Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-03-28, n. 201902042

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-03-28, n. 201902042
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201902042
Data del deposito : 28 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/03/2019

N. 02042/2019REG.PROV.COLL.

N. 05121/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5121 del 2014, proposto dalla società:
Unipolsai Assicurazioni S.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M C, P M, V B e Fabio Dell'Anna, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato C in Roma, via Pierluigi da Palestrina, 63;

contro

l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni - IVASS, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati D A M Z, N G e P R, domiciliato ex lege in Roma, via del Quirinale, 21;

per l’annullamento, previa sospensione

della sentenza del T.A.R. Lazio, sede di Roma, sez. II, 5 marzo 2014 n.2544, che ha respinto il ricorso n.9685/2012 R.G. integrato da motivi aggiunti, proposto per l’annullamento dei seguenti atti dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo – ISVAP, ora Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni – IVASS:

(A – ricorso principale)

a) dell’atto di rettifica 6 agosto 2012 n. 1835 12 VIG 2 27, notificato il giorno 13 agosto 2012, con cui l’Istituto ha proceduto alla rettifica dell’atto di contestazione 21 novembre 2011 n.5817 11 ISP 163 e prot. n. 21 11 001 402, concernente asserite irregolarità nelle procedure operative degli organi di amministrazione e di vigilanza e controllo della compagnia assicurativa Fondiaria Sai S.p.a. commesse nel periodo 2009/2010, e per l’effetto ha quindi disposto che l’ammontare complessivo delle sanzioni amministrative pecuniarie riportate nell’atto di contestazione stesso dovesse intendersi rettificato in misura pari ad € da 201.000 nel minimo a 2.010.000 nel massimo;

di ogni altro atto antecedente, preparatorio, presupposto, consequenziale o comunque connesso, e in particolare:

b) dell’atto di contestazione di addebiti di cui sopra;

(B - motivi aggiunti)

c) dell’ordinanza 22 maggio 2013 n.1050 13, notificata il giorno 28 maggio 2013, con la quale l’Istituto ha ingiunto, per le violazioni come sopra contestate, alla Fondiaria Sai S.p.a. di pagare quale sanzione amministrative pecuniaria prevista dall’art. 310 del d. lgs. 7 settembre 2005 n. 209 la somma di € 1.203.364,12;

di ogni altro atto antecedente, preparatorio, presupposto, conseguente o comunque connesso, e in particolare:

d) della deliberazione 21 maggio 2013 n.86 del Direttorio integrato, con allegati, fra cui l’appunto 13 maggio 2013 del Servizio sanzioni;

e) della relazione motivata del Servizio di vigilanza al Servizio sanzioni trasmessa con nota 30 maggio 2012;

f) della relazione motivata del Servizio di vigilanza al Servizio sanzioni trasmessa con nota 4 dicembre 2012;

g) della nota 9 giugno 2011 prot. n.21 11 873;

h) dei verbali di accertamento ispettivo 4 ottobre 2010;

i) della nota 4 giugno 2012 del Servizio sanzioni;

l) dell’appunto 8 giugno 2012 della Direzione coordinamento giuridico al Presidente;

m) dell’atto di rettifica suindicato;

n) dell’atto di contestazione suindicato;

e di ogni altro atto antecedente, preparatorio, presupposto, consequenziale o comunque connesso;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Istituto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2019 il Cons. F G S e uditi per le parti gli avvocati V B, D A Z e N G;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’istituto resistente appellato, nell’esercizio dei propri poteri di vigilanza sul settore, ha ritenuto di rilevare a carico della compagnia assicuratrice ricorrente appellante, che al tempo operava con la ragione sociale di “Fondiaria Sai”, una serie di rilievi per presunte irregolarità nella gestione, per le quali ha emesso la contestazione di addebito 21 novembre 2011 n.5817 11 ISP 163 e prot. n. 21 11 001 402.

2. Di tale contestazione, è necessario riportare il contenuto sostanzialmente per intero.

2.1 L’istituto, in primo luogo, richiama una precedente nota 9 giugno 2011, con la quale aveva chiesto chiarimenti in merito a ciascuna delle irregolarità riscontrate, puntualmente descritte, ovvero in merito a:

“a) alle carenze rilevate nelle procedure operative del Consiglio di amministrazione, nella misura in cui le stesse:

• non garantivano l’assunzione in via preventiva delle informazioni e dei documenti rilevanti in ordine alle materie oggetto di deliberazione;

• non regolavano le modalità di partecipazione di membri esterni al Consiglio;
modalità che, nei fatti, sono risultate difformi da quanto previsto dallo Statuto;

• non prevedevano momenti di valutazione autonomi da parte degli amministratori indipendenti;

• non consentivano una rappresentazione trasparente dei risultati del processo di autovalutazione;

• non assicuravano un’adeguata tracciabilità dei lavori;

b) all’assenza di una preventiva pianificazione del Consiglio di amministrazione con riferimento alle operazioni di rilevanza strategica deliberate nel corso del 2009 (sino al mese di ottobre), all’epoca dell’approvazione del piano triennale. Inoltre, anche dopo la definizione di quest’ultimo, il C.d.A. aveva continuato ad operare uniformandosi, principalmente, alla volontà dell’Alta direzione, senza effettuare adeguate valutazioni di coerenza con il piano stesso;

c) alle carenze rilevate nell’attività d’indirizzo organizzativo, visto che il Consiglio di amministrazione:

• non aveva espressamente definito le ipotesi di intervento necessarie a circoscrivere l’ambito di operatività delle deleghe gestionali conferite al Presidente del Consiglio di amministrazione e al Comitato esecutivo;

• non aveva circoscritto l’ambito di operatività del potere che si era riservato in materia di operazioni con parti correlate;

• non si era riservato alcun potere in ordine agli appalti di costruzioni immobiliari;

