancito al “Considerando 10” e all’art. 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE e gli artt. 37 della direttiva 2009/72/CE e 41 della direttiva 2009/73/CE ostino a una interpretazione delle corrispondenti norme di trasposizione nazionale per cui si ritenga che, ogni qualvolta si verifichi in un settore regolamentato, contenente una disciplina “consumeristica” settoriale con attribuzione di poteri regolatori e sanzionatori all’autorità del settore, una condotta riconducibile alla nozione di “pratica aggressiva”, ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29/CE, o “in ogni caso aggressiva” ai sensi dell’Allegato I della direttiva 2005/29/CE, debba sempre trovare applicazione la normativa generale sulle pratiche scorrette, e ciò anche qualora esista una normativa settoriale, adottata a tutela dei (medesimi) consumatori e fondata su previsioni di diritto dell’Unione, che regoli in modo compiuto le medesime “pratiche aggressive” e “in ogni caso aggressive” o, comunque, le medesime “pratiche scorrette/sleali”.

6. In data 21 maggio 2019 è stata depositata l’ordinanza della Decima Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 14 maggio 2019, resa nell’ambito delle cause riunite da C-406/17 a C-408/17 e C-417/17, con la quale la stessa ha dichiarato che “L’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, nonché l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale determinate condotte, come quelle controverse nei procedimenti principali, consistenti nella stipulazione di contratti di fornitura non richiesti dai consumatori o di contratti a distanza e di contratti negoziati fuori dei locali commerciali in violazione dei diritti dei consumatori, devono essere valutate alla luce delle rispettive disposizioni delle direttive 2005/29 e 2011/83, con la conseguenza che, conformemente a tale normativa nazionale, l’autorità di regolamentazione di settore, ai sensi della direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE, e della direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE, non è competente a sanzionare siffatte condotte”.

7. Ad esito del giudizio di primo grado il T.A.R. per il Lazio - sede di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha quindi respinto il ricorso come integrato da motivi aggiunti.

8. Con ricorso notificato il 22 dicembre 2020 e depositato il 2 gennaio 2021 Green Network S.p.A. ha proposto appello avverso la suddetta decisione chiedendone la riforma.

8.1 A sostegno del gravame ha dedotto le censure così rubricate:

1) Erroneità della sentenza per non aver ritenuto fondato il motivo di ricorso I con il quale si è dedotto “Insussistenza dell’illecito in relazione alle pratiche commerciali scorrette contestate. Violazione e falsa applicazione artt. 20, comma 2, 24, 25 lett. d), e 26 lett. f) Cod. Cons. Mancanza dei presupposti in fatto e in diritto. Irragionevolezza. Travisamento dei fatti. Eccesso di potere” ;

2) Erroneità della sentenza per non aver ritenuto fondato il motivo di ricorso II con il quale si è dedotto: “Insussistenza dell’illecito in relazione alle pratiche commerciali scorrette anche sotto il profilo della mancanza di imputabilità soggettiva. Violazione e falsa applicazione artt. 20, comma 2, 24, 25 lett. d), e 26 lett. f) Cod. Cons. Violazione e falsa applicazione art. 3 l. 689/1981. Irragionevolezza. Travisamento dei fatti e dei presupposti. Eccesso di potere”;
Erroneità della sentenza per non aver ritenuto fondato il motivo di ricorso II con il quale si è dedotto sotto altro motivo
;

3) Erroneità della sentenza per non aver ritenuto fondato il III motivo di ricorso con il quale si è dedotto “Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 24, 25, 26 lett. f) e 66-quinquies del Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005). Violazione e falsa applicazione degli artt. 49, comma 1, lett. h), 51, comma 6, 52, comma 2, lett. c) e 54 Cod. Cons.. Eccesso di potere. Travisamento dei fatti. Difetto dei presupposti in fatto e in diritto. Istruttoria contraddittoria e perplessa. Illogicità” ;

4) Erroneità della sentenza per non aver riconosciuto fondato il quarto motivo di ricorso;
Erroneità della sentenza gravata sotto altro profilo
.

9. Nelle date, rispettivamente, del 4 gennaio 2021 e del 10 febbraio 2022, l’Associazione Codici - Centro per i Diritti del Cittadino e l’A.G.C.M. si sono costituite in giudizio per resistere avverso l’appello.

10. Il 2 ottobre 2023 la difesa erariale ha depositato memorie ex art. 73 c.p.a. insistendo per la reiezione del gravame.

11. In data 7 ottobre 2023 l’appellante ha depositato memorie in replica.

12. All’udienza pubblica del 19 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto.

2. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto non fondato il primo motivo del ricorso di primo grado affermando che emergerebbe “chiara, dall’istruttoria procedimentale riportata nel provvedimento impugnato l’esistenza di condotte riconducibili alla ricorrente, relative alla conclusione di contratti di fornitura di energia elettrica e gas naturale, «a distanza» o fuori dei locali commerciali, in violazione delle […] norme del Codice del Consumo sulle pratiche commerciali «scorrette»”. In particolare, secondo il T.A.R. la società odierna appellante avrebbe beneficiato di numerose attivazioni non richieste delle forniture, in violazione degli artt. 20, 24, 25, lett. d), e 26, lettera f), del Codice del Consumo, sia mediante l’acquisizione di contratti di fornitura senza il consenso del consumatore e la richiesta, in caso di attivazione della fornitura, del pagamento di importi non dovuti, sia attraverso la comunicazione di informazioni ingannevoli ovvero l’omissione di informazioni rilevanti circa l’identità del professionista, lo scopo della visita o della telefonata, le obbligazioni nascenti dal contratto o dal contatto telefonico, al fine di ottenere un’adesione non consapevole alla proposta di contratto, sia con l’imposizione di ostacoli all’esercizio del diritto di recesso e alla gestione delle istanze di disconoscimento, ripensamento e contestazione da parte dei consumatori con richieste di pagamenti di importi non dovuti.

