Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-08-08, n. 201404226

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-08-08, n. 201404226
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404226
Data del deposito : 8 agosto 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03180/2012 REG.RIC.

N. 04226/2014REG.PROV.COLL.

N. 03180/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3180 del 2012, proposto dal signor M V, rappresentato e difeso dagli avvocati L M e F T, con domicilio eletto presso L M in Roma, via Panama, 58

contro

Comune di Orbetello

per la riforma della sentenza del T.A.R. della Toscana, Sezione III, n. 1548/2011


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 maggio 2014 il Cons. C C e uditi per le parti gli avvocati Tedeschini e Medugno.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

L’appellante signor M V riferisce di essere proprietario di una villa situata in località Ansedonia, realizzata all’inizio degli anni sessanta dello scorso secolo in virtù di licenza edilizia e di relativa variante in corso d’opera.

Riferisce, altresì, di aver presentato al Comune di Orbetello in data 1° aprile 1986 domanda di condono edilizio ai sensi dell’articolo 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (‘ Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie ’), avente ad oggetto lavori, ultimati nel 1972, di ampliamento del corpo immobiliare, di sistemazione esterna e di realizzazione di una piscina, in zona sottoposta a declaratoria di notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (in tema di ‘ Protezione delle bellezze naturali ’).

La giunta comunale, acquisito il parere della Commissione per la tutela dei beni ambientali, con delibera n. 908 del 27 settembre 1993 rilasciava in favore dell’odierno appellante l’autorizzazione di cui all’articolo 7 della legge n. 1497 del 1939 per quanto riguarda le opere abusive realizzate sull’edificio principale, mentre reputava non condonabili le opere esterne costituite dalla piscina nonché dalla scalinata e dal muro che portano verso il basso.

Pertanto il Sindaco, con determinazione in data 10 maggio 1994, negava il rilascio del titolo per le suddette opere esterne.

I provvedimenti da ultimo richiamati sono stati impugnati dal signor Violati dinanzi al T.A.R. della Toscana (ricorso n. 3060/1994) il quale, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal signor Violati il quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi.

Con il primo motivo (‘ Error in iudicando – Erronea, illogica e contraddittoria motivazione sul primo motivo del ricorso di primo grado ’) l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso con il quale si era sottolineata l’intervenuta formazione del silenzio-assenso di cui al comma diciottesimo dell’articolo 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 in relazione alla domanda di condono edilizio presentata il 1° aprile 1986.

In particolare, la sentenza in epigrafe risulterebbe meritevole di riforma per la parte in cui ha ritenuto ostativo alla formazione del silenzio-assenso il parere negativo espresso sull’istanza in parola dalla Commissione per la tutela dei beni ambientali nella qualità di Autorità preposta alla tutela del vincolo ambientale esistente nell’area per cui è causa.

Al contrario, sussistendo tutti i presupposti di legge per la formazione del silenzio-assenso, solo la tempestiva adozione da parte del Comune di un atto espresso di segno negativo avrebbe potuto impedire la formazione del titolo tacito, mentre non potrebbe annettersi valenza preclusiva né alla tardiva adozione del provvedimento impugnato in primo grado (intervenuto a ben otto anni di distanza dalla domanda), né al parere espresso dalla Commissione per la tutela dei beni ambientali, la cui valenza era limitata – appunto – ai soli profili ambientali della vicenda.

Con il secondo motivo (‘ Errores in procedendo et in iudicando – Omessa o, comunque, erronea, illogica e contraddittoria motivazione sulla seconda e sulla terza censura del ricorso di primo grado ’) l’appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso con il quale si era lamentata la contraddittorietà fra il provvedimento negativo impugnato in primo grado e l’attestazione di conformità con i valori tutelati già rilasciata dalla competente Soprintendenza in relazione al medesimo immobile e ai medesimi interventi.

Con il terzo motivo (‘ Error in iudicando – Erronea, illogica e contraddittoria motivazione sul quarto e sul quinto motivo del ricorso di primo grado ’) l’appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso con il quale si era contestato il giudizio di incompatibilità paesaggistica espresso dal Comune in relazione agli effetti che la realizzazione della scala, del muretto e della piscina avrebbero determinato sui valori paesaggistici dell’area.

In particolare, i primi Giudici avrebbero erroneamente respinto i motivi di ricorso con cui si era sottolineato (con puntuali allegazioni documentali) il minimo impatto visivo esercitato dai manufatti all’origine dei fatti di causa.

