Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-05-09, n. 201102750

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-05-09, n. 201102750
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201102750
Data del deposito : 9 maggio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08635/2009 REG.RIC.

N. 02750/2011REG.PROV.COLL.

N. 08635/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8635 del 2009, proposto dal Comune di Bari, rappresentato e difeso dagli avv. A F e R V, con domicilio eletto presso Roberto Ciociola in Roma, via Bertoloni, n. 37;

contro

"R G Snc" (gia' R G &
Pietro S.n.c.), rappresentato e difeso dagli avv. N D M e C C, con domicilio eletto presso Angioletto Calandrini (studio avv. M. Cento) in Roma, V. Pompei, n. 13;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE III n. 02300/2008, resa tra le parti, concernente DINIEGO ISTANZA DI CONDONO EDILIZIO


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della società appellata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2010 il Cons. V C e uditi per le parti gli avvocati Farnelli, Di Modugno e Colapinto;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

I.- Il 2 luglio 1991 il Sindaco del Comune di Bari rilasciava alla odierna appellata Rubino s.n.c. la concessione edilizia n. 465/86 per realizzare un complesso polivalente costituito da otto corpi di fabbrica, due dei quali da destinarsi ad alloggi per studenti, e gli altri a centro culturale, mensa, centro sportivo e servizi;
in data 26 settembre 1993 veniva assentita la concessione 136/93 per varianti in corso d’opera, consistenti in una ridefinizione plano-volumetrica del complesso, formalmente non comportante mutamento della originaria destinazione d’uso;
il 28 febbraio 1995 tale società presentava diverse domande di condono ai sensi della legge n. 724 del 1994 per sanare il mutamento di destinazione d’uso impresso alle porzioni immobiliari ubicate nei corpi di fabbrica nn. 1, 3, 5, 6, 7 e 8, trasformate in appartamenti per civile abitazione;
le relative concessioni in sanatoria venivano rilasciate tra il 6 giugno ed il 3 luglio 1996.

Aveva inizio un primo procedimento penale e sequestro dei manufatti, conclusosi con l’archiviazione ed il dissequestro alla luce delle sanatorie assentite;
hanno fatto seguito successive imputazioni per falso ideologico con richieste di sequestro preventivo, archiviate;
il 12 maggio 1998 il cantiere veniva sottoposto a sequestro preventivo penale nell’ambito di un nuovo procedimento penale, che ha visto i soci della citata società indagati, e poi imputati, del reato di cui all’art. 20 lett. b) L. 47/85, in relazione alla totale difformità delle costruzioni realizzate rispetto alle concessioni edilizie 465/86 e 136/93 ed alla illegittimità delle concessioni in sanatoria rilasciate nel 1996 in quanto afferenti ad opere non ultimate nel termine del 31 dicembre 1993 previsto dalla legge n. 724 del 1994 (il Tribunale riteneva accertato che le opere edilizie fossero state ultimate al rustico alla data del 31.12.1993 e pertanto fossero condonabili a norma della legge n. 724 del 1994;
seguivano impugnazioni sino in Cassazione e nel giudizio di rinvio la Corte d’Appello di Bari dichiarava non sussistente il fatto-reato dell’induzione e l’intervenuta estinzione delle altre imputazioni per intervenuta prescrizione;
la Cassazione, con sentenza resa in data 4 maggio 2007, annullava senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 2 nei confronti del solo R G per non aver commesso il fatto, nonché relativamente alle statuizioni civili contenute nella stessa sentenza).

II.- Sin dal 10 maggio 2001 il cantiere era stato tuttavia dissequestrato, con la sentenza del giudice di primo grado, in relazione alla quale circostanza l’impresa interessata aveva chiesto termine ed ottenuto dal Comune di Bari la concessione edilizia 22 luglio 2001, rilasciata l’8 agosto 2001;
inoltre, a seguito dell’entrata in vigore della nuova legge sul condono edilizio n. 326 del 2003 (art. 32), i proprietari degli immobili ed i promissari acquirenti, unitamente all’impresa in questione, presentavano al Comune di Bari nuove domande di concessione in sanatoria “in via cautelativa” , essendo le precedenti ai sensi della legge n. 724 del 1994 “oggetto, allo stato, di accertamento giudiziario”.