• non aveva individuato in maniera univoca i compiti del Comitato di controllo interno;

• aveva consentito un progressivo accentramento dell’Alta direzione;

• non si era espresso in ordine all’assegnazione della responsabilità del comparto “programmazione immobiliare” ad un soggetto che rivestiva, in Immobiliare Lombarda (società del Gruppo incaricata di presidiare il settore immobiliare), anche il ruolo di Direttore generale;

• non aveva formalizzato specifiche procedure per il controllo dei poteri delegati all’Alta direzione;

• non aveva definito direttive di carattere generale sul sistema dei controlli interni, né si era reso parte attiva nella verifica periodica della sua adeguatezza;

• non aveva disciplinato compiutamente i limiti operativi inerenti ai rischi sottostanti alle operazioni immobiliari;

d) alle carenze rilevate nell’attività del Comitato di controllo interno rispetto ai compiti previsti dalla normativa vigente e dalla regolamentazione interna, nella misura in cui il Comitato:

• aveva ricondotto le proprie valutazioni sul sistema dei controlli interni all’esame di report predisposti dalla funzione di Audit ;

• non aveva mai svolto approfondimenti sui sistemi di rilevazione e controllo delle parti correlate;

• non si era mai pronunciato sulla correttezza sostanziale delle operazioni infragruppo e con parti correlate, nonostante il C.d.A. avesse attribuito ai pareri del Comitato natura sostanziale;

• aveva valutato gli esiti del processo di autovalutazione degli amministratori basandosi, meramente, su una sintesi predisposta dall’ufficio Segreteria generale e societario;

e) alle carenze riscontrate nell’attività svolta dal Comitato di capital management rispetto ai compiti previsti dalla regolamentazione interna, con particolare riferimento alla pianificazione immobiliare, alla valutazione dei rischi afferenti ad operazioni di finanza ordinaria e straordinaria e al monitoraggio continuo dei cash flow ;

f) alla collocazione organizzativa e all’attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo, visto che:

• le funzioni di controllo rispondevano, prima (biennio 2009/2010), gerarchicamente all’Amministratore delegato, poi (a far data dal gennaio 2011), erano state collocate alle dipendenze gerarchiche della “direzione amministrazione e corporate center e funzioni di controllo”;

• la funzione di Revisione interna:

 operava con un organico esiguo rispetto alla pluralità di attività in cui era coinvolta;

 negli anni 2009 e 2010, aveva pianificato interventi che – in assenza di un sistema oggettivo di individuazione delle aree da sottoporre a verifica – non includevano processi significativi per l’impresa (gestione del rischio liquidità e operazioni con parti correlate);

 aveva svolto le verifiche sulle attività di gestione immobiliare, esternalizzate alla controllata Immobiliare Lombarda, limitandosi ad aspetti procedurali e formali;

• la funzione di Risk management :

 aveva attivato flussi di comunicazione verso gli organi sociali che contemplavano un preventivo coinvolgimento dell’Alta direzione;

 prevedeva, tra le sue attività, compiti di natura operativa;

 aveva definito una mappa dei rischi non calibrata sullo specifico profilo di rischio dell’impresa;

 effettuava analisi di stress test che non tenevano conto della rischiosità effettiva dell’impresa, né in termini di fattori di rischio considerati, né in termini di frequenza delle analisi;

• la funzione di Compliance :

 operava sulla base di un mandato lacunoso, avvalendosi per lo più del lavoro di altre funzioni aziendali, senza averne formalizzato i rispettivi ruoli;

 esaminava esclusivamente la mancata conformità alla normativa esterna;

 in relazione alla mappatura dei rischi, non aveva espresso specifiche valutazioni di merito sulla bontà delle misure organizzative adottate dall’impresa;

• il Comitato di compliance e di coordinamento delle funzioni di governance aveva limitato la sua attività ad un mero scambio di informazioni tra le funzioni di controllo sullo stato dell’arte dei propri lavori;

• l’Organismo di vigilanza ex d.lgs. 231/2001:

 si era limitato a prendere atto dei report periodici predisposti dai responsabili delle unità organizzative aziendali, e delle iniziative intraprese dalla funzione di Audit , senza mai svolgere specifici approfondimenti, né verifiche mirate a testare il modello stesso;

 si era attivato tardivamente in presenza di potenziali coinvolgimenti della Società in illeciti amministrativi (area Castello);

 non aveva attivato alcuno scambio d’informazioni con la società di revisione;

g) all’assenza di una complessiva valutazione del fabbisogno finanziario correlato alle diverse iniziative immobiliari (in corso ed in fase di primo avvio);
carenza che aveva esposto l’impresa ad un significativo rischio di liquidità. L’esame dei flussi di cassa – dal 1° gennaio 2009 al 30 settembre 2010 – aveva, infatti, evidenziato come l’equilibrio finanziario fosse stato raggiunto attraverso progressive dismissioni di attivi destinati, originariamente, a permanere durevolmente nel patrimonio della Società (immobili di pregio, partecipazioni strategiche e titoli obbligazionari classificati nel comparto “durevole”);

h) alle 16 operazioni con parti correlate che avevano coinvolto l’azionista di riferimento (famiglia Ligresti) – esaminate in sede ispettiva – rispetto alle disposizioni normative vigenti e alle norme di autoregolamentazione, essendo stati riscontrati casi per i quali:

• l’Alta direzione:

 aveva omesso di sottoporle all’esame del C.d.A. malgrado ne ricorressero i presupposti, oppure aveva svolto un’istruttoria insufficiente per consentire al Consiglio medesimo di valutarne compiutamente le caratteristiche;

 svolgeva la propria attività in assenza di presidi a tutela dei conflitti di interesse, soprattutto per ciò che riguarda le modalità di individuazione delle operazioni da sottoporre a valutazioni di esperti indipendenti ( fairness e legal opinion ) e le modalità di selezione degli stessi;

 non ne aveva valutato i profili di rischio, nonostante ciò rientrasse tra i compiti del Comitato di capital management;

