Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-08-30, n. 201704107
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Pubblicato il 30/08/2017
N. 04107/2017REG.PROV.COLL.
N. 08211/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale n. 8211 del 2013, proposto da G M A, rappresentata e difesa dall'avvocato G C S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Porta Pinciana n. 6;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio – Roma – Sezione I, 11 aprile 2013, n. 3679, resa tra le parti, concernente giudizio di non idoneità al concorso per la nomina a 200 posti di notaio;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2017 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati G. Sciacca e l’avvocato dello Stato Noviello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia riguarda l’impugnazione, da parte della dott.ssa G M A, del giudizio di non idoneità, di cui al verbale n. 336 del 1° marzo 2012, espresso dalla Commissione per l’esame teorico pratico del concorso per la nomina a 200 posti di notaio, indetto con decreto del Ministero della Giustizia del 28 dicembre 2009, pubblicato in G.U. del 12 gennaio 2010 - IV Serie Speciale.
2. La ricorrente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell’70DAF02C14A6F746091" data-article-version-id="f044c5a3-681f-5bcf-82e8-51937a31e831::LRC70DAF02C14A6F746091::2009-06-19" href="/norms/laws/itatexthrh64xpwjqipxx2/articles/itaartzip31dsjti4pw28?version=f044c5a3-681f-5bcf-82e8-51937a31e831::LRC70DAF02C14A6F746091::2009-06-19">art. 10, commi 2 e 7 e dell’art. 11, commi 5 e 7 del D.lvo 24 aprile 2006, n. 166;L’eccesso di potere per manifesta illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà, difetto ed errore nei presupposti, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, motivazione insufficiente, superficiale e incompleta, disparità di trattamento nonché contraddittorietà con precedenti manifestazioni di volontà.
A parere della ricorrente la Commissione avrebbe gravemente errato nel suo giudizio per avere:
a) ritenuto la tecnica redazionale utilizzata nell’elaborato del tutto inadeguata senza, tuttavia, confortare tale asserzione con adeguato apparato motivazionale;
b) nel merito, ritenuto erroneamente che la candidata abbia omesso volontariamente di rispondere ai quesiti posti dalla traccia immaginando un percorso diverso da quello individuato come parte della prova di esame;
c) giudicato con disparità di trattamento gli elaborati di altri candidati pervenuti al medesimo risultato tramite ragionamento sostanzialmente analogo, riservando ad essi un giudizio più benevolo e privo di alcun tipo di censura.
2. Il T.a.r. per il Lazio, sezione I, con la sentenza n. 3679 dell’11 aprile 2013 ha:
a) respinto il ricorso;
b) compensato tra le parti le spese di lite.
3. La dott.ssa Attinà ha interposto gravame avverso la predetta sentenza riproponendo espressamente il motivo di impugnazione dedotto nel primo grado del giudizio e censurando il percorso logico-giuridico seguito dal giudice di prime cure nella parte in cui ha ritenuto scevra da vizi di legittimità la scelta della Commissione di non procedere alla lettura del secondo elaborato, sul rilievo della (riscontrata) grave insufficienza di cui all’art. 11, comma 7 del D.lvo 24 aprile 2006, n. 166, e dell’assenza della lamentata disparità di trattamento rispetto agli elaborati di altri candidati, a motivo dell’indimostrata identità o totale assimilabilità delle situazioni di base poste a raffronto.
4. Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia chiedendo pronunciarsi l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza nel merito dell’avverso appello, con vittoria delle spese di lite.
5. L’appellante ha insistito ulteriormente nella propria tesi difensiva attraverso il deposito di memoria difensiva.
6. All’udienza del 18 maggio 2017 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.
7. L’appello è infondato e non merita accoglimento per i seguenti motivi.
7.1. Prima di procedere allo scrutinio del riproposto motivo di impugnazione occorre precisare, ai fini della migliore comprensione della fattispecie in esame, il quadro normativo all’interno del quale essa si colloca.
Il concorso in questione è regolamentato dal D.lvo 24 aprile 2006, n. 166 (in Gazzetta Ufficiale del 10 maggio 2006, n. 107), recante “ Norme in materia di concorso notarile, pratica e tirocinio professionale, nonché in materia di coadiutori notarili in attuazione dell'articolo 7, comma 1, della legge 28 novembre 2005, n. 246 ”.
