Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-03-22, n. 201601182

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-03-22, n. 201601182
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201601182
Data del deposito : 22 marzo 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03715/2015 REG.RIC.

N. 01182/2016REG.PROV.COLL.

N. 03715/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3715 del 2015, proposto da:
Italia Nostra Onlus - Associazione Nazionale per la Tutela del Patrimonio Storico, Artistico e Naturale Nazionale, in persona del legale rappresentante, Anbo-Associazione Naturalistica Berici Orientale (già Comitato per la Difesa di Barbarano Vicentino), in persona del legale rappresentante, I G, D M, L F, G F, G G, M B, G P, L S, D M, G S, R B, E R, E N, B P, S M, A A, L C, F L, R P, L F, G M, A T, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati. D M, O S, con domicilio eletto presso O S in Roma, Via Cosseria, n 5;

contro

Regione Veneto, in persona del Presidente in carica rappresentato e difeso dagli avvocati Luisa Londei, Francesco Zanlucchi, Ezio Zanon, Andrea Manzi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via Federico Confalonieri, n. 5;

nei confronti di

Escavi Berica-Seb S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Annamaria Tassetto, Franco Zambelli, Mario Ettore Verino, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via Barnaba Tortolini 13;
Comune di Albettone, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro Calegari, Andrea Manzi, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, Via Federico Confalonieri, n. 5;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA, SEZIONE II, n. 89/2015, resa tra le parti, concernente autorizzazione paesaggistica relativa a progetto di coltivazione di cava e connessa procedura di V.I.A..


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Veneto, della Escavi Berica-Seb S.r.l., del Comune di Albettone e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2015 il Cons. L M T e uditi per le parti gli avvocati O S, Andrea Manzi, Franco Zambelli e l'Avvocato dello Stato Carla Colelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Veneto gli odierni appellanti impugnavano la D.G.R.V. n. 60 del 4 febbraio 2014, il connesso parere della Commissione regionale V.I.A. n. 443 del 6 novembre 2011 e gli altri provvedimenti indicati nella pronuncia di primo grado, con cui era stato approvato ed autorizzato, ai sensi degli artt. 11 e 24 L.R. 10/1999, il progetto della società Escavi Berica s.r.l., di coltivazione e ricomposizione ambientale della cava di calcare denominata “S.E.B.”.

2. Il primo giudice riteneva legittimati ad agire soltanto Italia Nostra e Legambiente. Al contrario, escludeva la sussistenza di legittimazione in capo al Comitato Tutela Area Berica ed all’Associazione Naturalistica Berici Orientali, difettando la dimostrazione in ordine al grado di rappresentatività di tali associazioni, ed alla permanenza della loro azione ed al loro stabile collegamento con il territorio di Albettone. Inoltre, escludeva la presenza della legittimazione ad agire in capo ai ricorrenti persone fisiche, per non essere stato evidenziato quel particolare collegamento con il territorio interessato dall’attività di cava, che avrebbe denotato la presenza di un interesse differenziato e qualificato.

2.1. Il TAR, quindi, procedeva allo scrutinio delle sole censure funzionali al soddisfacimento di interessi ambientali, valutandole come infondate, mentre dichiarava inammissibili le doglianze, di carattere meramente procedimentale, relative all’illegittima composizione della Commissione VIA (quarto motivo), alla violazione delle norme sulla sospensione del procedimento amministrativo (sesto motivo) e all’indebito affidamento allo studio B della elaborazione del progetto (decimo motivo).

