Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-03-03, n. 202001576

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-03-03, n. 202001576
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001576
Data del deposito : 3 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/03/2020

N. 01576/2020REG.PROV.COLL.

N. 06478/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6478 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato L G T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Civitavecchia, 7;

contro

Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo -OMISSIS-, Ufficio Territoriale del Governo Milano, in persona del Ministro pro tempore, Anac - Autorita' Nazionale Anticorruzione, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Anac - Autorità Nazionale Anticorruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2020 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti gli avvocati L G T e l'avvocato dello Stato Isabella Piracci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 – L’appellante, società attiva nel mercato -OMISSIS-, chiede l’annullamento o la riforma della sentenza del TAR per la Lombardia, I Sezione, che ha respinto il suo ricorso contro il diniego di iscrizione all’Elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa.

2 - L’ampio e dettagliato atto di appello contesta la sommarietà della predetta sentenza del TAR, ritenuta incompatibile con le garanzie previste dalla Convenzione CEDU, rispetto alla molteplicità delle censure di primo grado volte a confutare ciascuno degli elementi indiziari allegati dall’Amministrazione, che si è costituita in giudizio eccependo in primo luogo l’inammissibilità dell’appello in ragione della mera riproposizione delle censure di primo grado.

3– In particolare l’appellante, che si è vista comunicare in data -OMISSIS- 2014, il provvedimento interdittivo adottato dalla Prefettura di Milano, cui è conseguito il diniego da parte della Prefettura di -OMISSIS- all’iscrizione nella c.d. white list, ha proposto ricorso davanti al TAR Milano, che ha respinto la domanda cautelare con ordinanza n. -OMISSIS-, confermata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. -OMISSIS-, e con la sentenza oggi appellata ha respinto il ricorso richiamando le argomentazioni già svolte dalle autorità prefettizie circa l’esistenza di validi e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni con la criminalità organizzata, a loro volta idonee a condizionare le scelte dell’impresa appellante, considerate le assidue frequentazioni personali di -OMISSIS- con noti esponenti della criminalità organizzata, le indicazioni di affiliazione del medesimo alla cosca locale di -OMISSIS-, capeggiata da -OMISSIS-, il cui -OMISSIS- era dipendente di -OMISSIS-, le vicende giudiziarie dei -OMISSIS- ed i rapporti affaristici e lavorativi con esponenti di spicco della ‘ndrangheta

4-Con l’appello vengono conteste le predette conclusioni deducendo i seguenti motivi: error in iudicando, assoluta carenza di motivazione, illogicità manifesta, erroneità nei presupposti, carenza di istruttoria, violazione di legge, travisamento dei fatti.

Saremmo, secondo l’appellante, in presenza di una “ sentenza stereotipata ” inidonea ad evidenziare ogni apprezzabile attuale e concreto pericolo di infiltrazione mafiosa che “ non indica in modo preciso e dettagliato le ragioni per cui avrebbe ritenuto dimostrata la presunta continua ingerenza della criminalità organizzata all’interno della società e, soprattutto, non ha spiegato in che modo tale ingerenza, a Suo avviso, avrebbe compromesso le libere determinazioni e l’imparzialità degli organi di amministrazione” , essendosi il TAR “ limitato a ricopiare l’accozzaglia di elementi – del tutto disancorati, inconferenti e non contenenti neppure in embrione un indizio di mafia – elencati dalle Amministrazioni appellate, senza premurarsi di entrare nel merito delle dettagliate e capillari osservazioni e controdeduzioni enucleate dall’odierno appellante in primo grado con il supporto della relativa documentazione ”. Ciò riguarderebbe, in particolare:

4.1-la compagine sociale di -OMISSIS- le cui quote societarie appartenevano al momento della costituzione a -OMISSIS- (50%), -OMISSIS- (20%), -OMISSIS- (20%) e -OMISSIS- (10%). Sino al 2013, la società -OMISSIS- era partecipata ed amministrata anche da -OMISSIS-, rispettivamente -OMISSIS- della -OMISSIS- e -OMISSIS- di -OMISSIS- ed -OMISSIS-, che poi cessava ogni ruolo attivo e di amministratore. Nel 2016 sopravveniva una nuova ripartizione delle quote societarie fra soggetti che già facevano parte della compagine sociale, senza peraltro introdurre soggetti estranei alla famiglia -OMISSIS-, che si era trasferita -OMISSIS- dal comune di -OMISSIS- a quello di -OMISSIS- proprio per sfuggire ai condizionamenti mafiosi, indipendentemente da episodi (-OMISSIS- ed -OMISSIS- -OMISSIS-, “ -OMISSIS- ” venivano posti in custodia cautelare con l'accusa di tentata estorsione, e il loro -OMISSIS- -OMISSIS- veniva posto per circa trenta giorni in carcere e poi agli arresti domiciliari) privi di seguito e quindi di rilievo;

4.2- le vicende giudiziarie riguardanti i famigliari -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, riferite a reati non aventi natura strumentale rispetto ad attività mafiose, risalenti nel tempo e mai sfocate in sentenze di condanna;

4.3-le frequentazioni con esponenti della criminalità organizzata, reiterate nel tempo, del sig. -OMISSIS-, indagato in stato di libertà per associazione mafiosa, pur se l’attività d’indagine svolta sul sig. -OMISSIS- non ha mai condotto all’accertamento di fatti penalmente rilevanti a carico del medesimo, né collegamenti giuridicamente apprezzabili sotto il medesimo aspetto, mentre l’Autorità Giudiziaria si è pronunciata sull’ipotizzata affiliazione che veniva segnalata dagli organi investigativi disponendo l’archiviazione della relativa posizione.

Anche la frequentazione con -OMISSIS- da parte di -OMISSIS- troverebbe giustificazione nella circostanza che presso la -OMISSIS- -OMISSIS- era assunto il sig. -OMISSIS- - -OMISSIS- incensurato originarlo del -OMISSIS-, che aveva sposato -OMISSIS-, la -OMISSIS- di -OMISSIS-, e con il quale il sig. -OMISSIS- intratteva rapporti di amicizia con il proprio dipendente -OMISSIS-, assunto -OMISSIS- e licenziato -OMISSIS- a causa di una contrazione di lavoro.

4.4- i contatti con alcuni dei soci della -OMISSIS- con soggetti "controindicati", molto risalenti nel tempo, non contestualizzati ovvero riguardanti la partecipazione ad eventi, come matrimoni, ai quali hanno partecipato moltissime altre persone;

4.5- l'ordinanza di custodia cautelare n. -OMISSIS- del -OMISSIS-2010 del Tribunale di Milano, richiamata nelle varie Informative in quanto riferiva di plurimi episodi di contatto di -OMISSIS- con esponenti della criminalità organizzata, che non avrebbe potuto essere valutata in quanto nessuno dei soci della società ricorrente compare come soggetto destinatario;


4.6- l’acquisto del ramo d’azienda della -OMISSIS-, finalizzato ad ottenere l’attestazione SOA rilasciata da un Organismo di attestazione sottoposto a sequestro preventivo dal Tribunale di Roma, non essendo possibile inferire da una normale operazione di cessione di azienda presunte ultronee finalità. Da tutto ciò conseguirebbe anche la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 13 della CEDU.

4.6 - Secondo l’appellante, la sentenza gravata avrebbe altresì erroneamente ritenuto che non fosse ravvisabile alcune violazione dell’art. 7 della l. 241/90, atteso che qualora la Prefettura avesse esaminato in contraddittorio con la ricorrente i singoli accadimenti posti a fondamento dei provvedimenti impugnati, avrebbe adottato con grande probabilità una diversa determinazione, in quanto si sarebbe resa conto sin da subito che le segnalazioni effettuate non potevano assurgere a validi indizi di inquinamento mafioso.

5 – L’appellante ribadisce ed amplia con maggiore dettaglio le proprie censure con plurime successive memorie.

6 – A giudizio del Collegio, peraltro l’appello, in disparte l’eccezione di inammissibilità proposta dall’Amministrazione, non è fondato e non può pertanto essere accolto.

