Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-01-09, n. 202000166
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Pubblicato il 09/01/2020
N. 00166/2020REG.PROV.COLL.
N. 10377/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SNTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10377 del 2009, proposto dai Signori S G, C L, F R, R A, rappresentati e difesi dagli avvocati F C M e S C ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, via Lazio, 20/c;
contro
Comune di Fondi, non costituito in giudizio;
nei confronti
P E, P R, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina (Sezione Prima), n. 1670 del 19 novembre 2008, resa tra le parti sul ricorso r.g. n. 812/2007, proposto per l’annullamento del permesso di costruire n. 1338 dell’11 gennaio 2007, rilasciato dal Comune di Fondi sul lotto, distinto in catasto, al foglio 22, particelle 2573-2575, e di ogni altro provvedimento, presupposto, conseguente, collegato o comunque connesso, con specifico riferimento al permesso di costruire sopra citato ed alla concessione edilizia n. 1052 dell’8 novembre 1985.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2019 il Cons. Francesco Guarracino e udito l’avv. S C per la parte appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, i signori Giovanni Sconosciuto, Luigi Chiusano, Roberto Fidaleo ed Antonietta Ricco, nella dedotta qualità di soggetti titolari di fondi prossimi o confinanti, impugnavano il permesso di costruire n. 1338 del 11 gennaio 2007, rilasciato ai signori Enzo P e Roberto P, con il quale il comune di Fondi aveva autorizzato la realizzazione di un progetto relativo alla edificazione di un edificio per attività commerciale e ufficio sul fondo riportato in catasto al foglio n. 22, particelle n. 2573 e 2575, per un volume di circa 784,50 mc.
Con sentenza n. 1670 del 19 novembre 2008, il T.A.R. adito respingeva il ricorso.
Gli originari ricorrenti hanno appellato la sentenza di primo grado chiedendone la riforma.
Nessuno si è costituito in giudizio per resistere all’appello.
L’appellante ha prodotto memoria di discussione ed alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – Per economia di mezzi processuali, atteso che nel merito l’appello si palesa in parte infondato ed in parte inammissibile, può prescindersi dal disporre il rinnovo della notificazione del ricorso in appello, a suo tempo effettuata personalmente ai controinteressati originari anziché al loro difensore (nel senso che, in tal caso, la notifica è nulla e rinnovabile, Cass., sez. II, 3 maggio 2018, n. 10500, con ulteriori richiami, con ragionamento al quale qui si presta adesione;nel senso dell’inesistenza, invece, C.d.S., sez. IV, 13 ottobre 2014, n. 5046).
2. – Il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato affidato a tre ordine di censure.
Col primo motivo di ricorso gli odierni appellanti avevano lamentato la violazione dell’articolo 11 del D.P.R. 6 giugno 2001 (a mente del quale il permesso di costruire può essere rilasciato solo al “proprietario del suolo o a chi abbia titolo per richiederlo”) sostenendo che alla data di presentazione della istanza di permesso (26 luglio 2006) i richiedenti non erano ancora proprietari del suolo, avendolo acquistato solo successivamente, sicché il Comune non avrebbe provveduto alla preventiva verifica della legittimazione degli istanti, che, in realtà, ne sarebbero stati privi.
Col secondo motivo di ricorso avevano denunciato che una delle due particelle cui si riferiva il permesso di costruire impugnato era già asservita ad altra costruzione, determinando una drastica compressione della volumetria dalla stessa sviluppabile che avrebbe reso illegittimo il rilascio del titolo edilizio in questione (il riferimento è alla particella 575, derivata dal frazionamento, in data 14 giugno 2006, della particella 1282, giacché quest’ultima sarebbe stata, a suo tempo, asservita per il rilascio della concessione edilizia n. 1052 del 1985);in particolare, la concessione n. 1052 del 1985 avrebbe assentito la realizzazione di una volumetria di 956 mc che, però, sarebbe stata in concreto superata, dovendosi computare nella stessa anche la volumetria aggiuntiva relativa alla realizzazione del piano sottotetto e del piano seminterrato dell’edificio autorizzato con quella concessione.
