Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-08-07, n. 201703931
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Pubblicato il 07/08/2017
N. 03931/2017REG.PROV.COLL.
N. 05220/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5220 del 2016, proposto da V P, rappresentata e difesa dagli avvocati V A e A P M, con domicilio eletto presso lo studio Gigliola Mazza Ricci in Roma, Via di Pietralata, n. 320;
contro
Comune di Peschici, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato G D S, con domicilio eletto presso lo studio Maria Saracino in Roma, Via Appia Nuova, n. 251;
Parco Nazionale del Gargano, non costituito in giudizio;
nei confronti di
Cooperativa Cento a r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati D Fasanella e Antonio Leonardo Deramo, con domicilio eletto presso lo studio Placidi in Roma, Via Barnaba Tortolini, n. 30;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Puglia, sezione III, n. 683/2016, resa tra le parti, concernente provvedimento di annullamento in autotutela di permesso di costruire, nonchè ordine di rimozione opere abusive – mcp.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Peschici e della Cooperativa Cento a r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2017 il Cons. I V e uditi per le parti gli avvocati Antonucci, Masucci, Esposito, per delega di De Santis, e Fasanella, per sé e per delega verbale di Deramo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Col ricorso in epigrafe la persona fisica ivi pure indicata ha impugnato la sentenza del Tar Puglia, Bari, n. 683/2016, pubblicata il 19.5.2016, che, con compensazione delle spese, ha respinto il suo ricorso proposto per l’annullamento:
- dell’annullamento in autotutela in data 18.6.2015, prot. n. 6026, notificato il 7.7.2015 da parte del Comune di Peschici (di seguito “Comune”), del permesso di costruire n. 29/2011, rilasciato alla ricorrente, avente ad oggetto la ricostruzione di un manufatto destinato a chiosco-bar;
- dell’ordinanza 13.7.2015, n. 26, di ingiunzione della rimozione delle opere abusivamente realizzate;
- del provvedimento 9.6.2015, prot. n.6092, di rigetto del certificato di agibilità del manufatto assentito;
- del provvedimento comunale 11.7.2015, prot. 6655/PM, di irricevibilità ed improcedibilità della SCIA presentata per l’inizio dell’attività commerciale nel chiosco-bar;
- del provvedimento prot. n. 0006345 del 29.6.2015, notificato il 7.7.2015, di rigetto dell’autorizzazione allo scarico di reflui provenienti dal chiosco-bar.
1.1. La sentenza, in sintesi, ha motivato affermando che:
- era assorbente (per il rigetto del ricorso) il fatto che il permesso per costruire fosse ormai scaduto alla data di inizio dei lavori (in quanto, per accertamenti effettuati il 3.5.3015, i lavori di realizzazione del chiosco-bar non erano stati ancora avviati). Ne conseguiva che, decorso più di un anno (fissato per l’inizio dei lavori) dal rilascio del p.d.c., le opere poi realizzate erano abusive, per mancanza del titolo edilizio, ormai scaduto. Inoltre, la perdita di efficacia del p.d.c. ben poteva essere accertata anche in sede giudiziale, stante peraltro il concorrente, previo accertamento amministrativo operato in data 3.5.2015;
- tanto sarebbe bastato per dichiarare inammissibile il ricorso per carenza di interesse, dato che l’ordine di demolizione risultava allora atto dovuto (data l’originaria abusività delle opere, eseguite in carenza di p.d.c., ormai scaduto). Inoltre, l’annullamento giurisdizionale della rimozione in autotutela del p.d.c. non sarebbe stata di utilità per la ricorrente, dato che l’ordinanza di demolizione, impugnata solo per vizio di derivazione dalla pretesa illegittimità dell’autotutela, riguardava opere non assistite da assenso edilizio al momento della loro realizzazione;
- il ricorso era comunque inammissibile – sulla scorta di apposita eccezione del Comune e del controinteressato – dato che l’annullamento comunale era sorretto da motivazione plurima, le cui ragioni non erano state tutte impugnate. In particolare, non era stata impugnata la rilevata incompatibilità del chiosco-bar col vincolo idrogeologico di zona (il manufatto sarebbe stato d’ostacolo allo scorrimento delle acque meteoriche, cui, secondo il Comune, non rimediava il parere favorevole dell’Ispettorato ripartimentale delle foreste della Regione in data del 16.10.2000, n. 9018);
- nel merito, infine, era infondata la critica al provvedimento impugnato nella parte in cui esso ha annullato il p.d.c. per mancanza della valutazione di incidenza ambientale. La porzione di sedime ospitante il manufatto ricadeva in area SIC ove non poteva essere eseguito alcun intervento senza previa verifica del se e dell’entità dell’incidenza dell’opera sull’ambiente.
