Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-11-18, n. 201907866

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-11-18, n. 201907866
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201907866
Data del deposito : 18 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/11/2019

N. 07866/2019REG.PROV.COLL.

N. 06625/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso avente numero di registro generale 6625 del 2011, proposto dalla sig.ra B W G, rappresentata e difesa dagli avvocati M P G, F M, L S, e con domicilio eletto presso lo studio del suddetto avvocato M P G in Roma, via dei Gracchi n. 128;

contro

la Provincia di Imperia in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G P e L S, e con domicilio eletto presso lo studio del suddetto avvocato G P in Roma, viale Giulio Cesare n.14;
il Comune di D, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria n. 163/2011, resa tra le parti e concernente concessione edilizia.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Imperia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2019 il Cons. G L e uditi per le parti l’avvocato M P G e, su delega dell’avvocato G P, l’avvocato Michele Morelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Con atto d’appello notificato il 25 luglio 2011 (data di spedizione) alla Provincia di Imperia e al Comune di D e depositato il 16 agosto 2011 la sig.ra B W G ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria 26 gennaio 2011, n. 163, la quale ha respinto, con condanna alle spese in favore della costituita Provincia di Imperia, il ricorso proposto dall’attuale appellante per l’annullamento, con gli atti connessi, del provvedimento di quell’Amministrazione 29 giugno 2009, n. H/568, trasmesso con nota 30 giugno 2009, prot. n. 35127, di annullamento della concessione edilizia 5 ottobre 2000, n. 57, con la quale il Comune di D aveva autorizzato la sig.ra Astrid Gruneberg (dante causa della attuale appellante: riferisce l’appellante che l’immobile è stato poi ad essa alienato con scrittura privata 28 luglio 2006, poi autenticata nelle firme da notaio e trascritta il successivo 5 agosto 2006) a realizzare su terreno allora di sua proprietà distinto catastalmente al foglio 6, mappale 875, un fabbricato residenziale agricolo costituito da un piano fuori terra (per una volumetria pari a mc 138,02 a destinazione residenziale ed a mc 80,78 a destinazione agricola).

2.1 - Con l’atto impugnato in primo grado la Provincia di Imperia ha disposto, dopo dialettica procedimentale con gli interessati (pregressi atti di contestazione cui hanno fatto seguito controdeduzioni degli interessati, tra cui anche quelle della attuale appellante, considerate nel contestato provvedimento), l’annullamento di 25 titoli edilizi, tra cui la suddetta concessione edilizia n. 57/2000, assentiti nella località Colle dei Lupi del Comune di D.

Il provvedimento ha rilevato quanto segue.

In via generale:

L’area interessata dalle nuove costruzioni ricade in una zona classificata in IS.MA dal vigente P.T.C.P. regionale.

Dalla visura delle cartografie sia catastali che C.T.R. risulta che, prima della costruzione dei fabbricati in questione, nell’ambito territoriale di riferimento esistevano solo alcuni fabbricati residenziali.

L’edificazione di nuovi fabbricati, realizzazione di nuovi terrazzamenti, strade di accesso ai vari lotti, sistemazioni a giardino, ha comportato una trasformazione territoriale che si pone in contrasto con l’assetto insediativo del P.T.C.P. . L’edificazione in zona agricola inserita in regime di mantenimento dal P.T.C.P. deve adottare soluzioni architettoniche che si inseriscano nel contesto e quindi non devono contenere elementi anomali non riconducibili a quelli della architettura rurale delle zone retrocostiere.

In relazione alla tipologia si evidenzia che molti fabbricati, si vedrà in seguito nello specifico, presentano forme planimetriche irregolari, coperture con aggetti in cemento armato, serramenti esterni di dimensioni e non caratteristiche dei luoghi, di tal che nel loro complesso costituiscono un intervento che per la vistosità non si inserisce correttamente nel contesto.

Per quanto sopra e, in relazione a quanto evidenziato in premessa, deve essere riconfermato il contrasto tra le nuove edificazioni ed il vigente P.T.C.P. Regionale laddove disciplina le Zone di Mantenimento e la conseguente illegittimità dei titoli edilizi in esame sotto tale aspetto.

Considerando invece le implicanze urbanistiche si deve rilevare che l’edificazione dei fabbricati in questione, a seguito di frazionamenti di terreni a scopo edificatorio (frazionamenti di cui non è stata in alcun modo dimostrata la necessità ai fini della conduzione dei fondi i quali a tutt’oggi risultano incolti), ha comportato una trasformazione dell’ambito territoriale in questione, che doveva avere una destinazione agricola in base al P.d.F., diventando una zona residenziale;
zona che risulta carente, peraltro, delle necessarie opere di urbanizzazione, come predicato nei provvedimenti di annullamento e successivamente verificato nel corso del sopralluogo sopra nominato.

La carenza di opere di urbanizzazione è stata altresì affermata dal progetto preliminare del Piano urbanistico comunale il quale al fine di sopperire a tale circostanza ha previsto la sostituzione dei titoli edilizi precedentemente rilasciati con nuovi permessi di costruire convenzionati mediante i quali i soggetti attuatori dovranno realizzare dette opere ”.

L’atto si è pronunciato anche con riferimento alla illegittimità dei singoli titoli edilizi, rilevando per quanto riguarda la citata concessione edilizia 5 ottobre 2000, n. 57 dell’attuale appellante quanto segue:

5) Concessione edilizia n. 57/2000 del 05/10/2000

per quanto sopra specificato devono essere riconfermati i profili di illegittimità per contrasto con il P.T.C.P. Regionale ”.

In tema di interesse pubblico all’annullamento dei titoli edilizi da parte della Provincia l’atto impugnato in primo grado ha rilevato:

La trasformazione urbanistica dell’atto, conseguente alla edificazione dei fabbricati autorizzati con i titoli edilizi in questione, richiede una nuova pianificazione sia urbanistica che paesistica al fine di realizzare tutte le opere necessarie a ridurre l’impatto paesistico e dotare l’area delle opere di urbanizzazione in oggi carenti o inesistenti.

La sostituzione dei titoli edilizi esistenti con nuovi titoli edilizi convenzionati per poter realizzare le opere di cui sopra non può prescindere dalla caducazione dei primi. Pertanto oltre che riconfermare l’interesse pubblico all’annullamento dei titoli edilizi in questione rilevato con il voto n. 1581 si ritiene altresì necessario il loro annullamento al fine di consentire al Comune di D di rilasciare nuovi titoli volti alla eliminazione dei vizi riscontrati come previsto dall’art. 53, quarto comma, lettera a) della legge regionale n. 16/2008 ”.