Sotto tale aspetto la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma:

- per aver ritenuto accertato il richiamato impatto sulla base della scarna ed insufficiente documentazione fatta pervenire dal Comune;

- per aver omesso di tenere in adeguata considerazione, ai fini del decidere, l’approfondita relazione tecnica di parte, da cui emergeva – appunto – il carattere del tutto limitato (se non radicalmente insussistente) di impatti visivi e sul paesaggio sortiti dai manufatti in contestazione.

Ancora, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per aver respinto il motivo di ricorso con cui si era lamentata la contraddittorietà dell’operato del Comune, il quale ha impedito la sanatoria di un manufatto esistente in loco da circa cinquanta anni, senza adeguatamente considerare che la pertinente disciplina di piano consentirebbe oggi di realizzare colà manufatti del tutto similari a quelli oggetto dell’istanza di sanatoria.

Ed ancora, la sentenza in epigrafe risulterebbe meritevole di riforma per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso con cui si era sottolineato che il vincolo di carattere paesaggistico esistente sull’area che qui rileva non comporta inedificabilità assoluta e che l’eventuale rigetto dell’autorizzazione ai fini paesaggistici (articolo 7 della l. 1497 del 1939) avrebbe dovuto essere puntualmente motivato in relazione alle caratteristiche oggettive degli interventi realizzati e dei valori tutelati

Con il quarto motivo (‘ Error in iudicando – Erronea, illogica e contraddittoria motivazione sul sesto motivo del ricorso di primo grado ’) l’appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui è stato affermato che il parere contrario in ordine alla compatibilità paesaggistica risulterebbe ex se idoneo a supportare il diniego di regolarizzazione degli abusi commessi, indipendentemente dall’autorizzazione da parte dell’Autorità marittima

Sotto tale aspetto i primi Giudici avrebbero omesso di tenere in adeguata considerazione la circostanza per cui una parte cospicua delle aree interessate dagli interventi in contestazione rientra nel demanio marittimo e che, ai sensi del quinto comma dell’articolo 32 della l. 47 del 1985, prima di pronunciarsi (in senso positivo o negativo sull’istanza di condono) il Comune appellato avrebbe necessariamente dovuto interpellare l’Ente proprietario.

Alla pubblica udienza del 27 maggio 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal proprietario di una villa ubicata nel Comune di Orbetello (GR) avverso la sentenza del T.A.R. della Toscana con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento con cui il Comune ha respinto (limitatamente alle opere esterne) la domanda di condono edilizio presentata nel 1986 ai sensi dell’art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 a fronte di alcuni interventi abusivi realizzati sulla villa, sulla piscina e sulla discesa a mare.

2. Il primo motivo (con cui l’appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha dichiarato infondato il motivo di ricorso con il quale si era sottolineata l’intervenuta formazione del silenzio-assenso di cui al comma diciottesimo dell’articolo 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 in relazione alla domanda di condono edilizio presentata il 1° aprile 1986) è infondato.

2.1. Al riguardo, i primi Giudici hanno correttamente rilevato che la disposizione da ultimo richiamata (la quale dà per accolta la domanda di sanatoria una volta decorso il termine di ventiquattro mesi dalla presentazione dell’istanza) non trovi applicazione in relazione alle domande relative ad aree sottoposte a vincolo, quale quella che qui viene in rilievo. Non a caso, la medesima disposizione escludeva in modo espresso le ipotesi di cui all’articolo 33 della stessa l. 47 del 1985, fra cui rientrano – ai fini che qui rilevano – i vincoli di tipo paesaggistico imposti prima della realizzazione delle opere.

Al riguardo, un consolidato – e qui condiviso - orientamento di questo Consiglio ha stabilito che dal combinato disposto degli artt. 32, 33 e 35, l. 47 del 1985 può desumersi il principio che non sono suscettibili di sanatoria tacita immobili siti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico-ambientale, essendo all’uopo in ogni caso richiesto il parere espresso dell'Autorità competente alla gestione del vincolo, ragione per cui in tali ipotesi non è configurabile la formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono (in tal senso – ex plurimis -: Cons. Stato, V, 2 maggio 2013, n. 2395; id ., IV, 18 settembre 2012, n. 4945; id ., VI, 14 agosto 2012, n. 4573).