Col terzo motivo di ricorso avevano dedotto l’illegittimità del permesso di costruire impugnato anche perché:
(i) il progetto approvato avrebbe presentato delle inammissibili correzioni a matita, non si sa da chi e quando apposte;
(ii) l’indice fondiario applicabile alla zona B2, in cui ricadevano i suoli in questione, era di 0,80 mc/mq, mentre il progetto era basato su un indice di 1,5 mc/mq, sicché lo stesso avrebbe sviluppato una volumetria superiore a quella consentita dal piano (sia nella versione progettuale non corretta, dove la differenza sarebbe stata enorme, sia, seppur di poco, nella versione progettuale corretta a matita, in entrambi i casi perché il progetto non avrebbe tenuto conto della consumazione delle potenzialità edificatorie della particella 1282 dovuta alla realizzazione dal manufatto assentito con la suddetta concessione edilizia n. 1052 del 1985);
(iii) il manufatto in corso di realizzazione sembrava, comunque, sviluppare una volumetria ancora maggiore di quella assentita col titolo edilizio;
(iv) la destinazione d’uso dell’immobile non sarebbe stata compatibile con le previsioni di piano, in quanto i titolari del permesso di costruire avrebbero inteso realizzarvi un centro commerciale, mentre l’articolo 27 N.T.A. del P.R.G. avrebbe consentito, nelle zone B1 e B2, l’insediamento soltanto di “sedi di società, banche, istituti di credito e studi professionali”, “alberghi e pensioni di capacità non superiore ai 200 posti-letto” e “autorimesse pubbliche e private, sale per spettacoli e biblioteche, locali ricreativi, bar e ristoranti”.
3. – Il TAR ha giudicato infondati tutti i motivi:
- il primo perché, “ [c]ome si desume dalla lettera della disposizione dell’articolo 11 del D.P.R. n. 380 citato, la legge subordina il rilascio del permesso di costruire alla proprietà del suolo (la esistenza di altro titolo giuridico che ne permetta la trasformazione);ciò vuol dire che, affinché la disposizione possa ritenersi rispettata, è necessario che, al momento in cui il progetto è assentito dall’amministrazione, il richiedente disponga di un diritto reale sull’area edificanda;nella fattispecie è pacifico che i signori P alla data del rilascio del permesso impugnato erano proprietari del suolo, cosicché la circostanza che al momento in cui avevano presentato l’istanza di permesso ancora non ne avevano perfezionato l’acquisto è irrilevante e non rende illegittimo il titolo successivamente rilasciato ” (poco prima il T.A.R. aveva rilevato che i signori P avevano acquistato la sola nuda proprietà del suolo ma che, in ordine a questo profilo, nulla era stato dedotto in ricorso);
- il secondo perché dalla concessione edilizia n. 1052 del 8 novembre 1985 risulterebbe l’asservimento, in forza di atto del 13 settembre 1985, della sola particella n. 1299, non essendovi menzionata affatto la particella n. 1282;inoltre i controinteressati avrebbero fornito prova documentale del fatto che nel 1985 la particella n. 1282 neppure apparteneva al signor R D R, che solo nel 2003 ne avrebbe acquistato la quota di 2/36, a seguito di successione ereditaria;
- il terzo con questa motivazione: “ Occorre premettere che come risulta dal certificato di destinazione urbanistica trasmesso dal comune le particelle 2573 e 2575 [i.e. quelle interessate dal progetto assentito] sono situate in zona di completamento B2 con indice fondiario di 1,50 mc/mq. Ciò premesso l’immobile previsto dal progetto sviluppa una volumetria non superiore a quella massima ammissibile, dato che l’indice da considerare è quello di 1,5 mc/mq;pure rispettate sono le destinazioni d’uso previste dalle norme tecniche di attuazione dato che un immobile che, come nella fattispecie, è costituito da due locali commerciali e da un locale adibito a uso ufficio presenta destinazioni compatibili con quelle sopra indicate e non costituisce certo un centro commerciale. Nessun rilievo sulla legittimità dell’atto possono spiegare le correzioni apportate sul progetto che – come confermato dalla relazione trasmessa dal comune – altro non sono che correzioni apportate al progetto in sede di istruttoria da parte degli uffici;del resto la introduzione di correttivi al progetto da parte dell’amministrazione in sede di istruttoria mediante opportuna modifica delle tavole di progetto costituisce un fatto conforme alla prassi degli uffici tecnici dei comuni ”.
