Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-01-30, n. 202400931
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Testo completo
Pubblicato il 30/01/2024
N. 00931/2024REG.PROV.COLL.
N. 08222/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8222 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Calogero Ingrillì, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;
contro
Ministero della giustizia, CSM - Consiglio superiore della Magistratura, Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sede di Roma (sezione prima) n. -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della giustizia, del Consiglio superiore della Magistratura e della Presidenza del Consiglio dei ministri;
Vista l’ordinanza collegiale della sezione del -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, di rinvio della causa a nuovo ruolo;
Viste le ordinanze cautelari della sezione del -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, del -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, e del -OMISSIS-, n. -OMISSIS-;
Viste le memorie e tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2023 il consigliere Fabio Franconiero, sulle istanze di passaggio in decisione delle parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’avvocato -OMISSIS-, già giudice di pace in servizio presso l’ufficio di -OMISSIS-, agisce nel presente giudizio per l’accertamento del rapporto di impiego con il Ministero della giustizia a decorrere dal -OMISSIS-, data di assunzione dell’incarico, e per l’annullamento del provvedimento di revoca di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 21 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 ( Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57 ), disposto nei confronti del ricorrente con decreto del Ministro della giustizia in data -OMISSIS-, adottato sulla base della presupposta delibera del Consiglio superiore della Magistratura del -OMISSIS-.
2. La prima domanda si fonda sul contrasto tra il diritto nazionale, che configura il giudice di pace come magistrato onorario anziché di carriera, con la normativa euro-unitaria a tutela del lavoro, in ragione del quale la prima dovrebbe essere disapplicata. Quali parametri normativi sovraordinati sono richiamate le disposizioni delle direttive 2003/88/CE del 4 novembre 2003, ( concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro ), e 1999/70/CE del 28 giugno 1999 ( relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato ), recepite in Italia rispettivamente con i decreti legislativi dell’8 aprile 2003, n. 66, e del 6 settembre 2011, n. 368; sono inoltre richiamati i principi espressi con specifico riguardo alla figura del giudice di pace italiano dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze del 16 luglio 2020, C-658/18; e, più di recente, del 7 aprile 2022, C-236/20). In subordine viene chiesto di sollevare davanti alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale sulla conformità della legislazione interna, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione.
3. Con la seconda domanda si contestano innanzitutto in radice i presupposti sostanziali del potere di revoca dell’incarico, perché insito nella sua natura onoraria, e che non sarebbe quindi applicabile nei confronti del ricorrente, una volta che a suo favore sia accertato un rapporto di pubblico impiego con l’amministrazione della giustizia. Nei confronti del medesimo provvedimento di revoca vengono inoltre dedotte plurime illegittimità di carattere sostanziale e procedimentale.
4. Entrambe le domande, proposte con due separati ricorsi, riuniti per connessione, e motivi aggiunti, sono state respinte in primo grado dall’adito Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sede di Roma con la sentenza indicata in epigrafe.
5. Questa ha innanzitutto statuito che « la domanda di stabilizzazione avanzata » è impedita « dal fatto che il ricorrente è stato revocato dalle funzioni ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo n. 116 del 2017 ».
6. Di seguito ha respinto le censure nei confronti del provvedimento di revoca, del quale ha in primo luogo ritenuto integrati i presupposti di legge, e nello specifico la « mancanza di equilibrio del magistrato », sulla base di un accertamento e di una valutazione dei fatti addebitati non inficiati da alcun travisamento o illogicità; e in secondo luogo ha respinto le ulteriori contestazioni concernenti le modalità di svolgimento del procedimento disciplinare, sul rilievo che « è stato pienamente rispettato l’iter amministrativo e garantita l’interlocuzione procedimentale con l’istante ».