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propongono appello gli originari ricorrenti, invocandone la riforma per le seguenti ragioni: I) la sentenza impugnata (pagina 9) ha ritenuto che l’appellante Italia Nostra Onlus non fosse legittimata a proporre le censure di cui al quarto, sesto e decimo motivo del ricorso di primo grado, avendoli il T.A.R. Veneto giudicati motivi di natura “meramente procedimentale”. Il predetto capo 2 della sentenza appellata andrebbe riformato in primo luogo perché, dopo avere premesso che la legittimazione delle associazioni ambientaliste va limitata “ alla proposizione di censure funzionali al soddisfacimento di interessi ambientali ”, non avrebbe adeguatamente motivato la ragione per la quale i suddetti motivi, in forza del loto carattere meramente procedimentale, non sarebbero funzionali al soddisfacimento di tali interessi. Una simile affermazione sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di questo Consiglio;
II) la contestazione, mossa ai ricorrenti persone fisiche, di non avere dichiarato nel ricorso quale proprio “ bene della vita ” ritengono possa essere pregiudicato dall’atto impugnato, sarebbe formalistica e paradossale. Trattandosi dell’interesse a non vedersi pregiudicato dalla realizzazione di una cava di quattro milioni di metri cubi sottoposta a V.I.A.. Già in primo grado inoltre, risulterebbe essere stata provata la sussistenza della vicinitas , poiché le abitazioni di quest’ultimi sarebbero a poche centinaia di metri dalla cava;
III) sarebbe erronea la sentenza nella parte in cui ha negato la legittimazione ad agire all’Associazione naturalistica Berici orientali. A.N.B.O., infatti, quest’ultima non sarebbe una nuova associazione, ma il frutto della trasformazione dell’allora Comitato per la difesa di Barbarano Vicentino onlus, attivo dai primi anni 2000. Sempre il Comitato per la difesa di Barbarano Vicentino negli anni avrebbe, a supporto e coronamento della proprie attività di valorizzazione dei luoghi, curato la pubblicazione di due volumi, “Monticello Vive” e “L’uomo di Neandertal a Monticello;
IV) l’affermazione contenuta nella sentenza del TAR, secondo la quale “ il parere della CTPAC è necessario solo nel caso in cui il progetto di coltivazione, non essendo sottoposto alla procedura di VIA, si svolga secondo il modulo autorizzatorio ordinario di cui alla L.R. 44/1982 ”, sarebbe erronea in quanto l’affermazione appena richiamata presupporrebbe (in maniera manifestamente erronea) che vi sia una alternatività secca tra progetti non sottoposti a V.I.A., che seguirebbero il “modulo autorizzatorio ordinario”, e i procedimenti sottoposti a V.I.A., che seguirebbero il “modulo non ordinario” di cui alla legge sulla V.I.A.. In realtà, questa affermazione non terrebbe conto che, nel caso dei progetti sottoposti a V.I.A., vi sarebbe a propria volta una opzione alternativa, tra il modulo del tutto ordinario (che terrebbe distinti il preventivo procedimento per la V.I.A. ex art. 10 della L.R Veneto n. 10/1999 e il procedimento autorizzatorio) da un lato, e il modulo semplificato del procedimento unico ex art. 11 e 24 della legge dall’altro. L’esito, sopra richiamato, a cui giunge la sentenza appellata, sarebbe del tutto paradossale, perché si finirebbe col dire che sarebbe obbligatorio (e vincolante) il parere della C.T.P.A.C. solo nelle cave di minori dimensioni e minore delicatezza, mentre tale parere non sarebbe nemmeno chiesto in quelle cave che – per dimensioni, o perché comunque ricomprese, anche solo parzialmente, in aree naturali protette – necessitano di valutazione di impatto ambientale. Inoltre non sarebbe dato comprendere, perché il T.A.R. non avrebbe allora applicato fino in fondo il citato articolo 11 della L.R Veneto, n. 10/1999, che stabilisce che, laddove un soggetto si avvalga della facoltà di intraprendere la strada del procedimento unico, debba allegare alla domanda anche “ l’elenco delle amministrazioni competenti per il rilascio di pareri, nulla osta, autorizzazioni e assensi comunque denominati, necessari per la realizzazione dell’impianto, opera o intervento, corredato dalla documentazione prescritta dalla normativa vigente ”.