Pure in tema di interesse pubblico all’annullamento dei titoli edilizi da parte della Provincia l’atto impugnato ha considerato anche i singoli titoli edilizi, rilevando per quanto riguarda la citata concessione edilizia 5 ottobre 2000, n. 57 dell’attuale appellante quanto segue:

5) Concessione edilizia n. 57 del 05/10/2000

Per quanto sopra specificato devesi confermare l’interesse pubblico, specifico, concreto ed attuale, prevalente sull’interesse privato, a procedere all’annullamento del titolo edilizio in questione ”.

L’impugnato provvedimento ha motivato anche sulla tematica della lottizzazione, rilevando quanto segue:

Oltre a quanto sopra rilevato in merito al contrasto degli interventi di che trattasi con il Piano territoriale comunale paesistico regionale, devesi altresì evidenziare che la realizzazione di trentasei fabbricati residenziali (venticinque oggetto del presente provvedimento più alti undici per i quali la procedura di controllo di legittimità si è conclusa separatamente) in un’area, di limitate dimensioni, si pone in contrasto con le previsioni del vigente programma di fabbricazione il quale, in dette zone agricole, ammette l’edificazione di nuovi fabbricati se connessi alla conduzione agricola dei fondi.

I terreni interessati dai nuovi edifici sono stati, in parte, oggetto di frazionamenti e sui nuovi giochi, così ottenuti, sono state edificate le costruzioni in esame, mediante l’asservimento, al fine dell’ottenimento della potenzialità edificatoria, di altri terreni anche non contigui.

Per quanto sopra si ritiene che sussista la violazione dell’art. 30, primo comma, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 laddove lo stesso afferma che <<si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni… omissis… comunque stabilite da leggi… omissis… statali o regionali… omissis…;
nonché quanto tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento della vendita… omissis… del terreno in blocchi che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione… omissis… denunciano in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio>>.

Nel caso che ci interessa sono state violate le prescrizioni del combinato disposto della legge statale D.M. 431/1985 e correlati provvedimenti regionali (P.T.C.P.) ed inoltre sono stati eseguiti frazionamenti che per il loro numero e la dimensione dei lotti sono chiaramente finalizzati non già a scopi agricoli ma bensì a scopi edificatori. Infatti il frazionamento di terreni, già con destinazione agricola in base al P.d.F., e di per sé con superfici di limitata estensione non può trovare una giustificazione quale miglioramento fondiario se non in presenza di un Piano agricolo e ne giustifichi frazionamento lotti, circostanza non verificata ”.

2.2 - Il ricorso di primo grado ha indirizzato al provvedimento testé riferito censure così rubricate, e tutte respinte dal T:

A) Insussistenza del potere provinciale di controllo dei titoli·edilizi comunali, e di loro eventuale annullamento, per contrasto dell'art. 39 TU Edilizia e dell'art. 6 L.R. 7/1987 (ora art. 53 L.R. 6 giugno 2008 n. 16) con l'art. 118 della Costituzione;

B) Incompetenza. Violazione dell'art. 39 TU Edilizia e dell'art. 53 L.R. 16/2008 e dell'art. 17 d.lgs. 165/200l;

C) Incompetenza sotto altro profilo. Violazione dell'art. 39 TU Edilizia e dell'art. 53 L.R. 16/2008. Violazione dell'art. 17 d.lgs. 165/2001. Violazione dell'art. 60, d.lgs. 267/2000. Illegittimità derivata da quella che affligge il provvedimento 7 maggio 2009 n. 24711, pure impugnato.

D) Violazione dell'art. 39 TU Edilizia e dell'art. 53 L.R. n. 16/2008. Tdività. Illegittimità costituzionale dell'art. 53 L.R. 16/2008 per contrasto con l'art. 117 della Costituzione in relazione all'art. 39 DPR 380/2001

E) Violazione e falsa applicazione dell'art. 53 L. Reg. n. 16/2008. Violazione e falsa applicazione dell'art. 39 D.P.R. n. 380/2001. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 L. n. 241/1990. Violazione dei principi in materia di partecipazione al procedimento amministrativo.

F) Inconfigurabilità dei vizi ritenuti a carico della concessione edilizia annullata. Violazione e falsa applicazione dell'art. 49 P.T.C.P. . Violazione e falsa applicazione dell'art. 42 P.d.F. di D. Violazione e falsa applicazione dell'art. 30 TU Edilizia e dell'art. 50·L.R. 16/2008. Difetto di istruttoria e di motivazione. Travisamento e difetto di presupposto.

G) Insussistenza di alcun interesse pubblico all'annullamento. Difetto di motivazione. Violazione dell'art. 30 TU Edilizia e dell'art. 53 L.R. 16/2008. Difetto di istruttoria. Travisamento.

3. – L’appello ascrive alla sentenza impugnata:

A) Erroneità della sentenza per l'insussistenza del potere provinciale di controllo dei titoli edilizi comunali, e di loro eventuale annullamento, per contrasto dell'art. 39 TU Edilizia e dell'art. 6 L.R. 7/1987 (ora art. 53 L.R. 6 giugno 2008 n. 16) con l'art. 118 della Costituzione.

B) Erroneità della sentenza per travisamento dei fatti rilevanti. Incompetenza. Violazione dell'art. 39 TU Edilizia e dell'art. 53 L.R. 16/2008 e dell'art. 17 d.lgs. 165/2001.

C) Erroneità della sentenza. Travisamento di fatto. Incompetenza sotto altro profilo. Violazione dell'art. 39 TU Edilizia e dell'art. 53 L.R. 16/2008. Violazione dell'art. 17 d.lgs. 165/2001. Violazione dell'art. 60 d.lgs. 267/2000. Illegittimità derivata da quella che affligge il provvedimento maggio 2009 n. 24711, pure impugnato.

D) Erroneità della sentenza per violazione dell'art. 39 TU Edilizia e dell'art. 53 L.R. n. 16/2008. Tdività. Illegittimità costituzionale dell'art. 53 L.R. 16/2008 per contrasto con l'art. 117 della Costituzione in relazione all'art. 39 DPR 380/2001

E) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 53 L. Reg. n. 16/2008. Violazione e falsa applicazione dell'art. 39 D.P.R. n. 380/2001. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 L. n. 241/1990. Violazione dei principi in materia di partecipazione al procedimento amministrativo.

F) Erroneità della sentenza per inconfigurabilità dei vizi ritenuti a carico della concessione edilizia annullata. Violazione e falsa applicazione dell'art. 49 P.T.C.P. . Violazione e falsa applicazione dell'art. 42 P.d.F. di D. Violazione e falsa applicazione dell'art. 30 TU Edilizia e dell'art. 50 L.R. 16/2008. Difetto di istruttoria e di motivazione. Travisamento e difetto di presupposto.

