Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-02-01, n. 201300630

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-02-01, n. 201300630
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300630
Data del deposito : 1 febbraio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08413/2011 REG.RIC.

N. 00630/2013REG.PROV.COLL.

N. 08413/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8413 del 2011, proposto dalla SOA Nazionale Costruttori Organismo di Attestazione s.p.a. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati S C e M S, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale Parioli, 180;

contro

l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - Avcp, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA, SEZIONE III, n. 6717/2011, resa tra le parti, concernente risarcimento danni subiti a seguito del provvedimento illegittimo di revoca dell’autorizzazione a svolgere attività di attestazione;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte appellata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2012 il Cons. Bernhard Lageder e uditi per le parti gli avvocati Cammareri e Sanino, nonché l’avvocato dello Stato Fedeli;


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per il Lazio respingeva (a spese compensate) il ricorso n. 3363 del 2010, col quale la s.p.a. SOA Nazionale Costruttori Organismo di Attestazione (ormai in fase di liquidazione a seguito della delibera di scioglimento anticipato della società, adottata dall’assemblea straordinaria il 5 ottobre 2011) aveva chiesto che l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp) venisse condannata a risarcirle i danni subiti per effetto del provvedimento del 20 giugno 2006 – annullato dal Consiglio di Stato con decisione n. 4363/2008, in riforma di precedente sentenza di rigetto del T.a.r. per il Lazio n. 1374/2007 –, con cui l’Avcp aveva revocato l’autorizzazione a svolgere l’attività di attestazione, rilasciata alla ricorrente il 30 novembre 2000. La revoca era stata motivata dalla violazione, nella gestione della SOA, dei criteri di correttezza, trasparenza, autonomia e indipendenza richiesti dalla d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, nella gestione di tali organismi di attestazione e nei rapporti con le società attestate.

Il T.a.r. fondava la statuizione di rigetto sui seguenti rilievi:

- il provvedimento di revoca era stato annullato in sede giudiziale, in grado d’appello, per vizi di mera natura formale;

- neppure nel presente giudizio erano stati forniti elementi concreti, idonei a smentire la veridicità delle circostanze di fatto, evidenziate sia dalla Guardia di Finanza, sia dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e poste a base del provvedimento revoca, ed a dimostrare che l’Avcp avesse, nella sostanza, violato le disposizioni che, in relazione al complesso sistema di qualificazione, ne disciplinano funzioni e poteri;

- l’annullamento, in sede giurisdizionale, di un provvedimento autoritativo con comporta, di per sé, l’automatico riconoscimento della responsabilità civile dell’Amministrazione, occorrendo, in particolare, che il danneggiato dimostri il dolo o la colpa dell’autore del provvedimento dichiarato illegittimo;

- con riferimento al caso di specie, non poteva pervenirsi alla conclusione che l’adozione dell’impugnato provvedimento di revoca fosse avvenuto in ingiustificata e colpevole violazione dei principi di imparzialità, correttezza e buona fede, che presiedono all’esercizio della funzione pubblica.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello la ricorrente soccombente, deducendo i seguenti motivi:

a) l’omessa pronuncia sulla questione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata sin dall’atto introduttivo di primo grado sotto il profilo dell’illegittimità costituzionale e del contrasto con la normativa europea dell’art. 7 l. n. 1034 del 1971, come modificato dall’art. 7 l. n. 205 del 2000 (in vigore all’epoca dell’introduzione del giudizio di primo grado, con ricorso notificato il 15 aprile 2010), in quanto l’attribuzione delle cause risarcitorie da illegittimità provvedimentale al giudice amministrativo priverebbe il danneggiato delle garanzie proprie del processo civile e violerebbe la garanzia di effettività della tutela giurisdizionale;

b) l’erronea omessa applicazione del principio della non contestazione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., rispettivamente agli artt. 39 cod proc. amm e 115 cod. proc. civ., non avendo l’Autorità resistente nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado del 30 aprile 2010 contestato specificamente i fatti allegati dall’originaria ricorrente a suffragio della domanda risarcitoria;

c) l’erroneo riferimento alla sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 1374/2007, essendo la stessa stata riformata in sede di appello, nonché l’erronea valorizzazione della circostanza che la decisione d’appello n. 4363/2008 avrebbe accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento di revoca per soli motivi formali;

d) l’erroneità dell’affermazione che l’odierna appellante non avrebbe fornito concreti elementi atti a smentire le circostanze poste a base dell’illegittimo provvedimento di revoca, tanto più che ogni relativo accertamento sarebbe ormai precluso dal giudicato formatosi sulla decisione n. 4363/2008 di questa Sezione;

e) l’erronea esclusione della prova dell’elemento soggettivo della colpa dell’Autorità, anche alla luce di Corte di Giustizia UE, sentenza 30 settembre 2010 C-314/09, nonché l’altrettanto erronea esclusione dell’antigiuridicità del comportamento della stessa Autorità.

