Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-11, n. 201704703

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-11, n. 201704703
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704703
Data del deposito : 11 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/10/2017

N. 04703/2017REG.PROV.COLL.

N. 09435/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale n. 9435 del 2009, proposto dal signor P G, rappresentato e difeso dall’avvocato M L M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato V I in Roma, via Appia Nuova, 612;

contro

Comune di Venezia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati G G, M.M. Morino, A I, M B, N O, G V, N P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato N P in Roma, via Barnaba Tortolini, 34;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Veneto, Sez. II, n. 2468/2009, resa tra le parti, concernente diniego di condono edilizio, diniego del cambio di destinazione d’uso e ingiunzione di demolizione di opere abusive;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2017 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati M.L. Mangiantini e Natalia Paoletti (su delega dell'avv. N P);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITO

1. La controversia riguarda l’impugnazione, da parte del signor P G, nell’ambito di quattro giudizi riuniti, dei seguenti provvedimenti adottati dal comune di Venezia:

1.1. quanto al ricorso r.g.n.r. n. 3987/1996, del provvedimento datato 25 settembre 1996, prot. n. 15342/00 avente ad oggetto “ Sanatoria ai sensi dell’art. 31 della legge 28.2.1985 e successive modifiche e integrazioni. Opere eseguite in San Giuliano sez. Favaro Veneto – fg 23, mapp. 64-67 ”;
degli atti presupposti, connessi e conseguenziali;

1.2. quanto al ricorso r.g.n.r. n. 3988/1996, del provvedimento datato 25 settembre 1996, prot. n. 49.681/51985/00 avente ad oggetto “ Sanatoria ai sensi dell’art. 31 della legge 28.2.1985;
art. 39 della legge 23.12.1994, n. 724 e successive modifiche e integrazioni
”;
degli atti presupposti, connessi e conseguenziali;

1.3. quanto al ricorso r.g.n.r. n. 1116/1998, del provvedimento datato 25 marzo 1998, prot. n. 97/1722/68 avente ad oggetto “ Ordinanza di demolizione delle opere eseguite in via San Giuliano (Mestre), n. 6 – sez. Mestre fg. 23, mapp. 64-67 ”;
del parere 13 marzo 1997 della commissione edilizia;
degli atti presupposti, connessi e conseguenziali;

1.4. quanto al ricorso r.g.n.r. n. 2900/1998, del provvedimento datato 1 settembre 1998, prot. n. 98/5189, avente ad oggetto “ Domanda di autorizzazione edilizia – richiesta cambio destinazione d’uso su area di proprietà ”;
degli atti presupposti, connessi e conseguenziali.

2. Il T per il Veneto, Venezia, Sezione II, con la sentenza n. 2468 del 30 settembre 2009 ha:

a) riunito gli anzidetti ricorsi;

b) accolto il ricorso r.g.n.r. n. 1116/1998 annullando l’atto impugnato limitatamente alla parte in cui ha ingiunto la demolizione della recinzione, respingendolo per il resto;

c) respinto integralmente gli altri tre ricorsi (r.g.n.r. n. 3987/1996;
n. 3988/1996;
n. 2900/1998);

d) compensato tra le parti le spese di lite nella misura di un terzo e, per l’effetto, condannato il ricorrente al pagamento in favore del comune di Venezia delle spese liquidate in euro 300,00 per spese ed euro 5.700,00 per diritti e onorari, oltre accessori di legge.

3. Il signor G ha appellato la sentenza censurando il ragionamento logico-giuridico seguito dal giudice di prime cure;
ha chiesto ammettersi nel presente giudizio nuovi documenti ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a.;
ha insistito per l’integrale riforma delle statuizioni contenute nella sentenza gravata e per l’accoglimento di tutti i ricorsi, vinte le spese di lite.

4. Si è costituito il comune di Venezia chiedendo di respingere l’avverso appello, con il favore delle spese di lite.

5. Le parti hanno ulteriormente insistito nelle rispettive difese tramite il deposito di documenti, memorie integrative e di replica.

6. In data 13 aprile 2017 l’appellante signor P G ha presentato personalmente domanda di ricusazione chiedendo la sostituzione dell’intero Collegio giudicante.

7. Con ordinanza n. 1961/2017 il Collegio, in diversa composizione, ha respinto l’istanza condannando il ricorrente al pagamento in favore del Comune di Venezia delle spese del procedimento, liquidate in complessivi € 2.000,00 oltre accessori di legge, nonché della sanzione di cui all’art. 18, comma 7, c.p.a., liquidata in € 500,00.

8. All’udienza del 4 maggio 2017 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.

9. L’appello è infondato e non può essere accolto per le seguenti ragioni.

9.1. Con il primo motivo l’appellante assume la Nullità della sentenza per erronea interpretazione dei fatti e falsa applicazione dell’art. 31 della legge n. 1150 del 1942 e dell’art. 31 della legge n. 47/1985, anche in conseguenza della scoperta successiva di documenti – Lesione del diritto di difesa.

L’appellante sostiene che le opere oggetto di domanda di condono sarebbero state realizzate intorno al 1960, cioè prima dell’approvazione del piano regolatore comunale di Venezia, sicché – a mente della previsione di cui all’art. 31, della legge n. 1150 del 1942 – le stesse non potrebbero qualificarsi come abusive, né sarebbero assoggettabili alla procedura di sanatoria ex art. 31, della legge n. 47 del 1985.

Il T ha ritenuto l’assunto destituito di fondamento a motivo della mancata dimostrazione, da parte del privato, dell’esatta consistenza delle opere e della loro datazione, sia in sede amministrativa al momento della presentazione della domanda (per non avere corredato la stessa con idonea documentazione atta a comprovare e identificare le opere) sia in sede giudiziale (per non avere offerto nemmeno un principio di prova in tal senso). Il giudice di prime cure ha altresì sottolineato, incidenter tantum , l’irragionevolezza di fondo del comportamento della parte ricorrente di cui non si comprende la ragione per la quale si sarebbe determinata a richiedere ben due condoni se davvero fosse stata convinta, come oggi sostiene a forza, della legittimità del proprio intervento edilizio.

Le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure vanno pienamente condivise.

Secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa “ Ai fini del condono, ricade sul privato l'onere della prova in ordine alla ultimazione delle opere edilizie, dal momento che solo l'interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un manufatto;
in difetto di tali prove resta pertanto integro il potere dell'amministrazione di negare la sanatoria dell'abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria
” ( ex multis , Consiglio di Stato, sez. IV, 29 maggio 2014, n. 2782;
Id., 27 dicembre 2011, n. 752;
27 novembre 2010, n. 8298;
23 gennaio 2013, n. 414;
più di recente, Id., 15 giugno 2016, n. 2626).

Dai documenti versati agli atti, effettivamente, come riscontrato in prime cure, non è stato possibile risalire all’esatta consistenza e datazione delle opere di cui si tratta e, soprattutto, è mancata la prova della sostanziale identità tra le opere asseritamente edificate negli anni Sessanta e quelle esistenti, a seguito della presentazione della domanda di condono, alla data del 1 ottobre 1983, cui si riferisce l’art. 31, comma 1 della legge n. 47/1985.

Assume poi l’appellante che, anche laddove il difetto di prova si fosse effettivamente verificato nel primo grado di giudizio, nel presente grado il medesimo potrebbe essere colmato a motivo della scoperta – successivamente al deposito della gravata sentenza – di documenti comprovanti la consistenza delle opere al momento della presentazione della prima domanda di condono ad opera del proprio padre e dante causa signor Giovanni G.

Sostiene, infatti, l’appellante P G, che successivamente alla morte del proprio padre, avvenuta il 4 maggio 1987, il comune di Venezia avrebbe notificato a distanza di un anno e mezzo (il 3 novembre 1988) alla vedova signora B I, presso l’ultimo domicilio del defunto (Mestre, via Galliccioli n. 3), una nota interlocutoria tesa a sollecitare l’integrazione della domanda di condono. Tale documento – ha precisato l’appellante – non sarebbe mai stato da lui conosciuto a motivo del fatto che egli, all’epoca, aveva la residenza in altro luogo (Mestre, San Giuliano n. 6).

Aggiunge, infine, l’appellante, che la propria madre, signora B I, avrebbe provveduto a consegnarli in data 8 ottobre 2009, e dunque successivamente al deposito della sentenza, sia la suddetta nota sia la documentazione relativa alla pratica di condono prot. 15342 istruita da Giovanni G.

L’appellante ne chiede, pertanto, l’acquisizione agli atti del giudizio.

L’istanza non merita accoglimento.

Va premesso che, secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa, ai sensi di quanto disposto dall’art. 104, comma 2 c.p.a., e di quanto in generale previsto dall’art. 345 c.p.c., nel giudizio amministrativo di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio giudicante li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

A tale proposito il Consiglio di Stato ha chiarito, in numerosi precedenti specifici ( ex multis , Consiglio di Stato, sez. III, 27 giugno 2017, n. 3142), che “ il principio del divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova riguarda anche le prove cd. precostituite, quali i documenti, la cui produzione è subordinata, alla pari delle prove costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado, ovvero alla valutazione della loro indispensabilità, la quale peraltro non va intesa come mera rilevanza dei fatti dedotti, ma postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale ”.

Nel caso di specie, non ricorre nessuna delle due anzidette evenienze, non potendo essere favorevolmente apprezzata né la sussistenza della causa non imputabile, né quella della indispensabilità del documento.

Quanto, infatti, al primo aspetto, è rimasto accertato che l’odierno appellante, P G, ha presentato domanda di condono ai sensi della legge n. 47/1985 (prot. n. 49681/51985/00) in data 31 marzo 1995, in relazione alle opere eseguite a Mestre alla via San Giuliano n. 6, in un momento successivo (circa nove anni dopo) rispetto a quello in cui il proprio padre Giovanni G aveva presentato analoga domanda (prot. n. 15342) in data 3 aprile 1986.

Entrambe le domande, presentate ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47 del 1985 e relative alle stesse opere (ampliamenti e nuove edificazioni) site in Mestre, via San Giuliano n. 6, distinte allo stesso foglio 23 e stessi mappali 64-67, sono state rigettate sia a motivo della carente specificazione degli elementi minimi indispensabili atti a individuare le opere, sia a motivo del loro contrasto con la destinazione di p.r.g. (verde pubblico urbano).

L’odierno appellante, pertanto, al momento della presentazione della propria domanda di condono (in data 31 marzo 1995) ben avrebbe potuto e dovuto compiutamente istruire la pratica, reperendo la documentazione idonea presso la sede dell’impresa di famiglia ovvero presso il proprio padre, nel suo ultimo domicilio. A tutto voler concedere, infatti, seppure egli avesse, all’epoca, abitato in luogo diverso da quello dei genitori, comunque sarebbe gravato su di lui l’onere di corredare la propria pratica secondo i requisiti richiesti dalla legge, a prescindere dalla circostanza che analoga pratica era stata presentata dal di lui padre nove anni prima, riguardando, la domanda di condono, le medesime opere (nuove edificazioni e ampliamenti).

Il signor P G, infatti, nel marzo del 1995 (anno di presentazione della propria domanda di condono) era in grado di esattamente conoscere lo stato di fatto e di diritto dell’azienda ereditata dal proprio padre Giovanni G, la cui morte era avvenuta molti anni addietro, precisamente il 4 maggio 1987, sicché nella sua qualità di erede avrebbe dovuto e potuto compiere ogni attività possibile, materiale e giuridica, al fine di presentare all’amministrazione comunale una pratica compiutamente corredata.

A nulla vale, pertanto, nel presente procedimento, assumere l’illegittimità dei dinieghi di condono impugnati e finanche della sentenza gravata a motivo della mancata conoscenza della nota interlocutoria del 1988 e dei documenti (asseritamente) rinvenuti dalla di lui madre in fondo ad uno scatolone nell’abitazione di via Galliccioli n.

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