2. L’appello è affidato ai seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l.n. 241/1990 - ove occorra, violazione e falsa applicazione dei principi in materia di divieto di motivazione postuma attraverso scritti difensivi dell'amministrazione resistente;
b) violazione e falsa applicazione dell’art. 34, co. 2, c.p.a. - violazione e falsa applicazione dei principi costituzionali di separazione dei poteri;
c) motivazione erronea nei presupposti ovvero difetto di motivazione - violazione e falsa applicazione dell'art. 15 del d.P.R. n. 380/2001;
d) motivazione erroneità nei presupposti - difetto di motivazione - violazione e falsa applicazione dell'art. 40 c.p.a.;
e) errore in procedendo per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia - violazione e falsa applicazione dell'art. 21- nonies della l.n. 241/1990;
f) violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 120/2003 - violazione e falsa applicazione dell’art. 21- nonies della l.n. 241/1990 - motivazione erronea nei presupposti.
In breve, ad avviso di parte:
a.1) il Comune non aveva mai adottato un provvedimento di formale decadenza, ai sensi dell’art. 15 del TU edilizia, relativamente al p.d.c. per cui è causa. Di questo, piuttosto, il Comune aveva trattato solo nei suoi scritti difensivi giudiziali. Conseguentemente si sarebbe realizzato un caso tipico di integrazione postuma della motivazione, come tale inammissibile;
b.1) la sentenza in scrutinio (lì dove ha dichiarato inammissibile il ricorso per intervenuta decadenza del p.d.c., pur in assenza di un formale provvedimento amministrativo di decadenza) era erronea, in quanto i primi Giudici s’erano così ingeriti di un potere (declaratoria della decadenza, spettante in realtà al Comune) in eccesso di giurisdizione e travalicamento dei relativi limiti;
c.1) la sentenza era erronea anche lì dove essa aveva ritenuto che la realizzazione del manufatto era intervenuta oltre l’anno stabilito dal p.d.c. per il relativo avvio, non foss’altro perché essa aveva trascurato che il titolo edilizio aveva posto la condizione che l’edificato dovesse essere “ montato ad inizio stagione balneare e smontato a fine stagione balneare ”. Il caso di specie, pertanto, non rientrava nella fattispecie normativa di cui all’art. 15 del TU edilizia. Ciò senza poi contare che, invece, i lavori erano iniziati entro l’anno dal rilascio del p.d.c., come desumibile dalla comunicazione di inizio dei lavori depositata il 25.5.2012;
d.1) i primi Giudici avevano poi errato nel ritenere che fosse mancato, tra l’altro, l’assenso dell’Autorità preposta alla cura del vincolo idrogeologico e che, mancando comunque una pluralità di pareri e nulla osta (invece occorrenti), non si poteva ritenere legittimo il p.d.c. rilasciato senza prima averli acquisiti. In verità, questi assensi previi non sarebbero stati necessari, nella specie, trattandosi di mera ricostruzione di un manufatto preesistente, andato distrutto a causa di un incendio (doloso, a dire della parte) ed in ogni caso col ricorso di primo grado s’erano articolate apposite censure a tale riguardo;
e.1) i primi Giudici avevano inoltre omesso di pronunciare su un tema espressamente posto, ossia quello della mancata enunciazione, da parte del Comune, del pubblico interesse ritenuto prevalente rispetto all’affidamento ingeneratosi nel privato. Questo perché l’autotutela comunale era stata esercitata a ben quattro anni di distanza dal rilascio del p.d.c., senza poi considerare che, trattandosi di assenso edilizio per una mera ricostruzione, l’originaria c.e. risaliva addirittura del 3.7.2001. E sul punto, secondo la parte, si dovrebbero esprimere i Giudici del grado superiore;
f.1) infine l’errore della sentenza in scrutinio stava nell’aver ritenuto rilevante la mancanza (affermata dal Comune) di una previa valutazione del manufatto dal punto di vista della sua incidenza ambientale. E questo sia in connessione al tema di cui al punto e.1) precedente sia perché detta valutazione non occorreva nel caso di specie, trattandosi di opera di consistenza minima ed amovibile.
