Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-06-09, n. 202003680
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Pubblicato il 09/06/2020
N. 03680/2020REG.PROV.COLL.
N. 04307/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4307 del 2014, proposto da
Azienda Territoriale Edilizia Residenziale - A.T.E.R. della Provincia di Padova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. R C in Roma, viale Liegi n. 35/B;
contro
Comune di Padova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M L e V M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L L in Roma, via del Viminale n. 43;
nei confronti
Ministero dell'Economia e delle Finanze, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Terza, 16 gennaio 2014, n. 36, resa tra le parti, concernente la deliberazione riguardante la determinazione delle aliquote dell’imposta municipale propria per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Padova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Giorgio Manca, nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2020, tenuta ai sensi e con le modalità di cui all’art. 84, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, come da verbale;e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del citato decreto-legge n. 18 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. - Con l’appello in esame, l’Azienda Territoriale Edilizia Residenziale (A.T.E.R.) della Provincia di Padova chiede la riforma della sentenza del T.A.R. Veneto, Sezione III, 16 gennaio 2014, n. 36, che ha respinto il ricorso in primo grado dell’odierna appellante, proposto per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale di Padova n. 52/2012 del 29 ottobre 2012, avente per oggetto «Tributi Comunali - Imposta municipale propria. Rideterminazione misura aliquote per l'anno 2012», nella parte in cui ha stabilito nella misura «dello 0,58% l'aliquota applicabile alle unità immobiliari appartenenti alle Cooperative Edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei Soci assegnatari nonché agli alloggi regolarmente assegnati dall'A.T.E.R. (il relativo gettito è di esclusiva competenza del Comune)».
2. - In primo grado, avverso la predetta deliberazione comunale, l’A.T.E.R. deduceva un unico ed articolato motivo con il quale lamentava la violazione ed erronea applicazione dell’art. 13, comma 10, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di imposta municipale propria, come modificato dall’art. 4, comma 5, lett. f), del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito in legge 26 aprile 2012, n. 44. Secondo la ricorrente, la modifica dell’art. 13, comma 10, cit., con la quale l’art. 4, comma 5, lett. f), del citato decreto-legge n. 16 del 2012, ha disposto che, per gli alloggi degli Istituti autonomi case popolari o degli altri enti pubblici competenti in materia di edilizia residenziale pubblica, non si applichi la riserva allo Stato di una quota dell’imposta municipale propria pari alla metà dell’aliquota ordinaria (riserva prevista dall’art. 13, comma 11, del decreto-legge n. 201 del 2011), non deve essere intesa nel senso che la quota dell’imposta comunale non (più) destinata allo Stato sia acquisita al bilancio del comune, ma deve essere interpretata come necessaria riduzione dallo 0,76% allo 0,38% (ossia alla metà) dell’aliquota massima applicabile agli immobili dell’ente gestore dell’edilizia residenziale pubblica (quale è l’ATER della Provincia di Padova).
In subordine, l’Azienda ricorrente prospettava anche diverse questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 10, cit., nell’ipotesi in cui l’interpretazione datane dall’amministrazione comunale fosse ritenuta corretta.
3. - Nella resistenza del Comune di Padova e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il T.A.R. Veneto ha respinto il ricorso, rilevando preliminarmente la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 10, cit.,;e affermando che il tenore letterale della disposizione in esame e il suo inquadramento sistematico consentono di escludere che tale previsione sia stata introdotta al fine di favorire, in via indiretta, la fissazione da parte dei Comuni di un’aliquota meno onerosa per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Né potrebbe avere rilievo l’approvazione dell’ordine del giorno n. G/3570/4/1e5, con il quale il Senato ha invitato il Governo ad interpretare “con appositi atti di natura secondaria la normativa in questione nel senso che la rinuncia era stata effettuata a favore degli enti di edilizia residenziale pubblica” , in quanto tale richiesta non ha avuto alcun seguito.