• il C.d.A. aveva assunto le proprie determinazioni sulla base di informazioni lacunose e viziate dalle criticità di cui al precedente punto, senza mai effettuare approfondimenti diretti a valutarne le caratteristiche di specificità (realizzazione di porti, alberghi, ecc), neanche quando le operazioni richiedevano continui interventi di ripatrimonializzazione (Atahotels);

• le funzioni di controllo, nell’ambito delle rispettive competenze, non avevano svolto specifiche analisi sulle carenze procedurali e sui profili di rischio sottesi a tali operazioni;

i) alle carenze riscontrate nella delibera quadro in materia di classificazione del portafoglio titoli, visto che quest’ultima:

• non definiva limiti quantitativi dei due comparti (durevole e non durevole);

• ancorava il requisito di “stabile investimento” (comparto durevole) a mere valutazioni di convenienza economica;

• non richiedeva, per gli investimenti in “azioni non strategiche”, un’adeguata illustrazione della compatibilità di tali attivi con le caratteristiche del comparto durevole.

2.2 Nel prosieguo dell’atto, l’istituto prendeva in esame i chiarimenti pervenutigli dalla compagnia, li giudicava non esaurienti per una serie di ragioni che qui si possono omettere, e contestava quindi le violazioni propriamente dette, rendendo noto che le condotte sopra descritte configuravano violazione di una serie di regolamenti indicati in modo puntuale:

“a) regolamento n. 20 del 26 marzo 2008, nelle parti in cui prevede che il Consiglio di amministrazione assicura la formalizzazione di adeguati processi decisionali (art. 5, comma 2 lett. b), e documenta in modo adeguato il suo operato al fine di consentire il controllo sugli atti gestionali e sulle decisioni assunte (art. 9);

b) regolamento n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui assegna al C.d.A. compiti di indirizzo strategico (art. 5 comma 2 lett. e, prima parte);

c) regolamento n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui assegna al C.d.A. compiti di indirizzo organizzativo tra cui:

• la definizione e monitoraggio del sistema delle deleghe (art. 5 comma 2, lett. a, c, art. 7 comma 2 lett. b);

• la definizione di direttive in materia di controlli interni (art. 5 comma 2 lett. d);

• la formalizzazione di politiche di assunzione, valutazione e gestione dei rischi (art. 5 comma 2 lett. d, e lett. e seconda parte);

d) regolamento n. 20 del 26 marzo 2008, laddove definisce i compiti del Comitato di controllo interno (art. 6);

e) regolamento n. 20 del 26 marzo 2008, laddove assegna all’Alta direzione la responsabilità dell’attuazione, mantenimento e monitoraggio del sistema dei controlli interni e di gestione dei rischi, coerentemente con le direttive dell’organo amministrativo (art. 7);

f) regolamento n. 20 del 26 marzo 2008, nelle parti in cui prevede che:

• la funzione di Revisione interna deve avere una collocazione organizzativa, tale da garantirne l’indipendenza (art. 15, comma 2, lett. a), la funzione di Risk management risponde all’organo amministrativo e deve avere una collocazione organizzativa tale da non dipendere da funzioni operative (art. 21, comma 4);
la funzione di Compliance deve possedere adeguati requisiti di indipendenza (art. 23 comma 4);

• la funzione di Revisione interna:

 deve avere una struttura adeguata in termini di risorse umane alle dimensioni dell’impresa e agli obiettivi di sviluppo (art. 15, comma 2, lett. e);

 pianifica l’attività in modo da identificare le aree da sottoporre prioritariamente ad audit, descrivendo i criteri sulla base dei quali questi sono stati selezionati (art. 15 comma 4);

 verifica l’efficienza dei controlli sulle attività esternalizzate (art. 15 comma 3 lett. e);

• la funzione di Risk management :

 concorre alla definizione delle metodologie di misurazione dei rischi (art. 21, comma 1 lett. a);

 deve concorrere all’effettuazione di prove di stress test sulle fonti di rischio maggiormente significative, tenuto conto delle dimensioni e della natura dell’attività dell’impresa e con una frequenza resa necessaria dal tipo di rischio, nonché dall’evoluzione della dimensione e dell’attività (art. 21, lett. f e art. 20, commi 1 e 2);

• la funzione di Compliance :

 opera sulla base di delibera del C.d.A. che ne definisce anche natura e frequenza della reportistica (art. 23, comma 2);

 deve essere dotata di adeguati presidi che garantiscano la separatezza di compiti, ruoli e competenze da altre funzioni, e la prevenzione di situazioni di conflitto di interessi nel caso in cui sia costituita mediante il ricorso a risorse appartenenti ad altre unità aziendali (art. 23 commi 5 e 6);

 valuta che l’organizzazione e le procedure interne dell’impresa siano adeguate a prevenire il rischio di mancata conformità anche alle norme di autoregolamentazione (art. 23, comma 1 e art. 22, comma 1);

 identifica in via continuativa le norme applicabili all’impresa e ne valuta l’impatto su processi e procedure (art. 23, comma 3, lett. a);

• il sistema dei controlli interni prevede l’esecuzione, a tutti i livelli dell’impresa, di attività di controllo che contribuiscono a garantire l’attuazione delle direttive aziendali e a verificarne il rispetto (art. 11, comma 1);

g) regolamento n. 20 del 26 marzo 2008, laddove stabilisce che la Capogruppo esercita:

• un controllo strategico sull’evoluzione delle diverse aree di attività in cui il Gruppo ed i rischi ad esse correlati, monitorando altresì le politiche di dismissione (art. 26, lett. a );