Secondo parte appellante dette affermazioni sarebbero erronee in quanto la Green Network S.p.A. (allora Green Network Luce &
Gas S.r.l.) avrebbe seguito procedure di acquisizione del consenso assolutamente idonee a prevenire le attivazioni non richieste, agendo con la necessaria e dovuta diligenza professionale e senza condizionare in alcun modo il comportamento dei consumatori. Nel dettaglio, avrebbe seguito procedure rispettose dell’acquisizione della conferma del consenso del consumatore e, cioè, della volontà di quest’ultimo di aderire all’offerta commerciale proposta dai procacciatori. Più segnatamente, nelle procedure adottate, tanto per i contratti conclusi porta a porta tanto per quelli teleselling , erano previsti una serie di accorgimenti intesi a confermare la volontà dei possibili nuovi clienti: 1) una telefonata di conferma (cd. check call ) a tutti i sottoscrittori della proposta contrattuale, con possibilità, in quella sede, di negare di aver prestato il proprio consenso, con conseguente blocco della procedura e dunque del mutamento del fornitore;
2) l’invio di un sms recante la conferma della ricezione della richiesta di cambio di fornitore, con l’indicazione del numero di telefono a cui rivolgersi per ogni ulteriore informazione o reclamo;
3) l’invio della welcome letter , nella quale si confermava la ricezione della proposta contrattuale e l’avvenuta conclusione del contratto, e con la quale il cliente veniva inequivocabilmente informato dell’inizio della fornitura, concedendo 14 giorni a decorrere dalla data di invio di detta lettera per l’esercizio del diritto di ripensamento;
4) la messa a disposizione del supporto durevole contenente la registrazione del contratto, pubblicato in un’apposita sezione del sito internet dell’azienda, ad accesso riservato del richiedente ed inviato a chiunque ne facesse richiesta.

Aggiunge parte appellante che nel momento in cui, nel corso del procedimento istruttorio, l’A.G.C.M. ha messo in discussione le modalità operative seguite da Green Network, la società si è subito adeguata, modificando le procedure seguite ed apportando da subito tutta una serie di adempimenti, che sono stati via via perfezionati, come indicato nella Relazione di Ottemperanza.

Nel dettaglio, per quanto attiene ai contratti conclusi porta a porta, è stato modificato il testo della welcome letter . Per quanto attiene ai contratti teleselling , è stato, poi, modificato il testo degli script fornendo maggiori informazioni (indirizzo della sede degli uffici per eventuali reclami;
diritto di recedere in qualsiasi momento dal contratto, con un preavviso di 30 giorni;
consenso del consumatore a ricevere la conferma della proposta su supporto durevole per email o sms, in luogo dell’invio cartaceo espressamente da richiedere, e ad accettare della conferma mediante consenso telefonico registrato);
è stata introdotta anche la seconda telefonata con registrazione del consenso, relativa alla conferma dell’accettazione della proposta;
è stato previsto, in ultimo, l’invio, tra la prima e la seconda telefonata, della documentazione relativa alle condizioni contrattuali via e-mail ovvero via posta ordinaria con plico cartaceo.

2.1 Le doglianze in parola non colgono nel segno.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Sezione, l’art. 20, comma 2, del Codice del Consumo, nel fornire la nozione di pratica commerciale scorretta “individua chiaramente due distinti connotati dell’elemento oggettivo dell’illecito, consistenti nella contrarietà della pratica alla diligenza professionale, da un lato, e nella sua idoneità a coartare l’autonomia negoziale del consumatore medio cui è destinata, dall’altro” (così Consiglio di Stato, sez. VI, 22/01/2021 n. 665).

Proprio con riguardo al settore dei contratti energetici è stato anche rimarcato che, ai fini della verifica della sussistenza dei prefati requisiti, devono essere prese in considerazione le caratteristiche specifiche del mercato di riferimento e che, nel caso in cui questo sia “di recente liberalizzazione”, andrà tenuto presente che “la scelta del consumatore risulta influenzata da calcoli legati anche a variabili tecniche ed economiche «nuove» e di non facile comprensione” sicché potrà legittimamente richiedersi l’adibizione di “uno standard di diligenza «rafforzato» in capo al professionista” nel rapportarsi con questi (sempre Consiglio di Stato, sez. VI, 22/01/2021 n. 665).

Ebbene, nel caso di specie, come ampiamente illustrato nel provvedimento impugnato, viene in rilievo un mercato di fornitura di beni essenziali che vive una fase di liberalizzazione (di passaggio al mercato “libero”) che si atteggia a “ mass market ” in cui:

- i consumatori agiscono in condizioni di “razionalità limitata” e subiscono una forte inerzia dovuta a elevati costi di ricerca e di cambiamento percepiti;

- sono presenti un elevato livello di disinformazione e uno scarso livello di comprensione delle offerte, anche tra coloro i quali hanno abbandonato il regime di “tutela”;

- i nuovi potenziali clienti vengono contattati singolarmente e convinti mediante mezzi di comunicazione particolari (quali, appunto, vendite a domicilio o teleselling ) che, per le loro caratteristiche intrinseche, sono maggiormente idonei a vincolare consumatori non pienamente consapevoli o anche indotti in errore riguardo all’effettivo momento di instaurazione di un vincolo contrattuale (il cd. “mercato push ”).

Ne discende che le condotte oggetto di contestazione nel provvedimento gravato in prime cure si inseriscono in un contesto fattuale caratterizzato da una notevole asimmetria informativa tra professionista e consumatore a cui deve fare, secondo la disciplina del Codice del Consumo, da controbilanciamento un atteggiamento particolarmente accorto del primo.

Gli elementi raccolti dall’Autorità nel corso dell’istruttoria (così come analiticamente riassunti ed analizzati anche dal T.A.R.) rivelano, per contro, nel caso di specie, la tenuta da parte della società appellante di pratiche particolarmente aggressive di vario genere.

Ciò è comprovato, anzitutto, dal numero assai elevato di reclami e contestazioni registratosi nel periodo di riferimento (oltre seimila reclami nel solo periodo tra gennaio 2014 e marzo 2015, a fronte di un’entrata sul mercato da parte di Green Network che risale solo all’aprile 2013).

Tanto restituisce, all’evidenza, un fenomeno di sicura consistenza che denota ex post una gestione certamente non in linea con i canoni di diligenza qualificata richiesti dalla natura del mercato.

Anche la varietà e le caratteristiche delle condotte rilevate (peraltro non oggetto di specifica contestazione a mezzo dell’atto di appello e riassunte ai parr. 20-93 del provvedimento impugnato) rivelano una prassi negoziale dell’operatore che non solo non rispecchia il parametro della buona fede oggettiva ma che si è colorata, a tratti, anche di carattere decettivo. In particolare sono emersi plurimi episodi di attivazione della fornitura da parte di Green Network in assenza di una corrispondente manifestazione di volontà o di sottoscrizione da parte del consumatore ovvero in base a firme disconosciute o di altri familiari (spesso riconducibili a persone anziane o malate e, quindi, particolarmente vulnerabili). È anche emersa l’attivazione di forniture nei confronti di utenti deceduti o, addirittura, in totale assenza di contatto telefonico o a fronte di espresso rifiuto del consumatore ovvero di mera disponibilità di questi a ricevere per posta ulteriori informazioni al fine di valutare la proposta.