Contestualmente la parte ha poi riproposto i motivi di primo grado dichiarati assorbiti dalla sentenza impugnata, ossia:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 21-nonies della l.n. 241/1990;
- violazione e falsa applicazione del r.d.l. n. 3267/1923 - violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 120/2003 - violazione e falsa applicazione dell’art. 7 delle norme di salvaguardia di cui al d.P.R. del 5.6.1995 - violazione dell’art. 93 del d.P.R. n. 380/2001 - violazione e falsa applicazione d.g.r.p. n. 1309/2010 - violazione falsa applicazione dell’art. 11 del d.P.R. n. 380/2001;
- illegittimità derivata.
3. Si è costituita la controinteressata cooperativa Cento a r.l. (di seguito “Cento”) la quale ha, nell’ordine, eccepito:
- l’inammissibilità dell'appello per omessa notifica dell’atto di impugnazione al Comune e, comunque, per inesistenza giuridica di tale notificazione;
- l’inammissibilità dell’appello e dello stesso ricorso di primo grado in quanto notificati per via telematica, in violazione degli artt. 16- quater , co. 3- bis , del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l.n. 221/2012, e 52 c.p.a., nonché l’irricevibilità del ricorso di primo grado;
- l’inammissibilità dell'appello anche per effetto della omessa articolazione di qualsiasi motivo di impugnazione avverso il provvedimento impugnato in primo grado, limitatamente alla parte in cui con esso è stata dedotta la carenza del titolo di proprietà in capo all’appellante;
- l’infondatezza dell’appello nel merito:
-- per intervenuta decadenza del p.d.c. n. 29/2011 a causa del mancato inizio dei lavori entro il termine annuale e della loro mancata ultimazione entro il termine triennale;
-- per mancata violazione, nella specie, dell'art. 21- nonies della l.n. 241/1990;
- l’inconferenza degli ulteriori motivi d'appello.
4. Con ordinanza della Sezione n. 2696/2016, pubblicata il 12.7.2016, è stato accolto l’appello cautelare e, per l’effetto, sospesi “ gli effetti della sentenza impugnata e, quindi, quelli dei provvedimenti impugnati in primo grado ed in particolare, fra essi, il provvedimento di autotutela adottato dal Comune di Peschici ”.
5. Con ricorso intestato “ex art. 48, II comma, c.p.a.” depositato il 9.8.2016, il Comune ha chiesto la revoca di detta ordinanza per violazione degli artt. 95, co. 1, c.p.a. (anche in relazione agli artt. 55 e 56 del medesimo codice), 2 del c.p.a. e 111 Cost..
6. Il Comune ha poi depositato il 17.5.2017 una perizia tecnica volta a dimostrare che il sedime sul quale stava il manufatto in questione era, in verità, del demanio civico comunale e, segnatamente, “ di proprietà dell’Università di Peschici ”.
7. Con memoria depositata il 24.5.2017 il Comune ha eccepito:
- l’inammissibilità dell’appello per essere stato notificato in via telematica prima dell’1.1.2017 ed in mancanza di una previa autorizzazione a tale fine;
- l’irritualità altresì della notificazione dell’originario ricorso di primo grado, anch’esso notificato in via telematica e senza previa autorizzazione, onde dello stesso si sarebbe dovuto adesso pronunciare l’irricevibilità;
- l’inammissibilità dell'appello anche perché l’originaria ricorrente nessun motivo di impugnazione aveva articolato in ordine alla pur dedotta (in sede di autotutela) carenza di titolo proprietario in capo ad essa parte ricorrente. E, ad avviso dell’ente locale, tale profilo – giacchè non confutato – era già di per sé solo autosufficiente nel reggere la portata della determinazione comunale originariamente contestata;
- l’infondatezza nel merito dell’appello perché:
-- la (mera) comunicazione di inizio lavori non era valsa a soddisfare la condizione del loro avvio entro il noto termine dell’anno, visto che nella specie essi erano risultati iniziati e finiti dopo il 3.5.2015 ed il loro collaudo risultava essere stato effettuato il 30.6.2015;
-- la parte privata neppure aveva dimostrato – seguendo in ciò proprio il suo stesso schema argomentativo – che il manufatto fosse stato montato e smontato in coincidenza con le stagioni balneari 2012, 2013 e 2014, onde ulteriormente poteva dirsi assodata la decadenza automatica e di diritto dal p.d.c.;