• un controllo gestionale, volto ad assicurare il mantenimento delle condizioni di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale delle singole imprese e del Gruppo assicurativo nel suo insieme (art. 26, lett. b);

h) regolamento n. 25 del 27 maggio 2008, nelle parti in cui prevede che:

• le operazioni infragruppo devono essere coerenti con i principi della sana e prudente gestione, evitando di attuare operazioni che possano produrre effetti negativi per la loro solvibilità o che possano arrecare pregiudizio agli interessi degli assicurati (art. 6, comma 1);

• le imprese instaurano adeguati meccanismi di gestione del rischio e di controllo interno, ivi comprese idonee procedure contabili e di segnalazione, per consentire l’accertamento, la quantificazione il monitoraggio e il controllo delle operazioni infragruppo, nonché il rispetto delle linee guida e dei limiti stabiliti dall’organo amministrativo (art. 8, comma 1);

i) provvedimento n. 893 del 18 giugno 1998 e circolare n. 475/D del 27 febbraio 2002 (vigenti all’epoca dei fatti), nelle parti in cui prevedevano che:

• l’organo amministrativo individuava le caratteristiche essenziali in termini qualitativi e quantitativi dei comparti ad utilizzo durevole ed investimenti ad utilizzo non durevole (provvedimento n. 893/98, art. 1, comma 1);

• la destinazione al comparto ad utilizzo durevole doveva corrispondere al reale intendimento di realizzare uno “stabile investimento nei titoli stessi” (circolare n. 475/D, quarto capoverso);

• con particolare riferimento ad azioni non strategiche, l’analisi della compatibilità degli attivi con la destinazione funzionale doveva dare piena evidenza dell’attitudine degli stessi a costituire un investimento durevole, nonostante la loro natura non fosse coerente con le caratteristiche del comparto (circolare n. 475/D, quinto capoverso)”.

2.3 Di conseguenza, l’istituto concludeva l’atto di contestazione informando la compagnia del trattamento sanzionatorio previsto, ovvero precisando che gli illeciti sopra elencati erano soggetti:

“- quelli di cui alle lettere da a) a g), alla sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, da un minimo di € 5.000,00 ad un massimo di € 50.000,00;

- quelli di cui alla lettera h), alla sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, da un minimo di € 5.000,00 ad un massimo di € 50.000,00;

- quelli di cui alla lettera i), ai sensi dell’art. 354, comma 4, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, alla sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 2, del decreto legislativo medesimo, da un minimo di € 2.000,00 ad un massimo di € 20.000,00;
per un totale complessivo, quindi, che va da un minimo di sanzione pecuniaria di € 12.000,00 ad un massimo di € 120.000,00” (per tutto ciò, si veda il doc. 1 in I grado ricorrente appellante, contestazione citata).

3. Successivamente, l’istituto riteneva di dover tornare sulla contestazione descritta, ed emetteva l’atto 6 agosto 2012 n. 1835 12 VIG 2 27, notificato il giorno 13 agosto 2012 e qualificato, come da intestazione, “atto di rettifica”, il cui contenuto a sua volta va riportato sostanzialmente per intero.

3.1 L’istituto, nell’atto in esame anzitutto rileva “la necessità di rettificare l’atto contestativo al fine di assicurare piena corrispondenza tra le singole sanzioni applicabili e ciascuno dei profili violativi compiutamente enucleati nell’atto medesimo, fermi restando i fatti così come accertati”;
di conseguenza, procede a render noto che “l’ammontare delle sanzioni amministrative pecuniarie riportato nell’atto di contestazione, tenuto conto delle singole fattispecie di illecito rilevate, deve intendersi rettificato come da seguente dettaglio”.