Né può assumere valore esimente la circostanza che l’operatore sanzionato abbia predisposto una serie di accorgimenti intesi a confermare la volontà dei possibili nuovi clienti in sede di trattative. Al di là del rilievo che l’inadeguatezza di quest’ultimi è apprezzabile proprio alla luce della mole di ripensamenti e disconoscimenti operati dai consumatori, non sembra si possa obliterare la circostanza per cui la stessa Green Network, avvedutasi di talune carenze, abbia modificato, in corso di procedimento, le procedure seguite in precedenza (anche nel corso del periodo oggetto di accertamento), così assumendo un contegno sostanzialmente ammissivo di quelli che sono stati gli addebiti elevati a conclusione dell’istruttoria.

3. Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto non fondato il secondo motivo del ricorso di primo grado, affermando che il richiamo all’opera di soggetti terzi (“procacciatori”) che agivano per conto di Green Network non sarebbe idoneo a scriminare la sua condotta in quanto “il professionista che si avvale dell’opera di soggetti terzi è tenuto, in osservanza del canone di diligenza esigibile da operatori del settore, ad esercitare una assidua e puntuale attenzione sulla condotta di tali soggetti, in difetto di che il ricorso a soggetti terzi diventerebbe una esimente volta a porre il professionista al riparo da condotte che quest’ultimo assuma non riconducibili a fatto proprio”. Sempre secondo il T.A.R. il sistema di controlli posto in essere da Green Network sarebbe stato “non in grado […] di arginare le condotte dei promotori che facevano sì che i consumatori erano indotti al primo contatto a una scelta commerciale non voluta o sufficientemente meditata, a nulla rilevando che la fornitura era attivata successivamente, dato che la buona fede del professionista deve essere sempre sussistente e verificabile anche nella fase di relazione prodromica al contratto”. In sostanza secondo il T.A.R. la società “si limitava a reagire, talvolta anche con ritardi, alle contestazioni soltanto una volta sollevate dai consumatori”.

Dette affermazioni sarebbero, secondo parte appellante, errate in quanto la Green Network avrebbe esercitato un assiduo e puntuale controllo sui procacciatori. L’addebito mosso dall’Autorità con riguardo al fenomeno delle attivazioni di forniture non richieste non sarebbe, in particolare, riferibile alla condotta della società, bensì eventualmente - e solo in alcuni sporadici casi - a comportamenti posti in essere dai cd. “procacciatori”, con la conseguenza che difetterebbe l’imputabilità soggettiva della sanzione.

Nel dettaglio, osserva parte appellante che i propri procacciatori avrebbero tenuto condotte improntate ai canoni della diligenza professionale, non incorrendo dunque in alcuna pratica commerciale scorretta. In particolare, si deduce che i contratti porta a porta e teleselling sarebbero stati conclusi da collaboratori esterni attenendosi alle precise indicazioni di Green Network, idonee ad evitare forniture non richieste. Inoltre, la società svolgerebbe una penetrante attività di controllo sia ex ante sia ex post , sanzionando eventuali comportamenti scorretti. In proposito si aggiunge che tutti i collaboratori esterni di Green Network devono partecipare ad un corso di formazione on-line con relativa prova di verifica, in relazione ai seguenti argomenti: Codice di condotta commerciale;
regolamentazione dei contratti ed attivazioni non richieste (deliberazione A.E.E.G.S.I. n. 153/2012);
regolazione della qualità dei servizi di vendita di energia elettrica e gas naturale (deliberazione A.E.E.G.S.I. n. 164/2008). Nel materiale formativo, la società indica specificamente le disposizioni regolamentari in tema di misure preventive e ripristinatorie per attivazioni non richieste, richiamando gli obblighi in tema di riconoscibilità del procacciatore, di esplicitazione del fatto che l’offerta riguarda il libero mercato e di informazioni sulle caratteristiche principali del contratto. Si osserva, sul punto, che la stessa Autorità avrebbe, nel proprio parere, espressamente affermato la completezza dell’attività di formazione svolta da Green Network, che “risulta in linea con quanto previsto all’art. 4 del Codice di Condotta commerciale AEEGSI”. Inoltre, particolare scrupolo sarebbe stato posto da Green Network anche nella regolamentazione dei rapporti contrattuali con i procacciatori, in quanto, nella predisposizione della disciplina negoziale, la società avrebbe seguito tutte le indicazioni di cui al Codice del Consumo, al Codice di condotta commerciale e alla Delibera n. 153/2012, al fine di adottare tutte le precauzioni necessarie alla tutela del consumatore. Più segnatamente si osserva che la società esige che il procacciatore si debba attenere nell’esecuzione delle proprie prestazioni “alle previsioni del codice di condotta commerciale oggetto della delibera dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ARG/Com 104/10, che lo stesso dichiara di conoscere nel dettaglio” (punto IV);
nonché “a garantire che i contratti dallo stesso procurati siano effettivamente riferibili ai soggetti in essi indicati” (punto IX). Si aggiunge, in proposito, che, per disincentivare pratiche commerciali scorrette da parte dei procacciatori preposti alla acquisizione del consenso dei potenziali clienti, Green Network ha introdotto, a partire dal mese di gennaio 2015, la previsione di una penale (pari al doppio della provvigione) in capo al procacciatore stesso, stabilendo che, in caso di disconoscimento della paternità del contratto da parte del cliente finale (art. 5, comma 7), “la società addebiterà al procacciatore medesimo una penale di importo pari ad Euro 150,00 che sarà raddoppiata laddove il contratto abbia per oggetto sia la fornitura di energia elettrica sia quella di gas naturale” (cfr. addendum contrattuale) e che qualora si verifichino eventi quali “violazione di uno solo degli obblighi previsti a carico del procacciatore all’art. 3, art. 5, art. 6” ciò determina la risoluzione del contratto (art. 10). Ancora si deduce che Green Network svolgerebbe penetranti controlli sull’operato delle agenzie, consistenti in interviste telefoniche che riguardano la maggior parte dei clienti contrattualizzati, circa il livello di qualità del servizio offerto dal procacciatore, con registrazione dei casi di valutazioni negative;
inoltre, la società svolgerebbe una doppia analisi con cadenza mensile, sui contratti chiusi dal procacciatore, e con cadenza semestrale, sull’operato complessivo dello stesso e, nel caso di gravi violazioni delle regole di condotta commerciale, la società provvederebbe a risolvere i contratti con i procacciatori, azionando la clausola risolutiva espressa per le ipotesi di violazione della normativa a tutela del consumatore.