In altri termini, giacché l’art. 11 sarebbe pacificamente applicabile alla domanda di cava in esame, la tesi del T.A.R. non spiegherebbe perché a quel punto tra i “pareri” che il proponente avrebbe dovuto richiamare e richiedere non dovesse rientrare anche il parere della C.T.P.A.C., che la legge del 2004 aveva previsto dovesse essere “obbligatorio e vincolante”. Ciò sarebbe confermato altresì da un altro dato testuale, contenuto nell’art. 24 della L.R. Veneto, n. 10/1999, nel quale si specificherebbe che “in attuazione dei princìpi di semplificazione amministrativa, il giudizio di compatibilità ambientale è integrato nel provvedimento di concessione o di autorizzazione di attività di coltivazione di cave e torbiere … ”. Inoltre: a) la Commissione V.I.A., nel caso in esame, non sarebbe stata integrata da alcun rappresentante della Provincia di Vicenza;
b) il “rappresentante della Provincia” di cui si fa cenno a pagina 50 del parere V.I.A. sarebbe per l’appunto il “ Dirigente Responsabile Tutela Ambientale della Provincia di Vicenza ”, componente di diritto della Commissione V.I.A. regionale e non della commissione integrata in base al disposto dell’art. 6, comma 1, lett. d) della L.R. Veneto 10/99, e di conseguenza la sua mancata partecipazione avrebbe avuto effetto al limite in ordine all’espressione del parere di compatibilità ambientale, e non sicuramente in relazione alla pronuncia sull’autorizzazione, che compete alla Commissione V.I.A. nella sua composizione integrata;

II) con il secondo motivo di ricorso è stata censurata la palese irragionevolezza della decisione della Regione Veneto di autorizzare una cava per quasi 4 milioni di metri cubi di calcare da utilizzarsi nel settore delle costruzioni, quando appena nel novembre del 2013 la stessa Regione avrebbe previsto nel P.R.A.C. adottato, che i quantitativi massimi autorizzabili di calcare di costruzione fossero stabiliti in misura inferiore. Sarebbe, inoltre, palesemente erronea l’affermazione contenuta nella sentenza secondo la quale non rileverebbe il contrasto con il P.R.A.C., perché quest’ultimo pianificherebbe l’estrazione di “ calcare per costruzioni ”, mentre “ non considera i calcari per industria che verranno estratti invece da SEB ”, poiché l’atto autorizzativo della cava non direbbe alcunché in proposito, parlando genericamente di “ cava di calcare ”, senza specificare altrimenti. Inoltre, la stessa la SEB nei documenti progettuali avrebbe precisato che il materiale da estrarsi è “ classificato A1.a secondo la norma CNR UNI 1006 ”, ossia la norma UNI riguardante la “ costruzione e manutenzione di strade ”. Erronea sarebbe anche l’altra affermazione del primo giudice, secondo la quale il P.R.A.C., in quanto solo adottato e non ancora approvato e pacificamente non applicabile in regime di salvaguardia, sarebbe “ non efficace ”. Ciò, infatti, non escluderebbe automaticamente la ricorrenza di un vizio di illegittimità sotto il profilo dell’eccesso di potere;

III) sarebbe infondata l’affermazione del TAR secondo la quale la zona sottoposta a vincolo idrogeologico, in presenza del quale l’art. 17 delle N.T.A. del P.R.G. di Albettone vieta l’escavazione, sarebbe “ insistente su gran parte del territorio comunale ”, come si evincerebbe da un estratto cartografico del Piano di assetto del territorio del Comune di Albettone (allegato n. 12). Pertanto, risulterebbe inconferente il richiamo operato dal primo giudice alla giurisprudenza di questo Consiglio sulla interferenza tra pianificazione regionale in materia di cave e pianificazione urbanistica comunale;

IV) sarebbe erronea la sentenza del primo giudice circa l’infondatezza della censura avente ad oggetto la violazione della previsione della legge regionale Veneto n. 10/99 sulla Valutazione di impatto ambientale (la L.R. 10/1999), secondo cui il Presidente della Commissione VIA regionale debba essere di diritto il massimo dirigente regionale in materia ambientale;

V) sarebbero irragionevoli i pareri favorevoli espressi dalla Direzione regionale del M.I.B.A. e dal Servizio forestale. La Soprintendenza e la Direzione regionale beni ambientali – con riferimento alle modalità di ricomposizione del rilievo collinare oggetto di escavazione – avrebbero, infatti. modulato come prescrizione per la fase esecutiva dell’opera quella che sarebbe dovuto essere un presupposto già acquisito del progetto;