3.2 Di seguito, l’istituto riporta il dettaglio in questione:

“- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto a) dell'atto di contestazione (carenze rilevate nelle procedure operative del Consiglio di amministrazione), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che il Consiglio di amministrazione assicura la formalizzazione di adeguati processi decisionali (art. 5, comma 2, lett. b): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto a) dell'atto di contestazione (carenze rilevate nelle procedure operative del Consiglio di amministrazione), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che il Consiglio di amministrazione documenta in modo adeguato il suo operato al fine di consentire il controllo sugli atti gestionali e sulle decisioni assunte (art. 9): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto b) dell'atto di contestazione (assenza di una preventiva pianificazione del Consiglio di amministrazione), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui assegna al Consiglio di amministrazione compiti di indirizzo strategico (art. 5, comma 2, lett. e), prima parte): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto c) dell'atto di contestazione (carenze rilevate nell’attività d’indirizzo organizzativo da parte del Consiglio di amministrazione), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui assegna al Consiglio di amministrazione la definizione e il monitoraggio del sistema delle deleghe (art. 5, comma 2, lett. a), c);
art. 7 comma 2, lett. b): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto c) dell'atto di contestazione (carenze rilevate nell’attività d’indirizzo organizzativo da parte del Consiglio di amministrazione), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui assegna al Consiglio di amministrazione la definizione di direttive in materia di controlli interni (art. 5, comma 2, lett. d): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto c) dell'atto di contestazione (carenze rilevate nell’attività d’indirizzo organizzativo da parte del Consiglio di amministrazione), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui assegna al Consiglio di amministrazione la formalizzazione di politiche di assunzione, valutazione e gestione dei rischi (art. 5, comma 2, lett. d) e lett. e), seconda parte): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto d) dell'atto di contestazione (carenze rilevate nell’attività del Comitato di controllo interno), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui definisce i compiti del Comitato di controllo interno (art. 6): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto e) dell'atto di contestazione (carenze riscontrate nell’attività svolta dal Comitato di capital management), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui assegna all’Alta direzione la responsabilità dell’attuazione, mantenimento e monitoraggio del sistema dei controlli interni e di gestione dei rischi, coerentemente con le direttive dell’organo amministrativo (art. 7): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Revisione interna deve avere una collocazione organizzativa tale da garantirne l’indipendenza (art. 15, comma 2, lett. a): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Risk management risponde all’organo amministrativo e deve avere una collocazione organizzativa tale da non dipendere da funzioni operative (art. 21, comma 4): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Compliance deve possedere adeguati requisiti di indipendenza (art. 23 comma 4): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Revisione interna deve avere una struttura adeguata in termini di risorse umane alle dimensioni dell’impresa e agli obiettivi di sviluppo (art. 15, comma 2, lett. e): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Revisione interna pianifica l’attività in modo da identificare le aree da sottoporre prioritariamente ad audit, descrivendo i criteri sulla base dei quali questi sono stati selezionati (art. 15, comma 4): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Revisione interna verifica l’efficienza dei controlli sulle attività esternalizzate (art. 15 comma 3, lett. e): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Risk management concorre alla definizione delle metodologie di misurazione dei rischi (art. 21, comma 1, lett. a): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Risk management deve concorrere all’effettuazione di prove di stress test sulle fonti di rischio maggiormente significative, tenuto conto delle dimensioni e della natura dell’attività dell’impresa e con una frequenza resa necessaria dal tipo di rischio, nonché dall’evoluzione della dimensione e dell’attività (art. 21, lett. f);
art. 20, commi 1 e 2): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Compliance opera sulla base di delibera del Consiglio di amministrazione, che ne definisce anche natura e frequenza della reportistica (art. 23, comma 2): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Compliance deve essere dotata di adeguati presidi che garantiscano la separatezza di compiti, ruoli e competenze da altre funzioni, e la prevenzione di situazioni di conflitto di interessi nel caso in cui sia costituita mediante il ricorso a risorse appartenenti ad altre unità aziendali (art. 23, commi 5 e 6): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Compliance valuta che l’organizzazione e le procedure interne dell’impresa siano adeguate a prevenire il rischio di mancata conformità anche alle norme di autoregolamentazione (art. 23, comma 1;
art. 22 comma 1): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la funzione di Compliance identifica in via continuativa le norme applicabili all’impresa e ne valuta l’impatto su processi e procedure (art. 23, comma 3, lett. a): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto f) dell'atto di contestazione (collocazione organizzativa e attività svolta dalle funzioni e dagli organi deputati al controllo), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che il sistema dei controlli interni prevede l’esecuzione, a tutti i livelli dell’impresa, di attività di controllo che contribuiscono a garantire l’attuazione delle direttive aziendali e a verificarne il rispetto (art. 11, comma 1): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto g) dell'atto di contestazione (assenza di una complessiva valutazione del fabbisogno finanziario correlato alle diverse iniziative immobiliari), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la Capogruppo eserciti un controllo strategico sull’evoluzione delle diverse aree di attività in cui il Gruppo opera e dei rischi ad esse correlati, monitorando altresì le politiche di dismissione;
(art. 26, lett. a): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per avere, nell'ambito del profilo enucleato al punto g) dell'atto di contestazione (assenza di una complessiva valutazione del fabbisogno finanziario correlato alle diverse iniziative immobiliari), violato il Regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, nella parte in cui prevede che la Capogruppo eserciti un controllo gestionale volto ad assicurare il mantenimento delle condizioni di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale delle singole imprese e del Gruppo assicurativo nel suo insieme (art. 26, lett. b): da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 per ciascuna delle sedici operazioni con parti correlate di cui alla lettera h) dell’atto di contestazione, da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00, per un totale da euro 80.000,00 ad euro 800.000,00;

- sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 310, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, aumentata fino al triplo - ai sensi dell'art. 8 della legge 24 novembre 1981, n. 689 come richiamato dall'art. 326, comma 5 ultimo periodo del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - per ciascuna delle tre violazioni di cui alla lettera i) dell’atto di contestazione commesse con una sola azione (delibera quadro in materia di classificazione del portafoglio titoli), ai sensi dell’art. 354, comma 4, del decreto legislativo stesso, da un minimo di euro 2.000,00 ad un massimo di euro 20.000,00, aumentata fino al triplo per un totale da euro 6.000,00 ad euro 60.000,00”.

3.3 L’istituto, nell’atto di rettifica in esame, non manca di evidenziare la conseguenza di tale modifica, ovvero che “l’ammontare complessivo delle sanzioni amministrative pecuniarie riportato nell’atto di contestazione, deve intendersi rettificato in misura pari nel minimo ad euro 201.000,00 e nel massimo ad euro 2.010.000,00” (per tutto ciò, si veda il doc. 3 in I grado ricorrente appellante, rettifica citata).

4. Come si nota a semplice lettura, e come rileva anche la sentenza di I grado, fra l’originario atto di contestazione e l’asserita rettifica vi sono numerose differenze.

4.1 L’istituto nell’originario atto di contestazione aveva individuato in tutto nove violazioni, costituenti in tutto tre illeciti amministrativi, e precisamente aveva considerato come primo di tali illeciti tutte le molteplici condotte descritte dalla lettera a) alla lettera g), come secondo di tali illeciti la condotta descritta alla lettera h) e come terzo di tali illeciti la condotta descritta alla lettera i). Per ciascuno dei tre illeciti, aveva quindi indicato la sanzione astrattamente applicabile, e aveva quindi determinato la sanzione complessiva, sempre astrattamente applicabile in una somma pari a 12.000 euro nel minimo e 120.000 euro nel massimo.