Con la ripresa dei lavori era però aperta una ulteriore indagine penale (n. 8159/2003 RGNR) nell’ambito della quale veniva contestato, oltre al reato edilizio di costruzione in totale difformità dalla concessione realizzato attraverso il mutamento di destinazione ed il completamento del complesso immobiliare, anche il reato di lottizzazione abusiva;
ha fatto seguito il 15 marzo 2004 un nuovo sequestro preventivo del cantiere e la Corte di Cassazione lo annullava in relazione al reato di lottizzazione abusiva, confermandolo solo con riferimento alla ipotesi di reato di cui all’art. 20 lett. b) della legge n. 47 del 1985;
il Tribunale (sentenza n. 709 del 14 giugno 2007) ha condannato gli imputati R G e Pietro per entrambi i predetti reati, mentre i coimputati sono stati assolti dal reato di lottizzazione abusiva perché il fatto non costituisce reato, ordinando la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e di tutti i corpi di fabbrica realizzati nonché la demolizione delle opere abusivamente eseguite;
in riforma la Corte di Appello, in estrema sintesi, ha assolto entrambi gli imputati dal reato di lottizzazione abusiva perché il fatto non sussiste, dichiarato non doversi procedere nei confronti del signori R G e Pietro in ordine al reato edilizio perché estinto rispettivamente per intervenuta prescrizione e per morte del secondo, revocando l’ordine di confisca e demolizione;
per quanto qui rileva, tali statuizioni sono state confermate dalla Corte di Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso del P.G. perché articolato in fatto e respinto l’appello incidentale.

III.- Tanto premesso sugli antefatti di causa, si può ora affrontare l’oggetto dell’odierna controversia, che riguarda l’argomento del condono edilizio.

Il Comune di Bari, a seguito del ricordato pronunciamento del Tribunale di Bari (n. 709 del 2007) e condivise le relative statuizioni, preavvertiti sul rigetto del condono (precauzionale) l’impresa appellata, i proprietari degli immobili ed i promissari acquirenti, alla fine -con gli atti gravati in primo grado- negava la domandata sanatoria, ai sensi dell’art. 32, comma 25, della legge 24 novembre 2003, n. 326, e dell’art. 30 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, in quanto “le opere abusive afferiscono un complesso organismo edilizio unitario di nuova costruzione residenziale avente cubatura eccedente i 3.000 mc” e perché “l’avvenuta trasformazione urbanistica identifica la lottizzazione abusiva”.

L’adito Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con l’ampia sentenza odiernamente censurata, che va descritta nei suoi tratti essenziali, ha accolto il ricorso proposto dalla società interessata, rilevando come, ad una esegesi puntuale costituzionalmente orientata:

- il comma 25 parte seconda si riferisca alle costruzioni interamente abusive, mentre il comma 25 parte prima riguardi le costruzioni abusive solo in parte, per essersi l’abuso consumato su costruzione regolarmente assentita, ultimata o meno, alla quale abbia apportato modifiche o ampliamenti;

- gli abusi realizzati mediante il mutamento della destinazione d’uso fossero condonabili, ai sensi dell’art. 32 comma 25 parte prima, tenuto conto del fatto che la volumetria definitivamente assentita con la concessione edilizia 136/93, per gli otto corpi di fabbrica, ammontava a 54.868,45 mc e che quella in esubero in concreto realizzata è quantificabile in circa 15.486,62 mc. ed è perciò inferiore al 30% di quella assentita;

- vada esclusa la lottizzazione abusiva perché il Consiglio Comunale di Bari, con la delibera n. 1132 del 21 marzo 1990, aveva impresso all’area la tipizzazione a residenze per studenti ed annessi servizi, non incompatibile per struttura ed impatto urbanistico ad un ordinario uso residenziale e terziario.

