Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-08-18, n. 201005875

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-08-18, n. 201005875
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201005875
Data del deposito : 18 agosto 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08298/2005 REG.RIC.

N. 05875/2010 REG.DEC.

N. 08298/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 8298 del 2005, proposto da:
Edipower s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati T C e G M, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via di Monserrato 34;

contro

Ministero delle politiche agricole e forestali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;
e
Comune di Polla, n.c.;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE I n. 01867/2004, resa tra le parti, concernente REVOCA AUTORIZZ. RIUTILIZZO MATERIALI DEPOSITATI IN VASCA DI CARICO IMPIANTO IDROELETTRICO.


visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle politiche agricole e forestali;

vista la memoria della parte appellante;

visti tutti gli atti della causa;

nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2010, relatore il Consigliere D C, uditi per le parti l’Avvocato Mazzullo e l'Avvocato dello Stato Vitale;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso di primo grado (n. 2833/2001) la s.p.a. Edipower - nella qualità di società incorporante e successore a titolo universale di Eurogen s.p.a. - adiva il T.a.r. della Campania, sezione staccata di Salerno, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza 22.8.2001 n. 42/2001, recante revoca dell’autorizzazione 9.7.2001 n. 14 , rilasciata dal comune di Polla alla società anzidetta ai fini del riutilizzo dei materiali depositatisi nella vasca di carico (di sua proprietà) della centrale idroelettrica “Tanagro” e di ogni atto connesso, tra cui: la nota 7.8.2001 n.956 del Comando stazione di Polla del Corpo forestale dello Stato, nonché la stessa autorizzazione sopra menzionata dell’Ufficio tecnico comunale, nella parte in cui aveva ritenuto che i materiali avanti indicati potessero essere riutilizzati “secondo le operazioni di recupero previste nell’allegato C del D.M.

5.2.1998 con particolare riguardo al punto R10”.

A sostegno del gravame, la società ricorrente deduceva censure di: “violazione dell’art.8, comma 1, lett.f. bis) del D. Lgs. 5.2.1997, n.22, così come modificato dall’art.10 della L.23.3.2001 n.93;
violazione degli artt.27 e ss., 31 e ss. del D. Lgs. 5.2. 1997, n.22, nonché dell’art.5 e relativi allegati;
del D.M.5.2.1998;
violazione del D.M. 25.10.1999, n.471;
violazione dell’art.3 della legge 7.8.1990, n.241;
incompetenza;
eccesso di potere per errore dei presupposti, travisamento dei fatti e difetto di istruttoria”.

Rilevava, in particolare, la società ricorrente che il materiale proveniente dal suddetto impianto idroelettrico rientrava nella previsione normativa delle “terre da scavo” e che per la valutazione della sua utilizzazione andava fatto riferimento alla sopravvenuta normativa di cui alla L. 23.3.2001 n.93, giacché l’art.8, comma 1, lett. f. bis), del D. Lgs 5.2.1997 n.22, nel testo novellato dall’art. 10 della L. 23.3.2001 n. 93 - ampliando i casi di esclusione dal campo di applicazione del citato D. Lgs. n.22/1997 (cd. “decreto Ronchi”), con l’introduzione della previsione delle “terre e rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti…con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti” - avrebbe comportato un diverso riferimento ai limiti di “accettabilità”, non più rapportati ai valori indicati nel D.M. 5.12.1998, bensì a quelli stabiliti dal D.M. 25.10.1999 n. 471;
dal che la conseguenza che i sedimenti provenienti dalla vasca dell’impianto idroelettrico in parola, in quanto riconducibili a “terre da scavo”, non necessitavano nel caso in esame, per effetto della legge n. 93/2003, di alcuna autorizzazione o permesso per essere “utilizzati”, né richiedevano una procedura semplificata, per cui le prescrizioni imposte dall’ente locale in sede di autorizzazione esulavano dalla sua competenza.

Nel giudizio si costituiva, in resistenza, il Ministero delle politiche agricole e forestali, che chiedeva la reiezione del gravame in quanto inammissibile ed infondato.

2. Con la sentenza in epigrafe specificata, l’adito T.a.r. - dopo avere disposto, con ordinanza n. 171/2001 del 6.12. 2001, incombenti istruttori a carico della locale ASL ed espletati con l’ausilio dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania (ARPAC) e dopo avere ordinato, con successiva sentenza istruttoria n. 61/2004, che la stessa ARPAC depositasse apposita relazione, utilizzando anche i risultati del laboratorio ENEL di Piacenza sui campioni precedentemente prelevati con riguardo ai sedimenti esistenti nel bacino della centrale idroelettrica “Tanagro” - respingeva il proposto gravame, ritenendo, in parte, inammissibili e, in parte, infondati i motivi in esso dedotti.