4.2 Viceversa, nell’atto di rettifica, l’istituto individua 42 violazioni, corrispondenti ad altrettanti illeciti: in dettaglio, riqualifica la condotta di cui alla lettera a) in due diversi illeciti;
qualifica la condotta di cui alla lettera b) come illecito autonomo;
riqualifica la condotta di cui alla lettera c) in tre diversi illeciti;
qualifica le condotte di cui alle lettere d) ed e) come illeciti autonomi;
suddivide la condotta di cui alla lettera f) in tredici illeciti;
riqualifica la condotta di cui alla lettera g) in tre distinti illeciti;
qualifica l’unico illecito di cui alla lettera h) come sedici operazioni con parti correlate, e quindi come sedici distinti illeciti e infine riqualifica anche la condotta di cui alla lettera i) in tre diversi illeciti. La conseguenza è che l’istituto, come si è detto, ritiene applicabile una sanzione superiore sia nel massimo che nel minimo (v. la sentenza di I grado, pp. 5 e 6 della motivazione).

5. Contro tale asserito atto di rettifica, e contro gli ulteriori atti meglio indicati in epigrafe, l’impresa ha proposto il ricorso principale di I grado, nel quale ha dedotto tre motivi, e in particolare, per quanto qui interessa, coi primi due ha dedotto l’illegittimità dell’operazione così compiuta. A suo dire, l’atto di rettifica in questione si sarebbe infatti dovuto qualificare come provvedimento di ritiro in autotutela della precedente contestazione, sostituita contestualmente con una contestazione nuova;
provvedimento però illegittimo, perché adottato oltre il termine perentorio previsto dalla legge per esercitare il relativo potere di sanzione.

6. Nel corso del giudizio di I grado, l’istituto, sulla base dell’atto di rettifica, ha emanato l’ordinanza 22 maggio 2013 n.1050 13, notificata il giorno 28 maggio 2013, con la quale ha ingiunto all’impresa di pagare a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria per le violazioni contestate ritenute tutte sussistenti, la somma di € 1.203.364,12 (doc. 4 in I grado ricorrente appellante, ordinanza in questione).

7. Contro tale ordinanza, l’impresa ha proposto motivi aggiunti, e per quanto qui interessa ha riproposto i due motivi del ricorso principale sopra riassunti, relativi alla illegittimità dell’operazione compiuta con la rettifica, come vizi di illegittimità derivata dell’ordinanza stessa;
ha poi dedotto motivi ulteriori, che entrano nel merito delle contestazioni.

8. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha, secondo la lettera del dispositivo, respinto sia il ricorso principale, sia i motivi aggiunti. In motivazione, in sintesi estrema e per quanto qui rileva, ha ritenuto che l’atto 6 agosto 2012 di cui si è detto costituisse effettivamente una rettifica, ovvero non costituisse né “manifestazione provvedimentale a rilievo esterno” né “nuovo ed ulteriore atto di contestazione degli addebiti” (motivazione, p. 41), “non essendo il quantum sanzionatorio un elemento essenziale” della contestazione stessa ed essendo “la considerazione unitaria o plurima delle condotte, ai fini dell’applicazione delle sanzioni… questione che sfugge alla competenza degli organi incaricati dello svolgimento dell’istruttoria” perché attribuita ad un organo diverso dell’istituto, il Servizio sanzioni, competente ad emanarle con facoltà di non tener conto della qualificazione operata in corso di istruttoria, e quindi appunto nella contestazione (motivazione, p. 42). Di conseguenza, il Giudice di I grado ha ritenuto rispettato, da parte dell’originaria contestazione, il disposto dell’allora vigente art. 326 comma 1 del d. lgs. 7 settembre 2006 n.309, per cui l’istituto “ nel termine di centoventi giorni dall'accertamento dell'infrazione … provvede alla contestazione degli addebiti nei confronti dei possibili responsabili della violazione ”, termine che si fa decorrere dall’ultimo atto istruttorio, e quindi nella specie decorreva dal 5 settembre 2011. Lo stesso Giudice di I grado ha infatti ritenuto irrilevante in tal senso la successiva rettifica, atteso che a suo avviso per una rituale contestazione sarebbe sufficiente e necessario che l’incolpato abbia “in chiave funzionale e sostanzialistica, la possibilità di avere la chiara percezione dei contorni della condotta”, e quindi del fatto, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica e dall’illustrazione delle relative possibili conseguenze sanzionatorie (motivazione, p.57). Di seguito, il Giudice ha poi respinto gli altri motivi dedotti, inerenti come si è detto al merito delle contestazioni.

9. L’impresa ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene sei motivi, di riproposizione di quelli dedotti in I grado e di critica alla sentenza impugnata per non averli accolti:

- con il primo di essi, deduce propriamente violazione dell’art. 21 novies della l. 7 agosto 1990 n.241, dell’art. 24 della l. 28 dicembre 2005 n.262 e dell’art. 9 del d. lgs. 209/2005. A suo avviso, l’asserito atto di rettifica 6 agosto 2012 più volte citato sarebbe in realtà un provvedimento di auto annullamento della precedente contestazione, con sua parziale modifica e sostituzione, e come tale sarebbe stato adottato al di fuori dei presupposti di legge richiesti per tale genere di atti, ovvero senza motivazione e violando il legittimo affidamento del privato sull’atto precedente, dato che si è proceduto a notevole distanza di tempo dalla prima contestazione;

- con il secondo motivo, deduce violazione dell’art. 326 del d. lgs. 209/2005, nel senso che il termine perentorio di 120 giorni di cui si è detto, assegnato per procedere alla contestazione degli addebiti, sarebbe stato violato sotto un duplice profilo. In primo luogo, sarebbe stato violato dall’atto 6 agosto 2012, evidentemente tardivo sia rispetto all’ultimo atto istruttorio, risalente come pure si è detto al 5 settembre 2011, ma tardivo anche rispetto alla data che a dire della ricorrente appellante si dovrebbe considerare, ovvero al 9 giugno 2011, data di chiusura del verbale di ispezione presso la compagnia. In secondo luogo, anche il primo atto di contestazione 21 novembre 2011 sarebbe da ritenere tardivo rispetto a tale ultimo termine;