4. - L’A.T.E.R. della Provincia di Padova ha interposto appello, chiedendo la riforma della predetta sentenza sulla base dei seguenti motivi:
I) erroneità e illegittimità per violazione dell'art. 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall'art. 4, comma 5, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (convertito dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), nella parte in cui ha aderito a un’interpretazione in contrasto con lo spirito della norma e con le circostanze fattuali e gli eventi che ne hanno preceduto e determinato l'introduzione;e, in particolare, in contrasto con la finalità di agevolare gli Enti gestori degli alloggi di edilizia sociale, mediante la riduzione del carico fiscale gravante sul settore dell'edilizia residenziale pubblica, al fine di destinare il gettito del nuovo tributo agli investimenti nella manutenzione e riqualificazione energetica del patrimonio;
II) erroneità e illegittimità per violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di motivazione e carenza di istruttoria, laddove la sentenza non avrebbe rilevato che la deliberazione comunale impugnata non contiene alcuna motivazione in ordine alle esigenze di bilancio idonee a giustificare la decisione di acquisire interamente la quota dell’imposta riveniente dalla eliminazione della riserva in favore dello Stato. Si sottolinea come la sentenza, da un lato, ha implicitamente rilevato il difetto di motivazione della deliberazione comunale impugnata in primo grado e, dall'altro, anziché disporne il conseguente annullamento, ha rigettato il ricorso;
III) contraddittorietà, nella parte in cui la sentenza richiama le modifiche introdotte dall’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha soppresso definitivamente la quota d'imposta riservata allo Stato, e dall'art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, convertito in legge 18 luglio 2013, n. 85, che ha sospeso il pagamento della prima rata d'imposta IMU 2013, relativamente alla abitazione principale e agli alloggi regolarmente assegnati degli IACP e degli enti di edilizia residenziale pubblica comunque denominati. Dette disposizioni avrebbero dovuto essere interpretate nel senso di parificare gli alloggi A.T.E.R. alle abitazioni principali, in quanto a tale utilizzo ordinariamente destinate;e, dunque, per l'illegittimità dell'impugnata deliberazione del C.C. di E, per non aver applicato - agli immobili di edilizia residenziale pubblica – le medesime aliquote IMU previste per le abitazioni principali;
IV) in subordine, solleva diverse questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 10, cit., nella parte in cui, nel prevedere che agli alloggi di edilizia residenziale pubblica non si applichi la riserva dell’imposta a favore dello Stato, prevista dal successivo comma 11, ha omesso di precisare che la quota statale deve intendersi destinata agli Enti gestori degli alloggi sociali. A tal fine, l’appellante invoca, in primo luogo, il contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, per il diverso e ingiustificato trattamento riservato agli immobili destinati ad abitazione principale, da un lato;e agli immobili residenziali pubblici o di edilizia sociale, dall’altro lato, che pure, ordinariamente, sono adibiti proprio ad abitazioni principali. In secondo luogo, l'interpretazione dell’art. 13, comma 10, cit., fatta propria dall’amministrazione comunale e avvallata dal primo giudice, si porrebbe in conflitto con l’art. 97 Cost. e con il principio di imparzialità dell’azione amministrativa, giacché non rispetterebbe lo spirito della norma né l’effettiva intenzione del legislatore, diretta ad agevolare gli Enti gestori degli alloggi di edilizia pubblica mediante la riduzione del carico fiscale gravante sul settore, come emergerebbe dalle circostanze e dagli eventi che ne hanno preceduto la modifica legislativa di cui trattasi.
5. - Si è costituito in giudizio il Comune di Padova, chiedendo che l’appello sia respinto.
6. - All’udienza del 21 aprile 2020, tenuta con le modalità di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge n. 18 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello è infondato.
2. - Data la loro stretta complementarietà, i motivi dedotti dall’appellante possono essere esaminati congiuntamente (salvo quanto si dirà con riguardo alle questioni di legittimità costituzionale).
3. - In premessa, occorre precisare il quadro normativo entro il quale si colloca la controversia in esame.