Per il resto, la società appellante riproponeva la domanda risarcitoria, chiedendone l’accoglimento in riforma dell’appellata sentenza, comunque insistendo nei rilievi pregiudiziali di contrasto della riserva di giurisdizione al giudice amministrativo in materia risarcitoria da attività provvedimentale illegittima con la garanzia di effettività della tutela giurisdizionale, sancita dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

3. Si costituiva in giudizio l’Autorità appellata, resistendo e chiedendo il rigetto dell’appello a spese rifuse.

4. All’ udienza pubblica del 30 ottobre 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.

5. L’appello è infondato e deve essere disatteso.

5.1. Sebbene il motivo sub 2.a) sia fondato sotto il profilo del dedotto vizio di omessa pronuncia, al relativo accoglimento consegue la semplice necessità di un esame nel merito del motivo di primo grado obliterato dal T.a.r.

Il motivo di ricorso di primo grado, in tal guisa devoluto in appello, deve essere disatteso.

Invero, in disparte il rilievo dell’inammissibilità del motivo in esame, attesa la carenza d’interesse della ricorrente a sollevare il difetto di giurisdizione del giudice da essa medesima adito (v., sul punto, ex plurimis , C.d.S., Sez. III, 17 maggio 2012, n. 2859, e C.d.S., Sez. V, 7 febbraio 2012, n. 656, con la precisazione che le questioni di incostituzionalità e di contrasto con la CEDU avrebbero dovuto essere sollevate nel giudizio in ipotesi intentato dinanzi al giudice ordinario, di cui la stessa ricorrente reclama la giurisdizione, qualora vi fosse stata proposta, d’ufficio o su rilievo di parte convenuta, l’eccezione di carenza di giurisdizione), si osserva che le questioni di incostituzionalità e di contrasto con la CEDU, sollevate dall’originaria ricorrente sin dall’atto introduttivo di primo grado (ed estese agli artt. 7 e 30 cod. proc. amm.), sono comunque manifestamente infondate. Infatti, il processo amministrativo offre tutte le garanzie processuali – sia sotto il profilo del diritto al contraddittorio, sia sotto il profilo della completezza/adeguatezza dei mezzi di prova, anche con riguardo alle controversie risarcitorie ricadenti nell’orbita della giurisdizione amministrativa –, rispondenti al principio di effettività della tutela giurisdizionale consacrato dai parametri normativi di rango costituzionale invocati dall’odierna appellante.

Sulla questione, comunque, si è già pronunciata la Corte Costituzionale, che con le sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006 ha respinto tutte le sollevate questioni di costituzionalità, riguardanti le disposizioni che hanno attribuito al giudice amministrativo la giurisdizione sulle controversie riguardanti le pretese risarcitorie, nel caso di lesione arrecata con un provvedimento autoritativo ad un interesse legittimo.

5.2. Infondato è il motivo d’appello sub 2.b), in quanto il complessivo impianto difensivo dell’Autorità, sin dal primo atto di costituzione nel giudizio di primo grado, era tale da essere incompatibile con un comportamento di non contestazione, in tesi idoneo a rendere incontroversi i fatti posti dall’originaria ricorrente a fondamento della propria pretesa risarcitoria e a porli fuori dal thema probandum .

Peraltro, nel processo amministrativo, il quale a differenza dal processo civile non è distinto in varie fasi (per quanto qui rileva, in una fase preparatoria ed in una successiva fase istruttoria), e nel quale il termine per la costituzione delle parti intimate deve ritenersi meramente ordinatorio, non essendo la sua inosservanza sanzionata da decadenze o preclusioni, deve escludersi che la contestazione successiva alla maturazione del termine di costituzione (ad es., nelle memorie difensive prodotte in vista dell’udienza di discussione) possa ritenersi preclusa per tardività.

5.3. Destituiti di fondamento sono, altresì, i motivi d’appello sub 2.c), 2.d) e 2.e), tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente.

5.3.1. Dall’esame della decisione n. 4363/2008 di questa Sezione – che, in riforma della sentenza n. 1374/2007 del T.a.r. per il Lazio, ha accolto il ricorso proposto dall’odierna appellante avverso l’atto di revoca dell’Avcp del 20 giugno 2006 –, si evince che il provvedimento di revoca è stato annullato sia per l’illegittima tardiva comunicazione di avvio del procedimento, in violazione dell’art. 10, comma 6, d.P.R. n. 34 del 2000 (applicabile ratione temporis alla fattispecie de qua ), sia per la violazione del diritto al contraddittorio, per essersi l’Autorità avvalsa, nella fase istruttoria procedimentale, di atti d’indagine penale asseritamente coperti da segreto istruttorio e mai portati a conoscenza dell’odierna appellante, sia, infine, per carenze istruttorie e motivazionali conseguenti alla ritenuta mancanza di un’autonoma attività d’indagine istruttoria amministrativa da parte dell’Autorità.

La decisione ha, poi, espressamente fatti salvi gli ulteriori provvedimenti amministrativi, implicanti la rinnovazione dell’attività istruttoria e valutativa dell’Autorità attorno alla persistenza del possesso dei requisiti di indipendenza, autonomia e trasparenza in capo alla SOA Nazionale Costruttori Organismo di Attestazione s.p.a., sanciti dagli artt. 7, comma 4, e 12, comma 1 lett. d) , d.P.R. n. 34 del 2000, nell’ambito dell’esercizio del generale potere di vigilanza sul sistema di qualificazione delle imprese operanti nel settore degli appalti pubblici, assegnato dal legislatore alla stessa Autorità.