- con il terzo motivo, deduce violazione dell’allora vigente art. 327 d. lgs. 205/2009, nel senso che a suo dire tutte le violazioni contestate deriverebbero da un’unica disfunzione amministrativa, e quindi si sarebbe dovuto applicare il trattamento sanzionatorio più favorevole previsto dalla norma per tale ipotesi;

- con il quarto motivo, deduce violazione dell’art. 5 comma 2 dell’allora vigente regolamento dell’istituto 15 marzo 2006 n.1, nel senso che sarebbe stato violato il termine di 90 giorni ivi previsto, decorrente dal ricevimento della relazione motivata del Servizio ispettivo da parte del Servizio sanzioni, per emanare l’ordinanza ingiunzione;

- con il quinto motivo, deduce violazione dell’art. 28 della l. 24 novembre 1981 n.689, per essersi a suo avviso prescritto il potere di sanzione esercitato quanto ai fatti commessi sino al 28 maggio 2008;

- con il sesto motivo, deduce infine eccesso di potere per travisamento del fatto, perché i fatti contestati sarebbero illeciti posti in essere da amministratori e dirigenti in sede esecutiva, e quindi non imputabili alla società.

10. L’amministrazione ha resistito con atto 15 gennaio 2015 e memoria 4 febbraio 2019, ed ha chiesto che l’appello sia respinto, difendendo in sintesi estrema la motivazione della sentenza di I grado;
a sua volta, con memoria 4 febbraio e replica 8 febbraio 2019, la ricorrente appellante ha ribadito le proprie asserite ragioni;
all’esito, alla udienza del giorno 21 febbraio 2019, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

11. L’appello è fondato e va accolto, nei termini che seguono.

12. Il primo ed il secondo motivo di appello vanno esaminati congiuntamente, perché all’evidenza connessi, sono entrambi fondati e assorbono i motivi restanti.

12.1 Per chiarezza, vanno illustrate le norme applicabili alla fattispecie, da interpretare in base ai principi elaborati dalla sentenza della Sezione 26 marzo 2015 n.1595, da cui questo Collegio non vede ragione di discostarsi.

12.2 Il potere sanzionatorio dell’istituto intimato appellato è previsto in via generale dall’art. 5 comma 1 del più volte citato d. lgs. 209/2005, per cui esso “ svolge le funzioni di vigilanza sul settore assicurativo mediante l'esercizio dei poteri di natura autorizzativa, prescrittiva, accertativa, cautelare e repressiva previsti dalle disposizioni del presente codice ”. Che tali poteri comprendano quello di applicare sanzioni amministrative pecuniarie, lo si ricava poi a semplice lettura dagli artt. 324 e ss. dello stesso d. lgs. 209/2005. Il concreto esercizio del potere sanzionatorio in questione è poi disciplinato da un regolamento, che l’istituto emana in applicazione dell’art. 9 del d. lgs. 209/2005, che alla materia in questione dedica il comma 3: l’istituto, per quanto qui interessa, “ stabilisce, con regolamento, i termini e le procedure per l'adozione degli atti e dei provvedimenti di competenza. L'IVASS disciplina, in particolare, i procedimenti relativi all'accertamento delle violazioni ed all'irrogazione delle sanzioni nel rispetto dei principi della facoltà di denuncia di parte, della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché della distinzione tra le funzioni istruttorie e quelle decisorie ”. All’epoca dei fatti, il regolamento vigente e ad essi quindi applicabile era il già citato regolamento 15 marzo 2006 n. 1.

12.3 Ciò posto, come ritenuto già dalla sentenza 1595/2015 citata, una sanzione amministrativa pecuniaria come quella per cui è causa, che l’istituto può irrogare, non è una sanzione penale in senso stretto, perché l’ordinamento non la qualifica come tale, ma ne ha il carattere sostanziale in base alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, e in particolare ai cd criteri Engel , elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nella sentenza 8 giugno 1976 Engel e altri c. Paesi Bassi . Ciò si afferma argomentando dalla natura della norma che prevede l’infrazione, volta ad assicurare il buon andamento di un mercato rilevante come quello assicurativo, e quindi la tutela di interessi generali della società normalmente presidiati dal diritto penale, nonché sia dalla natura e particolare severità delle sanzioni applicabili, che possono ledere il credito dei soggetti interessati e produrre conseguenze patrimoniali importanti, come è evidente dati gli importi di cui si ragiona.

12.4 Si pone allora la necessità di stabilire entro quali limiti operi per le sanzioni come quella in esame la norma dell’art. 6 della Convenzione stessa, che stabilisce com’è noto il diritto di ciascuno ad un equo processo, e nell’ambito di esso prevede il diritto al contraddittorio, inteso in particolare come diritto ad essere informato “ in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa a suo carico ”. Come ricordato anche dalla sentenza 1595/2015, in proposito la Convenzione, così come interpretata dalla Corte europea, nel caso che interessa lascia però ai legislatori dei singoli Stati aderenti ampia discrezionalità. Consente infatti che le sanzioni penali in senso ampio, come quella per cui è processo siano applicate, oltre che da un tribunale indipendente e imparziale, ovvero da un organo giudiziario propriamente detto, anche da un'autorità amministrativa, priva di imparzialità oggettiva e all'esito di un procedimento che non offre le garanzie giurisdizionali proprie del processo penale, purché sul provvedimento finale sia previsto un controllo giurisdizionale da parte di un organo dotato di giurisdizione piena cui l’interessato possa rivolgersi. E’ quanto si verifica nel caso di specie, in cui le sanzioni adottate dall’istituto, che è autorità amministrativa, ancorché dotata di particolari garanzie di indipendenza, sono impugnabili avanti il Giudice amministrativo. Alla materia in esame, quindi, la norma della Convenzione non è direttamente applicabile.