Parte appellante deduce, che, in ogni caso, i propri procacciatori non avrebbero posto in essere alcuna condotta ascrivibile alla nozione di pratiche commerciali scorrette. Si osserva, in particolare, che, nel caso in esame, l’Autorità non avrebbe dato alcuna dimostrazione che Green Network abbia fornito informazioni false o ingannevoli ai potenziali clienti. In proposito si osserva che la società appellante farebbe sì che i procacciatori sottopongano all’esame dei consumatori la documentazione contrattuale, contenuta in apposita cartellina di colore verde, bianco e arancione, che reca impressa sul fronte, a caratteri cubitali, la denominazione sociale e il logo “Green Network” identificativo della società fornitrice e che, all’interno, contiene una sintetica descrizione del Gruppo e della sua attività. Inoltre, i moduli che devono essere compilati e sottoscritti dal cliente finale recano sia l’indicazione della denominazione sociale, sia la dicitura “proposta di fornitura energia elettrica e/o gas naturale”. Sarebbe, quindi, inverosimile che il consumatore possa essere tratto in inganno circa il fatto che la proposta contrattuale sia presentata per conto di Green Network e che determini l’attivazione di un nuovo contratto di fornitura diverso dal precedente fornitore. Né eventuali omissioni del procacciatore impedirebbero al cliente finale, prima di sottoscrivere la proposta, di leggere la documentazione contrattuale, contenente la chiara indicazione del prezzo unitario (€cent/kWh e €cent/mc), al netto delle imposte (secondo quanto previsto dalle delibere dell’Autorità) nonché tutte le informazioni essenziali prescritte dalla normativa, tra cui le condizioni generali di contratto, l’identificazione dell’impresa e dell’operatore commerciale, il prezzo, la durata, le modalità di pagamento e le indicazioni necessarie all’esercizio da parte del cliente del diritto di ripensamento e di recesso. Per quanto riguarda il teleselling , si specifica che la società imporrebbe agli intermediari, nel caso di contatto telefonico con il consumatore, di qualificarsi e di presentare l’offerta commerciale di Green Network. Dallo script risulterebbe, inoltre, che nel corso della telefonata registrata al consumatore sono fornite tutte le informazioni precontrattuali principali ex art. 49, comma 1, del Codice del Consumo, in modo appropriato al mezzo di comunicazione a distanza impiegato. Sul punto si osserva che l’art. 51, comma 1, del Codice del Consumo consente che, considerato il tempo limitato consentito dal mezzo telefonico, il professionista possa limitarsi a fornire prima della conclusione del contratto stesso le sole informazioni precontrattuali essenziali, quali le caratteristiche principali dei beni e servizi, l’identità del professionista, il prezzo totale (ove possibile), il diritto di recesso, la durata o le condizioni di risoluzione del contratto (art. 51, comma 4), mentre tutte le altre possono essere fornite dopo la conclusione del contratto.

Parte appellante evidenzia ancora che i contratti oggetto di reclamo per attivazioni non richieste (disconoscimenti) con riferimento ai contratti conclusi a distanza ( teleselling ) e ai contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali (porta a porta) rappresenterebbero una percentuale praticamente irrilevante rispetto al totale dei nuovi contratti conclusi dalla società con tali modalità.

3.1 Il T.A.R. avrebbe, poi, errato anche nel sostenere che non vi sarebbe stata la denunciata duplicazione della sanzione in quanto “non si rileva […] la confusione lamentata in ordine al «ripensamento» e al «disconoscimento» contrattuale, con relativa duplicazione di sanzione, in quanto da un lato quest’ultimo attiene alla fase di creazione del contratto mentre il primo attiene a un contratto formalmente sottoscritto ma revocabile in un determinato termine, così che a condotte rilevanti su entrambe le fasi coincidono sanzioni diverse, come tali non duplicate”. Secondo parte appellante, l’Autorità avrebbe, infatti, errato nel ritenere assimilabili i casi di ripensamento e quelli di disconoscimento del contratto e sulla base di tale vero e proprio equivoco sarebbe arrivata ad individuare percentuali di consistenza del fenomeno assolutamente non aderenti alla realtà dei fatti, dato che i casi di disconoscimento sono assai più contenuti.

3.2 Sotto altro profilo si deduce che il provvedimento sanzionatorio impugnato in prime cure sarebbe errato laddove afferma che la società non avrebbe messo a disposizione di tutti i clienti finali il “supporto durevole” contenente la registrazione del consenso. Secondo parte appellante la società avrebbe, infatti, sempre provveduto a mettere a disposizione dei consumatori la registrazione telefonica del consenso verbale, che pacificamente costituisce un supporto durevole, consentendo agli stessi di ritrovare il relativo documento audio nell’area del sito internet riservata ai clienti, registrandosi con nome utente e password ;
e che avrebbe inviato mediante e-mail , a chi ne avesse fatto richiesta, il documento audio contenente la registrazione. Sul punto, si osserva che, diversamente da quanto sostiene l’Autorità, la normativa (art. 8 par. 6 della direttiva 2011/83/UE e 51, comma 6, del Codice del Consumo) si limita ad imporre che le conferme dei contratti siano “rese” su supporto durevole, ma non prescrive che il supporto durevole stesso sia “fornito” (e quindi inviato) al consumatore. E ciò a differenza di quanto invece è previsto per la conferma del contratto (ex art. 51, comma 7, del Codice del Consumo), che il professionista “fornisce” al consumatore.

3.3 Altresì infondata sarebbe, secondo parte appellante, la contestazione relativa alla mancata consegna al consumatore del modulo di recesso (cd. “ripensamento”) fondandosi la stessa su un’impostazione del tutto formalistica. Ciò in quanto Green Network avrebbe sempre accettato le dichiarazioni di recesso dei consumatori pervenute per iscritto, con qualunque forma (e cioè attraverso e-mail , fax o con lettera raccomandata o posta ordinaria) non facendo mai alcuna questione in ordine al contenuto che la dichiarazione debba avere.

3.4 Parimenti infondata sarebbe, poi, ad avviso di parte appellante, la contestazione mossa dall’Autorità circa la pretesa opposizione di ostacoli all’esercizio del diritto di ripensamento da parte dei consumatori, sul presupposto che la società non avrebbe chiaramente indicato, negli script o nel testo della welcome letter , che il contratto si considera concluso alla data di invio della welcome letter stessa al consumatore.

Con riguardo a tale aspetto parte appellante deduce che:

- l’Autorità avrebbe sanzionato due volte uno stesso comportamento applicando sia la sanzione per le pratiche commerciali scorrette, ritenendo che il comportamento della società integri una pratica aggressiva ex 25, comma 2, lett. d), del Codice del Consumo, sia la sanzione per la violazione del diritto di recesso ex art. 52, comma 2, e art. 54 del medesimo Codice;

- le contestazioni dell’Autorità sarebbero meramente formalistiche, in quanto, al di là di possibili imprecisioni nella formulazione degli script o dei moduli contrattuali, non risulta che la società abbia mai ostacolato l’esercizio del ripensamento da parte dei clienti finali.

4. Le suddette doglianze sono infondate.

Anzitutto occorre rilevare che l’adibizione da parte del professionista di una diligenza qualificata è richiesta dalla giurisprudenza di questa Sezione “anche in riferimento alla doverosa attività di controllo sulla condotta dei propri agenti” (sempre Consiglio di Stato, sez. VI, 22/01/2021 n. 665).