5.3.2. Dagli atti di causa risulta che l’odierna appellante, successivamente alla decisione n. 4363/2008, sulla base di delibera dell’Autorità comunicata con nota del 27 febbraio 2009 è stata riammessa a riprendere l’attività di attestazione, ma che in esito a nuove indagini ed accertamenti è emersa una situazione patrimoniale deficitaria della SOA, per cui l’Avcp ha provveduto a richiamarla con nota del 23 febbraio 2010, ai sensi dell’art. 7, comma 2, d.P.R. n. 34 del 2000, per il mancato ripianamento delle perdite di bilancio e per il venir meno dei requisiti di cui al citato art. 7, comma 2, del regolamento. Seguivano ulteriori accertamenti dell’Autorità, anche con l’ausilio della Guardia di Finanza, da cui sono emersi ulteriori elementi di non conformità alle disposizioni regolamentari, tra i quali, oltre alla criticità della situazione patrimoniale, una serie di passaggi azionari all’interno del nucleo familiare del signor Di N A – un dipendente del Ministero delle Infrastrutture, già individuato nel rapporto della Guardia di Finanza del 17 agosto 2005, a suo tempo posto a base del provvedimento di revoca del 20 giugno 2006, quale socio occulto della SOA Nazionale Costruttori Organismo di Attestazione s.p.a. – connotati da elementi inferenziali atti a dedurne la natura fittizia e simulata, nonché da elementi indiziari circa l’esistenza di oscuri canali di approvvigionamento finanziario esterni al nucleo familiare e non identificabili, in violazione dei richiamati criteri di indipendenza, trasparenza e assenza di situazioni di conflitto d’interesse che devono informare l’assetto societario e la gestione degli organismi di attestazione. Ne è seguito l’avvio di un nuovo procedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di attestazione, sfociato in un nuovo provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di attestazione, adottato con delibera n. 231 del 16-30 novembre 2011 e comunicato all’odierna appellante con nota del 7 dicembre 2011, che a sua volta risulta essere stato impugnato dinanzi al T.a.r. per il Lazio (dagli atti di causa non risulta, se il relativo giudizio sia già definito).

5.3.3. Orbene, premesso che ai fini della configurabilità della responsabilità dell’Amministrazione da attività provvedimentale illegittima occorre l’integrazione di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, dell’illecito assimilabile a quello aquiliano, si rileva, quanto all’elemento soggettivo, che al caso di specie non risulta applicabile l’orientamento della Corte di giustizia UE (sentenza 30 settembre 2010, C-314/09) invocato dall’odierna appellante – secondo cui in sede di accertamento della responsabilità dell’amministrazione nel particolare settore degli appalti pubblici si prescinde dall’accertamento della sussistenza in concreto dell’elemento soggettivo –, poiché la presente causa non verte, in via immediata e diretta, su una gara per l’affidamento di un pubblico appalto.

Ciò posto, la Sezione osserva che deve confermarsi la statuizione del T.a.r., secondo cui, anche all’esito del presente giudizio, è rimasta sostanzialmente confermata la situazione di fatto, connotata peraltro ab origine dalla violazione dei criteri normativi di indipendenza, trasparenza e correttezza in capo all’organismo di attestazione odierno appellante, posta a base della revoca del 20 giungo 2006, sicché la condotta dell’Autorità, sebbene illo tempore dichiarata illegittima sotto un profilo formale e procedimentale, si sottrae ad ogni censura di rimproverabilità, con conseguente corretta esclusione, nell’appellata sentenza, del raggiungimento della prova dell’elemento colposo.

Né si ravvisa la dedotta violazione del giudicato formatosi sulla decisione n. 4363/2008 di questa Sezione, in quanto:

- in primo luogo, il vaglio attorno alla correttezza delle risultanze istruttorie poste a base dell’annullato provvedimento di revoca nelle presente sede è compiuto incidenter tantum , in funzione della verifica dell’eventuale sussistenza dell’elemento soggettivo, e non assurge a valore di accertamento principale suscettibile di dar luogo a un contrasto di giudicati;

- in secondo luogo, occorre tener conto del peculiare atteggiarsi del giudicato amministrativo di accoglimento nei giudizi impugnatori, che si forma soltanto in relazione ai motivi della decisione ( causa decidendi ), senza estendersi ai motivi non posti a base di essa, con conseguente inconferenza del richiamo, nell’atto d’appello, al principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, che ha modo di esplicarsi nei casi di giurisdizione esclusiva che investono non un atto di esercizio del potere, ma un rapporto, e non già nei giudizi di natura impugnatoria.

5.4. Per le esposte ragioni, l’appello è da respingere.

6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del secondo grado di causa, come liquidate nella parte dispositiva, devono essere poste a carico dell’appellante.

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