Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-08-06, n. 201404184

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-08-06, n. 201404184
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404184
Data del deposito : 6 agosto 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04957/2011 REG.RIC.

N. 04184/2014REG.PROV.COLL.

N. 04957/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4957 del 2011, proposto da:
Smartre s.r l., rappresentata e difesa dall'avv. R M, presso il cui studio ha eletto il proprio domicilio in Roma, largo della Gancia, 1;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore , non costituito nel presente giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: sezione I TER n. 750/2011, resa tra le parti, concernente la domanda di risarcimento danni per presunti illeciti commessi dal sindaco di Tarquinia in relazione alla gestione del servizio pubblico di erogazione di acqua potabile


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2014 il Cons. Hadrian Simonetti, presente per la parte appellante l’Avvocato Miele;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierna società ricorrente - premettendo di essere titolare del contratto di affitto dell’acquedotto di Marina Velca nei pressi di Tarquinia e di essere stata destinataria di un’ordinanza emessa dal Sindaco di tale Comune, con cui si disponeva l’immediata assunzione, in capo all’ente locale, del servizio di erogazione dell’acqua potabile, ordinando la consegna degli impianti - propose un primo ricorso, dinanzi al tribunale di Civitavecchia, ai sensi dell’art. 700 c.p.c.

1.1. Esclusa la tutela in via d’urgenza, sotto il profilo del periculum in mora , la Smartre s.r.l. citò allora in giudizio il solo Ministero dell’Interno dinanzi al tribunale civile di Roma, chiedendone la condanna al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c.

1.2. Dedusse, a tal fine, che l’ordinanza del Sindaco del comune di Tarquinia fosse stata emessa nella veste di ufficiale di Governo e che pertanto fosse imputabile, quanto ai suoi effetti, al Ministero dell’Interno, e che tale atto fosse gravemente illegittimo se non anche illecito in quanto posto in essere in assenza dei requisiti di legge e abusando, da parte del Sindaco, del proprio ufficio.

1.3. Instaurato il contraddittorio e disposta attività istruttoria, attraverso CTU, con sentenza depositata il 7/10/2009 il tribunale civile di Roma, II sezione, accogliendo la prima delle eccezioni del Ministero, dichiarò il proprio difetto di giurisdizione, rimettendo le parti dinanzi al Tar Lazio per la prosecuzione del giudizio.

2. Proposto ricorso in riassunzione, riproponendo gli originari motivi e le medesime conclusioni, il Tar lo ha dichiarato inammissibile, in ragione della mancata notificazione del ricorso al Sindaco, ritenuto unico legittimato passivo, sul rilievo che l’atto, dalla cui esecuzione sarebbe derivato il danno ingiusto, non avesse la natura di ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 38 della l. 142/1990 all’epoca vigente. Non senza osservare, anche nel merito, come tra la ricorrente e l’amministrazione comunale non fosse mai intercorso alcun rapporto di gestione dell’acquedotto e del correlato servizio pubblico.

3. Con il presente ricorso è impugnata la sentenza, censurandone la statuizione di inammissibilità, per vizi relativi al contraddittorio, sostenendosi che la translatio disposta dal tribunale civile di Roma facesse salvi gli effetti sostanziali e processuali dell’originaria domanda e che tale formula riguarderebbe anche l’individuazione delle parti del giudizio, di cui sarebbe stata accertata, una volta per tutte, la legittimazione.

3.1. Nel merito sono riproposte e sviluppate le originarie allegazioni, assumendo la ricorrente di essere stata titolare e responsabile del servizio idrico e come tale destinataria di un provvedimento illegittimo, rilevante anche ai fini penali, la cui esecuzione le avrebbe provocato ingenti danni economici, ammontanti ad oltre cinque milioni di euro.

3.2. Nessuno si è costituito per il Ministero e all’udienza pubblica del 10 luglio 2014 la causa è passata in decisione.

4. L’appello è infondato e va respinto, per le seguenti ragioni.

4.1. In via del tutto preliminare, con riferimento al primo motivo di appello, si deve escludere che la regola della salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda, che vale anche in caso di riassunzione o riproposizione del giudizio dopo la declinatoria della giurisdizione (v. art. 11 c.p.a.), precludesse al Tar di accertare, con esito negativo, la legittimazione passiva del Ministero.

Il profilo della legittimazione a resistere non è infatti riconducibile né agli effetti processuali (ad esempio, litispendenza, perpetuatio iurisdictionis ex art. 5 c.p.c.) né a quelli sostanziali (ad esempio, interruzione della prescrizione, salvezza dalle decadenze) della domanda e, quindi, il fatto che il giudice a quo non ne avesse rilevato il difetto (perché correttamente aveva dato la precedenza alla questione, del tutto preliminare, della giurisdizione) non preclude al giudice ad quem di accertarne autonomamente la mancanza.

4.2. Ciò posto, la questione si pone in quanto la Smartre ha sempre agito e agisce ancora, per il risarcimento dei danni, unicamente nei confronti del Ministero dell’Interno, assumendo che tali danni le siano stati cagionati per effetto di un’ordinanza - che definisce come contingibile ed urgente - emessa il 10.8.1999 dal Sindaco del comune di Tarquinia, nella sua veste di ufficiale di governo;
e che, quindi, tale ordinanza sarebbe imputabile al Ministero dell’Interno, quale dicastero responsabile della sicurezza e dell’ordine pubblico.