3. Avverso tale sentenza ha interposto l’odierno appello la Edipower s.p.a., affidandolo ad unico articolato motivo, con il quale sono state prospettate le seguenti doglianze:

”erroneo apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto della sentenza appellata;
omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia;
illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado per violazione dell’art.8, comma 1, lett.f. bis), del D.Lgs. 5.2.1997, n.22, così come modificato dall’art.10 della legge 23.3.2001 n.93;
violazione degli artt.27 e ss., 31 e ss. del D.Lgs. 5.2. 1997, n.22, nonché dell’art.5 e relativi allegati del D.M.5.2.1998;
violazione del D.M. 25.10.1999, n.471;
violazione dell’art.40 del D. Lgs. n.152/1999;
violazione dell’art.3 della legge 7.8.1990, n.241;
incompetenza;
eccesso di potere per errore dei presupposti, travisamento dei fatti e difetto di istruttoria”.

Ha rilevato, essenzialmente, la società appellante che la tesi espressa nella gravata pronuncia circa una equiparazione dei “fanghi di dragaggio” alle “terre e rocce da scavo”, sulla base della ricostruzione logico sistematica offerta dalla società stessa, non troverebbe riscontro nella censura mossa nel ricorso originario, dove si era solo sostenuto che, prima che intervenisse la legge n.93/2001, “le terre da scavo, argilla, sabbie, compresi i fanghi di dragaggio…” classificate come “rifiuti non pericolosi” i cui valori risultassero al di sotto dei limiti previsti dai tabulati del D.M.

5.2.1998 potevano essere recuperati/smaltiti attraverso delle procedure semplificate”;
e che, però, era poi intervenuta la legge 23.3.2001 n.93/2001, che, modificando l’art.8 del decreto (c.d. Ronchi) n.22/1997, aveva ampliato le ipotesi di esclusione dal campo di applicazione del decreto anzidetto e, tra queste, quella di cui alla nuova lettera f bis ) dell’art.8 cit, che aveva introdotto il caso, pertinente proprio a quello di specie, di “terre e rocce da scavo”, con esclusione dei materiali provenienti da siti e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiori ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti.

In altri termini, ad avviso dell’appellante, con la modifica anzidetta al D.Lgs. n.22/1997, le “terre di scavo” non rientravano più nel campo di applicazione del cd. decreto Ronchi, a condizione di presentare una concentrazione di inquinanti inferiore ai limiti stabiliti dal vigente D.M. n.471/1999.

Pertanto, posto che nel caso in esame l’asportazione dei sedimenti, secondo la società ricorrente, non era avvenuta per dragaggio, ma per “escavazione meccanica a bacino vuoto”, e quindi dopo l’esposizione all’aria del materiale, la sentenza impugnata, in ragione della diversa composizione organica del materiale asportato rispetto ai fanghi di dragaggio, ha seguito di certo un percorso argomentativo che si rivela “fuori tema”, se raffrontato ai dati fattuali e ai profili dedotti nel ricorso.

Nelle conclusioni la parte appellante ha chiesto che, in riforma della gravata pronuncia, il ricorso in esame sia accolto e i provvedimenti impugnati in primo grado siano annullati.

Nel giudizio di appello si è nuovamente costituito il Ministero delle politiche agricole e forestali, opponendosi al ricorso.

Con memoria prodotta in data 13.4. 2010 la società appellante ha ribadito le proprie tesi e conclusioni, insistendo per l’accoglimento del proposto gravame.

4. La causa, infine, è stata trattenuta per la decisione, su concorde richiesta delle parti, nella pubblica udienza del 4 maggio 2010.

DIRITTO

1. Costituisce l’oggetto dell’odierno appello la sentenza in epigrafe specificata, con la quale il T.a.r. della Campania, sezione staccata di Salerno, ha respinto il ricorso proposto dalla s.p.a. Edipower nella qualità di società incorporante di Eurogen s.p.a. (cessionaria, per effetto del D. L.vo n. 79/1999 e del D.P.C.M. 4.8.1999, da Enel s.p.a. del ramo di azienda comprendente l’impianto idroelettrico “Tanagro”), ricorso con il quale la società istante - dopo avere premesso di avere inviato, in data 7.6.2001, comunicazione dell’inizio dei lavori relativi alla rimozione dei sedimenti formatisi nella menzionata centrale idroelettrica (e nella loro collocazione per spandimento in un sito ubicato nel territorio del comune di Polla), allegando apposita relazione con indicazione delle caratteristiche dei materiali sedimentati, e di essere stata, quindi, autorizzata, in data 9.7.2001, dal comune stesso a conferire i materiali predetti in un sito in località Foresta, ricevendo, tuttavia, nel mese successivo, l’ordinanza dello stesso Comune 22.8.2001 n. 42/2001, recante revoca dell’autorizzazione del 9.7.2001, emessa sul presupposto, rilevato dal Comando stazione di Polla del Corpo forestale dello Stato, che proprio le analisi di laboratorio, depositate dalla Eurogen s.p.a, avevano evidenziato che i risultati delle analisi non risultavano conformi “con i limiti previsti dal D. M. 5.2.1998”, sicché nella sostanza “i rifiuti dovevano essere smaltiti in discarica di seconda categoria (tipo B)” - aveva impugnato la citata ordinanza comunale di revoca e ogni altro atto connesso, tra cui, in particolare, la nota 7.8.2001 n.956 del Comando stazione di Polla del C.F.S., nonché la stessa autorizzazione sopra menzionata dell’Ufficio tecnico comunale.