Le norme maggiormente significative ai fini della soluzione della controversia e la cui violazione è stata lamentata dalla ricorrente sono contenute, in particolare, negli artt. 10 (che detta le modalità di funzionamento della Commissione) e nell’art. 11 (che disciplina le modalità di correzione degli elaborati).
Al dichiarato e precipuo scopo di garantire la prevedibilità e l’omogeneità dei giudizi è, infatti, previsto che la Commissione, prima di iniziare la correzione, definisca i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l'ordine di correzione delle prove stesse (art. 10, comma 2);abbia la facoltà di convocare riunioni plenarie o sedute allargate in modo che possano assistere alla correzione anche altri commissari (art. 10, comma 7);possa sinteticamente motivare anche mediante formulazioni standard e attribuzione di punteggio numerico (art. 11, comma 5);possa dichiarare non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi nel caso in cui, dalla lettura del primo o del secondo elaborato, emergano nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione ai sensi dell’articolo 10, comma 2 (art. 11, comma 7).
Nel caso di specie la Commissione si è autovincolata a rispettare, nella correzione degli elaborati, i seguenti criteri generali:
a) la rispondenza dell’elaborato al contenuto della traccia;
b) l’aderenza delle soluzioni adottate alle norme e ai principi dell’ordinamento giuridico;
c) la corrispondenza delle soluzioni all’interesse delle parti, quale manifestato al notaio dai contraenti e disponenti;
d) l’adeguatezza delle tecniche redazionali, anche nella prospettiva della chiarezza espositiva dell’atto.
La medesima Commissione ha, inoltre, stabilito che la esclusione anticipata dal concorso prima della correzione del terzo elaborato potesse avere luogo al verificarsi di una delle seguenti circostanze ( cd. errori ostativi):
a) l’errata interpretazione ovvero comunque il travisamento della traccia, tali da far pervenire il candidato alla formulazione di un atto che non realizza le finalità pratiche indicate dalle parti;
b) la contraddittorietà tra le soluzioni adottate, ovvero tra esse o una di esse, e le relative ragioni giustificative;la mancanza di adeguata giustificazione delle soluzioni adottate;
c) l’omessa trattazione di argomenti richiesti in parte teorica ovvero gravi carenze emergenti nella trattazione di argomenti richiesti in parte teorica ovvero gravi carenze emergenti nella trattazione degli stessi;
d) i gravi, non occasionali, errori di grammatica o di sintassi”.
7.2. È accaduto che la dott.ssa Attinà sia stata giudicata non idonea con la sola lettura del primo elaborato scritto (redazione dell’atto mortis causa ), essendo stata riscontrata la grave insufficienza consistente: 1) nell’utilizzo di una tecnica redazionale del tutto inadeguata;2) nell’avere travisato la traccia e predisposto un atto che non realizza le finalità richieste;3) nell’avere volontariamente omesso di rispondere ai quesiti posti dalla traccia immaginando un percorso diverso da quello individuato e posto come parte della prova di esame, incorrendo in gravi lacune logiche e giuridiche.
7.3. È principio pacifico e incontrastato nella giurisprudenza amministrativa che in materia di pubblici concorsi (nella specie notarili) “ le commissioni esaminatrici, chiamate a fissare i parametri di valutazione e poi a giudicare su prove di esame o di concorso, esercitano non una ponderazione di interessi, ma un'amplissima discrezionalità tecnica, sulla quale il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere in particolari ipotesi-limite, riscontrabili dall'esterno e con immediatezza dalla sola lettura degli atti (errore sui presupposti, travisamento dei fatti, manifesta illogicità o irragionevolezza) ” (così il recente precedente specifico espresso dal Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 6 febbraio 2017, n. 492; ex multis , Consiglio di Stato, sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3012;Consiglio di Stato, sez. IV, 4 giugno 2013, n. 3057).
Costituiscono, pertanto, espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l'idoneità tecnica, culturale ovvero attitudinale dei candidati, tanto il momento (a monte) dell’individuazione dei criteri di massima per la valutazione delle prove, quanto quello (a valle) delle valutazioni espresse dalla commissione giudicatrice.