G) Erroneità della sentenza per insussistenza di alcun interesse pubblico all'annullamento. Difetto di motivazione. Violazione dell'art. 30 TU Edilizia e dell'art. 53 L.R. 16/2008. Difetto di istruttoria. Travisamento.

L’appello reca anche istanza di verificazione, qualora necessario.

Il Comune di D non si è costituito.

La Provincia di Imperia si è costituita eccependo l’inammissibilità dell’appello per la mancata produzione in giudizio della sentenza gravata;
e chiedendo, in subordine e nel merito, il rigetto del gravame.

In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 4 agosto 2016 parte appellante ha depositato, in data 26 gennaio 2017, domanda di fissazione di udienza.

La Provincia di Imperia depositato una memoria in data 4 settembre 2019.

L’appellante ha depositato una memoria in data 6 settembre 2019.

La Provincia di Imperia ha replicato con memoria in data 17 settembre 2019.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica dell’8 ottobre 2019.

DIRITTO

L’eccezione - formulata dalla Provincia di Imperia nella sua memoria di costituzione – d’inammissibilità dell’appello per mancata produzione di una copia autentica della gravata sentenza non è fondata, poiché un simile adempimento non è imposto (v. l’art. 104 del codice del processo amministrativo).

Il Collegio, altresì, ritiene non necessaria la verificazione prospettata dall’appellante, ritenendo invece la causa matura per la decisione.

Quanto al merito, l’appello va respinto.

1.1- L’appello contesta in primo luogo la sentenza del T laddove essa ha respinto il primo motivo del ricorso di primo grado, che affermava l'insussistenza di un potere provinciale di controllo, e di eventuale annullamento, dei titoli edilizi comunali.

Ribadisce l’appello, spendendo varie argomentazioni, che a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 deve ritenersi che sia venuto meno, per abrogazione immediata di ogni contrastante disposizione di legge regionale, il potere provinciale d’annullamento degli atti comunali per motivi di legittimità, già previsto dall'art. 6 (“ Annullamento di deliberazioni comunali e di concessioni od autorizzazioni edilizie illegittime ”) della legge della Regione Liguria 6 aprile 1987, n. 7 (“ Delega alle Province delle funzioni regionali relative all'esercizio dei poteri di controllo in materia di abusivismo edilizio e disposizioni di attuazione degli articoli 3 e 8 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni ”), confermato dall'art. 53 della successiva legge regionale 6 giugno 2008, n. 16, e già previsto altresì, con riferimento al potere di annullamento da parte delle autorità statali, dall’art. 27 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, e ora, con riferimento al potere d’annullamento del permesso di costruire da parte della Regione, dall’art 39 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

L’assunto non è fondato.

La normativa urbanistico-edilizia rientra nella materia indicata come "governo del territorio" ed è attribuita alla potestà legislativa concorrente delle regioni (art. 117, comma 3, della Costituzione);
e lo stesso art. 118 della Costituzione invocato dall’appellante prevede sì espressamente che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni ma prevede altresì che, per assicurarne l'esercizio unitario (come nella presente fattispecie), quelle funzioni amministrative possono essere conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

Pertanto non è ravvisabile la prospettata violazione della norma costituzionale da parte di disposizioni legislative, regionali e statali, che prevedano la possibilità di un intervento della Regione - o di un Ente da questa delegato, nel caso di specie la Provincia - al fine di assicurare l'esercizio unitario delle relative funzioni amministrative, sulla base dei suddetti principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, in considerazione della dimensione regionale dell'ordinamento urbanistico-edilizio (v. Cons. Stato, Sez. VI, 6 agosto 2018, n. 4822).

1.2 – Il mezzo successivo ribadisce la censura, disattesa dal T, di incompetenza del funzionario dirigente ad assumere provvedimenti di annullamento che, come prevede l'art. 53 della legge regionale n. 16/2008, impongano la previa valutazione della sussistenza di " un sostanziale interesse pubblico ".

L’appellante ammette che compete ai dirigenti anche l'esercizio di poteri discrezionali;
e che per questo è necessaria la valutazione comparativa dei diversi interessi, pubblici e privati, ma sostiene che nel caso di specie il potere di annullamento del dirigente provinciale sarebbe stato precluso dall’art. 107, comma 3, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267).

L’assunto non è fondato.

L’art. 107, comma 3, lettera f) del citato testo unico prevede: “ Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente: (….) f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie ”.

Nella fattispecie – conformemente alla disposizione ora citata - è stato esercitato un potere, in particolare un contrarius actus , relativamente alle “ autorizzazioni e le concessioni edilizie ”, sulla base di “ accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale ”, e “ nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo ”.

L’ampia motivazione dell’atto di annullamento - che, si sottolinea, è stato adottato conformemente alle valutazioni di illegittimità ed interesse pubblico effettuate dal Comitato tecnico urbanistico provinciale con voto n. 1581 del 20 dicembre 2007 - sì è riportata in stralcio nella parte in fatto della presente sentenza, e dimostra che il provvedimento di autotutela è stato adottato proprio sulla scorta di accertamenti e valutazioni che hanno tenuto conto “ di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo ”.

In particolare:

- l’atto impugnato ha considerato la classificazione della zona (zona classificata in IS.MA: insediamenti sparsi – Regime normativo di mantenimento) operata dal vigente P.T.C.P. (Piano territoriale comunale paesistico) regionale, rilevando un contrasto tra le nuove edificazioni ed il vigente P.T.C.P, nonché con il Progetto preliminare del Piano urbanistico comunale;

- con riferimento all’interesse pubblico all’annullamento dei titoli edilizi da parte della Provincia ha rilevato la relativa necessità “ al fine di consentire al Comune di D di rilasciare nuovi titoli volti alla eliminazione dei vizi riscontrati come previsto dall’art. 53, quarto comma, lettera a) della legge regionale n. 16/2008 ”;

- con riferimento alla tematica della non consentita lottizzazione ha rilevato il contrasto della “ realizzazione di trentasei fabbricati residenziali (venticinque oggetto del presente provvedimento più altri undici per i quali la procedura di controllo di legittimità si è conclusa separatamente) (…) con le previsioni del vigente programma di fabbricazione il quale, in dette zone agricole, ammette l’edificazione di nuovi fabbricati se connessi alla conduzione agricola dei fondi ”;
nonché “ la violazione dell’art. 30, primo comma, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ” e delle “ prescrizioni del combinato disposto della legge statale D.M. 431/1985 e correlati provvedimenti regionali (P.T.C.P.) ”.