4. – Gli appellanti criticano la sentenza di primo grado con tre motivi di appello che, come si è anticipato poc’anzi, si manifestano tutti insuscettibili di accoglimento.
5. – Col primo motivo di appello insistono nel sostenere che gli originari controinteressati non fossero legittimati a chiedere ed ottenere il rilascio del permesso di costruire, neppure come nudi proprietari.
Denunciando l’ error in procedendo in cui sarebbe incorsa la sentenza appellata per omesso esame di un punto decisivo della controversia, gli appellanti deducono che la circostanza che i sigg. P fossero divenuti, nell’imminenza del rilascio del permesso, titolari della sola nuda proprietà delle aree avrebbe costituito una puntualizzazione, effettuata negli atti difensivi di primo grado, del vizio di carenza del titolo di legittimazione, che dunque sarebbe stato validamente sollevato ed argomentato e sul quale il giudice si sarebbe dovuto necessariamente soffermare;nel merito, il nudo proprietario non avrebbe potuto chiedere il rilascio di un’autorizzazione edilizia, essendo soltanto l’usufruttuario del terreno ad avere il godimento del fondo e, perciò, la legittimazione ad edificare sul medesimo.
Il motivo è infondato.
Questo Consiglio ha escluso che lo ius aedificandi spetti all’usufruttuario e che sia, comunque, necessario il suo espresso consenso per il rilascio del titolo abilitativo chiesto dal nudo proprietario che riguardi o incida in qualche modo sul bene oggetto di usufrutto, chiarendo che, a fronte di quanto previsto dall’art. 11 del D.P.R. n. 380/01, “ non v’è dubbio che l’amministrazione abbia il dovere di rilasciare il titolo (sempre che ovviamente ne ricorrano i presupposti) a chi alleghi il diritto di proprietà dell’immobile, sia che esso ricomprenda la facoltà di godere in maniera piena del bene, sia che esso risulti limitato, per la concorrenza di diritti reali di godimento di terzi ” ed osservando al riguardo che “[p] iuttosto, la norma sembra suggerire l’alternativa legittimazione di terzi, ed in tal caso emerge la necessità della verifica, in concreto, del diverso titolo e della sua portata legittimante (si pensi al caso del superficiario, o dell’usufruttuario per il caso delle opere di natura manutentiva, o ancora, del titolare di servitù in relazione alle opere necessarie per l’esercizio). L’amministrazione ha cioè l’onere di accertare, ovviamente nei limiti dell’ordinaria esigibilità, l’effettiva esistenza e portata del diverso titolo (rispetto al diritto di proprietà) e, in caso di incertezza, può sempre richiedere il formale assenso dall’unico soggetto sicuramente legittimato, id est il proprietario ” (C.d.S., IV, 13 marzo 2014, n. 1238, con ulteriori considerazioni).
6. – Col secondo motivo di appello gli appellanti criticano le conclusioni raggiunte dal T.A.R. in merito al denunciato asservimento della particella 1282 ed al conseguente rigetto del secondo motivo del ricorso di primo grado.
Essi sostengono che la particella 1282 (da cui si è successivamente originata la particella 2575, che è una di quelle interessate dal progetto assentito col provvedimento impugnato in primo grado), diversamente da quanto affermato dal primo Giudice, sarebbe stata anch’essa interessata, con la n. 1299, dal rilascio in favore del sig. D R della concessione edilizia n. 1052 dell’8 novembre 2005 per la costruzione di un fabbricato di civile abitazione, argomentando che il riferimento, nel retro della concessione edilizia, al solo mappale 1299 deve ritenersi erroneo, alla luce dell’espressa menzione del mappale 1282/parte, per mq 65, nella legenda del progetto.