3.1. - Nel testo originario, il comma 11 dell’art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, già più volte citato, prevedeva che «la quota di imposta pari alla metà dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili […] l’aliquota di base di cui al comma 6, primo periodo» , fosse «versata allo Stato contestualmente all'imposta municipale propria» .
A seguito delle modifiche introdotte dall’art. 4, comma 5, lett. f), del decreto-legge n. 16 del 2012, nel comma 10 dell’art. 13 cit. è stato previsto che per le «unità immobiliari di cui all'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 […] non si [applica] la riserva della quota di imposta prevista dal comma 11 a favore dello Stato […] » . Le unità immobiliari alle quali fa rinvio la disposizione da ultimo richiamata sono quelle «appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, nonché agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari» .
3.2. - L’unico effetto della modifica legislativa, ricavabile dalla piana lettura delle disposizioni legislative succedutesi nel tempo, è costituito dalla riduzione della quota dell’imposta municipale destinata allo Stato, nella cui base di calcolo non devono essere comprese le imposte pagate (a titolo di I.M.U.) sugli immobili di edilizia residenziale pubblica.
Una soluzione interpretativa alla quale, anche recentemente, ha aderito la Cassazione (si veda Sez. V Trib., 25 luglio 2019, n. 20135), osservando come «l’esame del testo normativo non autorizza infatti a ritenere che la quota non più riservata allo Stato sia devoluta a favore degli enti che operano nel settore dell'edilizia residenziale pubblica assoggettandoli alla sola «aliquota comunale dello 0.38%». […] Il legislatore si è limitato a prevedere la non applicazione della quota di imposta riservata a favore dello Stato senza disporre che essa non sia dovuta (come invece il legislatore ha fatto in altri casi: cfr. l'art. 13, cit., che al comma 11 ha disposto che non è dovuta la quota di imposta dovuta allo Stato per gli immobili dei Comuni nei propri territori, ovvero laddove ha espressamente ridotto l'aliquota base, come nel caso dell'abitazione principale e per i fabbricati rurali ad uso strumentale in agricoltura)» .
3.3. - L’ulteriore significato che l’appellante pretende di attribuire alla disposizione non si fonda, pertanto, né sul tenore letterale né su una interpretazione sistematica della legge. La stessa A.T.E.R., in effetti, per sostenere la plausibilità di una interpretazione che estenda la norma fino a comprendere l’espressione di un vincolo per l’amministrazione comunale, volto a fissare - per gli alloggi residenziali pubblici - un’aliquota di imposta dimezzata rispetto a quella ordinaria (o base) o comunque parificata all’aliquota prevista per gli immobili destinati ad abitazione principale, si appella allo «spirito della norma», ovvero alle circostanze e agli eventi che hanno preceduto l’approvazione della legge modificatrice (fra cui l’approvazione di un ordine del giorno al Senato), con un argomento fondato, quindi, sull’intenzione del legislatore storico.
Tuttavia, se con la prima espressione ci si riferisce alla ratio legis (ossia allo scopo o al risultato pratico avuto di mira con l’emanazione della norma), per stabilirne la portata occorre esaminare esclusivamente il testo legislativo, che, tuttavia, come si è già veduto, non consente di giungere al risultato ermeneutico invocato dall’appellante.
3.4. - Se il discorso, invece, si allarga all’argomento dell’intenzione del legislatore, che dovrebbe accertarsi risalendo agli atti dei lavori preparatori (e quindi utilizzando un argomento extratestuale), il richiamo all’ordine del giorno approvato dal Senato dopo la votazione finale della legge di conversione del decreto-legge n. 16 del 2012 (con il quale il Governo veniva invitato a interpretare «con appositi atti di natura secondaria la normativa in questione nel senso che la rinuncia era stata effettuata a favore degli enti di edilizia residenziale pubblica» ) non è decisivo, non solo perché – come esattamente osservato dal primo giudice - non è stato mai attuato dal Governo, ma anche perché il suo contenuto dimostra, con una sorta di argomento a contrario, che la formulazione della disposizione legislativa approvata non era idonea a ricomprendere anche il dovere dei Comuni di destinare la quota statale in favore degli enti proprietari degli alloggi popolari.