1.3 - Il terzo motivo d’appello contesta il rigetto, operato dal T, della censura di primo grado che affermava l’illegittimità del provvedimento 29 giugno 2009 n. H/568 per la specifica incompetenza del funzionario, non dirigente, che lo ha sottoscritto.

L’appello afferma in primo luogo che la sentenza merita di essere riformata perché non sono stati acquisiti in giudizio il provvedimento di delega e l'art. 26 del Regolamento degli uffici della Provincia di Imperia, richiamati dal T per rigettare il motivo.

In proposito si osserva che sul contenuto del provvedimento di delega (il provvedimento n. 24711 del 7 maggio 2009) non risultano formulati dubbi in primo grado.

Il provvedimento è espressamente citato nell’impugnato atto di annullamento 29 giugno 2009 n. H/568, nonché nella stessa epigrafe del ricorso di primo grado, che cita tra gli atti connessi pure tuzioristicamente oggetto di impugnazione quel provvedimento provinciale 7 maggio 2009, n. 24711, precisando che con esso sono state attribuite " le funzioni relative al controllo provinciale di cui alla legge regionale n. 16/2008 ", ed il suo contenuto di delega e la sua esistenza sono stati dati per scontati dinanzi al T. Sicché sulla legittimità della pronuncia di primo grado non può incidere la rilevata mancata acquisizione in giudizio di quella delega, che si è detto per data per scontata dinanzi al primo giudice.

Quanto all’art. 26 del Regolamento degli uffici della Provincia di Imperia la sua mancata acquisizione agli atti del giudizio è priva di rilevanza ai fini della legittimità dell’impugnata sentenza, poiché il Regolamento degli uffici della Provincia di Imperia è atto normativo disponibile a tutti gli interessati, e dunque la sua mancata specifica acquisizione agli atti del giudizio di primo grado non può concretare vizio della pronuncia del T.

L’appello ripropone anche il rilievo che il dirigente può delegare la propria funzione dirigenziale solo ad altro dirigente;
tanto più – rileva l’appello - quando, come nel caso di specie, si tratti di assumere atti e compiere valutazioni che implicano la individuazione di quale sia " l'interesse pubblico sostanziale " (così come si esprime l'art. 53 della legge regionale n. 16/2008) da perseguire e comparare con altri interessi, pubblici o privati.

L’appellante è consapevole che, così come rilevato dalla sentenza appellata, l'art. 17 del decreto legislativo n. 165/2001 prevede la possibilità di delega da parte dei dirigenti, per un tempo limitato e con atto motivato, a " dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati ", ma rileva che nella fattispecie il delegato non ricopriva la funzione più elevata nell'ambito del Settore urbanistica e difesa del territorio della Provincia.

La norma richiamata, però, non prevede che il delegato deve ricoprire una funzione di vertice nell’ambito del competente settore, ma prevede invece che esso debba ricoprire la posizione funzionale elevata nell’ambito dell’ufficio ad esso affidato;
e ciò si è concretato nel caso di specie, in cui non vi è contestazione che il funzionario firmatario dell’impugnato provvedimento, essendo inquadrato nella categoria D ed in servizio presso l’Ufficio abusivismo edilizio della Provincia di Imperia, ricopriva la posizione funzionale più elevata nell'ambito di quell’Ufficio.

Il presente motivo contesta anche il rigetto da parte del T della censura di primo grado la quale, pure con riferimento al funzionario firmatario dell’atto impugnato, denunciava la violazione dell'art. 60 del citato unico sugli enti locali perché il funzionario ricopriva la carica di Sindaco del Comune di Molini di Triora, sito nel territorio della stessa provincia.

In proposito il T ha correttamente rilevato che la norma invocata prevede una diversa fattispecie: l’ineleggibilità alla carica di sindaco dei soggetti che possono trovarsi in situazioni tali da far dubitare che il voto sia stato indirizzato dalla carica o dalla funzione già rivestita, e che dunque la norma non riguarda la legittimità di atti come quelli impugnati, per i quali non è neppure dedotto che il funzionario interessato si sia avvalso a fini elettorali della carica rivestita in Provincia.

L’appello non contesta questa specifica statuizione della sentenza appellata, ma si limita a ribadire un’asserita violazione del citato art. 60 del testo unico degli enti locali. Sicché la presente censura è inammissibile prima ancora che infondata.

1.4 - Il mezzo successivo contesta la pronuncia del T laddove essa, nel respingere la relativa censura del ricorso di primo grado, ha ritenuto che il contestato procedimento finalizzato all’annullamento regionale/provinciale avesse rispettato il termine di diciotto mesi posto dall’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 (art. 39, comma 2, citato: “ Il provvedimento di annullamento è emesso entro diciotto mesi dall'accertamento delle violazioni di cui al comma 1, ed è preceduto dalla contestazione delle violazioni stesse al titolare del permesso, al proprietario della costruzione, al progettista, e al Comune, con l'invito a presentare controdeduzioni entro un termine all'uopo prefissato ”).

In proposito il ricorso al T aveva prospettato che essendo pari a 18 mesi dall'accertamento delle violazioni il termine perentorio assegnato per l'eventuale annullamento dal citato art. 39, comma 2, quel termine – da computare dalla data del 14 novembre 2005, di acquisizione di tutta la documentazione relativa ai titoli poi annullati - era ampiamente scaduto sia al momento nel quale è intervenuto l'annullamento impugnato (29 giugno 2009), sia alla data della citata valutazione del Comitato tecnico urbanistico n. 1581 del 20 dicembre 2007;
e che qualora volesse affermarsi che il citato art. 53 della legge regionale n. 16/2008 ha indicato invece come dies a quo quello della formale contestazione quella disposizione regionale sarebbe incostituzionale per contrasto con il principio fondamentale contenuto nel suddetto art. 39 del d.P.R. n. 380/2001 (e quindi per contrasto con l'art. 117 della Costituzione), e comunque con i principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Costituzione, poiché resterebbe rimessa all'arbitrio della Amministrazione la data di decorrenza del termine di legge.

Il T ha respinto la censura ritenendo che il momento iniziale del termine di diciotto mesi fosse da individuare “ nel giorno in cui il funzionario delegato ha depositato la relazione che contiene tutti i dati dai quali è possibile muovere al fine di determinarsi in ordine al concreto esercizio della funzione ”, e segnatamente alla data della nota 7 gennaio 2008, di contestazione delle violazioni al titolare, data che segna l’acquisizione di tutti gli elementi istruttori necessari per la decisione.