12.5 Nel caso di specie, però, il legislatore nazionale ha apprestato una garanzia ulteriore, con il già ricordato art. 9 del d. lgs. 209/2005, che impone all’istituto di disciplinare il procedimento di applicazione delle sanzioni in particolare nel rispetto del principio del contraddittorio, che deve essere quindi rispettato anche nell’interpretazione delle norme regolamentari emanate in attuazione dell’articolo stesso.

12.6 Per quanto riguarda la contestazione, all’epoca dei fatti disponeva l’art. 3 comma 3 del regolamento 1/2006, secondo il quale “ L'atto di contestazione contiene una sintetica esposizione dei fatti, le violazioni riscontrate, l'indicazione del responsabile del procedimento, il termine entro il quale gli interessati possono esercitare i diritti di cui all’art. 4 ”.

12.7 La lettera della norma regolamentare citata non contiene alcuna disposizione espressa che sia contraria al principio del contraddittorio;
la sua interpretazione peraltro non può prescindere da quanto affermato dalla stessa Corte europea dei diritti dell’Uomo in tema di sanzioni penali, intese nel senso ampio di cui si è detto: in tal senso, quindi, l’art. 6 della Convenzione risulta applicabile indirettamente alla fattispecie, appunto come criterio interpretativo. Viene allora in questione la sentenza della Corte europea II sezione 11 dicembre 2007 Drassich c. Italia , secondo la quale l’art. 6 della Convenzione richiede che l’incolpato sia informato tempestivamente non solo della causa dell’accusa, cioè dei fatti materiali posti a suo carico, ma anche, in modo dettagliato, della qualificazione giuridica data ad essi.

12.8 Applicando tale principio al caso in esame, l’atto 6 agosto 2013 va senz’altro qualificato non come rettifica sostanzialmente irrilevante, ma come nuova contestazione vera e propria, perché come si è visto va a mutare la qualificazione giuridica dei fatti contestati, comportando oltretutto conseguenze di notevole rilievo sul piano della sanzione, che è stata fissata in misura quasi dieci volte superiore al massimo indicato come applicabile nella contestazione originaria. Si tratta poi di una nuova contestazione illegittima, perché, a prescindere da ogni altro rilievo, è stata adottata evidentemente oltre il termine massimo di 120 giorni disponibile, qual che sia fra i due considerati dalla parte il giorno di decorrenza che si vuole ritenere rilevante.

12.9 In tal senso, vanno accolti i primi due motivi di appello, e vanno annullate sia l’asserita rettifica, sia l’ordinanza sanzionatoria, viziata per illegittimità derivata perché emessa in base ad una contestazione effettuata a termine scaduto.

12.10 Sul primo punto, ovvero sull’annullamento dell’asserita rettifica, è necessaria qualche precisazione ulteriore. Com’è noto, infatti, non è di regola possibile procedere all’annullamento di una contestazione di addebito in quanto tale, dato che si tratta di un atto endoprocedimentale non autonomamente lesivo, e quindi non autonomamente impugnabile. Nel caso di specie, però, la conclusione è diversa, e non perché si tratti di un atto di autotutela, come ritenuto dalla ricorrente appellante. Non si potrebbe infatti configurare un atto di autotutela nei casi come il presente, in cui una contestazione, ovvero un atto endoprocedimentale, viene sostituita da una contestazione nuova. Nella specie, però la nuova contestazione assume in via eccezionale natura di provvedimento, e quindi era impugnabile e deve essere annullata, perché si è verificato un caso analogo a quello deciso dalla sentenza TAR Lazio Roma sez. I 16 febbraio 2012 n.1620, che non è stata impugnata, e sul quale non constano precedenti editi negli esatti termini di questo Giudice di appello. Nel caso in questione, infatti, ad un atto di contestazione emesso dallo stesso istituto intimato appellato è stata riconosciuta la natura di provvedimento perché volto, oltre che ad iniziare il procedimento sanzionatorio, anche ad orientarne l’esito in un certo modo in via preventiva, ovvero a dichiarare che l’istituto avrebbe applicato in un dato modo una norma di regolamento pertinente alla fattispecie. E’ qualcosa di analogo a quanto avvenuto nel caso di specie, in cui la nuova contestazione era volta, per implicito ma inequivocabilmente, ad escludere l’applicabilità del più lieve trattamento sanzionatorio indicato dalla contestazione originaria.

12.11 I restanti motivi sono assorbiti, dato che dal loro esame nessuna utilità potrebbe derivare alla parte, a fronte dell’annullamento degli atti con estinzione del potere sanzionatorio, dato che il termine per esercitarlo è decorso.

13. In conclusione quindi, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di I grado va accolto, sia quanto al ricorso principale, sia quanto ai motivi aggiunti, e vanno annullati di conseguenza gli atti meglio indicati in dispositivo, ovvero l’atto qualificato come di rettifica del 6 agosto 2012 e l’ordinanza sanzionatoria 22 maggio 2013, ovvero i soli fra gli atti impugnati che, in particolare per le ragioni esaminate rispetto alla rettifica 6 agosto 2012, rivestono natura di provvedimenti autonomamente lesivi. E’ solo per completezza che si precisa che gli ulteriori atti indicati nell’epigrafe sono invece atti endoprocedimentali privi di autonomo carattere lesivo, sì che essi appaiono indicati come impugnati sostanzialmente solo per scrupolo di difesa, e quindi non è necessario provvedere quanto ad essi nel dispositivo stesso.

14. La particolarità del caso deciso, sul quale non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare le spese.

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