VI) sarebbe erronea la pronuncia di prime cure nella parte in cui non avrebbe apprezzato una violazione della legge regionale veneta sulla cave nella misura in cui l’art. 15 comma 2, lett. d), imporrebbe che un progetto di coltivazione contenga espressamente, tra le altre cose, “ un programma economico - finanziario che indichi la utilizzazione e la destinazione sul mercato del materiale estratto … ”;

VII) sarebbe erronea la pronuncia di prime cure nella parte in cui non avrebbe apprezzato una violazione dell’art. 41- bis della legge fondamentale urbanistica del 1942 per il fatto che il redattore dello Studio di impatto ambientale del progetto di cava sarebbe lo stesso che ha redatto la Valutazione ambientale strategica del Comune di Albettone;

VIII) infine, sarebbe da riformare la pronuncia di prime cure, dal momento che allo Studio B non sarebbe stato affidato l’intero progetto di cava, bensì la parte ambientale del progetto stesso, e nella fattispecie lo Studio di impatto ambientale e i documenti ad esso connessi. Cosicché, anche in questo caso, sarebbe da confutare il carattere “ meramente procedimentale ” e soprattutto la presunta inidoneità della censura ad influire sugli interessi ambientali tutelati dalle associazioni ricorrenti.

4. In data 27 maggio 2015 si costituisce in giudizio il Ministero dell’Ambiente, invocando la reiezione dell’odierno gravame.

5. In data 28 maggio 2015 si costituisce in giudizio Escavi Berica-Seb S.r.l., chiedendo la conferma della sentenza di prime cure ed evidenziando che la citata sentenza sarebbe corretta nella parte in cui ha affermato il difetto di legittimazione ad agire di alcuni ricorrenti. La società appellata, inoltre, ripropone l’eccezione di inammissibilità del ricorso di prime cure nella parte in cui si chiede al giudice amministrativo di sindacare amplissime scelte discrezionali della p.a. in sede di valutazione della VIA.

Nel merito contesta le doglianze esposte nell’atto d’appello, precisando: I) quanto al primo motivo, che l’art. 26, d.lgs. 152/2006, disporrebbe che la conferenza di servizi acquisisca il parere della Commissione tecnica regionale che in materia di cave sarebbe integrata con una rappresentanza provinciale, sicché il parere in questione si sostituirebbe a quello della C.T.P.A.C. (commissione tecnica provinciale per le attività di cava);
II) quanto al secondo motivo, il P.R.A.C. ancora non efficace non sarebbe applicabile in ragione della tipologia del materiale da estrarre;
III) quanto al terzo motivo, che sosterrebbe la presenza di un impeditivo vincolo idrogeologico derivante dall’art. 17 N.T.A. del P.R.G. del Comune di Albettone, la giurisprudenza di questo Consiglio, in particolare la sentenza n. 2094/2013, escluderebbe che gli strumenti urbanistici possano disciplinare anche la materia estrattiva;
IV) quanto al quarto motivo, oltre ad essere inammissibile, sarebbe infondato;
V) in ordine al quinto motivo l’appellata si sarebbe uniformata ai rilievi delle amministrazioni interessate, comportandosi come se fosse necessario iniziare un nuovo iter procedimentale. In ogni caso il motivo impingerebbe nella discrezionalità tecnica senza evidenziare convincenti elementi di contraddittorietà o di deficit motivazionale;
VI) l’ottavo motivo andrebbe respinto, dal momento che lo studio di impatto ambientale riporterebbe una compita analisi economico finanziaria del progetto;
VII) sarebbe infondato il decimo motivo sulla presunta incompatibilità dello studio Benincasa.

6. In data 29 maggio 2015 si costituisce in giudizio il Comune di Albettone, invocando la reiezione dell’odierno gravame.