E, infatti, secondo costante insegnamento pretorio, nei casi in cui vi è l’interposizione di soggetti terzi nell’attività di vendita del professionista, il canone della diligenza richiesta obbliga a monitorare il comportamento dell’attività dei singoli agenti e, ciò, al fine di evitare che il ricorso al contratto di agenzia possa costituire il presupposto idoneo a consentire una facile esimente da responsabilità per le condotte che egli stesso volesse assumere non riconducibili al fatto proprio (così sin da Consiglio di Stato, sez. VI, 7 /12/2012, n. 47539). Più di recente è stato pure precisato che, laddove i vantaggi della condotta siano comunque riconducibili al “professionista”, non rileva che l’attività sanzionata sia stata posta in essere materialmente da terzi, considerato che la mancata predisposizione di adeguati strumenti di controllo rappresenta comunque una condotta non conforme al normale grado della specifica diligenza, competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista (Consiglio di Stato, sez. VI, 25/06/2019, n.4357).

Facendo applicazione delle suddette coordinate ermeneutiche alla fattispecie in esame deve ritenersi che, come correttamente statuito dal giudice di prime cure, il sistema concretamente predisposto dalla Green Network per vigilare sull’operato dei propri intermediari non fosse adeguato e non rispondesse, in ogni caso, al livello di diligenza qualificato richiesto al professionista dalla natura del mercato.

Depongono in tal senso una pluralità di elementi:

- nell’organizzazione aziendale della società appellante i singoli agenti erano remunerati in via assolutamente prevalente in relazione al numero di clienti acquisiti ed al raggiungimento di determinate soglie di contratti stipulati e tale meccanismo, se non sua causa diretta, appare aver ragionevolmente incentivato la condotta commerciale aggressiva degli agenti (in termini Consiglio di Stato, sez. VI, 22/01/2021, n. 665);

- con riguardo al controllo ex post sull’operato degli agenti, è emerso che l’ufficio commerciale della Green Network effettuava un’analisi dei contratti per il controllo dei volumi di produzione conseguiti e per l’attribuzione delle K.P.I. ( Key Performance Indicator ) dei procacciatori, al solo fine di verifica, “in termini di economicità, dell’attività commerciale svolta dalla controparte” (così il documento di procedura interna predisposto dalla società appellante);

- una verifica sul gradimento dell’operato dell’agente e del livello di qualità del servizio dallo stesso offerto era, invece, effettuato solo a campione attraverso interviste telefoniche;

- l’unico meccanismo di controllo implementato da Green Network (peraltro a partire dal mese di gennaio 2015) era costituito dalla previsione di una check call che aveva lo scopo di verificare la ricezione della proposta contrattuale e di verificarne l'autenticità, prima dell’invio della lettera di benvenuto;
tuttavia, tale sistema non era idoneo a prevenire le attivazioni non richieste, in quanto dopo un certo numero di tentativi di chiamata, anche in assenza di conferma da parte del nuovo utente della volontà di concludere il contratto, l’avvio delle procedure per l’attivazione della fornitura proseguiva comunque (tanto che, peraltro, la società appellante ha dichiarato di aver introdotto, solo nel mese di luglio 2015, la cd. check call bloccante per il canale del teleselling );

- dall’istruttoria è, altresì, emerso che la Green Network si è attivata per porre rimedio a condotte abusive dei propri agenti, talvolta anche con ritardo, solo a seguito di reclami proposti dai consumatori;
appare significativo, al riguardo, la vicenda di uno degli agenti - al quale la stessa società appellante ha attribuito la maggior parte dei casi denunciati dai clienti finali – il cui contratto è stato risolto dopo oltre un anno dalla sottoscrizione e dopo la ricezione di “lamentele da parte di migliaia di soggetti (…..) aventi per oggetto contratti da Voi procacciati” (così al par. 92 del provvedimento impugnato in prime cure).

Sotto questo ultimo aspetto è, peraltro, appena il caso di notare che, nell’ottica di un pieno adempimento dei doveri qualificati di diligenza esistenti in capo al professionista, questi deve predisporre strumenti efficienti non solo in chiave di prevenzione delle pratiche scorrette dei propri agenti (come la previsione di corsi di formazione specifica in loro favore) ma anche di successiva reazione alle stesse.

In questo senso il fatto che fosse prevista la risoluzione del rapporto, lo storno delle provvigioni con applicazione di una penale in caso di disconoscimento da parte dei consumatori costituisce la fisiologica evoluzione di un qualunque rapporto di agenzia non adempiuto, non potendo pertanto rappresentate un utile strumento specificatamente volto alla prevenzione delle pratiche abusive (in termini Consiglio di Stato, sez. VI, 22/01/2021 n. 665). Inoltre, preme evidenziare che il rimedio della risoluzione dei contratti di agenzia interviene quando il pregiudizio al consumatore si è già concretizzato e non ne elimina le conseguenze.

Quanto, poi, alla circostanza, pure dedotta da parte appellante, che l’Autorità non avrebbe dato dimostrazione che Green Network abbia fornito informazioni false o ingannevoli ai potenziali clienti, è sufficiente rilevare che quello previsto all’art. 20, comma 2, del Codice del Consumo è illecito di pericolo rilevando, come già si è ricordato, solo la potenziale attitudine della condotta a coartare l’autonomia negoziale del consumatore medio cui è destinata, senza che sia, d’altronde, necessaria la dimostrazione che vi sia stata effettiva coartazione della stessa. Inoltre, è appena il caso di osservare che il divieto di pratiche scorrette riguarda non solo la condotta in sé “falsa” ma anche quella solo “idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta” (così testualmente il già evocato art. 20 comma 2, del Codice del Consumo). Detta idoneità decettiva va, inoltre, apprezzata guardando alla condizione del consumatore “reale” (e non ad un agente ideale ispirato al modello dell’ homo oeconomicus ), sicché non risulta scongiurata dal mero adempimento, in un’ottica formalistica, dei doveri di informazione precontrattuale previsti dal Codice del Consumo (attraverso, ad esempio, come nel caso in esame, la fornitura di una corposa documentazione scritta ovvero la spedita prospettazione in via telefonica delle informazioni precontrattuali essenziali).

4.1 Non pare meritevole di apprezzamento neppure il secondo profilo di lagnanza che si appunta sulla circostanza che l’Autorità avrebbe erroneamente sovrastimato i dati relativi ai disconoscimenti dei contratti stipulati, ricomprendendovi le ipotesi di mero ripensamento da parte del consumatore.

In proposito basti osservare che la distinzione tra le due fattispecie (disconoscimento e ripensamento), pur chiara sul piano giuridico, risulta spesso opaca in concreto, con la conseguenza che anche le stime relative al loro reciproco rapporto risultano essere intrinsecamente opinabili.