L’appello sostiene che la tesi del T è errata in quanto:

- la contestazione delle violazioni (da cui la sentenza fa decorrere il termine) non può coincidere con l'accertamento delle violazioni, essendo la contestazione atto logicamente e cronologicamente successivo, posto che prima si accerta la ritenuta violazione e poi si la si contesta;

- a seguire il ragionamento del Giudice di prime cure il dies a quo del termine di diciotto mesi sarebbe nella totale disponibilità della P.A. la quale, anche dopo aver rilevato la illegittimità di un titolo edilizio, sarebbe libera di decidere da quando far decorrere il termine di legge, decidendo arbitrariamente quando comunicare le contestazioni.

L’appello ribadisce altresì la prospettazione, già subordinatamente fatta in primo grado, della illegittimità costituzionale dell’art. 53 della legge regionale n. 16/2008, ove ritenuto applicabile alla fattispecie.

Questi rilievi non sono fondati.

Appare conforme alla ratio che ispira la presente materia - che vede da un lato l’interesse pubblico al ripristino della legalità e di una corretta pianificazione urbanistica e dall’altro interesse privato a veder tutelati interessi originariamente soddisfatti dagli assensi edilizi poi oggetto d’annullamento - che le determinazioni relative al suddetto annullamento di titoli edilizi originariamente assentiti siano adottate dopo accurata istruttoria.

In quest’ottica il far decorrere, come affermato testualmente dal T, il termine di diciotto mesi dalla data in cui l’Amministrazione procedente è in possesso di “ tutti i dati dai quali è possibile muovere al fine di determinarsi in ordine al concreto esercizio della funzione ” appare conforme ai principi che regolano la materia;
a maggior ragione nel caso in esame, che ha visto una complessa istruttoria riferita a ben venticinque titoli edilizi, considerati in un unico contesto ma oggetto ciascuno di un subprocedimento di accertamento e di contestazione.

In proposito può anzi osservarsi che - considerate le venticinque contestazioni ai rispettivi titolari degli assensi edilizi poi oggetto di annullamento, le relative controdeduzioni di quei titolari, le relative valutazioni effettuate dall’Amministrazione procedente e descritte nell’impugnato provvedimento - la data di inizio del termine di diciotto mesi considerata dal T come quella di acquisizione di “ tutti i dati dai quali è possibile muovere al fine di determinarsi in ordine al concreto esercizio della funzione ” appare essere non quella delle contestazioni del 7 gennaio 2008 bensì la data, posteriore, in cui sono state acquisite le relative controdeduzioni degli interessati, valutate dall’Amministrazione ai fini del provvedimento finale.

Alla luce di quanto testé esposto la tempistica del procedimento in esame appare conforme anche allo stesso art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 invocato dall’appellante.

La disposizione infatti, nel prevedere “ Il provvedimento di annullamento è emesso entro diciotto mesi dall'accertamento delle violazioni di cui al comma 1, ed è preceduto dalla contestazione delle violazioni stesse al titolare del permesso, al proprietario della costruzione, al progettista, e al Comune, con l'invito a presentare controdeduzioni entro un termine all'uopo prefissato ”, non appare incompatibile - tenuto conto della complessità dovuta ai numerosi accertamenti da effettuare in contraddittorio con gli interessati - con una interpretazione che nella fattispecie faccia coincidere “ l'accertamento delle violazioni ” con la conclusione di quel contraddittorio procedimentale.

Una simile interpretazione giuridico fattuale della vicenda, interpretazione che il Collegio fa propria, si attaglia anche al disposto dell’art. 53, comma 4, della legge regionale n. 16/2008 (“ Il provvedimento di annullamento deve essere adottato entro diciotto mesi dalla contestazione di cui al comma 3, reso noto mediante pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione e notificato …….”);
e consente quindi di escludere l’illegittimità costituzionale che l’appellante ritiene di ricavare da un raffronto di questa disposizione con il suddetto art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001.

Peraltro, anche prescindendo da questa interpretazione, il Collegio osserva che, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, il suddetto art. 53, comma 4, della legge regionale n. 16/2008 non presenta contrasto con un principio fondamentale contenuto nel suddetto art. 39 del d.P.R. n. 380/2001 e quindi con l'art. 117 della Costituzione o con i principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione.

Come già rilevato nel capo che precede, la normativa urbanistico-edilizia rientra nella materia del "governo del territorio" ed attribuita alla potestà legislativa concorrente delle regioni (art. 117, comma 3, della Costituzione).

Le Regioni, come indicato nell’art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, debbono esercitare della loro potestà legislativa concorrente nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute in quel testo unico;
ma è da escludere che possa definirsi principio fondamentale della legislazione statale l’indicazione del dies a quo del termine di diciotto mesi per l’annullamento di titoli edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione (così il citato art. 53 della legge regionale n. 16/2008).

Ciò anche perché il medesimo art. 53 impone alla Provincia di tener conto, ai fini dell’annullamento in esame, di un “ sostanziale interesse pubblico ”;
e nell’ottica dei principi di differenziazione e adeguatezza appare da escludere che la normazione di ogni singola Regione debba ritenersi vincolata, sul settoriale tema di quel dies a quo , alla particolare previsione dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001.

Né – come dimostrato dalla sopra esposta interpretazione del ripetuto art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 - una disciplina del suddetto dies a quo diversa e meno tassativa per l’Amministrazione, rispetto alla disciplina prospettata nell’interpretazione dell’appellante, appare in contrasto con il principio costituzionale di buon andamento;
l’interpretazione appare anzi in sintonia con una adeguata istruttoria, e quindi con quel principio di buon andamento.

1.5 – Il quinto motivo d’appello addebita al T di non aver valorizzato la censura di primo grado che denunciava un’insufficiente partecipazione al procedimento amministrativo da parte dell’attuale appellante.

Quest’ultima prospetta di aver acquistato il compendio immobiliare il 28 luglio 2006, registrando l’atto il successivo 5 agosto 2006;
e che le contestazioni provinciali del 7 gennaio 2008 non le sono state inviate. Essa precisa di aver fatto presente all'Amministrazione (con memoria del 2 aprile 2008, pervenuta all’Amministrazione il 4 aprile successivo) la mancata notifica, nella prospettiva di poter ottenere un nuovo termine per la presentazione di controdeduzioni e di nuova documentazione, ma rileva che il nuovo termine non è stato concesso;
ciò, secondo l’appellante, in evidente violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241. La relativa doglianza sarebbe stata illegittimamente disattesa dal T sul rilievo che la ricorrente aveva comunque presentato una memoria.

Questa censura non è fondata perché, come correttamente rilevato dal primo giudice, la partecipazione procedimentale è stata garantita ed espressa con la citata memoria del 2 aprile 2008 (la quale invero non lamentava i tempi ristretti per controdedurre, essendosi limitata a rilevare la mancata notificazione alla proprietaria della contestazione del 7 gennaio 2008): in quella memoria del 2 aprile 2008 il legale officiato dalla ricorrente ha controdedotto, in dieci pagine, alla contestazione della Provincia;
e il successivo impugnato atto di annullamento ha valutato e considerato queste controdeduzioni.