IV.- Con il gravame in esame, il Comune appellante ha chiesto la riforma della sentenza impugnata ed il rigetto del ricorso di primo grado, nei seguenti limiti:

- esclusivamente per eccedenza dei limiti volumetrici di cui all’art. 32, comma 25, della legge n. 326 del 2003, attesa l’insanabilità delle relative opere, come sostenuto dalla Corte di Appello e secondo cui “...risultando provato che il complesso edilizio, unitariamente (atteso che le opere finalizzate alla realizzazione di un nuovo manufatto) non possono essere disarticolate e denunziate separatamente quando tra esse esiste un rapporto di funzionalità..., deve escludersi in radice la possibilità per l’impresa Rubino (o promissari acquirenti) dei singoli appartamenti di accedere al condono straordinario di cui alla legge 326 del 2003 non ricorrendo i presupposti richiesti dall’art. 32 comma 25 per le opere relative a nuove costruzioni...” (pag. 7 appello);

- non proposizione del gravame avverso la mancata configurazione di una lottizzazione abusiva, in quanto esclusa dalla Corte di Appello, salvi i diritti del Comune nell’ipotesi che la relativa sentenza sia riformata dalla Cassazione.

Le difese comunali sono state affidate ad un unico motivo di censura, con il quale vengono contestate le erronee conclusioni cui sarebbero pervenuti i primi giudici con l’interpretazione operata dell’art. 32, comma 25, della legge n. 326 del 2003, negli assunti:

- della insuscettibilità di sanatoria delle opere, atteso che si sarebbe in presenza di nuova costruzione residenziale, non di ampliamento di quella originaria assentita, che eccede i limiti volumetrici previsti dal predetto comma 25;

- la dimostrazione che si è in presenza di nuova costruzione deriverebbe dal fatto che l’edificazione degli immobili del complesso “S. Fara” non ha fatto seguito alla costruzione dei residence per studenti, ma – ab initio - effettuata per la realizzazione di civili abitazioni.

V.- La società appellata, con il controricorso depositato il 15 dicembre 2009 e la successiva memoria difensiva del 13 novembre 2010, oltre l’infondatezza, ha opposto l’inammissibilità dell’appello, in quanto l’amministrazione appellante:

- non avrebbe gravato e nulla eccepito sulle ragioni logico-giuridiche poste dal TAR a fondamento della sua interpretazione costituzionale del succitato comma 25, con la conseguenza che la sentenza impugnata rimarrebbe non investita sul punto;

- avrebbe prestato acquiescenza al capo di sentenza, che esclude la lottizzazione abusiva, ed alle collegate motivazioni, passate in giudicato a norma dell’art. 329 c.p.c., per cui la stessa tesi che si tratti di “nuove costruzioni”, sostenuta dal Comune di Bari nell’appello, sarebbe logicamente incompatibile con quanto statuito dalla sentenza del TAR proprio nella parte non impugnata.

La società in argomento ha ulteriormente contrapposto le seguenti circostanze:

- le richieste di condono in controversia sono state proposte congiuntamente, dai proprietari e dai promissari acquirenti delle unità immobiliari e dalla società costruttrice, ciascuno per quanto di propria competenza, in via cautelativa giacchè per tali abusi era già intervenuto, sia condono edilizio come da concessioni in sanatoria, che erano all’epoca oggetto di accertamento giudiziario in sede penale, sia concessione di completamento delle opere (n. 227 del 2001);

- il dirigente comunale avrebbe dato corso unicamente all’istruttoria tecnica preliminare alle istanze stesse, omettendo di entrare nel merito di dette domande di condono (cautelative), alla luce dell’instaurato procedimento penale, nonostante l’avvenuta presentazione della documentazione integrativa da lui richiesta per l’ottenimento dei permessi di costruire in sanatoria previsti dalla legge e la sua successiva comunicazione che “le somme complessivamente corrisposte sia a titolo di oblazione sia a titolo di incremento regionale risultano all’attualità congrue nelle singole istanze di condono”.

VI.- All’udienza del 14 dicembre 2010 la causa è stata passata in decisione.