Del resto, in disparte dalla considerazione che la stessa parte appellante formula la doglianza in maniera aspecifica non fornendo dati numerici puntuali, deve osservarsi che siffatti rimedi sono attivati da un consumatore, soggetto che non solo non è tendenzialmente in grado di apprezzare la differenza giuridica tra le figure ma che, nell’esercitare le proprie prerogative, spesso impiega formule atecniche ed improprie che alimentano l’incertezza attorno alla qualificazione giuridica dell’atto intimato.

4.2 Parimenti privo di giuridico pregio è il terzo profilo di doglianza con cui si è dedotta l’infondatezza dell’addebito relativo alla mancata messa a disposizione del consumatore del “supporto durevole” contenente la registrazione del consenso.

Infatti, quanto al teleselling , l’articolo 51, comma 6, del Codice del Consumo, riproducendo il sesto paragrafo dell’art. 8 della direttiva 2011/83/UE, statuisce che “Quando un contratto a distanza deve essere concluso per telefono, il professionista deve confermare l'offerta al consumatore, il quale è vincolato solo dopo aver firmato l'offerta o dopo averla accettata per iscritto;
in tali casi il documento informatico può essere sottoscritto con firma elettronica ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Dette conferme possono essere effettuate, se il consumatore acconsente, anche su un supporto durevole”.

La norma in questione prevede, pertanto, che il contratto si intenda concluso a seguito dell’accettazione e della sottoscrizione per iscritto dell’offerta da parte del consumatore. L’ultimo periodo della disposizione, tuttavia, consente una modalità alternativa di conclusione, permettendo ai professionisti, previo consenso del consumatore, di poter formalizzare la dichiarazione confermativa del professionista e la successiva dichiarazione di conferma del consumatore tramite supporto durevole.

Il legislatore individua, pertanto, nella forma scritta la regola per la conclusione del contratto e consente l’adozione della procedura alternativa solo ove vengano rispettate determinate condizioni a garanzia della posizione del consumatore. Pertanto, il professionista ha l’onere di informare preliminarmente il consumatore in merito all’adozione di tale modalità alternativa di conclusione del contratto e alle conseguenze giuridiche che ne discendono e, in particolare, in relazione al fatto che l’espressione del consenso al supporto durevole esclude la possibilità per il consumatore di vincolarsi solo dopo aver firmato l’offerta o dopo averla accettata per iscritto.

Ne segue che, la mera richiesta di un generico consenso alla registrazione non soddisfa il requisito di cui all’articolo 51, comma 6, del Codice del Consumo.

Inoltre, dal tenore letterale dell’articolo 45, lett. l), del Codice del Consumo si evince che il “supporto durevole” è uno “strumento che permette al consumatore di conservare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle finalità cui esse sono destinate (tra tutte la tutela in giudizio delle proprie ragioni) e che permetta la riproduzione identica delle informazioni memorizzate”. In tal senso depone anche il contenuto del considerando 23 della direttiva 2011/83/Ue che specifica: “I supporti durevoli dovrebbero permettere al consumatore di conservare le informazioni per il tempo ritenuto necessario ai fini della protezione dei suoi interessi derivanti dalla relazione con il professionista”. Secondo la definizione eurounitaria di “supporto durevole” questo, quale che ne sia la natura (materiale o elettronica), deve possedere l’attitudine a essere “conservato” dal destinatario della dichiarazione e, quindi, deve essere, anzitutto, messo nella piena disponibilità dello stesso.

In questo senso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che un supporto può essere considerato durevole nella misura in cui consente al consumatore di conservare le informazioni a lui destinate personalmente, garantisce l’assenza di alterazione del loro contenuto nonché la loro accessibilità per un congruo periodo e offre al consumatore la possibilità di riprodurle identiche (cfr. Corte di giustizia, sentenza 5 luglio 2012, causa C-49/11, Content Services LTD).

Deve aggiungersi che il comma 7, primo periodo, dell’art. 51 del Codice del Consumo stabilisce che “Il professionista fornisce al consumatore la conferma del contratto concluso su un mezzo durevole, entro un termine ragionevole dopo la conclusione del contratto a distanza e al più tardi al momento della consegna dei beni oppure prima che l’esecuzione del servizio abbia inizio”.

Ne discende che, diversamente da quanto sostenuto da parte appellante, non pare sufficiente ad assicurare il rispetto della normativa consumeristica la mera registrazione vocale della telefonata che sia conservata dall’operatore stesso e che venga comunicata al consumatore solo su sua richiesta (a mezzo e-mail ), in quanto manca in tal caso la piena e tempestiva disponibilità di fatto del supporto da parte del consumatore. E, infatti, l’appena evocato comma 7 dell’art. 51 prescrive expressis verbis che sia il professionista, di propria iniziativa, a fornire, entro un termine, la conferma del contratto concluso su un mezzo durevole e, quindi, vi è da ritenere, anche il supporto durevole medesimo sul quale essa è stata effettuata. Non ha, per converso, pregio distinguere, come suggerisce formalisticamente parte appellante, tra “conferma” (per la quale varrebbe quanto stabilito dal comma 7 dell’art. 51 del Codice del Consumo) e “supporto durevole”, atteso che quest’ultimo è solo una modalità di documentazione peculiare della conferma medesima.

4.3 Va disatteso anche il terzo profilo di censura del secondo motivo di appello con cui si contesta l’infondatezza dell’addebito ex art. 25, comma 1, lett. d), del Codice del Consumo relativo alla mancata consegna al consumatore del modulo di recesso (ripensamento).

E, infatti, non può attribuirsi rilievo esimente alla circostanza che la Green Network abbia sempre accettato le dichiarazioni di recesso dei consumatori pervenute per iscritto, con qualunque forma o contenuto, poiché la messa a disposizione del modulo da parte del professionista è adempimento funzionale ad agevolare in concreto il ripensamento del consumatore, il quale, di frequente, incontra non pochi ostacoli nel percorrere tale strada (e, talvolta, rinuncia addirittura a percorrerla) non essendo in grado di conoscere quale siano le modalità con cui intimare il recesso.

4.4 Privo di giuridico pregio appare, in ultimo, anche il quarto profilo di censura del secondo motivo di appello.

In primo luogo va esclusa, nel caso di specie, la violazione del divieto di bis in idem sostanziale nell’applicazione congiunta delle sanzioni di cui agli art. 20, comma 2, e 25, comma 2, lett. d), del Codice del Consumo rispetto alla condotta di opposizione di ostacoli all’esercizio del diritto di ripensamento da parte dei consumatori. Ciò in quanto si tratta di titoli di illecito distinti (il primo di pericolo, il secondo di natura formale e di mera condotta) posti a presidio di beni giuridici parzialmente differenti (tutelando profili diversi della libertà contrattuale quali, il primo, la scelta di concludere o meno il contratto valutandone consapevolmente la convenienza economica, il secondo, la possibilità di rivalutare detta convenienza liberandosi dopo la stipula del vincolo assunto).