Sicché non risulta una violazione delle norme di garanzia procedimentale.

1.6 - Il mezzo successivo contesta le argomentazioni del T relative al sesto motivo del ricorso di primo grado e così sintetizzate nell’appello: << un titolo edilizio che, come avviene nel caso di specie, è "in sé conforme" allo strumento urbanistico, non lo sarebbe più (e, quindi, diventerebbe illegittimo) se esaminato, complessivamente, agli altri titoli edilizi assentiti nella medesima zona, ciò che causerebbe lo "stravolgimento del disegno voluto dal pianificatore" >>.

L’appello procede a una diffusa contestazione, sotto vari profili, di queste sintetizzate argomentazioni.

In particolare l’appello rileva:

a) che con riguardo alla concessione edilizia n. 57/2000 il provvedimento impugnato precisa soltanto " devono essere riconfermati i profili di illegittimità per contrasto con il P.T.C.P. regionale ";
e quindi non eleva l'ipotesi di lottizzazione a motivo di invalidità del titolo edilizio;

b) che comunque nel caso di specie non si configura un'ipotesi di lottizzazione abusiva. Ciò ai sensi della legislazione di riferimento (art. 50 della legge regionale n. 16/2008 e art. 30 del d.P.R. n. 380/2001), dello strumento urbanistico (il Programma di fabbricazione del Comune di D approvato con D.P.G.R. 29 luglio 1988, n. 822, il quale ammette una trasformazione urbanistica della zona E3 tale da consentire il nuovo insediamento residenziale: l'art. 42 delle relative Norme di attuazione, rileva l’appello, assegna in modo significativo un indice residenziale addirittura prevalente e quasi doppio rispetto ai nuovi manufatti a destinazione agricola, con finalità di presidio del territorio identico a quello realizzato), della giurisprudenza, anche di questo Consiglio di Stato (l’appello cita: Cons. Stato, Sez. V, 19 giugno 2009, n. 4037;
Cons. Stato, Sez. IV, 3 agosto 2010, n. 4934;
T Liguria, Sez. I, 22 marzo 2006, n. 277;
T Liguria, Sez. I, 26 maggio 2004, n. 817), delle concrete caratteristiche dell’intervento in esame;

c) la legittimità della concessione edilizia 5 ottobre 2000, n. 57 non può che essere valutata applicando la normativa (e tenuto conto della situazione di fatto) in essere alla data del suo rilascio, sicché non è possibile dare alcun rilievo ai titoli edilizi successivi, come quasi tutti quelli contestualmente annullati con il provvedimento impugnato;
né è possibile non tener conto della sola situazione di fatto esistente alla data dell'assentimento;
e - come riconosce la stessa sentenza impugnata - anche per il T Liguria (pur non ritenendola condizione sufficiente per annullare il provvedimento impugnato visto che " l'assenso a singoli progetti in sé conformi " avrebbe " comportato lo stravolgimento del disegno voluto dal pianificatore ") la concessione edilizia n. 57/2000 è incontestabilmente conforme al citato P.d.F. approvato con D.P.G.R. 29 luglio 1988, n. 822, il quale, in zona, prevede e consente la realizzazione di una pluralità di costruzioni senza richiedere la formazione di alcun strumento urbanistico attuativo, essendo per legge demandato proprio ed invece ai piani urbanistici generali di individuare le zone nelle quali la edificazione è subordinata a strumento urbanistico attuativo (l’appellante richiama l’art. 3 della legge regionale n. 28/1976, abrogata dalla legge regionale n. 36/97 ma comunque applicabile, precisa l’appellante, atteso che il P.d.F. di D è stato approvato nel vigore della medesima). Né il P.d.F. riserva l'edificazione in zona ai coltivatori agricoli o la limita alle costruzioni connesse alla coltivazione del fondo: la zona E3 è una tipica zona agricola residuale, avendo da decenni la giurisprudenza chiarito che non può stabilirsi l'equazione zona agricola = zona riservata alla produzione agricola e che occorre avere riguardo non al nomen delle zone ma alla disciplina in concreto per esse dettata nel Piano urbanistico;

d) errata è anche la sentenza laddove ha ritenuto l'edificazione contrastante con l'art. 49 del P.T.C.P. (v. infra );

e) lo stesso T Liguria, chiamato di recente a decidere su un'impugnativa avente ad oggetto il medesimo provvedimento provinciale 29 giugno 2009 prot. n. H/568 di annullamento di analoghi titoli edilizi assentiti nella medesima zona Colle Lupi, ha, con provvedimento istruttorio, riconosciuto rilevante l'accertamento diacronico, sì da poter fotografare lo stato di fatto e di diritto al momento del rilascio del titolo edilizio.

Questi rilievi non dimostrano l’erroneità del rigetto del ricorso di primo grado.

In proposito deve premettersi che la sintesi delle argomentazioni del T fatta dall’appello relativamente al sesto motivo del ricorso di primo grado non rispecchia fedelmente l’effettiva portata di quelle argomentazioni del primo giudice.

Si osserva che se in effetti, come prospettato nel rilievo sub a), l’ipotesi di lottizzazione non vede espressamente inserita nel provvedimento impugnato anche l’edificazione oggetto del presente gravame, per contro la sintesi della sentenza appellata riferita dall’appellante ( << un titolo edilizio che, come avviene nel caso di specie, è "in sé conforme" allo strumento urbanistico, non lo sarebbe più (e, quindi, diventerebbe illegittimo) se esaminato, complessivamente, agli altri titoli edilizi assentiti nella medesima zona, ciò che causerebbe lo "stravolgimento del disegno voluto dal pianificatore" >>) non rispecchia l’effettiva portata delle argomentazioni del T.

Il primo giudice – pur effettivamente collegando la valutazione del titolo della ricorrente all’impatto urbanistico che le edificazioni oggetto dell’atto impugnato hanno complessivamente apportato, in un contesto di lottizzazione, al territorio regolamentato dallo strumento comunale (“…... non è condivisibile la prospettiva fatta propria dal Comune di D e ripresa dall’atto di impugnazione, secondo cui si dovrebbe apprezzare la conformità del titolo per cui è lite, senza aver riguardo all’impatto urbanistico che le realizzazioni hanno complessivamente apportato al territorio regolamentato dallo strumento comunale .”) - non ha però affermato che il titolo edilizio dell’appellante era " in sé conforme allo strumento urbanistico ” e che diveniva illegittimo (soltanto se) “ esaminato, complessivamente, agli altri titoli edilizi assentiti nella medesima zona ”.