DIRITTO

1.- Nel presente giudizio, come da esposizione in fatto, è controverso condono edilizio cautelativo, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, come convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326 (art. 32, comma 25), essendo stati i precedenti condoni assentiti ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, oggetto di accertamento giudiziario in sede penale.

Tali condoni di cui alla legge n. 724 del 1994 non sono stati mai rimossi e sono, quindi, tuttora operanti: pertanto, non incide nella fattispecie Adunanza Plenaria n. 4 del 2009, che riguarda il diverso caso di condono connesso ad intervenuto annullamento, in autotutela o giurisdizionale, della relativa concessione edilizia.

Peraltro, in ordine a quelli di cui alla legge n. 326 del 2003, a seguito di dissequestro del cantiere come da sentenza penale di primo grado, il Comune di Bari ha assentito la concessione edilizia 22 luglio 2001, rilasciata l’8 agosto 2001, con la quale è stato autorizzato il completamento delle opere relative.

I punti nodali dibattuti nei numerosi giudizi penali ruotano intorno all’ultimazione dei lavori entro la data del 31 dicembre 1993 o, meglio, la data sotto la quale è intervenuto il mutamento della destinazione d’uso da residenze per studenti a residenziale abitativo, nonché sugli effetti connessi a tali circostanze temporali (lottizzazione abusiva ed inapplicabilità della legge n. 326 del 2003).

Gli atti gravati in primo grado, in condivisione della sentenza penale del Tribunale di Bari (n. 709 del 2007), hanno negato la domandata sanatoria precauzionale, in quanto opere abusive afferenti un complesso organismo edilizio unitario di “nuova costruzione” residenziale avente cubatura eccedente i 3.000 mc e realizzate mediante lottizzazione abusiva (comma 25, secondo periodo).

I primi giudici amministrativi –nella sintesi- hanno invece ritenuto ricorrere in vicenda l’ipotesi di “ampliamento” degli edifici residenziali nei limiti previsti dall'articolo 25, primo periodo.

Il Comune di Bari appellante, con il gravame in esame, nel contestare l’interpretazione data dai primi giudici all’art. 32, comma 25, della legge 24 novembre 2003, n. 326, dichiara di non proporre appello relativamente alla questione della lottizzazione abusiva in quanto esclusa dalla Corte di Appello (come pure dalla Cassazione) e sostiene la tesi che sin dall’inizio è stata effettuata una realizzazione di civile abitazione, circostanza questa che si concreterebbe in una nuova costruzione e non in un ampliamento di edificio preesistente.

Alla luce delle situazioni sopra riportate, come meglio illustrate nella parte espositiva in fatto, la Sezione è dell’avviso che si possa prescindere dalle preclusioni sollevate dalla società appellata in ordine all’ammissibilità dell’appello, perché questo merita di essere respinto e la sentenza confermata sulla base di diversa motivazione a sua integrazione.

2.- In linea preliminare, occorre osservare come la Corte di Appello di Bari con la sentenza del 23 marzo 2009, passata in giudicato per inammissibilità dichiarata dalla Corte di Cassazione sul ricorso introdotto dalla Procura Generale, a riforma della decisione di primo grado, abbia per quanto qui rileva:

- assolto entrambi gli imputati dal reato di lottizzazione abusiva, “perché il fatto non sussiste” ;

- dichiarato non doversi procedere nei confronti di R G “per intervenuta prescrizione” e, nei confronti di Rubino Pietro, “per morte” dell’imputato, relativamente al reato di costruzione in totale difformità dai titoli abilitativi;

- revocato l’ordine di demolizione e la disposta confisca.

Orbene, tale sentenza -di là della sua idoneità secondo l'art. 654 c.p.p. a spiegare effetti vincolanti nell’odierno processo amministrativo nel quale si controverte su un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale- per la sua ampiezza e meticolosità, porta sopratutto oggettiva chiarezza sui fatti di causa medesimi, caratterizzati dalla proliferazione di alterni giudizi e da diversità nelle divergenti statuizioni e nelle contrapposte perizie.

