Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-02-28, n. 201700908

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-02-28, n. 201700908
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201700908
Data del deposito : 28 febbraio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/02/2017

N. 00908/2017REG.PROV.COLL.

N. 00071/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 71 del 2008, proposto da:
M A, rappresentato e difeso dall'avvocato P G , domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Comune di Andretta in persona del Sindaco p.t. e Gallo A T non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE II n. 01799/2006, resa tra le parti, concernente demolizione opere realizzate in assenza di concessione edilizia.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2016 il Cons. N R e uditi per le parti gli avvocati nessun presente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con appello n.r.g. 71/2008, il sig. Antonio Miele chiede la riforma della sentenza n. 1799/2006 del TAR Campania – Salerno per aver dichiarato in parte improcedibile e in parte infondato il ricorso avverso l’ordinanza del Sindaco del Comune di Andretta del 16 agosto 1999 di demolizione delle opere realizzate in assenza e difformità delle concessioni ed autorizzazioni, concernenti immobili di proprietà dell’odierno appellante, nonché di sgombero e di ripristino dei luoghi.

In primo luogo l’appellante chiede l’esclusione dal giudizio dell’interveniente ad opponendum in primo grado A T Gallo per mancanza di interesse.

Il sig. Miele si lamenta, quindi, della mancata revoca della nomina del geometra D M a CTU, in quanto professionista non competente all’assolvimento della funzione in materia urbanistica, che per legge è riservata agli architetti.

Con gli altri motivi di gravame viene esposta la “violazione del principio del giusto procedimento. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 e 7 della L. n. 241/90. Carenza di istruttoria. Erroneità dei presupposti. Error in judicando. Motivazione carente e contraddittoria”;

L’amministrazione avrebbe illegittimamente omesso di comunicare l’avvio del procedimento di emissione dell’ordinanza di demolizione, impedendo al privato di partecipare al procedimento e di segnalare all’amministrazione l’inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma per procedere alla demolizione.

L’ordinanza, poi, risulterebbe viziata per la carente descrizione dei presupposti giustificativi cui risulterebbe ancorato il provvedimento di demolizione.

È dedotta altresì l’“illegittimità e ingiustizia della decisione di rigetto del ricorso. Sviamento. Contraddittorietà”.

Il TAR sarebbe incorso in errore, in ciò indotto dalla carente istruttoria fondata sulla relazione del geometra D M, ritenendo che nel caso di specie era legittimo procedere alla demolizione, mentre sarebbe stato possibile procedere alla sanatoria o in ogni caso al condono.

“Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 e 7 Legge 141/90. Carenza o insufficiente motivazione. Eccesso di potere per contraddittorietà tra gli atti. Illogicità. Sviamento. Carenza di interesse pubblico”.

Il Comune avrebbe, anche, illegittimamente omesso di consentire la partecipazione dei privati e quindi di prendere atto di ulteriori elementi utili al fine di una più compiuta istruttoria procedimentale.

Il provvedimento, inoltre, sarebbe viziato per eccesso di potere per contraddittorietà di atti emessi dallo stesso e dall’ANAS, i quali deporrebbero nel senso della legittimità delle opere realizzate dall’appellante.

Non si sono costituiti il Comune di Andretta e la sig.ra A T Gallo.

Alla pubblica udienza del 7 luglio 2016 l’appello è stato discusso e trattenuto

DIRITTO

L’appello è infondato e deve essere respinto.

In primo luogo deve osservarsi che è ammissibile l’intervento ad opponendum in primo grado da parte della vicina Enna Teresa Gallo che è la vicina che ha segnalato gli abusi che hanno dato luogo al provvedimento impugnato. E, infatti, l’interveniente ad opponendum si colloca dalla parte dell’amministrazione: si oppone all’accoglimento del ricorso. Mentre per l’intervento ad adiuvandum occorre una situazione soggettiva qualificata

(cioè l’interveniente deve essere legittimato nello stesso modo in cui è legittimato il

ricorrente), nell’altro caso, si ritiene che l’intervenente, ponendosi nella stessa

condizione processuale dell’amministrazione possa essere titolare di un mero

interesse di fatto. Peraltro, poiché la PA agisce a tutela di un interesse pubblico,

partecipa al processo in quanto titolare di un interesse pubblico il soggetto terzo,

l’interveniente, collocandosi nella stessa posizione può vantare un semplice interesse

di fatto.

In secondo luogo appare superfluo esaminare la censura relativa alla mancata revoca della nomina del geometra D M a CTU, in quanto la sentenza poggia la sua ratio decicendi sul fatto che le opere di cui ai punti 2) e 3) dell’ordinanza di demolizione risultano realizzate senza rilascio di alcun provvedimento autorizzatorio (pag. 4 sent.), per cui le risultanze della CTU risultano solamente confermative di tale circostanza di fatto.

Passando ad esaminare il merito del gravame, questo Collegio evidenza la correttezza della statuizione del TAR, la quale, pertanto, deve essere confermata.

Con riferimento alla mancata previa comunicazione dell’ordinanza di demolizione non può che farsi riferimento al costante orientamento di questo Consiglio di Stato che, sulla scorta della natura vincolata dell’ordinanza di demolizione, ritiene la superfluità della comunicazione di avvio del procedimento.