7. Con riguardo alla domanda di accertamento del rapporto di impiego (qualificata come domanda di stabilizzazione), la sentenza ha considerato ostativa « la ontologica differenza che intercorre tra i magistrati divenuti tali per concorso e i giudici onorari contemplati dall’articolo 106, comma due, della Cost, quali funzionari onorari non inseriti organicamente nei ruoli del personale statale », e non soggetti agli « stringenti limiti di compatibilità con l’esercizio di attività libero-professionale » valevoli per i primi. Il diverso sistema di reclutamento previsto per le due categorie dalla richiamata disposizione costituzionale è stato quindi elevato a contro-limite all’applicazione del diritto sovranazionale, tale da escludere profili di ingiustificata discriminazione in danno dei giudici onorari, in relazione ai quali - ha aggiunto la sentenza - in ragione della natura del loro incarico non si applicano le direttive europee sulla tutela del lavoro subordinato. Con specifico riguardo alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea richiamata a fondamento della domanda, la sentenza ha escluso che da essa sia ricavabile un’equiparazione tra le due categorie di magistrati. A questo riguardo ha sottolineato che nelle sue pronunce il giudice sovranazionale ha rimesso a quello nazionale di « determinare se un giudice di pace si trovi o meno in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario », sulla base di una « serie di elementi », attinenti alle funzioni giurisdizionali svolte e alle condizioni di impiego in cui queste sono esercitate.
8. Di seguito la sentenza ha ricordato che anche sul piano interno è stata sancita « l’eterogeneità e la non assimilabilità » del magistrato onorario a quello togato (Corte costituzionale, sentenza 9 dicembre 2020, n. 267), salve le equiparazioni di volta in volta previste dalla legge « solo quoad effectum e nei limiti dell’aspetto singolo funzionalmente considerato ». Nella medesima direzione sono state richiamate: la scelta del legislatore interno, attuativa del sopra citato art. 106, comma 2, Cost., di confermare il carattere onorario dell’incarico, con il sopra citato decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 di riforma organica della magistratura onoraria ; e la giurisprudenza consultiva di questo Consiglio di Stato (parere del 28 aprile 2017, n. 854, reso su quesito del Ministero della giustizia per l’attuazione della legge delega per la riforma organica per la magistratura onoraria, 28 aprile 2016, n. 57), con cui è stata affacciata la non conformità a Costituzione dell’ipotesi della stabilizzazione dell’incarico senza concorso « in assenza di comprovate ed insuperabili esigenze dell’ente pubblico ».
9. Infine, ribadito che in ambito sovranazionale non è stata mai affermata l’equiparazione dei magistrati onorari a quelli togati, non sono stati ravvisati i presupposti per deferire le questioni controverse davanti alla Corte Costituzionale o alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
10. Le statuizioni di cui la sentenza di primo grado si compone, così sintetizzate, sono contestate dal ricorrente a mezzo del presente appello, in resistenza del quale si sono costituiti il Ministero della giustizia, il Consiglio superiore della Magistratura e la Presidenza del Consiglio dei ministri.
DIRITTO
1. Con un primo ordine di critiche alla sentenza, l’appello - rectius : l’atto depositato il -OMISSIS-, con cui dopo le 150 pagine dell’atto introduttivo del presente giudizio il ricorrente si è conformato in punto limiti dimensionali alle regole di sinteticità vigenti nell’ordinamento processuale amministrativo, in esecuzione del decreto presidenziale in data -OMISSIS-, n. -OMISSIS- - contesta che la stabilizzazione del rapporto del ricorrente alle dipendenze dell’amministrazione della giustizia sarebbe impedita dalla revoca inflittagli -OMISSIS-In contrario si oppone l’automatismo previsto dall’art. 5 del citato decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 368, ai fini della conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, in caso di superamento del limite massimo di 36 mesi previsto dal primo, nel caso di specie pacificamente avvenuto, a fronte dei « circa 30 anni » di funzioni giurisdizionali svolte dal ricorrente, 12 come giudice conciliatore e 17 come giudice di pace. A sostegno dell’assunto secondo cui la disposizione di legge da ultimo richiamata sarebbe applicabile anche nei confronti della pubblica amministrazione, con effetti retroattivi, viene richiamata diffusa giurisprudenza di legittimità.
2. Con un ulteriore ordine di critiche si deduce al medesimo riguardo che la sentenza si sarebbe erroneamente soffermata sulla domanda di stabilizzazione del ricorrente nelle funzioni di giudice di pace svolte