Il T invece, respingendo anche la censura di primo grado la quale escludeva il contrasto - affermato dall’impugnato provvedimento - della annullata concessione edilizia n. 57/2000 con il P.T.C.P. regionale, ha tra l’altro ravvisato quel contrasto, come del resto percepito dalla stessa appellante: si veda in proposito la censura del presente stesso motivo sopra indicata sub d).

In proposito l’appellata sentenza rileva quanto segue.

Inoltre il Collegio rileva che dagli atti risulta che il fabbricato in questione è ubicato sul versante sinistro del torrente Prino e a monte della frazione Isolalunga;
tutta l’area interessata all’edificazione intensiva senza Piano si estende sino al crinale collinare;
il sedime è classificato IS-MA del vigente P.T.C.P., che intendeva con ciò mantenere un regime di insediamento sparso, che è stato sovvertito dall’edificazione in questione.

In tal senso ricorrono le violazioni evidenziate dal provvedimento provinciale gravato, posto che l’urbanizzazione derivata dall’esecuzione dei titoli assentiti nella zona ha mutato la natura della zona di insediamento sparso votato al mantenimento, quale era prescritta dal P.T.C.P., ha apportato l’alterazione alla struttura della pianificazione comunale, che il progetto preliminare del PUC adottato con l’atto consiliare 15.9.2008, n. 4960 si propone di assorbire;
ciò avverrà inevitabilmente con l’assunzione di oneri per la collettività, che dovrà così farsi carico dei vantaggi patrimoniali conseguiti dagli interessati, che hanno tra l’altro alterato il profilo del territorio nel modo descritto dal provvedimento gravato.
”.

L’appello, richiamando le censure di primo grado, afferma in proposito quanto segue:

<< Quel che il P.T.C.P. prescrive, nelle zone IS.MA., è il mantenimento del carattere sparso dell'insediamento nell'intera zona caratterizzata da insediamenti sparsi. Tanto è vero che, incontestabilmente, l'art. 49 N.A. del P.T.C.P. considera compatibile con il regime dettato "un incremento della consistenza· insediativa o della dotazione di attrezzature ed impianti, sempreché questo non ecceda i limiti di un insediamento sparso".

Vanno mantenute le caratteristiche insediative (e non le singole aree libere) della Zona, e la Zona che interessa non è quella urbanistica (men che meno il lotto) ma quella paesistica IS.MA (l'intera Zona IS.MA.).

Di più, "Insedimenti sparsi" non significa nemmeno che gli edifici debbano essere tra loro "isolati". In altre parole, il mantenimento di "insediamenti sparsi" non impone che nell'intorno di un edificio esistente non possa sorgere altra costruzione senza che, per questo, la zona perda le caratteristiche dell'insediamento sparso. La conclusione è confermata anche dalla Regione Liguria e dalla Soprintendenza nel "Documento congiunto per l 'interpretazione e l 'applicazione delle norme del P.T.C.P." laddove si precisa, con riguardo alla disciplina delle zona IS-MA, che "è necessario comunque superare l 'accezione letterale del! 'aggettivo "sparso" e considerare che all'interno dell'IS MA possono esistere anche forme sparse di insediamento caratterizzate da piccoli aggregati edilizi che costituiscono, allo stesso modo dei singoli edifici isolati, fattore caratterizzante il paesaggio".

In ogni caso, il titolo edilizio annullato è stato assentito nell'ottobre del 2000. Si tratta, quindi, di uno dei primi interventi autorizzati (tra tutti quelli oggetto del provvedimento di annullamento provinciale), sicché la eventuale (ma inesistente) alterazione del carattere sparso dell'insediamento sarebbe addebitabile alla edificazione approvata successivamente e non può costituire, quindi, motivo di annullamento del permesso di costruire n. 57/2000.

Sono quindi assenti tutti gli elementi che, secondo l'Amministrazione intimata, determinerebbero la "vistosità" dell'intervento e non ne consentirebbero il corretto inserimento paesistico. >>.

Questi rilievi non considerano una parte decisiva dell’art. 49 delle Norme tecniche di attuazione del P.T.C.P., richiamato all’impugnato provvedimento.

La disposizione urbanistica, in effetti, è dedicata agli “ Insediamenti sparsi ” e al “ Regime normativo di mantenimento (IS-MA) ”;
però quanto a quest’ultimo prevede sì, al comma 3, che sono consentiti “ quegli interventi di nuova edificazione e sugli edifici esistenti, nonché di adeguamento della dotazione di infrastrutture, attrezzature e impianti che il territorio consente ”, ma “ nel rispetto delle forme insediative attuali ” e “ sempre che non implichino ne richiedano la realizzazione di una rete infrastrutturale e tecnologica omogeneamente diffusa ”.

Ora, il fabbricato assentito è, come da espressa indicazione dell’appellante (vedi già in proposito il ricorso di primo grado) sito in zona E3 - agricola produttiva - secondo il Programma di fabbricazione approvato dalla Regione nel 1988 e vigente in D, destinazione che comporta “ forme insediative ” che non coincidono con il fabbricato oggetto dell’assenso edilizio annullato.

Il fabbricato infatti è descritto dall’appellante come “ residenziale-agricolo costituito da un piano fuori terra (per una volumetria pari a mc 138,02 a destinazione residenziale' ed a mc 80,78 a destinazione agricola) ”;
e da questa stessa descrizione, nonché alla documentazione fotografica prodotta in primo grado dalla ricorrente a corredo di una relazione tecnica asseverata, appare da escludere che esso possa qualificarsi come forma insediativa “agricola produttiva”.

Inoltre dalla relazione tecnica asseverata pure prodotta in primo grado a cura della ricorrente risulta che (diversamente da quanto asserito dall’appellante: v. le successive pagine 29 e 30 dell’appello) nelle opere di urbanizzazione primaria presenti nelle immediate vicinanze dell’area in oggetto mancano le fognature e la pubblica illuminazione. Il che comporta che l’intervento di nuova edificazione di cui si discute richiede “ la realizzazione di una rete infrastrutturale e tecnologica omogeneamente diffusa ” di cui al citato art. 49 delle Norme tecniche di attuazione del P.T.C.P., e dunque non rispetta quanto prescritto dalla disposizione urbanistica.

Correttamente dunque l’impugnato provvedimento, e successivamente l’appellata sentenza, hanno rilevato nell’assenso edilizio in argomento un contrasto con il Piano territoriale di coordinamento paesistico.

