Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-04-22, n. 202403595

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-04-22, n. 202403595
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403595
Data del deposito : 22 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/04/2024

N. 03595/2024REG.PROV.COLL.

N. 05834/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5834 del 2022, proposto da
Regione Autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A S, A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Eleonora Fdi Soc. Coop. Cons. di Garanzia Fdi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato P F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Nomentana n. 316;

nei confronti

Consorzio Fdi Fn Sardegna S.C., Coop. di Garanzia degli Artigiani e Pmi, Cofinsarda Soc. Coop. in Liquidazione, Artigianfidi Soc. Coop., Fdarti Soc. Coop., C.G.F. Artigiani S.C. incorporata per fusione in Soc Coop di Garanzia Collettiva dei Fdi Piccole Medie Imprese, Fnart Soc. Coop., non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. 00852/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Eleonora Fdi Soc. Coop. Cons. di Garanzia Fdi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024 il Cons. Massimo Santini e preso atto delle richieste di passaggio in decisione, senza preventiva discussione, depositate in atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Si controverte su benefici finanziari regionali disposti in favore di diversi consorzi FIDI che sono, a loro volta, deputati a garantire prestiti in favore delle PMI e delle imprese artigianali.

La E F veniva esclusa dai suddetti benefici in quanto il c.d. “fondo rischi”, secondo quanto riportato nel bilancio approvato per gli anni in questione (2012 e 2013), sarebbe stato inferiore rispetto a quello normativamente stabilito (206 mila euro invece di 500 mila). Il “fondo rischi” serve infatti ad assicurare che gli stessi consorzi fidi possano riuscire a mantenere gli impegni assunti mediante rilascio di garanzie fideiussorie in favore delle piccole medie imprese e delle imprese artigianali che chiedono prestiti di natura finanziaria.

2. Il provvedimento di esclusione veniva gravato dinanzi al TAR Sardegna. La E F faceva presente in quella sede che, al di là di quanto iscritto in bilancio, esistevano comunque dei conti correnti vincolati che, nel complesso, garantivano il superamento del minimo richiesto dalla normativa regionale. Il TAR Sardegna, dopo avere nominato apposito CTU, riteneva di accogliere la tesi di parte ricorrente in quanto il regolamento regionale di cui alla delibera di giunta n. 17 del 2014 prevede soltanto la dichiarazione da parte di istituti di credito, circa la complessiva capienza di tale fondo, e non anche la evidenziazione di tali somme tra le poste di bilancio.

3. La sentenza formava oggetto di appello, da parte dell’amministrazione regionale, per i motivi di seguito indicati:

3.1. Error in iudicando nella parte in cui il giudice di primo grado avrebbe erroneamente applicato la normativa regionale di riferimento laddove questa imporrebbe la iscrizione di tali poste di bilancio (fondo rischi) in apposite voce dello stato patrimoniale;

3.2. Error in iudicando nella parte in cui il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto del fatto che l’obiettivo della normativa regionale sarebbe quello di “premiare” i consorzi che si sottopongono a processi di fusione. Ciò per assicurare migliori garanzie di tenuta finanziaria.

4. Si costituiva in giudizio E F per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione.

5. Alla pubblica udienza dell’11 aprile 2024 la causa veniva infine trattenuta in decisione.

6. Tutto ciò premesso, il ricorso è infondato e deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate:

6.1. Con il primo motivo si deduce l’erroneità del giudice di primo grado nell’interpretare ed applicare la normativa regionale sui prestiti dei c.d. consorzi FIDI.

Si premette al riguardo che i confidi (consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi) svolgono l'attività di rilascio di garanzie collettive dei fidi nei confronti di piccole e medie imprese o dei liberi professionisti associati, al fine di favorirne l'accesso al credito di banche e di altri intermediari finanziari (art. 13, comma 1, del D.L. n. 269/2003).

In siffatta direzione, come pure evidenziato dalla difesa dell’amministrazione regionale (pag. 10 atto di appello) il “fondo rischi”, nella sua accezione di “deposito di denaro presso le banche”, consente agli istituti di credito di “valutare la capacità del Confidi di poter onorare gli impegni assunti con il rilascio delle garanzie fideiussorie”.

Il thema decidendum , sulla base del provvedimento regionale con cui è stato negato l’accesso a benefici finanziari regionali appositamente concepiti per il sostegno a tali soggetti che prestano garanzie, consiste nello stabilire se il suddetto “fondo rischi” debba consistere in uno specifico accantonamento di capitale evidenziato in apposito capitolo di bilancio oppure sia sufficiente (posizione della odierna appellata E F) la presenza di somme vincolate in specifici conti correnti accesi presso le banche convenzionate. Il motivo del provvedimento regionale di rigetto risiede infatti nella circostanza che la E F non avesse, nel proprio bilancio, un capitolo appositamente dedicato al fondo rischi, o meglio che lo aveva ma in misura insufficiente (206 mila euro) rispetto a quello prescritto dalla normativa regionale (500 mila euro). La tesi della parte appellata E F si basa invece sul fatto che la restante somma “a garanzia” fosse da rinvenire in altri due conti correnti vincolati che risultavano da apposita attestazione da parte dei relativi istituti di credito. Il tutto per un valore complessivamente superiore al limite minimo stabilito. Osserva al riguardo il collegio che:

6.1.1. Come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado, le direttive di attuazione della legge regionale n. 51 del 1993, allegate alla deliberazione della Giunta Regionale n. 17/15 del 13 maggio 2014: da un lato prevedono che “Possono presentare domanda di contributo … i Consorzi fidi … che dimostrino … la costituzione … del fondo rischi il cui ammontare non deve essere inferiore a € 500.000” (art. 2 direttiva);
dall’altro lato che, per ottenere il contributo, alla domanda di contributo deve essere tra l’alto allegata “dichiarazione datata e sottoscritta dagli istituti di credito convenzionati sull’ammontare del FONDO RISCHI” (art. 4, comma 3);

6.1.2. Va dunque condivisa l’impostazione del giudice di primo grado secondo cui non sussiste un preciso vincolo normativo idoneo ad imporre una simile indicazione nei documenti di bilancio, e ciò dal momento che la stessa disciplina regionale prevede soltanto, ai fini dell’accesso ai contributi, una dichiarazione in tal senso degli istituti depositari di simili conti vincolati;

6.1.3. Né del resto la difesa dell’amministrazione regionale si è premurata di indicare quale normativa regionale, di carattere primario oppure anche secondario, imporrebbe una simile formalità contabile. La stessa difesa si è infatti al riguardo limitata ad affermare in via del tutto generica che: “Richiedere che “quel” preciso quantum (€ 500.000) debba essere appostato al passivo dello Stato Patrimoniale potrebbe condurre, per una serie di motivazioni tecnico-contabili esaustivamente richiamate nella relazione di parte, ad un giudizio di “non congruità”, di “irragionevolezza” (pag. 8 atto di appello);

6.1.4. Formalità quest’ultima che, come pure correttamente evidenziato dal giudice di primo grado: “nulla di per sé aggiungerebbe, in termini di efficace sostanziale della garanzia, alla già comprovata esistenza di depositi bancari puntualmente certificati dai relativi istituti e formalmente dedicati alla medesima funzione sin qui descritta, come tali spendibili solo per ragioni coerenti” (considerazione, questa, che peraltro fa proprie le conclusioni del CTU e che non ha formato altrimenti oggetto di contestazione, da parte della appellante difesa regionale, sotto il profilo della manifesta incongruità e irragionevolezza);

6.1.5. Si rivela pertanto condivisibile la posizione del giudice di primo grado secondo cui la disciplina regionale richiede soltanto la attestazione degli istituti di credito circa la capienza del fondo rischi e non anche la presenza in bilancio di una simile voce (posizione questa fatta propria dal CTU in primo grado);

6.1.6. In altre parole, onde accedere ai suddetti benefici finanziari regionali non sono necessari particolari accantonamenti di capitale, appostati in specifici capitoli di bilancio, bastando invece la dimostrazione della disponibilità di somme per oltre € 500.000 vincolate all’uopo presso le banche convenzionate e fatte oggetto della rituale dichiarazione delle banche stesse come richiesta dalle Direttive di attuazione della legge regionale (dichiarazione qui pacificamente versate agli atti del procedimento e non altrimenti contestate sotto il profilo del quantum garantito);

6.1.7. Alla luce di quanto sopra considerato, il primo motivo di appello deve dunque essere rigettato.

6.2. Con il secondo motivo si deduce che il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto del fatto che l’obiettivo della normativa regionale sarebbe quello di “premiare” i consorzi che si sottopongono a processi di fusione. Ciò per assicurare migliori garanzie di tenuta finanziaria. Come evidenziato dalla difesa regionale, la finalità sarebbe quella di “favorire l'accorpamento tra i consorzi fidi e le cooperative di garanzia esistenti” (pag. 8 atto di appello). La difesa regionale richiama, a tale riguardo: la Deliberazione G.R. n. 27/9 2006 (la quale afferma che si “dovrebbe incentivare l’accorpamento tra i consorzi fidi e le cooperative di garanzia esistenti, rafforzando le strutture fidi di supporto alle piccole imprese nell’accesso al credito”);
la legge regionale n. 3 del 2008, il cui art. 7 prevede che: “Gli atti di fusione dei consorzi esistenti costituiscono un parametro prioritario per la ripartizione delle risorse”;
la Deliberazione G.R. n. 54/7 2008 la quale, nel richiamare la citata L.R. 3/2008, stabilisce che gli atti di fusione fra consorzi e cooperative di garanzia costituiscono parametro prioritario per la ripartizione delle risorse;
infine, la Deliberazione G.R. 17/15 2014 (“Ripartizione delle risorse”) secondo cui: “Il contributo è ripartito tra gli aventi diritto come segue: … 30% quale premialità per le fusioni tra Confidi”. Ebbene, proprio alla luce del quadro normativo che la difesa regionale richiama a supporto delle proprie tesi emerge al contrario che:

6.2.1. Il fondo da 500mila euro è stato sì concepito per facilitare la fusione tra soggetti, questo è evidente, ma allo stesso tempo una simile facilitazione – o meglio “sollecitazione” – non potrebbe giammai trasformarsi in un requisito di accesso ai suddetti benefici (potendo soltanto costituire, se del caso, un fattore di premialità).

6.2.2. In altre parole, l’eventuale fusione tra soggetti impegnati in operazioni di prestito finanziario è sicuramente condizione di “premialità”, il quale si esprime ossia attraverso la attribuzione di punteggi aggiuntivi, ma non anche “presupposto” o requisito (c.d. “condizionalità”) di accesso ai suddetti benefici;

6.2.3. La fusione tra questi soggetti, pertanto, costituisce “fattore di premio” (onde acquisire una posizione migliore nella graduatoria finale degli aventi diritto al beneficio) ma non anche “requisito di accesso” ai benefici stessi;

6.2.4. Alla luce delle suddette considerazioni, anche il secondo motivo di appello deve dunque essere rigettato.

7. In conclusione il ricorso in appello è infondato e deve essere rigettato.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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