A parte ciò, la conseguenza principale è che l’odierno giudice di appello non può operare una ricostruzione dei fatti medesimi in termini diversi dai fatti accertati in sede dibattimentale penale (Consiglio Stato, IV, 6 novembre 2009, n. 6938;
sez. V, 12 dicembre 2008 , n. 6174), fermo restando che spetta al giudice amministrativo, in libero convincimento e pienezza di cognizione, dare qualificazione giuridica a tali fatti e di pervenire così anche a soluzione diversa (Cass. Pen., sez. un., 29 maggio 2008, n. 40049).

Infatti, diversamente opinando, si verrebbe ad alterare il dovuto corretto rapporto tra le specifiche sfere di attribuzione.

3.- A tanto si deve aggiungere che, nella fattispecie, il giudicato penale in trattazione è inerente a pronuncia applicativa della prescrizione, non già a sentenza di condanna o a questa equiparata, con la conseguenza che le relative statuizioni ed argomentazioni costituiscono mero accertamento della commissione di abuso edilizio e non sono quindi suscettibili di incidere sugli effetti ulteriori connessi alla sorte della domanda di condono (Cass. Pen., III, 9 dicembre 1999 n. 3920 e 28 novembre 1997 n. 4100).

Pertanto, se è indiscutibile che, nello specifico, la complessiva attività edificatoria posta in essere dagli interessati sia stata irregolare rispetto ai titoli edilizi originari, tuttavia restano aperti all’esame di questa sede gli elementi costitutivi della richiesta di sanatoria rivendicata.

Ciò premesso, va ora considerato che la domanda cautelativa ai sensi della legge n. 326 del 2003, di cui ai dinieghi gravati in primo grado, non fà venire meno il condono assentito in base all’anteriore legge n. 724 del 1994, e nemmeno la sua validità, in quanto non può affatto ipotizzarsi un suo superamento o travolgimento o abbandono: questo rimedio sanante, infatti, non è stato mai né annullato, né dichiarato decaduto.

Vale a dire che il primo condono proposto in via principale, assentito dal Comune ed in base al quale i lavori sono stati anche completati, sopravvive di forza propria, mentre, la seconda domanda cautelativa e collegata azione in esame contro i dinieghi secondo la legge n. 326 del 2003, sono stati introdotti solo in via subordinata.

Dal che deriva che nei confronti dell’odierno appello è, prima di tutto, ventilabile difetto di interesse in capo al Comune di Bari atteso che, pur nell’ipotesi in cui il gravame in esame fosse stato accolto, a regolamentare la inviluppata vicenda edilizia di causa sempre rimane il primo condono rilasciato, con la connessa sequenza di atti autorizzativi.

4.- Si potrebbe obiettare che tra i due condoni in parola sussista vincolo di inscindibilità, se non formale, quantomeno sostanziale in relazione alle previste condizioni di legge.

Anche a voler riguardare la fattispecie da questa angolatura, l’appello non tange miglior sorte, sia in punto di fatto che di diritto.

Il Comune di Bari infatti, nell’atto di appello, muove dalla tesi che sin dall’inizio è stata effettuata dalla società appellata una realizzazione degli edifici a civile abitazione, in luogo della costruzione di residenze per studenti: da qui, derivano varie conseguenze sul versante della condonabilità delle opere contestate.

La prima, alla luce dell’interpretazione autentica data dalla stessa amministrazione comunale in relazione alla concessione edilizia originaria ed alle successive varianti in corso d’opera, porta alla conclusione che allora, alla data del 31 dicembre 1993, gli edifici in questione avessero gli elementi d’identificazione della loro destinazione ad uso abitativo.

Nella complessiva vertenza in trattazione, infatti, l’ultimazione del rustico al 31.12.1993 non è ricondotto al fatto materiale di una sua mancata realizzazione entro tale data (che non è contestato essere avvenuta, da cui le diverse decisioni in sede penale), bensì alla differente circostanza della sua conversione ad uso residenziale abitativo.