4. - Anche il lamentato difetto di motivazione della deliberazione consiliare non sussiste, essenzialmente perché la deliberazione di determinazione delle aliquote è atto amministrativo generale, soggetta ai limiti posti dall’art. 13 della legge n. 241 del 1990;e quindi, eventualmente, un dovere di motivazione sorgerebbe solo in base alle «particolari norme che ne regolano la formazione» (ma la Cassazione ha costantemente escluso, in tema di imposta comunale sugli immobili, che il Comune sia tenuto a motivare la delibera con la quale stabilisce l'aliquota dell'imposta, salva l’ipotesi in cui singole leggi di imposta vincolino le delibere tariffarie a determinati parametri: cfr. Cass. civ., V Trib., 8 ottobre 2004, n. 20042;seguita dal Consiglio di Stato, sez. V, 24 luglio 2014, n. 3930).
5. - In base alle considerazioni sin qui svolte, deve, quindi, concludersi per l’infondatezza delle censure sopra esaminate.
6. - Passando alle questioni di legittimità costituzionale, esse non superano il vaglio della manifesta infondatezza.
6.1. - Con riferimento al preteso contrasto con l’art. 3 della Costituzione e con il principio di eguaglianza, è sufficiente osservare che la condizione di favore di cui gode, nella disciplina (dapprima) dell’I.C.I. e (poi) dell’I.M.U., l’immobile destinato ad abitazione principale deriva esclusivamente dalla circostanza che colui il quale occupa l’immobile sia anche titolare del diritto di proprietà dello stesso (ipotesi che, invece, non ricorre per gli alloggi residenziali pubblici, assegnati in locazione a terzi). Per cui, appare del tutto evidente come il diverso trattamento tributario costituisca l’attuazione del principio costituzionale che impone di favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, contemplato dal secondo comma dell’art. 47 della Costituzione.
6.2. - In linea generale, infine, si deve rammentare che la Corte Costituzionale ha esaminato, in diverse occasioni, le questioni relative alla compatibilità costituzionale della disciplina dettata in materia di imposta comunale sugli immobili (articoli 1, 6 e 7 del d.lgs. n. 504 del 1992), nella parte in cui non prevedevano l’esenzione dall’I.C.I. o, quanto meno, una disciplina differenziata per gli immobili degli Istituti autonomi case popolari, affermando – con la sentenza n. 113 del 1996 – che, essendo l’I.C.I. conformata quale imposta patrimoniale, dovuta in misura predeterminata e non basata su indici di produttività, era applicabile anche agli immobili IACP, pur se i redditi provenienti dalla loro locazione erano rigidamente predeterminati e non consentivano nemmeno di far fronte al pagamento dell’imposta annuale. Successivamente la Corte, con la sentenza n. 119 del 1999, si è nuovamente occupata della questione, pervenendo alla conclusione che «il legislatore, non inserendo gli IACP nell’elenco di cui all’art. 7 d.lgs. n. 504 del 1992 [norma di esenzione dall’I.C.I. di diverse categorie di immobili] [ha] fatto uso non irragionevole della propria discrezionalità» .
Tenuto conto che anche l’I.M.U. ha natura di imposta sul patrimonio immobiliare, avente le medesime caratteristiche fondamentali dell’I.C.I., le osservazioni e le considerazioni espresse dalla Corte Costituzionale nelle pronunce sopra richiamate, consentono di concludere nel senso che le questioni di legittimità costituzionale prospettate dall’appellante sono manifestamente infondate.
7. - L’appello, in conclusione, deve essere integralmente respinto.
8. - Le spese giudiziali possono essere integralmente compensate tra le parti, considerate la peculiarità della vicenda esaminata e decisa e la parziale novità delle questioni dedotte, al tempo della proposizione del ricorso.