7. In pari data si costituisce in giudizio la Regione Veneto che, nel sostenere la bontà della pronuncia di prime cure, pone in luce come, pur non essendo ancora concluso l’iter di approvazione procedurale del nuovo P.R.A.C., la disciplina transitoria contenuta nell’art. 44, l.r. Veneto n. 44/1982, avrebbe sopperito adeguatamente alla mancanza del piano, come chiarito dalla sentenza n. 2094/2013 di questo Consiglio. Sarebbe corretta la sentenza del TAR nella parte in cui avrebbe rilevato il difetto di legittimazione in capo ad alcuni ricorrenti. Le doglianze giudicate inammissibili dal TAR sarebbero, comunque, infondate: a) quanto all’asserita illegittimità derivante dalla composizione della commissione VIA, presieduta invece che dal Segretario regionale competente dal Segretario regionale competente in materia di infrastrutture, le sentenze di questo Consiglio n. 3107/2011 e n. 3205/2013, avrebbero escluso si tratti di un vizio di legittimità, perché espressione della potestà organizzatoria e statutaria della Regione;
b) quanto alla doglianza che lamenta l’illegittima sospensione del procedimento, si tratterebbe invece di una facoltà consentita dagli artt. 5 e 18 l.r. Veneto, n. 10/1999 in caso di integrazioni;
c) sarebbe infondata la censura in ordine al presunto conflitto di interessi per avere lo studio Benincasa redatto solo la V.A.S. del P.A.T. del comune di Albettone, che non avrebbe alcuna interferenza con profili relativi alla cava;
d) quanto ai motivi d’appello inerenti alle doglianze esaminate dal TAR gli stessi sono infondati.

8. Con memoria del 29 maggio 2015 gli appellanti precisano come sarebbero stati acquisiti agli atti del procedimento documenti dai quali si apprezzerebbe la presenza della legittimazione ad impugnare in capo alle persone fisiche ricorrenti.

9. Con memoria del 1 giugno 2015 l’amministrazione comunale di Albettone argomenta circa l’infondatezza dell’appello.

10. Con ordinanza del 4 giugno 2015 la Sezione, accogliendo l’istanza cautelare degli appellanti, sospende l’esecutività della sentenza di primo grado.

11. In vista dell’udienza per la trattazione del merito, tutte le parti depositano memorie conclusive e di replica nelle quali reiterano le proprie argomentazioni e conclusioni.

12. L’appello è solo parzialmente fondato.

12.1. Innanzitutto, devono essere confermate le conclusioni raggiunte dal primo giudice circa il difetto di legittimazione ad impugnare da parte dell’Associazione Naturalistica Berici Orientale, come degli appellanti persone fisiche. In particolare, quanto alla prima, occorre rammentare la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. ex plurimis , Cons. St., Sez. V, 2 settembre 2013, n. 4340), che per le associazioni ed i comitati richiede tra i requisiti legittimanti quello della non occasionalità. Si tratta di un requisito la cui necessità è confermata anche dalla legislazione comunitaria. Si pensi all’art. 11, del regolamento n. 1367/2006, dell’Unione Europea, di attuazione della Convenzione di Arhus, che prevede quale requisito di accesso alla tutela giurisdizionale per le O.N.G. di essersi costituita da più di due anni. Tanto ad evidenziare la presenza a livello ordinamentale nazionale ed europeo di una precisa direttrice che vuole vietare l’accesso alla tutela giurisdizionale in materia ambientale ad organismi costituiti ad hoc. Pertanto, il carattere provvisorio dell’associazione appellante e l’assenza di adeguata prova in termini di successione rispetto ad un preesistente comitato, non potendo valere a tal fine la mera dichiarazione di parte, impedisce di riconoscerle legittimazione processuale.

Allo stesso modo va confermata la pronuncia di prime cure nella parte in cui nega legittimazione processuale alle persone fisiche appellanti. Sul punto deve ribadirsi il principio espresso dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. St., Sez. V. 16 aprile 2013, n. 2108), secondo il quale non è sufficiente la mera vicinitas con l’impianto, la cui realizzazione si intende contestare, dovendosi prospettare concretamente l’incisione del bene della vita che si intende tutelare. Il mero criterio della vicinitas di un fondo o di una abitazione all'area oggetto dell'intervento urbanistico-edilizio non può ex se radicare la legittimazione al ricorso, dovendo sempre fornire il ricorrente, la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute ed all'ambiente, per cui la mera vicinanza di un fondo ad una cava non legittima per ciò solo ed automaticamente il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento autorizzativo dell'opera, essendo necessaria, al riguardo, anche la prova del danno che egli da questa possa ricevere. Nella fattispecie, una prova specifica da parte delle persone fisiche appellanti non è stata fornita.