Denunciano, quindi, che nella cubatura assentita col permesso di costruire rilasciato ai signori P nel 2007, impugnato in primo grado, sarebbero inclusi oltre 300 mc già utilizzati nella concessione edilizia rilasciata nel 1985 al sig. D R.
A dire degli appellanti, quest’ultimo avrebbe, di fatto, realizzato un immobile di cubatura notevolmente superiore a quella dichiarata (pag. 14 del ricorso in appello), per una volumetria complessiva di 1293,19 mc in luogo dei 956 mc indicati nel progetto in variante del 1985, in relazione alla mancata inclusione dei volumi sviluppati dal piano secondo della costruzione (pag. 15 ss. del ricorso in appello, che si diffonde sulla volumetria aggiuntiva derivante dalla necessità di computare il piano sottotetto, oggettivamente idoneo alla destinazione abitativa, e per intero, anziché per un coefficiente di 0,60, i locali interrati).
Sulla scorta di ciò, concludono che “ abuso o non abuso … la realizzazione del manufatto del Sig. D R ha comportato una contrazione della capacità edificatoria del fondo de quo, di cui il p.d.c. rilasciato ai Sigg.ri P … non tiene per nulla conto ” (pag. 17 del ricorso in appello).
Il motivo è infondato.
La concessione edilizia n. 1052 del 1985 è stata rilasciata per la costruzione di un fabbricato sui mappali 1299 – 1282.
Nella sua seconda pagina, tra le prescrizioni, si legge che “ 14) E’ vincolata la superficie catastale come da atto notaio Lena rep. 25403 del 13.9.1985 – foglio 22. – mappale 1299. –” .
Nell’allegato progetto in variante, approvato dalla Commissione edilizia il 3 maggio 1985, l’edificio è raffigurato sul mappale 1299, mentre nella legenda la volumetria consentita è sviluppata prendendo a base l’area del mappale 1299 (430 mq) nonché una parte del mappale 1282 (“mappale 1282/parte”) per una superficie di mq 65.
Ora, se è vero che l’asservimento consiste in una fattispecie negoziale atipica avente effetti obbligatori in base ai quali un’area viene destinata a servire al computo dell’edificabilità di altro fondo, realizzando una specie particolare di relazione pertinenziale nella quale viene posta durevolmente a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro (C.d.S., Ad. plen., 23 aprile 2009, n. 3;C.d.S., sez. VI, 9 febbraio 2016, n. 547), esso si risolve nella volontaria rinuncia alle possibilità edificatorie di un lotto in favore del loro sfruttamento in un’altra particella (C.d.S., sez. V, 13 settembre 2013, n. 4531) che, ai fini pubblicistici, deve espressa e manifestata al Comune, che per questo verso ne costituisce il naturale destinatario.
Lo stesso trasferimento di cubatura, secondo il Giudice civile, ha un’efficacia meramente obbligatoria tra i suoi sottoscrittori e consegue, tra le parti e nei confronti dei terzi, esclusivamente al provvedimento che, a seguito della rinuncia all’utilizzazione della volumetria manifestata al Comune dal cedente, aderendo al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato dall’ente pubblico a favore del cessionario (Cass., sez. II, 10 ottobre 2018, n. 24948).
Dunque, l’asservimento della particella 1282 per accrescere la potenzialità edilizia della particella 1299 non avrebbe potuto essere disposta, unilateralmente, dalla concessione edilizia, costituendo, semmai, il presupposto del suo rilascio.
In proposito, questo Consiglio ha già avuto occasione di chiarire che l’asservimento volumetrico di un lotto ad un altro presuppone la stipula di un vero e proprio atto negoziale tra i rispettivi proprietari, con l’individuazione del fondo gravato e di quello beneficiario e la specificazione della misura della volumetria ceduta dal lotto asservito (C.d.S., sez. VI, 28 luglio 2015, n. 3730).