Nella diatriba, cioè, ci si è attardati intorno alla data di avvenuto tramutamento della destinazione d’uso o, meglio, sulla circostanza dell’impossibilità di un mutamento d’uso abitativo se non con riguardo ad una preventiva realizzazione dell’intervento a residenze di studenti, di talchè la costruzione verrebbe ad essere fuori termine del 31.12.1993 e dal campo di applicazione delle legge n. 724 del 1994.

Sotto tale aspetto, dunque, la disputa viene a risolversi in radice per ammissione stessa del Comune appellante circa la contestuale realizzazione ad abitazioni civili: tanto, determina perciò la validità della prima domanda di condono assentita, per l’applicabilità della legge n. 724 del 1994 (art. 39) alle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 “che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria”.

Ed, invero, come ritenuto da questo Consiglio, la legge condonistica estende la possibilità di sanatoria pure agli edifici che, anche se non ancora ultimati, hanno già acquisito una fisionomia tale da rendere individuabile il disegno progettuale e la destinazione abitativa e che necessita solo di lavori di completamento per la sua funzionalità (V^, 3 luglio 1995, n. 1002;
II^, 14 marzo 1990, n. 669).

5.- La seconda, che è relativa al dedotto mutamento della tipologia strutturale e funzionale, deve considerare che l’intervento contestato non è nella specie in contrasto a vincoli di assoluta inedificabilità e, quindi, l’abuso è suscettibile di sanatoria, rientrando nelle ipotesi di generico contrasto rispetto alla destinazione urbanistica e non essendo stata dedotta alcuna norma di PRG (del Comune di Bari) che vieti lo specifico mutamento della destinazione del tipo di utilizzazione in quel determinato contesto territoriale (Cons. St., IV^, 16 giugno 1987, n. 365).

D’altro canto, la stessa Corte di Appello nella ricordata sentenza ed a proposito dell’esclusa lottizzazione abusiva, ha rilevato come la originaria destinazione del complesso edilizio era comunque di carattere residenziale –sia pure di una tipologia residenziale specialistica, quale quella di residenze per studenti- e, pertanto, non necessitante di alcun preliminare atto di pianificazione, generale o secondario, e neanche comportante alcun diverso carico urbanistico o insediativo nel perimetro del comprensorio per effetto dell’intervenuto mutamento nella destinazione d’uso degli immobili (pag. 106 e ss.).

In altri termini, secondo il giudice penale, il diverso uso impresso dalla società appellata è in armonia alle caratteristiche residenziali della zona e non riconducibile a categorie disomogenee di utilizzazione degli immobili stessi nell’uso residenziale.

Deve essere rammentato allora, quanto ritenuto da questo Consiglio in casi consimili:

- “per completamento funzionale deve intendersi la realizzazione delle principali opere necessarie per attuare il mutamento di destinazione, incompatibili con l'originaria destinazione assentita, ancorché non siano stati ancora realizzati gli impianti e le rifiniture di carattere complementare ed accessorio;
pertanto, gli indicatori principali del completamento funzionale in caso di mutamento d'uso da alberghiero ad abitativo di un edificio sono dati dalla individuazione e definizione degli ambienti costituenti l'unità residenziale e dalla presenza degli impianti per l'installazione delle cucine, non occorrendo l'effettiva utilizzazione della nuova destinazione”
(V, 4 luglio 2002, n. 3679);

- “per ottenere il condono edilizio in caso di mutamento di destinazione d'uso di un fabbricato è sufficiente (in base al combinato disposto degli art. 4 comma 1 e 18 comma 1 e 5 l. 28 gennaio 1977 n. 10 e dell'art. 31 comma 2 l. 28 febbraio 1985 n. 47) che quest'ultimo venga funzionalmente completato entro il I ottobre 1983, ossia che entro tale data, pur se le attività costruttive siano ancora in corso, il fabbricato sia comunque già fornito delle opere indispensabili a renderne effettivamente possibile un uso diverso da quello a suo tempo assentito...cioè di opere del tutto incompatibili con l'originaria destinazione d'uso, e ciò per l'evidente ragione di non incorrere nell'eventuale disparità di trattamento, che potrebbe scaturire tra le ipotesi di nuova costruzione totalmente abusiva - per la cui sanabilità bastano l'esecuzione del rustico ed il completamento della copertura - e i casi di opere interne con mutamento di destinazione d'uso, per le quali è appunto sufficiente il completamento funzionale” (V, 14 luglio 1995, n. 1071);