12.2. Venendo al merito dell’appello proposto da Italia Nostra, è fondata la doglianza con la quale l’appellante contesta la pronuncia di prime cure per avere ritenuto inammissibili alcuni motivi dell’originario ricorso, in particolare, il quarto, sesto e decimo motivo del ricorso di primo grado, per la loro natura “meramente procedimentale”. La giurisprudenza di questo Consiglio ha da tempo, infatti, chiarito quale sia il limite della tipologia di censure, che può essere fatta valere da un’associazione ambientalista, individuandolo nell’inerenza del motivo con la tutela diretta del bene ambientale. In via esemplificativa, ha precisato che le Associazioni ambientalistiche, in ragione della stretta correlazione tra estensione oggettiva dell'interesse all'ambiente ed ambito di legittimazione, non sono legittimate a far valere in giudizio motivi aventi una diretta valenza urbanistica, e che solo in via strumentale (cioè per effetto del conseguito annullamento) e indiretta, e non in ragione della violazione dell'assetto normativo di tutela dell'ambiente, possano determinare un effetto utile (anche) ai fini dei valori ambientali, cioè i profili di gravame devono esser attinenti alla sfera di interesse (ambientale) dell'Associazione ricorrente, e, come tali, devono essere intesi al conseguimento di una utilità « direttamente rapportata » alla posizione legittimante (Cons. St., Sez. IV, 9 novembre 2014, n. 7246). Pertanto, non si negata tutelabilità all’interesse strumentale sotteso alla tutela dell’ambiente, che come per tutte le posizioni giuridiche di interesse legittimo è pienamente tutelabile, ma si è disconosciuta la facoltà delle associazioni ambientaliste di proporre doglianze inerenti ad una disciplina non afferente con quella ambientale, in quanto disciplina non diretta alla tutela della concreta posizione giuridica azionata. Non è quindi, la natura sostanziale o procedimentale della doglianza proposta dall’associazione ambientalista a determinarne l’ammissibilità o meno, quanto la sua diretta inerenza alla disciplina ambientale e, per l’effetto, alla sottostante posizione giudica azionata dall’associazione. Nella fattispecie il TAR ha pertanto, erroneamente valutato inammissibili le censure, di carattere meramente procedimentale, contenute nel ricorso di prime cure, relative all’illegittima composizione della Commissione V.I.A. (quarto motivo), alla violazione delle norme sulla sospensione del procedimento amministrativo (sesto motivo) e all’indebito affidamento allo studio B della elaborazione del progetto (decimo motivo). Quest’ultime, infatti, pur avendo valenza meramente procedimentale, evidenziano la presenza di violazioni strettamente attinenti alla disciplina ambientale e, quindi, al bene ambiente.

12.3. Così ricostruito l’esatto thema decidendi , occorre passare all’esame delle doglianze devolute per mezzo dell’odierno gravame all’attenzione del Collegio. Quanto alla doglianza inerente alla mancata acquisizione del parere della CTPAC, occorre precisare che la l.r. Veneto n. 44/1982, disciplina la ricerca e l'attività di cava nel territorio regionale, al fine di conseguire un corretto uso delle risorse, nel quadro di una rigorosa salvaguardia dell'ambiente nelle sue componenti fisiche, pedologiche, paesaggistiche, monumentali e della massima conservazione della superficie agraria utilizzabile a fini produttivi. L’art. 4 della suddetta normativa individua tra gli strumenti di pianificazione il: a) Piano regionale dell'attività di cava (Prac);
b) Piano provinciale dell'attività di cava (Ppac);
c) Programma provinciale di escavazione (Ppe);
d) Progetto di coltivazione. L’art. 44, della l.r. Veneto n. 44/1982, detta criteri transitori per l'assunzione delle determinazioni sulle domande di autorizzazione o concessione fino all'entrata in vigore del Prac e del Ppac. All’indomani della suddetta normativa ed in assenza dell’adozione del Prac, si sono succedute la l.r. Veneto n. 10/1999 e la l.r. Veneto n. 1/2004.