A questo riguardo, la frase “ E’ vincolata la superficie catastale come da atto notaio Lena rep. 25403 del 13.9.1985 – foglio 22. – mappale 1299. –” , contenuta nella concessione edilizia del 1985, non dimostra l’avvenuta rinuncia del proprietario alle possibilità edificatorie del mappale 1282, in tutto od in parte.
Tra l’altro, l’atto notarile in questione è stato prodotto nel corso del giudizio di primo grado dagli allora controinteressati (doc. 5 della produzione del 9 ottobre 2007) e lo stesso non contiene alcuna pattuizione o dichiarazione relativa alle potenzialità edificatorie del mappale 1282.
Infine, il Comune, senza trovare smentita, nella relazione prodotta in data 11 ottobre 2007 al Giudice di primo grado ha negato che vi fosse un atto di asservimento che facesse riferimento alle particelle 2573 e 2575, ex particella 1282.
Sul punto, dunque, la sentenza appellata merita conferma.
Può aggiungersi, per completezza, che alla luce di quanto detto non può, comunque, essere condivisa la tesi degli appellanti per cui vi sarebbe stata una consumazione de facto della volumetria sviluppabile sulla ex particella 1282 per effetto della (asserita) realizzazione di volumetria non assentita nel fabbricato del sig. D R.
Difatti, non può darsi ingresso all’idea che la volumetria consumata non sia quella formalmente assentita sulla scorta del progetto approvato adoperando la capacità edificatoria del fondo asservito, nella misura precisata nella dichiarazione di rinuncia del suo proprietario alla corrispondente potenzialità edilizia dell’area, ma quella effettivamente edificata, ancorché superiore a quella approvata col titolo edilizio rilasciato anche sulla scorta di quella rinuncia.
Ove così fosse, l’asservimento, che già non potrebbe essere autonomamente disposto dal provvedimento edilizio, verrebbe addirittura prodotto, per la parte eccedente quella concessa dal cedente, in via fattuale ed invito domino .
E’ questo il risultato al quale si perverrebbe aderendo alla tesi degli appellanti secondo cui, di fatto, il sig. D R avrebbe realizzato un immobile composto di tre piani (terra, primo e secondo), anziché di due (come previsto dalla concessione edilizia n. 1052/1985), basata sull’assunto, peraltro indimostrato, delle caratteristiche oggettivamente abitative assunte in concreto dal piano sottotetto dell’edificio in parola, con conseguente consumo aggiuntivo di volumetria, da porsi a carico della particella asservita, di oltre 300 metri quadri.
7. - Il terzo motivo di appello è meramente reiterativo del corrispondente motivo di primo grado.
Ciò sia per quanto concerne la denunciata eccedenza del progetto (in entrambe le versioni, corretta e non) rispetto alla superficie sviluppabile sul lotto, tornando gli appellanti a sostenere (pag. 23 del ricorso in appello) che l’indice fondiario sarebbe stato stabilito in 0,80 mc/mq, ma senza muovere alcuna critica al rilievo del T.A.R. per cui “ come risulta dal certificato di destinazione urbanistica trasmesso dal comune le particelle 2573 e 2575 sono situate in zona di completamento B2 con indice fondiario di 1,50 mc/mq ”, che, peraltro, trova riscontro in atti (cfr. certificati di destinazione urbanistica del 9 ottobre 2007 e, con riferimento alla ex particella 1282, del 4 giugno 1985, entrambi nel fascicolo del giudizio di primo grado);sia per quanto riguarda il rispetto della destinazione d’uso residenziale, riproponendo identica la relativa questione posta in primo grado senza neppure menzionare le conclusioni raggiunte dal T.A.R. (per il quale “ pure rispettate sono le destinazioni d’uso previste dalle norme tecniche di attuazione dato che un immobile che, come nella fattispecie, è costituito da due locali commerciali e da un locale adibito a uso ufficio presenta destinazioni compatibili con quelle sopra indicate e non costituisce certo un centro commerciale ”).
Ne segue la sua inammissibilità.
8. – Per queste ragioni, in conclusione, l’appello deve essere in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile.
9. – Nulla va disposto per le spese del grado del giudizio, in difetto di costituzione degli intimati.