Da ciò discende che sia i criteri di giudizio sia le valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo se non nei limitati casi in cui l’esercizio del potere discrezionale trasmodi in uno o più dei vizi sintomatici dell’eccesso di potere (irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti), i quali – tipicamente – rappresentano dei vizi della funzione ( rectius , della disfunzione) amministrativa, per essere stato, il potere, scorrettamente esercitato o finalizzato al raggiungimento di finalità estranee a quella della scelta dei soggetti più idonei a ricoprire la funzione.
Nel caso di specie, la candidata non ha contestato la scelta dei criteri di giudizio, bensì la loro concreta applicazione pratica nel giudizio di sussunzione, da parte della Commissione, della fattispecie concreta in quella astrattamente prefigurata, ritenendo il proprio elaborato non meritevole del giudizio di grave insufficienza, ostativo alla correzione dei successivi elaborati.
L’assunto non ha pregio.
Nei concorsi pubblici in generale e in quello notarile in particolare, atteso il particolare spessore teorico pratico della competenza e della perizia richieste, vengono sottoposti ai candidati temi che non prevedono soluzioni predeterminate in astratto, ma che, invece, consentono più soluzioni possibili, purché – beninteso – correttamente costruite sul piano logico e giuridico e adeguatamente motivate.
Ciò risponde, all’evidenza, alla necessità pratica di individuare il profilo professionale che, munito di doti di comprensione, riflessione, ragionamento logico-giuridico e capacità espositivo-argomentativa, maggiormente corrisponde al tipo ideale di pubblico ufficiale preposto all’esercizio della funzione notarile.
Nel caso di specie la prova d’esame richiedeva di affrontare, funditus , il problema (dibattuto) dell’ammissibilità per il notaio di ricevere verbali di constatazione con conseguente precostituzione di prova privilegiata, in deroga al principio generale secondo cui la prova dei fatti si forma nel processo, e non già quello (erroneamente ritenuto e confuso dalla candidata) dell’ammissibilità del riconoscimento della donazione indiretta contenuta nel testamento.
L’elaborato in contestazione, infatti, si profonde sulla natura giuridica della dichiarazione resa dal testatore e sul contenuto non patrimoniale del testamento, svolgendo conclusioni dubitative – e invero ictu oculi nemmeno adeguatamente motivate, oltre che non pertinenti al caso sottoposto - circa l’ammissibilità dell’atto ricognitivo di liberalità indiretta all’interno del testamento, limitando il riferimento a quella che avrebbe dovuto essere la questione principale da esaminare, ad un mero richiamo, incidenter tantum e pure genericamente affrontato.
Come correttamente ritenuto dalla Commissione giudicatrice, pertanto, con motivazione adeguatamente supportata e scevra da profili di irragionevolezza e irrazionalità, ictu oculi riscontrabili, la candidata è incorsa in un palese travisamento della traccia, predisponendo un atto che non ha realizzato le finalità richieste e caratterizzato da scarso pregio a livello sia contenutistico che argomentativo.
7.4. Pure infondato è il profilo di censura concernente l’asserita disparità di trattamento rispetto al giudizio (ritenuto più benevolo) riservato ad altro candidato, identificato con la busta n. 22.
Richiamato l’indirizzo interpretativo, anch’esso pacifico e rimasto insuperato nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui la disparità di trattamento postula la dimostrazione che siano state trattate diversamente due situazioni uguali o analoghe ( ex multis , Cons. Stato, sez. IV, 15 dicembre 2011, n. 6601;sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6037;sez. IV, n. 3057/2013;sez. IV, 27 giugno 2007 n. 3745;sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5196), nel caso di specie è anzi dimostrato documentalmente che il suddetto candidato abbia affrontato principaliter l’argomento richiesto, con motivazione ritenuta idonea e sufficiente dalla Commissione. Tale giudizio, privo di manifesta irragionevolezza e irrazionalità, ictu oculi rilevabili, sfugge al sindacato di questo giudice, impingendo in una questione di puro merito sull’adeguatezza contenutistica ed espositiva della risposta rispetto al quesito prospettato.
8. L’appello, pertanto, per le suesposte considerazioni, non merita accoglimento.
9. La regolazione delle spese di lite del presente grado, liquidate come in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55, segue il principio della soccombenza.