Oramai consolidata giurisprudenza esclude la necessità della partecipazione nei procedimenti di contrasto all’abusivismo edilizio (ex multis C.d.S., IV, 26 agosto 2014, n. 4279), ovvero, sotto diversa angolazione prospettica, nega al vizio de quo carattere invalidante;
il Collegio non può qui non ribadire quanto più volte precisato da questo Consiglio di Stato (cfr. sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659;
sez. IV, 4 febbraio 2013, n. 666;
sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3471) e cioè che nei procedimenti preordinati all’emanazione di ordinanze di demolizione di opere edili abusive non trova applicazione l’obbligo di comunicare l’avvio dell’iter procedimentale in ragione della natura vincolata del potere repressivo esercitato, che rende di per sé inconfigurabile un qualunque apporto partecipativo del privato (che gli appellanti per la verità evocano, ma in termini del tutto generici). In questo senso va così intesa la ricorrente affermazione di questo Consiglio, secondo cui le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente (così testualmente, fra le tante, sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4925, proprio con riguardo all’ipotesi del provvedimento vincolato;
cfr. ex multis C.d.S., IV, 26 agosto 2014, n. 4279 e da ultimo C.d.S., IV, sent. n. 445/2017).

Il TAR, quindi, nella propria decisione, ha aderito all’indirizzo giurisprudenziale costante, rigettando correttamente questo profilo di illegittimità.

Le stesse motivazioni valgono ad escludere la necessaria partecipazione dei privati al procedimento de quo, la cui presunta violazione è denunciata con il quarto motivo di appello. Trattandosi di provvedimento vincolato, la partecipazione dei privati non avrebbe potuto aggiungere nulla all’istruttoria disposta dal Comune, il quale una volta rilevato la difformità con il paradigma normativo, non avrebbe potuto che adottare l’ordinanza di demolizione.

Né l’amministrazione, contrariamente da quanto sostenuto dall’appellante, avrebbe dovuto motivare in ordine alle ragioni di interesse pubblico che imponevano la demolizione dei manufatti, anche alla luce del periodo di tempo intercorso tra la loro costruzione e l’ordine di demolizione.

È principio consolidato che la demolizione degli abusi edilizi non richieda nessuna specifica motivazione, necessaria invece in casi di contrarie determinazioni. L’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato, cioè, con l’affermazione dell’accertata abusività del manufatto.

La repressione degli abusi edilizi è espressione di attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura repressiva intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso. Invero, l’illecito edilizio ha carattere permanente, che si protrae e che conserva nel tempo la sua natura, e l’interesse pubblico alla repressione dell’abuso è “in re ipsa”. L’interesse del privato al mantenimento dell’opera abusiva è necessariamente recessivo rispetto all’interesse pubblico all’osservanza della normativa urbanistico – edilizia e al corretto governo del territorio. Non sussiste alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, poiché l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore “contra legem”. Non può ammettersi cioè un affidamento meritevole di tutela alla conservazione di una situazione di fatto abusiva. Colui che realizza un abuso edilizio non può dolersi del fatto che l’amministrazione lo abbia prima in un certo qual modo avvantaggiato, adottando solamente a notevole distanza di tempo i provvedimenti repressivi dell’abuso non sanabile (v. “ex plurimis”, Cons. St. , IV, 3182/2013, VI, 6072/2012 e IV, 4403 /2011, 79/2011, 5509/2009 e 2529/2004).

Il Collegio non ignora che per un diverso orientamento, più sensibile alle esigenze del privato, su cui v. Cons. St. , sez. V, nn. 883/2008 e 3270/2006, “il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso” e “il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza” potrebbero ingenerare un affidamento in capo al privato, rispetto al quale graverebbe sul Comune un “onere di congrua motivazione” circa il “pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al mero ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato”.

Si ritiene, tuttavia, di non condividere l’orientamento suddetto. Va invece accolta la tesi per cui, come si è già visto (v., “ex multis”, Cons. St. , IV, n. 79/11 e, ivi, numerosi riferimenti giurisprudenziali aggiuntivi), “l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare” (conf. Cons. St., sez. IV, n. 4403/11, secondo cui l’ordinanza di demolizione costituisce atto dovuto della p.a., riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge, con la conseguenza che il provvedimento sanzionatorio non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente la mera rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata;
né è necessaria una previa comparazione dell’interesse pubblico alla repressione dell’abuso, che è in “re ipsa”, con l’interesse del privato proprietario del manufatto;
e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, ove il medesimo non sia stato oggetto di sanatoria in base agli interventi legislativi succedutisi nel tempo”). (cfr da ultimo Cons. Stato, VI, sent. 5 gennaio 2015, n. 13).

Non può, quindi, che concordarsi con il TAR laddove rigetta la doglianza relativa al difetto di motivazione del provvedimento. Nella motivazione, infatti, sono indicate le opere sanzionate rispetto alle quali è stato accertato l’omessa autorizzazione del sindaco, necessaria per la realizzazione dei manufatti realizzati dall’appellante. Tanto basta per procedere all’ordinanza di demolizione.

Né sarebbe stato onere del Comune, in sede di istruttoria, verificare la sanabilità dell’opera prima di emettere una ordinanza di demolizione: invero, nella materia del contrasto all’abusivismo edilizio non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione;
pertanto, accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull’attività edilizia (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 marzo 2012, n. 1260).

Per le stesse ragioni, non può assumere rilievo il rilascio da parte di ANAS di un nulla osta per l’installazione delle opere: il Comune, unico soggetto al quale compete accertare la violazione delle norme urbanistiche, una volta accertata la difformità/assenza delle concessioni od autorizzazioni procede all’ordine di demolizione, senza che al tal fine possano venire in rilievo il rilascio del nulla osta dell’ANAS.

In conclusione l’appello deve essere respinto.

In mancanza di costituzione delle altre parti non si fa luogo a pronuncia sulle spese.

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