- “per il condono dell'abusivo mutamento della destinazione d'uso di un immobile è sufficiente che, ai sensi dell'art. 31 comma 2 l. 28 febbraio 1985 n. 47, lo stesso sia stato "completato funzionalmente" entro il termine del I ottobre 1983, vale a dire che entro tale data (anche se le attività costruttive siano ancora in corso) l'immobile deve essere comunque già fornito delle opere indispensabili a rendere effettivamente possibile un uso diverso da quello assentito” (V, 16 dicembre 1994, n. 1514).

Dunque, il determinato mutamento di destinazione d’uso a residenziale abitativo, non è di ostacolo alla condonabilità, perché concomitante all’esecuzione dei lavori per stessa ammissione di parte appellante.

6.- La terza, concernente la doglianza agitata dell’avvenuta realizzazione di “nuove costruzioni” , perviene a risultati non coerenti rispetto alla fattispecie concreta, in quanto le disposizioni particolari del secondo e terzo condono si applicano anche per gli ampliamenti effettuati in corso d’opera rispetto a volumetria assentita in base a regolare concessione (Corte Costituzionale, 6 marzo 2001, n. 45).

Peraltro, le varie leggi che sono intervenute in materia di condono edilizio non prevedono affatto la condizione che le attività edilizie abusive in concreto realizzate non possano interessare un concomitante mutamento di destinazione d’uso o intervenire in corso d’opera in difformità rispetto al titolo originario assentito, tant’è che sono diversamente tabellate le variazioni d’uso con opere e senza.

Inoltre, ai sensi dell'art. 10, comma 1, del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 (testo unico in materia edilizia), la “ristrutturazione pesante" di un edificio può portare alla realizzazione di un organismo edilizio diverso dal precedente, con possibile aumento di unità immobiliari, ovvero modifiche di volume, sagoma, prospetti o superfici: la situazione in esame non è dissimile.

Infine, ad addivenire alla tesi comunale e relativamente alle domande di condono presentate dai proprietari degli immobili, dai promissari acquirenti e dall’impresa appellata, ben possono aversi una serie di istanze quanti sono i proprietari o i soggetti aventi titolo al condono, relative per ciascun richiedente alle porzioni di appartenenza, “anche se comprese in una unica costruzione unitaria” (Corte Costituzionale, sentenza n. 302 del 1996).

Infatti, per le nuove costruzioni (sia dall’art. 39, comma primo, della legge n. 724 del 1994, sia per il richiamo fattone dall’art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003) e da estendere anche agli ampliamenti, è prevista la possibilità derogatoria di calcolare la volumetria per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria, per effetto della suddivisione della costruzione in autonome unità immobiliari o di limitazione quantitativa del titolo che abilita la presentazione della domanda di sanatoria, come nel caso di: proprietà di parte della costruzione a seguito di alienazione o di singole opere da sanare (art. 31, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47) o titolarità di diritto di usufrutto o di abitazione (ad es. limitata a singola porzione di immobile), titolarità di diritto personale di godimento, quando la legge o il contratto abiliti a fare le opere (art. 31, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, in relazione all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10) o ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria (art. 31, terzo comma, della legge n. 47 del 1985), come l'istituto di credito mutuario, con ipoteca su singola porzione di immobile, il locatario o altri aventi titolo a godere della porzione di immobile, od altro ancora.

Quindi, il secondo condono straordinario, con i suoi più ampi limiti volumetrici rispetto al terzo, consente la sanabilità delle nuove costruzioni, anche in via di scissione delle separate domande di sanatoria per effetto di suddivisione in autonome costruzioni o in base al titolo parziale in base al quale è stato chiesto il condono precauzionale, nella specie peraltro assorbito dall’anteriore sanatoria assentita.