La prima delle citate normative disciplina le procedure di valutazione d'impatto ambientale per le cave con più di 350.000 m³/anno di materiale estratto, prevedendo all’art. 11 che: “ …il soggetto proponente può chiedere l'autorizzazione o approvazione definitiva del progetto contestualmente al giudizio di compatibilità ambientale… ” ed all’art. 24, che: “ In attuazione dei princìpi di semplificazione amministrativa, il giudizio di compatibilità ambientale è integrato nel provvedimento di concessione o di autorizzazione di attività di coltivazione di cave e torbiere in presenza delle seguenti condizioni : a) il proponente, si sia avvalso della facoltà di cui al comma 1 dell'articolo 11;
b) la commissione VIA abbia reso il parere sull'impatto ambientale di cui all'articolo 18.

Nell'ipotesi prevista al comma 1, la commissione VIA, integrata dai responsabili degli uffici regionali o provinciali competenti, provvede all'istruttoria ai fini del rilascio dei provvedimenti richiesti. L'autorizzazione e la concessione sostituiscono ogni altro parere, nullaosta, autorizzazione di competenza regionale ”.

Dal canto suo la l.r. Veneto n. 1/2004, prevede all’art. 24, che: “ In deroga a quanto stabilito dalla legge regionale 7 settembre 1982, n. 44 "Norme per la disciplina di cava" e fino all'approvazione del Piano regionale per le attività di cava (PRAC), il parere espresso dall'amministrazione provinciale attraverso la Commissione tecnica provinciale per le attività di cava (CTPAC) nell'ambito dei procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni o delle concessioni per le nuove attività di cava e per l'ampliamento delle esistenti è obbligatorio e vincolante ”.

L’esegesi offerta dal primo giudice in ordine al rapporto tra le norme in questione non c’è convincente. Secondo il TAR il parere della CTPAC è necessario solo nel caso in cui il progetto di coltivazione, non essendo sottoposto alla procedura di VIA, si svolga secondo il modulo autorizzatorio ordinario di cui alla L.R. 44/1982. Una simile conclusione, però non è ragionevole e non si coniuga con i principi di tutela ambientale.

Una prima riflessione porta a mettere l’accento sul fatto che l’appesantimento procedurale introdotto dalla l.r. Veneto n. 1/2004, sarebbe irragionevole, se fosse previsto solo per le autorizzazioni aventi ad oggetto progetti di cava di dimensioni inferiori a quelle per le quali è richiesta la V.I.A. Inoltre, la normativa del 2004 utilizza una formula ampia nel riferirsi al ” …rilascio delle autorizzazioni o delle concessioni per le nuove attività di cava e per l'ampliamento delle esistenti… ”, lasciando intendere che il parere della CTPAC sia sempre obbligatorio e vincolante. In questo senso la normativa del 2004 va ad integrare la pregressa disciplina del 1999. Del resto, una simile interpretazione è preferibile anche perché assicura un maggior standard di tutela ambientale in una materia nella quale il legislatore regionale era ben consapevole del gravissimo ritardo accumulato nell’adozione del PRAC. Pertanto, l’illegittimità che ne consegue si sarebbe potuta superare soltanto se la CTPAC avesse partecipato al procedimento di V.I.A.

12.4 Fondato risulta, altresì, il motivo con il quale l’appellante evidenzia che l’irragionevolezza della decisione della Regione Veneto, se rapportata al tenore delle determinazioni contenute nel PRAC adottato, benché ancora non efficace. Il citato strumento di pianificazione, infatti, prevede quantitativi massimi autorizzabili di calcare di costruzione in misura inferiore rispetto al provvedimento di autorizzazione impugnato che fa generico riferimento, senza specificare, ad una “cava di calcare”. Se la diposizione contenuta nel PRAC non può essere utilizzata quale parametro di valutazione diretta della legittimità della decisione oggetto dell’impugnato provvedimento, la stessa, però, deve essere utilizzata quale misura della ragionevolezza della decisione dell’amministrazione regionale, che risulta viziata da eccesso di potere nella misura in cui si presenta come irragionevole e contraddittoria. Quest’ultima, infatti, non da in alcun modo conto della ragione per la quale autorizzi una cava di siffatta dimensioni, pur avendo già operato valutazioni sia pure non ancora efficaci di segno opposto nell’atto di pianificazione delle attività di cava.