6.1 – La principale censura svolta dall’appellante nei confronti della pronuncia del Giudice di prime cure consiste, così come evidenziato dalla Difesa dell’Amministrazione, è di essere una “ sentenza stereotipata ”, sulla base di un “ raffronto con altre pronunce della medesima sezione”, conseguendone la assoluta carenza di motivazione in quanto limitata a “ riproporre in modo pedissequo le stesse argomentazioni sviluppate in sentenze precedenti, adattandole di volta in volta al caso concreto”.

6.2 – Al contrario, la sentenza oggetto di gravame risulta motivata come richiesto dall’art. 3 c.p.a. in quanto, premessa la ricognizione dei principi giurisprudenziali consolidati in materia, da un lato individua la ratio e i presupposti per l’adozione dell’interdittiva antimafia, dall’altro identifica gli elementi di fatto che, nel quadro probatorio complessivo e secondo il criterio dell’id quod

plerumque accidit , risultano idonei ad assumere rilevanza ai fini del riscontro del pericolo di

infiltrazione mafiosa.

6.3 – In tale quadro, la medesima sentenza analizza puntualmente le motivazioni del provvedimento dell’Amministrazione e ne trae la motivata conclusione che non si tratta di notizie isolate e parcellizzate, ma di un quadro indiziario complessivo valutato in modo approfondito quanto al sotteso pericolo di infiltrazioni mafiose (ex multis, Cons. St., Sez. III, 27.06.2019, n. 4431), mediante un adeguato iter logico-argomentativo, prendendo atto che la valutazione del Prefetto sugli elementi sintomatici del pericolo di infiltrazione mafiosa è caratterizzata da una discrezionalità molto elevata (Cons. St., Sez. VI, 26.01.2006, n. 222).

6.4 – A propria volta le censure dell’appellante, richiamando ed esaminando le plurime vicende processuali che hanno riguardato i diversi membri della famiglia -OMISSIS- titolari delle quote societarie della -OMISSIS- -OMISSIS-, confermano in realtà l’esistenza di un complessivo quadro indiziario, univoco e concordante, circa la frequente ricorrenza di plurimi contatti di vario tipo fra gli interessati ed il mondo della criminalità organizzata, tali da non consentire di escludere la probabile sussistenza di condizionamenti di tipo mafioso sulla gestione della società, “potendo l'interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo” (Cons. St., Sez. III, 23.02.2012, n. 1068).

6.5 – Anche la censura volta ad affermare l’erronea valutazione, da parte del Giudice di primo grado, della sussistenza della violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90 e dei principi sul contraddittorio non considera il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale i procedimenti in materia di tutela antimafia sono tipicamente connessi ad attività di indagine giudiziaria e caratterizzati da ragioni di urgenza e da finalità, destinatari e presupposti incompatibili con le ordinarie procedure partecipative, considerato anche il carattere vincolato dei provvedimenti conseguenti ai fini di cui all'art. 21-octies, comma 2, della stessa l. n. 241/1990 (Cons. St., Sez. III, 30.11.2017, n.5623).

7 – Ai fini della decisione il Collegio richiama pertanto, in disparte l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposta dalla Difesa dell’Amministrazione, la costante ed ormai univoca giurisprudenza amministrativa, ed in particolare di questa Sezione del Consiglio di Stato, circa il carattere preventivo e anticipatorio, di tutela avanzata dell’Ordinamento democratico, attribuito dalla legge ad un giudizio indiziario parametrato al complessivo quadro della situazione esaminata e non allo specifico rilievo penale dei singoli episodi, qualora gli stessi concorrano alla formazione di un quadro indiziario univoco, preciso e concordante circa il rischio concreto ed attuale di condizionamenti dell’impresa da parte della criminalità organizzata.

8 – Tale è, per l’appunto, la situazione che emerge dagli atti di causa, in presenza di un assetto proprietario famigliare e di un quadro dirigenziale ed organizzativo che soffre forti presenze ed ingerenze di soggetti interessati a più vicende penali, pur non definite allo stato da sentenze di condanna, tutte univocamente riconducibili ad un medesimo contesto contiguo alla criminalità organizzata.

8 – Alla stregua delle pregresse considerazioni l’appello deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

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