Quanto sopra mostra la correttezza del rilievo d’illegittimità del titolo edilizio, rilievo su cui si fonda il provvedimento impugnato in primo grado, e conseguentemente la correttezza del rigetto, da parte del T, della relativa censura del ricorso di prime cure, anche con riferimento al profilo diacronico dell’accertamento, invocato dall’appellante, profilo che è irrilevante a fronte di quella intrinseca illegittimità del titolo edificatorio.

1.7 - Da ultimo l’appello contesta la sentenza del T laddove essa, nel respingere il settimo e ultimo motivo del ricorso di primo grado, ha individuato la sussistenza dell'interesse pubblico nella necessità di dotare le aree delle opere di urbanizzazione necessarie e nel fatto che " un versante collinare in precedenza dedicato alla coltivazione dell’ulivo (n.d.r.: la specificazione “ dell’ulivo ”, presente nella sentenza, non è riportata nell’appello) è stato riconvertito alla funzione residenziale intensiva, nella totale assenza di ogni previa volontà pianificatoria in proposito ".

Così facendo il T si sarebbe limitato a ripetere la motivazione del provvedimento impugnato, senza quindi esaminare il puntuale motivo del ricorso di primo grado, il quale avrebbe invece dimostrato l'insussistenza di alcun effettivo interesse pubblico.

La censura è condivisibile quanto alla carenza motivazionale della sentenza appellata relativamente dei vari rilievi contenuti nel settimo motivo del ricorso di primo grado, poiché in effetti, a fronte dei vari rilievi esposti nell’ultimo motivo del ricorso di primo grado ed ivi indicati con le lettere da a) ad f), le considerazioni del primo giudice (“ In proposito il tribunale rileva innanzitutto l’onere che l’Amministrazione comunale dovrà sostenere per reinserire i fabbricati nel tessuto urbanistico esistente, ove non riterrà di demolirli;
va poi notata la correttezza della tesi sostenuta al riguardo dall’Amministrazione provinciale, nella parte in cui evidenzia che un versante collinare in precedenza dedicato alla coltivazione dell’olivo è stato riconvertito alla funzione residenziale intensiva, nella totale assenza di ogni previa volontà pianificatoria in proposito.
”) risultano eccessivamente sintetiche e non complete.

Ma anche ad un esame devolutivo in questa sede d’appello (come è noto, il vizio ex art. 112 cpc della sentenza impugnata, anche ove sussistente, non è causa di annullamento della medesima ex art. 105 del cpa: ex aliis Consiglio di Stato , sez. IV , 03/12/2018 , n. 6824) quel ricorso non appare comunque suscettibile di accoglimento, posto che – come del resto sinteticamente rilevato nell’atto impugnato in primo grado proprio con riferimento alla concessione edilizia relativa all’immobile della ricorrente - risulta esservi nel caso di specie l’interesse pubblico, specifico, concreto ed attuale, prevalente sull’interesse privato, a procedere all’annullamento del titolo edilizio in questione e l’atto impugnato in primo grado resiste comunque alle censure dell’appellante.

Diversamente da quanto affermato dall’appello l’interesse pubblico all’annullamento dei titoli edilizi precedentemente assentiti non è stato individuato dall’Amministrazione nel mero ripristino della legalità ritenuta violata bensì, come emerge dall’ampia motivazione del provvedimento riportata nella parte in fatto della presente sentenza, nel contrasto fra la trasformazione territoriale operata e l’assetto insediativo previsto dal vigente Piano territoriale comunale paesistico regionale.

Il presente motivo d’appello, ribadendo l’omologo motivo del ricorso di primo grado, afferma che nessuna opera di urbanizzazione primaria è carente e rileva: “ né è detto quali urbanizzazioni secondarie sarebbero state necessarie, ovvio essendo che nessun insediamento (men che meno così modesto) esige la presenza di tutte le opere di urbanizzazione secondaria. L'Amministrazione, esercitando il potere di annullamento di un titolo edilizio ed assumendo la pretesa carenza urbanizzativa, non può esimersi dall'individuare quali sarebbero le opere di urbanizzazione che il Comune ha ritenuto necessarie e che, invece, in tesi mancherebbero ”.

In proposito il provvedimento impugnato ha correttamente rilevato l’assenza delle opere di urbanizzazione con specifico riferimento alla circostanza che l’edificazione oggetto degli annullamenti aveva “ comportato una trasformazione dell’ambito territoriale in questione, che doveva avere una destinazione agricola in base al P.d.F., diventando una zona residenziale ”.

Ciò in conformità alla citata (v. il precedente capo 1.6 della presente sentenza) previsione dell’art. 49, comma 3, delle Norme tecniche di attuazione del P.T.C.P., che si è visto non consentire interventi di nuova edificazione e sugli edifici esistenti qualora quegli interventi avessero implicato “l a realizzazione di una rete infrastrutturale e tecnologica omogeneamente diffusa ”, assente nel caso di specie (v. il suddetto capo 1.6 della presente sentenza, nonché la stessa relazione tecnica asseverata invocata nel motivo e pure presa a riferimento da questa sentenza nel citato capo 1.6).

La asserita conformità del titolo edilizio annullato al P.d.F. del Comune di D non può farsi derivare soltanto dalla convenzione alla coltivazione ad ulivi nel terreno asservito, poiché, come rileva la stessa appellante, il P.d.F. imponeva per il sito in esame “ fini di miglioramento fondiario ”, in cui l’edificazione non aveva fini residenziali ma di '' presidio umano del territorio " e quindi conformi alla destinazione “agricola-produttiva” propria della zona E3 di riferimento e non alla non meglio precisata (se non con richiamo all’asservimento a coltivare ulivi) e non prevista funzione “residenziale agricola” dell’edificazione oggetto della concessione edilizia annullata.

Quanto alla specifica comparazione tra interesse pubblico all’annullamento del titolo edilizio assentito e l’interesse privato al mantenimento di quel titolo edilizio e alla specifica prevalenza dell’interesse pubblico sull’interesse privato esse invero non sono diffusamente esposte nell’atto impugnato in primo grado, ma l’ampia motivazione di quest’ultimo con riferimento all’intera vicenda degli assensi edilizi annullati consente di percepire sia quella comparazione sia quella prevalenza. Ciò anche tenendo conto del fatto che l’atto impugnato in primo grado non pone drasticamente nel nulla gli interessi edificatori dei titolari degli assensi edilizi annullati, ma prevede espressamente un riesame della situazione urbanistica e di tutti quegli interessi edificatori.

Anche in questo caso appare sufficiente un rinvio al contenuto, riportato nella parte in fatto della presente sentenza, del provvedimento impugnato in primo grado.

2. - In conclusione l’appello va respinto, e per l’effetto confermata l’appellata sentenza, seppure con diversa motivazione relativamente al settimo motivo del ricorso di primo grado.

Le spese del grado d’appello seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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