12.5. Del pari, fondato si rivela il quarto motivo dell’originario ricorso di prime cure, correttamente riproposto in questa sede con il quale ci si duole della violazione della previsione della legge regionale Veneto n. 10/99, secondo la quale il Presidente della Commissione VIA regionale deve essere di diritto il massimo dirigente regionale in materia ambientale. L’art. 6, comma 2, l.r. Veneto, n. 10/1999 vigente all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato dispone, infatti, che: “ La commissione provinciale VIA è presieduta dal dirigente della struttura provinciale competente in materia di tutela ambientale ”. Circostanza quest’ultima nella fattispecie non realizzatasi. È evidente anche l’interesse dell’associazione appellante a dolersi del mancato rispetto di una prescrizione di legge che richiede che la commissione V.I.A. sia presieduta da un dirigente al quale si riconoscono specifiche competenze proprio in materia ambientale.

12.6. Infondate sono, invece, tutte le altre doglianze. In particolare, quanto alla paventata violazione dell’art. 17 N.T.A. del Comune di Albettone, deve rilevarsi che la norma regolamentare comunale non può intervenire nella materia de qua devoluta alla competenza regionale, in costanza di una norma, l’art. 13, l.r. Veneto n. 44/1982, secondo la quale: “ Costituiscono aree di potenziale escavazione le parti del territorio comunale definite zona E ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 dallo strumento urbanistico generale approvato e non escluse dall'attività di cava ai sensi della presente legge ”. Va, infatti, in questa sede ribadito che, secondo quanto già chiarito dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria, n. 8/1991, gli strumenti urbanistici non possono disciplinate anche la materia estrattiva.

Infondato, è, altresì, il motivo con il quale evidenzia una presunta irragionevolezza dei pareri favorevoli espressi dalla Direzione regionale del MIBA e dal Servizio forestale, dal momento che gli stessi sono stati resi nuovamente dopo che l’impresa appellata ha mutato il contenuto del progetto adeguandosi ai rilievi indirizzatile. Pertanto, non si apprezzano profili di illogicità o di irragionevolezza tali da censure l’attività valutativa posta in essere dalle suddette amministrazioni. Né è convincente il profilo di censura con il quale si pone l’accento sul fatto che la

Soprintendenza e la Direzione regionale beni ambientali avrebbero modulato come prescrizione per la fase esecutiva dell’opera quella che sarebbe dovuto essere un presupposto già acquisito del progetto. Infatti, non si comprende esattamente quale elemento di illegittimità da ciò dovrebbe ricavarsi.

Infondato è anche il motivo con il quale si denuncia la violazione dell’art. 15, l.r. Veneto n. 44/1982, dal momento che lo studio di impatto ambientale riporta una compiuta analisi economico-finanziaria del progetto.

Non può trovare positivo apprezzamento il motivo secondo il quale il redattore della

Valutazione ambientale strategica del Comune di Albettone non avrebbe potuto redigere lo Studio di impatto ambientale del progetto di cava. Infatti, l’art. 41- bis , l. della legge fondamentale urbanistica del 1942, non può applicarsi nella fattispecie, dal momento che quest’ultima vuole evitare che chi si sia occupato della redazione del piano urbanistico possa progettare opere private che sullo stesso fondano.

13. L’appello, pertanto, deve essere accolto solo in parte, e per l’effetto deve trovare parziale riforma la sentenza di primo grado, con ciò che ne consegue intermini di parziale accoglimento del ricorso di prime cure. Nella particolare complessità delle questioni in fatto ed in diritto trattate si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

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