-- non si poteva assumere che l’autotutela comunale fosse intervenuta a distanza di tempo rilevante, dato che essa era conseguita ad un esposto di una terza parte del 20.5.2015 e riguardava comunque lavori edilizi eseguiti nello stesso anno;
-- erano in ogni caso inconferenti gli ulteriori motivi di appello, giacchè:
--- effettivamente il sito in cui stava il manufatto ricadeva in area SIC (Manacore del Gargano), donde la necessità della valutazione di incidenza ambientale, a prescindere dalle caratteristiche di amovibilità e precarietà dell’intervento e del suo concreto impatto;
--- il sito ricadeva inoltre nelle maglie della zona 2 del Parco Nazionale del Gargano e nella zona tipizzata "rispetto costiero" dal vigente P.d.F. (assimilabile alla zona E), e quindi come tale assoggettata all'autorizzazione di cui all'art. 7 del d.P.R. 5.6.1995 (tanto che la parte privata aveva chiesto l'autorizzazione a sanatoria al medesimo ente Parco);
--- lo stesso era assoggettato anche a nulla-osta idrogeologico (non rilevando, come ex adverso sostenuto, che nella specie fossero state aperte soltanto “piccole buche” per l’installazione dei sostegni del manufatto, ma piuttosto dovendosi considerare la deviazione delle acque meteoriche in scorrimento per effetto della presenza del manufatto stesso);
--- nella specie faceva difetto anche una tempestiva autorizzazione sismica (artt. 93 e 94 del TU edilizia), dato che essa – come da documentazione avversaria – risultava rilasciata soltanto il 27.5.2015, quando il manufatto era già stato eretto.
8. Con memoria depositata il 25.5.2017 l’appellante si è opposta alla produzione di contenuto tecnico del Comune, precisando che – per “ divisione ereditaria bonaria ” del 3.11.2010, intervenuta con i suoi due fratelli – era divenuta proprietaria del terreno sul quale insisteva il chiosco-bar, che rispetto a questa circostanza nel giudizio di primo grado il Comune non aveva offerto prova contraria e che anche per questo non accettava contraddittorio in argomento con l’ente locale avversario.
9. Con memoria depositata in vista della udienza di discussione, il Comune ha dichiarato, infine, che il dante causa (anche) dell’appellante era in verità un “livellario” dell’ente locale, avendone avuto concessione dall’ente locale.
Ha aggiunto l’ente che “ E’ noto come il livello costituisca un antico istituto di fatto corrispondente all'enfiteusi (…) e si sostanzia in un diritto reale che si esercita su un fondo appartenente ad altri, denominato “concedente” (…) , previo pagamento di un canone per il godimento del fondo. Proprio in virtù dell'applicazione delle norme codicistiche dettate in materia di enfiteusi, deriva che al livellario (come all'enfiteuta) sia attribuito il diritto di affrancazione, ossia il diritto di divenire proprietario dell'immobile mediante il pagamento di una somma di denaro pari a quindici volte l'ammontare del canone (ex art. 9 L. n. 1138/1970). Nel caso di specie, tuttavia, mai alcuna affrancazione dell'area in questione è stata ottenuta dalla (… appellante) per cui la stessa si appartiene tuttora al demanio comunale. ”
Ha altresì aggiunto “ che il livellario è legittimato a richiedere il p.d.c. solo per manufatti funzionali all'attività oggetto del contratto di concessione (nel caso di specie a carattere agricolo) e non pare proprio che un chiosco bar possa rientrare nell'ambito del "livello" costituito dal Comune di Peschici in favore del dante causa ” dell’appellante.
10. Il Comune ha depositato ulteriore memoria in data 5.6.2017 a riepilogo dei propri argomenti in ordine alla mancanza di un titolo proprietario, in capo all’appellante, che – pur in disparte la non coerenza tra l’attività commerciale svolta nel chiosco-bar e le attività effettivamente consentite in zona – la legittimasse alla riedificazione e mantenimento del manufatto.
11. La Cento con memoria depositata il 3.6.2017 ha riepilogato gli argomenti per i quali, a suo avviso, l’appello è infondato.
12. La causa quindi, chiamata alla pubblica udienza di discussione del 27.6.2017, è stata ivi trattenuta in decisione.
13. Si può prescindere dall’esame dalle pur non marginali eccezioni in rito che sono state opposte al ricorso in epigrafe giacchè quest’ultimo risulta infondato nel merito, pur con le puntualizzazioni che seguono.