Né può dirsi, come fa parte appellante, che le contestazioni mosse sul punto dall’Autorità siano formalistiche. Per apprezzare il peso concreto della mancata indicazione (negli script o nel testo della welcome letter ) della circostanza che il contratto si considera concluso alla data di invio della welcome letter stessa al consumatore, deve tenersi in conto che il diritto di ripensamento va esercitato entro il termine legale perentorio breve di 14 giorni decorrenti proprio dalla data di conclusione del contratto. È, per converso, irrilevante che la società appellante abbia talvolta accettato richieste di ripensamento pervenute anche successivamente alla scadenza del termine legale di 14 giorni dalla ricezione della welcome letter , purché in tempo utile per bloccare la procedura di switch , (e cioè prima del 6° giorno del mese precedente a quello in cui lo switch deve avvenire), posto che si tratta di scelte contingenti dell’operatore che non escludono, in punto di diritto, la tardività (e, quindi, l’inefficacia) del recesso.

5. Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto non fondato il terzo motivo del ricorso di primo grado, affermando che “il grado di diligenza richiesto al professionista in ambito consumeristico non può essere parametrato solo alla luce degli obblighi imposti dall’Autorità di regolazione competente per il settore di riferimento. Il sistema di tutela del consumatore prevede, infatti, che il rispetto della normativa di settore non esaurisca gli obblighi di diligenza gravanti sul professionista, il quale dovrà, in ogni caso, porre in essere quei comportamenti ulteriori che discendono comunque dall’applicazione del più generale principio di buona fede a cui si ispira tutta la disciplina a tutela del consumatore sotto un profilo contrattuale (Cons. Stato, Sez. VI, 30.9.16, n. 4048 e Tar Lazio, Sez. I, 1.8.19 e 3.1.17, n. 62)”.

In particolare, secondo parte appellante, il T.A.R. avrebbe mancato di prendere in considerazione che la condotta di Green Network costituirebbe corretta attuazione della disciplina di settore adottata da A.R.E.R.A. (già A.E.E.G.S.I.), ed in particolare delle previsioni di cui alla deliberazione n. 153/2012, la cui vigenza, in parte qua, è stata espressamente confermata dall’Autorità, anche a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina di cui al d.lgs. n. 21/2014.

Nel dettaglio, con il provvedimento gravato in prime cure l’Autorità contesta a Green Network la violazione dell’art. 26, lett. f), Cod. Cons. secondo cui è da considerarsi aggressivo il comportamento del professionista che esiga “il pagamento immediato o differito (…) di prodotti che il professionista ha fornito ma che il consumatore non ha richiesto”, per il fatto che la società, nei casi in cui il cliente segnali la pretesa attivazione di forniture non richieste, in attuazione alla procedura di ripristino di cui alla deliberazione n. 153/12 (fatta salva dalla successiva deliberazione n. 266/14), richiede al cliente il pagamento dei soli costi base della fornitura, dedotta la componente tariffaria legata alla commercializzazione. Secondo l’interpretazione data dall’Autorità, la società, per il solo fatto di aver ricevuto la segnalazione di un consumatore, non avrebbe diritto di richiedere alcun corrispettivo per l’energia effettivamente fornita. Ciò sulla base di quanto previsto dall’art. 66- quinquies del Codice del Consumo, a mente del quale “il consumatore è esonerato dall'obbligo di fornire qualsiasi prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta di beni, acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale o di prestazione non richiesta di servizi, vietate dall'articolo 20, comma 5, e dall'articolo 26, comma 1, lettera f), del presente Codice”.

Detta interpretazione sarebbe, secondo parte appellante, errata in quanto:

- la delibera n. 153/2012 ha introdotto la procedura di ripristino per disciplinare le conseguenze dell’accoglimento da parte dei venditori dei reclami per attivazioni non richieste, che consente ai clienti finali di tornare al precedente venditore, senza subire alcuna interruzione delle forniture e senza sopportare alcun pregiudizio economico;
inoltre, nel periodo in cui la fornitura non richiesta sia stata comunque effettuata (a causa delle tempistiche delle operazioni di switching ), la delibera prevede l’applicazione di corrispettivi predeterminati dall’Autorità a maggior tutela del cliente finale: in particolare, il venditore non richiesto deve stornare le fatture già emesse ed applicare ai prelievi relativi al periodo in cui l’attivazione non richiesta ha avuto luogo le condizioni economiche definite dall’Autorità per i regimi tutelati, con esclusione della componente tariffaria relativa alla commercializzazione al dettaglio (componente P.C.V. per l’elettricità e Q.V.D. per il gas);

- anche a seguito dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni del Codice del Consumo (d.lgs. n. 21 del 2014), l’Autorità con la deliberazione n. 266/2014 ha confermato che, in caso di reclamo per forniture non richieste, i venditori hanno diritto di richiedere ai clienti finali il pagamento dei corrispettivi, calcolati secondo l’art. 12 della deliberazione n. 153/2012.

Detto rimedio della procedura di ripristino sarebbe, secondo parte appellante, adeguato a proteggere la posizione del consumatore posto che, da un lato, questi non subirebbe alcun danno in conseguenza dell’attivazione della fornitura non richiesta, sia perché beneficerebbe di un congruo ristoro economico, consistente nel minor prezzo da pagare per la fornitura stessa rispetto a quello che avrebbe sopportato con il precedente fornitore, sia perché non si verifica alcuna interruzione nella continuità della fornitura;
dall’altro lato, il consumatore beneficerebbe nelle more effettivamente di un servizio, consumando energia elettrica e gas che viene erogata dal fornitore non richiesto.

5.1 La doglianza non merita positivo apprezzamento.

Va, preliminarmente, osservato che non può in alcun modo predicarsi la sovrapponibilità tra le discipline settoriali e quella generale di tutela del consumatore. Esse, pur destinate ad integrarsi, restano reciprocamente autonome, operando su piani diversi.

In questo senso muove anche la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, che, con ordinanza del 14 maggio 2019, su quattro giudizi riuniti e relativi a cause promosse da Acea Energia S.p.A. (C-406/17), la stessa Green Network S.p.A. (C407/17), Enel Energia S.p.A. (C-408/17), ha evidenziato che “determinate condotte, come quelle controverse nei procedimenti principali, consistenti nella stipulazione di contratti di fornitura non richiesti dai consumatori o di contratti a distanza e di contratti negoziati fuori dei locali commerciali in violazione dei diritti dei consumatori, devono essere valutate alla luce delle rispettive disposizioni delle direttive 2005/29 e 2011/83”, e non della regolamentazione di settore eventualmente posta dall’Autorità di vigilanza.