2. Nel contestare la gravata pronuncia, l’odierna appellante, ripropone nella sostanza (ad esclusione di alcune, quale quella di “incompetenza”, semplicemente enunciata in rubrica) le censure mosse nel giudizio di primo grado, sostenendo, tra l’altro, che:

a) avrebbe errato il T.a.r. nell’affermare l’equiparazione dei “fanghi di dragaggio” alle “terre e rocce da scavo” perché tale equiparazione non troverebbe riscontro nella censura posta a fondamento dell’impugnativa di primo grado;
e ciò sulla base di quanto sopra precisato al punto 3) dell’esposizione in fatto;

b) sarebbe ancor più evidente l’errore in cui sarebbe incorso il Giudice di primo grado se si tiene conto della circostanza che i provvedimenti impugnati, con riguardo ai sedimenti depositati nella vasca di carico del bacino in questione, non accennavano ai fanghi di dragaggio;
atteso, peraltro, che nel parere allegato alla nota 7.8.2001, n.986, anch’essa impugnata, si fa riferimento alle terre e rocce da scavo e non ai fanghi di dragaggio e che, inoltre, al materiale di cui trattasi, non può essere applicata “tout court” la normativa sui rifiuti, qualora esso non presenti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti di accettabilità stabiliti da D.M. n.471/1999, in virtù del richiamo operato dall’art. 58 d,Lgs, n.152/1999, trovando invece applicazione al caso di specie la specifica disposizione di cui all’art.40 del D.Lgs. ora citato, nonché il relativo D.M. 30.6.2004, che disciplinano la gestione degli invasi idroelettrici;

c) la esplicitata assimilabilità del materiale sedimentato della vasca di carico del bacino idroelettrico di che trattasi ai fanghi di dragaggio non sarebbe deducibile dal sistema delle fonti che disciplinano la fattispecie;
né la sentenza impugnata troverebbe ”un supporto di ordine testuale” nell’attività istruttoria effettuata dall’ARPAC, che nella relazione trasmessa con nota in data 7.4. 2004 non avrebbe espresso un giudizio di merito sul materiale in esame e avrebbe ritenuto che il materiale sedimentato nella vasca da carico sopraindicata conforme ai limiti di accettabilità previsti dal D.M. n.471/1999.

3. Le censure così mosse nell’appello in esame non possono essere condivise.

3.1.Premesso che le risultanze delle analisi effettuate dal laboratorio di Piacenza sopra menzionate avevano provato con sicurezza che i sedimenti del bacino in questione non avevano le caratteristiche per essere ammessi ad attività di recupero, secondo le disposizioni del D.M. 5.2.1998, osserva il Collegio, innanzi tutto, che ciò è stato confermato chiaramente anche dall’attività istruttoria successivamente espletata dall’ARPAC.

Infatti, secondo la relazione conclusiva, trasmessa con nota del 7 aprile 2004, l’Agenzia regionale anzidetta - dopo avere premesso che, in occasione di un precedente parere, il materiale depositato nelle vasche di carico dell’impianto era stato considerato “fango di dragaggio” e come tale soggetto al D.M. 5.2.1998, relativo alla individuazione dei “rifiuti non pericolosi sottoposti a procedure semplificate per il recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del D.Lgs. n.22/97”, rinviando, per la individuazione anzidetta, “la caratterizzazione a mirate e specifiche analisi di laboratorio di un campione rappresentativo dei fanghi per stabilire se essi potessero essere sottoposti a procedura semplificata quale tipologia di fanghi di dragaggio” - ha rappresentato che effettivamente nell’anno 2000 l’Enel aveva fatto sottoporre ad analisi un campione comparato superficiale di fanghi (n.3 sub campioni) prelevato in data 13.2.2000 a cura del laboratorio di Piacenza dell’Enel Produzione e che dai risultati dell’analisi era emerso che il materiale esaminato era “interessato da un certo livello di contaminazione microbiologica e clinica”, risultando valori non conformi ai limiti previsti dal D.M.

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