13.1. Occorre partire dalla considerazione che, fin dall’origine della controversia, parte appellante risulta avere dato per scontato di essere proprietaria dominicale del sedime sul quale il manufatto di suo interesse (peraltro nel frattempo distrutto) insisteva.
Tuttavia così non risulta essere alla luce delle deduzioni del Comune acquisite nel corso del presente giudizio. L’ente locale che ha avuto modo di spiegare che il terreno in questione è, in verità, di proprietà pubblica e che di esso l’appellante, e prima ancora il suo dante causa, sono al più dei “livellari”.
Se non può negarsi che un “livellario”, al pari di un proprietario di diritto privato, possa vantare legittime aspettative a sviluppare proiezioni edificatorie sul sedime di cui egli dispone per effetto di questo particolare titolo di legittimazione, va da sé, comunque, che le facoltà ed i poteri del medesimo non coincidono perfettamente con quelli che spetterebbero ad un proprietario pieno (in regime di diritto privato), non foss’altro per il fatto che le facoltà edificatorie di un “livellario” devono necessariamente sia conciliarsi con quanto realmente consente detto titolo sia contenersi nel perimetro delle complessive facoltà spettanti a chi ne sia intestatario.
Nel caso di specie non è dato pronunciare al riguardo perché la questione non ha formato oggetto di causa, da un lato perché l’appellante ne ha sottaciuto (forse in quanto addirittura ignorati) gli esatti termine e, dall’altro lato, perché è processualmente emersa la reale natura della titolarità della ricorrente in rapporto al sedime solo nella fase conclusiva di questo giudizio.
13.2. Occorre poi considerare che l’intervenuta distruzione del manufatto chiosco-bar rende incerto, per mancanza di riscontro, l’assunto della ricorrente in ordine al fatto che lo stesso – in coerenza con una prescrizione del p.d.c. oggetto di autotutela comunale – fosse effettivamente suscettibile di montaggio e smontaggio al cambio delle diverse stagioni (estive ed invernali), oltre che non riscontrabile la deduzione di parte appellante secondo la quale detto p.d.c. non aveva perso i propri effetti per essere originariamente iniziati i lavori di edificazione del manufatto proprio entro il termine all’uopo stabilito da detto permesso.
13.3. Resta poi il fatto che parte ricorrente non ha potuto smentire l’eccezione avversaria circa il fatto che, nella specie, il p.d.c. fosse altresì assistito da tutti i pareri ovvero gli atti di assenso ulteriori, dovuti in ragione della pluralità di vincoli gravanti sulla zona interessata.
14. Tuttavia, impregiudicato l’esito di questo giudizio, occorre pure per completezza sottolineare che, persistendone l’interesse, parte ricorrente ben potrebbe riavviare l’ iter procedurale per il conseguimento del titolo abilitativo comunale idoneo alla (ri)edificazione del manufatto nel quale la stessa ambirebbe esercitare un’attività commerciale.
Non vi osta il fatto che la parte sia una mera “livellaria”, non foss’altro perchè il Comune non ha avuto da obiettare al ricordo, operato dall’appellante, della circostanza per cui non sarebbe mai stata annullata ovvero deprivata di effetti dall’ente locale una precedente c.e. del 3.7.2001. Ciò dimostrerebbe che, anche ad avviso dell’ente locale, non v’è incompatibilità alcuna tra la particolarità del titolo di legittimazione dell’occupazione del sedime e la possibilità di una insistenza edificatoria sullo stesso.
Inoltre in tal modo, nell’ambito di un procedimento amministrativo condotto in modo leale, trasparente e cooperativo, il Comune ben potrebbe verificare insieme alla parte privata sia l’effettiva tipologia di attività commerciale compatibile con eventuali vincoli limitativi di zona (in astratto, detto incidentalmente, non apparendo incompatibile con un’attività di chiosco-bar la prossimità del sedime che l’ospiterebbe alla spiaggia ed al mare) sia quali altri vincoli effettivamente insistano a fronte dei quali la medesima parte deve munirsi di appositi assensi.
Sempre in tal modo il Comune avrebbe altresì occasione di considerare le ragioni per le quali lo stesso ebbe già modo di rilasciare un p.d.c. nel 2001 e, non avendolo nel frattempo formalmente annullato o revocato, e per quali motivi dovrebbe mai essere, ora, impedito alla ricorrente di conseguire a proprio nome un analogo titolo.
15. Ricorrono giustificati motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.