Anche questa Sezione si è più volte pronunciata sull’esistenza di un rapporto di complementarietà tra la disciplina settoriale e le norme del Consumo, atteso che, da un lato, il “il rispetto della normativa di settore non esaurisce gli obblighi di diligenza gravanti sul professionista, il quale dovrà, in ogni caso, porre in essere quei comportamenti ulteriori che discendono comunque dall’applicazione del più generale principio di buona fede a cui si ispira tutta la disciplina a tutela del consumatore sotto un profilo contrattuale” e, dall’altro, “le prescrizioni recate dalle regolazioni di settore non costituiscono l’unico parametro cui va riferita la diligenza richiesta dal professionista ai sensi del Codice del consumo, non mirando le previsioni di settore alla tutela specifica dei consumatori e al perseguimento delle finalità sottese al Codice del consumo”;
sicché, di regola, “il rispetto della disciplina di settore non esclude la possibilità che la condotta del professionista possa porsi in contrasto con la diligenza professionale richiesta dalla normativa a tutela del consumatore”, “a meno che la disciplina di settore non sia particolarmente dettagliata nell’indicare le azioni che il professionista deve porre in essere, anche per la tutela dei consumatori, e che tali azioni siano state esattamente poste in essere” (Consiglio di Stato, sez. VI, 30/09/2016, n. 4048).

Quanto, nel dettaglio, all’introduzione da parte della delibera n. 153/2012 di A.R.E.R.A. (già A.E.E.G.S.I.) della procedura di ripristino, essa non vale ad escludere la configurabilità dell’illecito di cui all’art. 66 –quinquies del Codice del Consumo in tema di “fornitura non richiesta” e non è in grado, in ogni caso, di approntare una tutela piena della posizione del consumatore.

Essa, infatti, costituisce un rimedio ex post che non elide l’illeceità della condotta a monte e che si presenta come puramente facoltativo, potendo il consumatore anche non aderirvi. Inoltre, quest’ultimo non viene messo completamente a riparo dagli inconvenienti e fastidi comunque ricollegabili all’attivazione di una fornitura non richiesta, dovendo quantomeno prodigarsi nell’attivazione (e gestione) della stessa procedura di ripensamento.

6. Con il quarto motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto non fondato il quarto motivo del ricorso di primo grado affermando che “la quantificazione è avvenuta, considerando il minimo e il massimo edittale, le dimensioni economiche e l’importanza del professionista, incidendo per una percentuale minima sul fatturato”.

Secondo parte appellante, infatti, la sanzione irrogata nel caso de quo sarebbe iniqua, sproporzionata ed eccessivamente onerosa. In particolare, essa sarebbe frutto di un improprio esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità, privo di motivazione ed in violazione dei principi sanciti dall’art. 11, l. n. 689 del 1981 (richiamato dall'art. 27, comma 13, del Codice del Consumo), secondo cui la determinazione della sanzione deve essere operata avendo riguardo “alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso ed alle sue condizioni economiche”. Più nel dettaglio, l’Autorità non solo avrebbe omesso di esplicitare il procedimento di calcolo della sanzione, ma avrebbe anche omesso di considerare e di valutare adeguatamente una serie di circostanze che avrebbero dovuto indurla a non irrogare alcuna sanzione o comunque a stabilire un importo di gran lunga inferiore sulla base delle circostanze di seguito analizzate e non adeguatamente valutate dal T.A.R. nella sentenza impugnata.

In primo luogo, si osserva che l’Autorità ha ritenuto il comportamento di Green Network quale pratica commerciale scorretta particolarmente grave, qualificando come preoccupante il fenomeno delle attivazioni non richieste relativamente ai suoi clienti. Tale asserzione dell’Autorità sarebbe, tuttavia, frutto della confusione tra l’istituto del ripensamento e quello del disconoscimento. Secondo parte appellante, per contro, il numero particolarmente esiguo dei casi di disconoscimento evidenzierebbe che l’impatto delle pratiche contestate (ma non dimostrate) sui consumatori sarebbe stato, tutto a voler concedere, minimo. Peraltro, le affermazioni dei consumatori avrebbero dovuto essere considerate come meri indizi, da sottoporre a verifica, mentre l’A.G.C.M. ha basato tutte le proprie valutazioni su tali segnalazioni, presupponendone la fondatezza. Sostiene parte appellante, quindi, che la minore gravità delle violazioni contestate, in termini di diffusione delle pratiche commerciali considerate scorrette, dovrebbe necessariamente tradursi in una congrua riduzione della sanzione.

In secondo luogo, l’Autorità non avrebbe adeguatamente considerato il fatto che non sarebbe imputabile alla società alcuna violazione colposa della normativa con riguardo alla mancata indicazione della corretta procedura per la conclusione dei contratti a mezzo teleselling . Secondo parte appellante il d.lgs. n. 21 del 2014 ha previsto una ulteriore fase di “conferma” della volontà espressa dal consumatore nell’aderire telefonicamente ad una determinata offerta commerciale del professionista, ma non avrebbe specificato se tale conferma debba essere resa nell’ambito di un diverso e successivo contatto telefonico, né tantomeno in che modo il supporto durevole debba essere messo a disposizione del cliente finale. La società appellante dunque, come tutti gli altri operatori, si sarebbe trovata ad operare in quadro normativo assai incerto, soprattutto con riferimento agli adempimenti da porre in essere ai fini della conferma del contratto ex art. 51, comma 6, del Codice del Consumo. Le violazioni contestate dunque non sarebbero state causate da dolo o colpa della società, ma dall’incertezza normativa;
circostanza questa che, anche a non volerla ritenere esimente, sicuramente avrebbe dovuto attenuare considerevolmente la responsabilità della società, e che l’A.G.C.M. ha viceversa mancato di valutare in modo adeguato.

Da ultimo, l’Autorità avrebbe mancato di valutare che la società ha sempre improntato il proprio comportamento alla massima collaborazione, in quanto non appena coinvolta nel procedimento ha subito manifestato la propria disponibilità ad assecondare l’interpretazione dell’A.G.C.M. delle nuove disposizioni del Codice del Consumo.

Sotto altro profilo la sentenza gravata sarebbe erronea nella parte in cui, sulla dedotta disparità di trattamento, ha ritenuto la censura assertiva “atteso, da un lato, che non emerge dal ricorso la predicata identità di situazioni, e considerata, dall’altro, la fisiologica complessità e peculiarità delle valutazioni compiute in materia dall’Autorità, in relazione alle quali, pur in presenza di elementi di analogia, risulta ordinariamente esclusa l’identità dei casi, così che il richiamo a diverse percentuali di attenuante non è idoneo di per sé a tradursi, come tertium comparationis, in un vizio di legittimità della valutazione intervenuta nella presente fattispecie (

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