2.2. Allo stesso modo, la sentenza in epigrafe è meritevole di conferma per la parte in cui ha affermato che il nulla-osta reso dalla competente Soprintendenza nel corso del 1968 in relazione al proposto progetto di variante non assumesse rilievo al fine di consentire – secondo quanto ritenuto dall’appellante – il ricorso al richiamato meccanismo del silenzio-assenso.

Al riguardo i primi Giudici hanno condivisibilmente osservato: i ) che detto nulla-osta era stato reso soltanto sul un progetto di massima e non su un elaborato grafico riportante il muro e la scalinata degradanti verso il basso; ii ) che il medesimo nulla-osta era stato reso in relazione a un procedimento non concluso con l’emanazione di un titolo edilizio e che lo stesso non faceva neppure riferimento a strutture puntualmente individuate, sì da non consentire neppure in astratto la possibilità di invocare la richiamata formazione del meccanismo del silenzio-assenso di cui all’articolo 35, cit.

2.3. Per ragioni in tutto analoghe a quelle appena evidenziate, non può trovare accoglimento neppure il secondo motivo di appello con il quale l’appellante ha chiesto la riforma della sentenza epigrafe per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso volto a censurare la contraddittorietà fra il provvedimento impugnato in primo grado e l’attestazione di conformità già rilasciata dalla competente Soprintendenza in relazione al medesimo immobile e ai medesimi interventi.

3. E’ invece meritevole di accoglimento il terzo motivo di appello, con cui si è reiterato il motivo di doglianza (già articolato in primo grado e disatteso dal T.A.R.) relativo al difetto di istruttoria e motivazione che viziava gli atti con cui il Comune si era dapprima espresso in senso negativo sulla compatibilità ai fini paesaggistici della piscina, del muro e della discesa a mare e, in seguito, aveva respinto per le medesime ragioni l’istanza di sanatoria ai sensi della legge 47 del 1985.

Si osserva al riguardo:

- che il parere parzialmente negativo reso dal Comune appellato in data 27 settembre 1993 in ordine alla compatibilità paesaggistica della piscina, del muro e della discesa a mare era motivato, in particolare, in base all’impatto visivo che le opere in questione erano in grado di sortire nei confronti di chi riguardasse verso il complesso dalla costa;

- che con ordinanza 11 febbraio 2011, n. 260 il Tribunale amministrativo, al fine di inquadrare gli esatti termini fattuali della questione, aveva chiesto all’amministrazione di produrre una relazione di chiarimenti avente ad oggetto – in particolare – l’esatto posizionamento della piscina e la sua effettiva visibilità dalla costa (circostanza, quest’ultima, che era risultata dirimente ai fini dell’adozione dei provvedimenti impugnati in primo grado);

- che, in asserita esecuzione del disposto di cui alla richiamata ordinanza, l’amministrazione si era tuttavia limitata a far pervenire una breve nota esplicativa (n. 8869/11) cui erano allegate tre fotografie idonee – almeno nelle intenzioni del Comune appellato - a descrivere l’effettivo stato dei luoghi;

- che, tuttavia, le foto in questione si limitavano a fornire una visione aerea della zona e risultavano pertanto inidonee a fornire validi elementi atti a stabilire l’effettiva visibilità dei manufatti in contestazione (e, in primis , della piscina) dalla costa;

- che, al contrario, l’odierna appellante ha versato in atti una relazione tecnica (e relativi allegati grafici e fotografici) da cui si può evincere in modo del tutto plausibile: i ) che la piscina, in quanto notevolmente arretrata rispetto alla linea di costa, non è in effetti visibile dal mare, mentre dalla costa è possibile scorgere il belvedere prospiciente; ii ) che, più in particolare, la piscina e il giardino circostante possono essere scorti solo dalla quota sulla quale insistono e non da quote inferiori (e, in particolare, dal livello della costa);

- che la discesa a mare è stata realizzata adottando accorgimenti costruttivi idonei a mitigarne in modo rilevante l’impatto sul paesaggio circostante, anche attraverso il ricorso alla pietra locale e alla copertura dei manufatti con essenze arboree e senza alterare l’andamento del naturale declivio.

Le circostanze in questione (puntualmente allegate e suffragate dall’appellante con adeguata documentazione e non altrettanto puntualmente contestate dall’amministrazione appellata) risultano ex se idonee a deporre nel senso che il Comune avesse concluso per l’incompatibilità paesaggistica degli interventi in contestazione all’esito di un’istruttoria lacunosa e non adeguatamente supportata da puntuali apprezzamenti sull’effettivo stato dei luoghi.