In questo modo Parte ricorrente - pur senza esplicitare il ragionamento ma dandolo, anzi, del tutto per scontato - farebbe risalire allo Stato, anziché al Comune, la responsabilità civile degli atti posti in essere dal sindaco nella (presunta) veste di ufficiale di governo, sulla base di una giurisprudenza risalente (cfr., ad esempio, Cass. n. 1329/1967, laddove invece la più recente Cass. 26691/2005 distingue, quanto alla legittimazione sul lato passivo, a seconda dell’interesse pubblico concretamente perseguito) la cui tesi si disse in dottrina che fosse inesatta e “probabilmente ispirata dall’intento equitativo di garantire ai danneggiati una più sicura riparazione e di non far gravare sul comune oneri risalenti a compiti che non sono suoi”.

4.3. Tale orientamento è stato negli ultimi anni abbandonato dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sul condivisibile rilievo, ripreso dalla dottrina appena ricordata, che il sindaco, anche laddove agisca come organo dello stato, opera pur sempre nel quadro del complesso organizzatorio comunale, quale elemento cardine di tale complesso, con la conseguente responsabilità del comune, e non dello Stato, per gli atti posti in essere dal sindaco nella suddetta qualità (v. Cons. St., V, n. 3424, che richiama, in senso conforme, la n. 4448/2007).

4.4. Il difetto di legittimazione passiva del Ministero, appena veduto, ha anche un diverso (e alternativo) fondamento, che discende proprio dall’insieme delle allegazioni svolte dalla difesa ricorrente nel corso dell’intero giudizio di primo e di secondo grado.

Seguendo infatti la stessa prospettazione di parte, assumendo quindi che il sindaco del comune di Tarquinia abbia agito intenzionalmente per perseguire finalità ed interessi del tutto diversi da quelli previsti dall’ordinamento, in particolare per conseguire vantaggi patrimoniali ingiusti, è evidente che si sarebbe al di fuori dalla logica del potere di ordinanza e di urgenza ai sensi dell’art. 38 della l. 142/1990, di cui per definizione non vi sarebbero stati i presupposti di legge.

Nella stessa direzione, la dedotta (ma mai dimostrata) rilevanza anche sul piano penale della condotta del Sindaco, cui si vorrebbe imputare di avere commesso, per mezzo dell’ordinanza in questione, un abuso d’ufficio ai sensi dell’art. 323 c.p., potrebbe comportare inoltre l’interruzione del rapporto organico con l’amministrazione di appartenenza, ossia sempre con lo stato centrale secondo l’assunto di parte ricorrente.

4.5. In ogni caso, è dirimente osservare che, come già riconosciuto dal Tar nella sentenza impugnata, al di là del richiamo che vi si legge all’art. 38 della l. 142/1990, l’ordinanza del 10.8.1999 riguardava le modalità di gestione di un servizio pubblico locale, una materia quindi rientrante nell’ambito delle ordinarie attribuzioni del comune, a prescindere dai profili del riparto di competenze all’interno dell’ente e dal dubbio, legittimo ma qui non rilevante (non essendo il comune parte del giudizio), che il sindaco fosse l’organo competente a provvedere.

Non senza aggiungere, a quanto sin qui evidenziato, come non sia dato comprendere il perché, da un lato, la Smartre abbia mosso critiche assai forti ed aspre all’indirizzo dell’ente locale e, tuttavia, non abbia mai agito nei suoi confronti in giudizio, né per la rimozione dell’atto né per il risarcimento dei danni (anche in occasione del ricorso proposto ai sensi dell’art. 700 c.p.c., al principio della vicenda, l’azione era stata proposta curiosamente nei confronti del sig. Maurizio Sandro Conversini “in proprio”, senza fare riferimento né al Comune né al Ministero dell’Interno).

5. La mancata impugnazione dell’ordinanza 10.8.1999 da parte dell’odierna ricorrente, che di per sé sola non precluderebbe l’accoglimento della domanda risarcitoria (cfr. art. 30 c.p.a.), è comunque un dato da considerare anche nel merito delle contestazioni, unitamente alla mancanza in capo alla Smartre di un titolo che la legittimasse, nei confronti dell’amministrazione e più in generale dell’utenza, all’utilizzo dell’impianto di distribuzione idrica e alla gestione del servizio pubblico di erogazione dell’acqua potabile.

5.1. E’ sin troppo evidente, infatti, che all’assenza di una concessione rilasciata in proprio favore non poteva supplire il solo contratto di affitto di azienda intercorso a far data dal settembre 1997 tra la Smartre e la Sogeca, tenuto anche conto che neppure questa seconda società era titolare di alcuna concessione con l’amministrazione, essendo stata respinta la sua domanda di subentro nel rapporto concessorio, un tempo facente capo alla Edil Market a cui l’originaria concessione era stata revocata il 22.6.2009, a seguito del suo fallimento, e da cui la Sogeca aveva acquistato gli impianti.

5.2. Ne consegue quale dato comunque ostativo che, alla data dell’ordinanza del 10.8.1999, la Smartre era titolare, nei confronti dell’amministrazione comunale, di una situazione di mero fatto, la cui conformità a diritto appariva quanto meno dubbia, tale quindi da non assurgere al rango di situazione giuridicamente protetta, meritevole, se lesa, di essere risarcita ai sensi dell’art. 2043 c.c.

5.3. Il che comporta la reiezione della domanda anche nei confronti del Prefetto, cui si rimprovera di avere messo a disposizione dell’autorità comunale la forza pubblica, in occasione dell’esecuzione materiale dell’ordinanza nel maggio del 2000, senza peraltro specificare minimamente quale sarebbe stato, in concreto, il contributo causale del Prefetto (v., del tutto condivisibilmente, sentenza del Tar, punto 5 ultimo capoverso).

6. In conclusione, per tutte le ragioni sin qui evidenziate, l’appello è infondato e va respinto.

7. Nulla per le spese, non essendosi costituito il Ministero.


Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi