Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-05-09, n. 201102738

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-05-09, n. 201102738
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201102738
Data del deposito : 9 maggio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04160/2006 REG.RIC.

N. 02738/2011REG.PROV.COLL.

N. 04160/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4160 del 2006, proposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - S.I.I.T. Puglia e Basilicata e dall’Ufficio Territoriale del Governo di Potenza, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

M G, rappresentata e difesa dall'avv. D G, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza, 24;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. BASILICATA – POTENZA, n. 69/2006, resa tra le parti, concernente OCCUPAZIONE D'URGENZA PER REALIZZAZIONE IMPIANTO DI DEPURAZIONE


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2011 il Cons. Rosanna De Nictolis e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Massarelli e l’avvocato Buccellato per delega dell'avvocato Genovese;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La signora Giovanna Messina, odierna appellata, ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo della Basilicata per l’annullamento:

- del decreto del Prefetto di Potenza 11 novembre 1988 n. 5142 recante autorizzazione, in favore del Comune di Maratea, all’occupazione d’urgenza di un fondo di proprietà della signora Messina, per l’esecuzione di lavori di completamento della rete fognante e per l’impianto di depurazione dell’abitato di Maratea;

- della delibera n. 3909 dl Comitato di gestione dell’Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno datata 21 giugno 1988 avente ad oggetto approvazione della perizia di variante n. 4.

1.1. Il ricorso di primo grado è stato affidato ad undici motivi di ricorso.

2. Il Tribunale amministrativo adito, con la sentenza in epigrafe (6 febbraio 2006, n. 69), ha:

- dichiarato inammissibile l’impugnazione della delibera 21 giugno 1988 n. 3909 di approvazione della perizia di variante n. 4, e per, l’effetto, inammissibili il quinto e sesto motivo di ricorso;

- respinto il primo, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, diretti contro il decreto di occupazione d’urgenza;

- accolto il settimo motivo di ricorso, diretto contro l’occupazione d’urgenza, ritenendo provata la censura di mancanza dell’autorizzazione paesaggistica (ricadendo l’area occupata nella fascia di 300 metri dalla battigia);

- assorbito l’ottavo, nono, decimo e undicesimo motivo di ricorso, riferiti all’occupazione d’urgenza.

3. Hanno proposto appello, tempestivamente e ritualmente notificato e depositato, il Prefetto di Potenza e il Ministero delle infrastrutture e trasporti.

3.1. Con l’unico motivo di appello, si deduce travisamento dei fatti da parte della sentenza, in quanto l’autorizzazione paesaggistica esiste, essendo stata richiesta, secondo quanto è testualmente scritto a pag. 2 dell’atto di appello, il “9 dicembre 1983” e rilasciata il “9 dicembre 1993”.

Vi sarebbe inoltre l’autorizzazione forestale rilasciata con provvedimento 4 gennaio 1985.

Le due autorizzazioni sono state depositate in appello.

3.2. Parte appellata, costituitasi in giudizio, ha eccepito la tardività della produzione documentale, in violazione del divieto dei nova in appello ai sensi dell’art. 345 Cod. proc. civ..

Ripropone, inoltre, i motivi assorbiti in primo grado, e, in particolare, ritiene di riproporre, oltre all’ottavo, nono, decimo e undicesimo motivo del ricorso di primo grado, anche il quinto e il sesto.

4. Nell’ordine logico delle questioni, va anzitutto esaminata, sia alla luce dell’eccezione di parte appellata, sia d’ufficio, la questione dell’ammissibilità della produzione, da parte dell’appellante, di nuovi documenti in appello.

4.1. Dispone l’art. 345 Cod. proc. civ. (e oggi, con disposizione di identico tenore, l’art. 104, secondo comma, Cod. proc. civ.), che in appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova, ivi compresi i nuovi documenti, salvo che il Collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

L’inclusione dei nuovi documenti nel divieto dei nova in appello è stata normativamente disposta ad opera della l. 18 giugno 2009, n. 69 (in novellazione al Codice di procedura civile), in adesione all’orientamento in tal senso già espresso in precedenza dalla Corte di cassazione a sezioni unite (Cass., sez. un., 20 aprile 2005, n. 8203).

Va rimarcato che l’atto di appello è stato proposto nel 2006, e dunque nel vigore dell’orientamento giurisprudenziale delle sezioni unite che estende il divieto dei nova in appello alle prove documentali.

Pertanto, la disciplina positiva come codificata nel 2009 e nel 2010, e sopra riportata, trova piena applicazione al presente processo.

4.2. Si tratta allora di stabilire se, nel caso di specie, i nuovi documenti prodotti per la prima volta in appello siano o meno ammissibili.

Sotto tale profilo, si pone la questione se i due presupposti di ammissibilità delle prove nuove in appello, - vale a dire la dimostrazione che la parte non ha potuto produrli in primo grado per causa ad essa non imputabile, e la valutazione di indispensabilità da parte del collegio -, siano cumulativi o alternativi.

In base al dato letterale, i due presupposti sono alternativi.

Anche le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto i due presupposti alternativi (Cass., sez. un., 20 aprile 2005 n. 8203 afferma che il giudice, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non avere potuto proporre prima per causa ad esse non imputabili, è abilitato ad ammettere, nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga - nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite - "indispensabili", perché suscettibili di una influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come "rilevanti" (cfr. art. 184,primo comma;
art. 420, quinto comma, Cod. proc. civ.), hanno sulla decisione finale della controversia;
prove che, proprio perché "indispensabili", sono capaci , in altri termini, di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado).

La stessa giurisprudenza amministrativa mostra di ritenere i due presupposti alternativi (Cons. Stato, IV, 12 ottobre 2010, n. 7440;
IV, 18 giugno 2009, n. 4004;
VI, 29 ottobre 2008, n. 5409;
VI, 6 giugno 2008, n. 2718;
V, 7 maggio 2008, n. 2080;
VI, 4 giugno 2007, n. 2951;
VI, 14 aprile 2006, n. 2107;
IV, 6 marzo 2006, n. 1122;
V, 22 dicembre 2005, n. 7343).

4.3. Ad avviso del Collegio, la tesi dell’alternatività dei due presupposti è da condividere perché si fonda su un dato letterale chiaro e perché meglio risponde al principio dispositivo con metodo acquisitivo che connota il processo amministrativo, nel quale, a differenza che nel processo civile, nel processo di primo grado non vi sono limiti temporali alla produzione delle prove. Si deve pertanto ritenere che la valutazione di indispensabilità possa essere compiuta dal giudice di ufficio, senza la prova di impossibilità di produzione in primo grado, sia nel caso, individuato dalle sezioni unite, in cui le nuove prove possano determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado, sia nel caso in cui dal complesso delle circostanze emerga comunque che non vi sono colpe istruttorie della parte in primo grado.

4.4. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, il Collegio rileva, anzitutto, che nel processo amministrativo di primo grado l’Amministrazione resistente ha l’onere di depositare il provvedimento impugnato e gli atti e documenti del relativo procedimento amministrativo e gli altri ritenuti utili (art. 21, l 6 dicembre 1971, n. 1034;
ora art. 46, comma 2, Cod. proc. amm.).

Se l’Amministrazione non provvede a tale adempimento, il giudice ordina anche d’ufficio l’esibizione dei documenti (art. 21 l. n. 1034 del 1971;
art. 65, comma 3, Cod. proc. amm.).

Se ne desume che il provvedimento impugnato e gli atti del procedimento amministrativo relativo, sono per definizione “indispensabili” al giudizio e la mancata produzione da parte dell’Amministrazione non comporta decadenza, sussistendo il potere-dovere del giudice di acquisirli d’ufficio.

Con l’ulteriore conseguenza che la mancata acquisizione d’ufficio da parte del giudice può essere supplita con i poteri ufficiosi del giudice di appello - atteso che l’art. 46, comma 2, Cod. proc. amm. è senz’altro applicabile in grado di appello -, senza che si incontri la preclusione ai nova in appello recata dall’art. 104, comma 2, Cod. proc. amm. (Cons. Stato, V, 29 marzo 2011, n. 1925), essendovi per definizione un’indispensabilità, sotto il profilo probatorio, del provvedimento impugnato e degli atti del relativo procedimento.

4.5. Nel caso di specie, dagli atti del processo di primo grado si evince che, a fronte del motivo del ricorso di primo grado con cui si lamentava la mancanza di autorizzazione paesaggistica, l’Amministrazione con memoria depositata in prime cure il 24 novembre 2005 replicava (pag. 7) che l’autorizzazione paesaggistica era intervenuta, pur non producendola in giudizio.

A fronte di tali risultanze processuali, il giudice di primo grado avrebbe dovuto ordinare il completamento della produzione documentale da parte dell’Amministrazione, prima di decidere nel senso dell’inesistenza dell’autorizzazione paesaggistica.

Tanto più che non si può ravvisare una colpa dell’Amministrazione nel non aver tempestivamente prodotto l’autorizzazione paesaggistica, perché a stretto rigore la stessa non faceva parte del procedimento sfociato nell’occupazione d’urgenza, non essendo atto presupposto necessario per addivenirsi all’occupazione d’urgenza, ma solo per la realizzazione dell’opera.

4.6. Ne consegue che la prova documentale, prodotta in appello, va ritenuta ammissibile.

La prova documentale è costituita da un’autorizzazione paesaggistica richiesta in data 11 novembre 1983 e rilasciata in data 9 dicembre 1983 (prot. 1477).

Rilevata l’esistenza dell’autorizzazione paesaggistica (peraltro non rilevante ai fini della legittimità dell’occupazione d’urgenza), va riformata la sentenza di primo grado e respinto, sotto tale profilo, il ricorso di primo grado.

5. L’accoglimento dell’appello rende necessario esaminare i motivi del ricorso di primo grado asseritamente assorbiti e riproposti da parte appellata con memoria.

6. Va anzitutto dichiarata inammissibile la riproposizione, con semplice memoria anziché con appello incidentale, del quinto e sesto motivo del ricorso di primo grado, perché tali due motivi non sono stati assorbiti dal Tribunale amministrativo (come sostiene l’appellata), ma sono stati dichiarati inammissibili. Si delinea pertanto una soccombenza, che andava contestata con appello incidentale notificato.

La questione di inammissibilità è stata rilevata d’ufficio in udienza, ai sensi dell’art. 73, comma 3, Cod. proc. amm., come da verbale di udienza.

7. Restano da esaminare i motivi del ricorso di primo grado effettivamente assorbiti, vale a dire l’ottavo, nono, decimo e undicesimo.

7.1. Con questi si deduce che l’occupazione di urgenza sarebbe illegittima perché:

a) mancherebbe l’autorizzazione della Camera di commercio per la trasformazione a scopo edilizio di terreno boschivo assoggettato a vincolo idrogeologico (ottavo motivo);

b) mancherebbero il parere dell’ufficiale sanitario e della commissione edilizia (nono motivo);

c) mancherebbe il nulla osta regionale sulla variante progettuale posta a base dell’occupazione (decimo motivo);

d) l’occupazione d’urgenza sarebbe stata disposta prima di aver deciso il tipo di impianto di depurazione da realizzare (undicesimo motivo).

7.2. L’ottavo e il nono motivo sono infondati perché si basano sull’erroneo assunto che le autorizzazioni ivi indicate siano atti presupposti dell’occupazione d’urgenza, laddove l’occupazione d’urgenza si fonda solo sulla verifica che vi sia una dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell’opera, e che l’opera sia localizzata sulle aree di cui si chiede l’occupazione, e non anche sulla verifica che l’opera pubblica abbia ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie;
in definitiva, le autorizzazioni indicate nell’ottavo e nono motivo, se in ipotesi necessarie per realizzare l’opera pubblica, non entrano comunque nello schema procedimentale che sfocia nell’occupazione d’urgenza.

7.3. Il decimo motivo di ricorso deduce un vizio della variante progettuale, e va ritenuto inammissibile perché già il giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile l’impugnazione della variante progettuale.

7.4. L’undicesimo motivo va disatteso perché deduce circostanze generiche e non dimostrate.

8. In conclusione, va accolto l’appello e per l’effetto va respinto il ricorso di primo grado, anche in relazione alle censure assorbite dalla sentenza impugnata.

Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate in considerazione della durata della vicenda procedimentale e processuale e del diverso esito del giudizio in primo grado e in appello.

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