E il convincimento in ordine all’effettiva sussistenza dei richiamati profili di difetto di istruttoria e travisamento della situazione di fatto risulta vieppiù rafforzato dalla circostanza per cui, pure a fronte di un’espressa richiesta istruttoria da parte dei primi Giudici (i quali avevano chiesto all’amministrazione di dimostrare in modo puntuale il dato – dirimente ai fini del decidere – relativo alla visibilità della piscina dalla costa), la stessa amministrazione si era limitata a ribadire in modo sostanzialmente apodittico le proprie posizioni e a tentare di suffragarle attraverso la produzione di materiale fotografico che, per la sua oggettiva consistenza (scatti dall’alto), era del tutto inidoneo a sortire gli effetti prefissati.

3.1. Allo stesso modo, la sentenza in epigrafe risulta meritevole di riforma per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso (qui puntualmente riproposto) con il quale si era lamentato il difetto di istruttoria e di motivazione che viziava gli atti con i quali l’amministrazione aveva affermato l’incompatibilità fra i realizzati interventi e i valori paesaggistici dell’area (sottoposta a vincolo con decreto ministeriale del 14 febbraio 1959).

Al riguardo l’appellante ha correttamente rilevato (reiterando un motivo di ricorso già esaminato e disatteso dai primi Giudici con motivazioni non condivise da questo Giudice di appello) che il Comune di Orbetello non avesse operato un’effettiva e puntuale valutazione in ordine al pregiudizio che i più volte richiamati interventi erano idonei a sortire sui valori paesaggistici dell’area, ma si era limitato a descrivere la consistenza oggettiva degli interventi concludendo in modo automatico e sostanzialmente apodittico nel senso dell’incompatibilità degli stessi con i valori tutelati.

Sotto tale aspetto l’appellante ha condivisibilmente osservato che né l’articolo 7 della l. 29 giugno 1939, n. 1497 (si tratta della disposizione in base alla quale era stato adottato il decreto impositivo del vincolo), né l’articolo 32 della l. 47 del 1985 sanciscono in modo automatico l’incompatibilità fra un qualunque intervento sul territorio e i valori oggetto di tutela (si tratta di un effetto che può verificarsi solo nelle ipotesi – che qui non ricorrono – di vincoli di carattere assoluto).

Al riguardo ci si limita a richiamare il consolidato (e qui condiviso) orientamento secondo cui in ipotesi quale quella che qui viene in rilievo l'Amministrazione preposta alla tutela del vincolo è chiamata a valutare l'effettiva consistenza e la localizzazione dell’intervento, oggetto di sanatoria, al fine di confermare o escludere la concreta compatibilità dello stesso con i valori tutelati nello specifico contesto di riferimento, non potendo ritenersi sufficiente il generico richiamo ad un vincolo, con conseguente necessario apprezzamento di compatibilità, da condurre sulla base di rilevazioni e giudizi puntuali (in tal senso – ex plurimis -: Cons. Stato, VI, 5 aprile 2012, n. 2018).

Ebbene, non avendo l’amministrazione appellata operato una siffatta, doverosa valutazione in ordine ai pertinenti elementi di fatto, essa ha effettivamente realizzato un’illegittimità attizia, conformemente alle censure nella presente sede reiterate dalla parte appellante.

4. Le osservazioni sin qui svolte sono di per sé sufficienti a determinare l’accoglimento dell’appello, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.

Ciò esime il Collegio dall’esame dell’ulteriore motivo con cui – reiterando analogo motivo già articolato in primo grado e disatteso dai primi Giudici – l’appellante ha osservato che il parere comunale negativo in ordine ai profili paesaggistici e il conseguente diniego di sanatoria risulterebbero altresì illegittimi per non essere stato acquisito, nel corso del tratto prodromico alla loro adozione, l’avviso della competente Capitaneria di porto (parere – quest’ultimo – che risulterebbe necessario ai fini del provvedere ai sensi del quinto comma dell’articolo 32, l. 47, cit. e dell’articolo 55, cod. nav.).

5. Per i motivi sin qui esposti il ricorso in epigrafe deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza in epigrafe, devono essere annullati i provvedimenti impugnati in primo grado, fatte salve le ulteriori, motivate attività istruttorie e provvedimentali che restano comunque rimesse alla competenza dell’amministrazione appellata.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

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