7.- Si possono così trarre le decisive conclusioni in ordine ai contestati ampliamento della costruzione assentita e variazione apportata all’uso originario.

Al riguardo, merita osservare quanto segue:

- poiché il tipo di intervento realizzato mediante la operata conversione in appartamenti residenziali dei vani dedicati a residenze di studenti ed in quanto la nuova conformazione non ha comportato una trasformazione urbanistica ed edilizia della zona per la sua omogeneità di tipologia secondo le espresse statuizioni della Corte di Appello, tali da escludere una nuova maglia di tessuto urbano, le relative irregolarità edilizie devono essere definite quale semplice abuso (Cass. Pen., III, 3 marzo 2005, n. 17663);

- la maggior cubatura realizzata, in quanto eseguita durante i lavori, si configura anch’essa quale semplice abuso edilizio, come tale rientrante nel limite percentuale del 30% preveduto dalla legge condonistica (Cons. St., V, 16 ottobre 1989, n. 641);

- la effettiva "ultimazione" dei lavori (secondo la nozione fornita dall'art. 31 della legge n. 47/1985), essendo materialmente avvenuta entro il termine previsto del 31 dicembre 1993 per accedere al condono secondo la prima sanatoria accordata e non potendo essere l’intervento condizionato alla previa realizzazione del progetto originario in funzione del successivo mutamento d’uso (per le ragioni già dette), ben può essere contestuale sin dall’inizio ed avvenire in corso di esecuzione dei lavori (sul punto, vanno richiamati i precedenti ricordati), circostanza questa che porta ad escludere la dedotta “novità” nella realizzazione delle costruzioni abusive, come da stesse difese appellanti che si rapportano ad avvenute trasformazioni abitative sin dall’inizio;

- la pacifica insussistenza di vincoli di ogni genere ovvero di specifico divieto di aumento volumetrico e, praticamente, la stessa assenza dichiarata in sede penale di intervenuta variazione nei rapporti stabiliti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, portano ad escludere qualsiasi causa di non condonabilità assoluta dell'opera (Cass. Pen., III, 13 novembre 2003, n. 3350);

- la tempestività (che non è stata mai messa in discussione) della presentazione da parte dell' appellato (o di eventuali altri soggetti legittimati) di una domanda di sanatoria, riferita puntualmente alle opere abusive contestate, assume perciò tutti i requisiti di proponibilità e procedibilità in quanto inerente ad un semplice abuso edilizio (Cons. St., V, 16 ottobre 1989, n. 6419);

- l'avvenuto "integrale versamento" della somma dovuta ai fini dell'oblazione, non contestata e ritenuta congrua dall'Amministrazione comunale, unitamente all’intervenuto rilascio della precedente concessione in sanatoria, efficace, e per le stesse ragioni sin qui illustrate perciò valida, sorreggono anche l’idonea fattispecie condonistica a titolo precauzionale, che è rimedio aggiuntivo e non sostitutivo rispetto alla precedente sanatoria assentita.

Il Comune appellante si è arrestato, invece, pur se sospintovi dall’intricato inviluppo penale, al dato formale di una presupposta inconciliabilità giuridica di ampliamento dell’edificazione con mutamento della destinazione d’uso.

Conseguentemente, deriva da tutto ciò, stante la compatibilità degli abusi rilevati con le caratteristiche urbanistico-edilizie della zona e rientrando essi nei limiti applicativi della sanatoria straordinaria, che il condono in esame non possa essere denegato alla stregua dei principi di diritto dianzi enunciati, quantunque cautelativo ma accessivo al precedente condono accordato.

11.- In sintesi, per le argomentazioni tutte sopra riportate, l’appello va respinto e la sentenza confermata con le motivazioni in questa sede rese.

Le spese di lite relative all’odierno grado di giudizio possono essere tuttavia integralmente compensate tra le parti, in considerazione della particolarità della fattispecie.

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