Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-08-31, n. 202308096

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-08-31, n. 202308096
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202308096
Data del deposito : 31 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/08/2023

N. 08096/2023REG.PROV.COLL.

N. 05624/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5624 del 2017, proposto dal signor A Q, rappresentato e difeso dall’avvocato F D J, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza del Fante n. 10;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 07696/2017, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2023 il Cons. L M e uditi per le parti gli avvocati presenti o considerati tali ai sensi di legge, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il signor Q Aldo, affittuario di un vasto terreno agricolo sito in Roma, località Pineto, ha proposto appello avverso la sentenza del T.a.r. per il Lazio che ha liquidato il risarcimento del danno per anticipata cessazione del contratto agrario conseguente alla espropriazione, senza emanazione del relativo decreto, del terreno coltivato, da parte della amministrazione militare, per motivi di sicurezza connessi all’ampliamento della sede di Forte Braschi sita in Roma, in via della Pineta Sacchetti.

La stima dell’indennizzo è stata operata in applicazione dell’art. 17 della legge n. 865 del 1971, in vigore sino al 30 giugno 2003 ed applicabile pacificamente al caso di specie in forza del principio tempus regit actum .

I criteri applicati per la stima sono stati contestati dal ricorrente ma il T.a.r., con sentenza n. 07696 del 2017, ha respinto il gravame.

Si è costituito in giudizio il Ministero della difesa per resistere all’appello, concludendo per la sua reiezione nel merito, con conferma integrale della sentenza appellata.

Nelle more del giudizio di appello il signor Q è deceduto e il giudizio è stato proseguito con memoria depositata in data 18 ottobre 2022 dal coniuge, signora Rossella Micci, e dai figli, Veronica e Pierfrancesco Q.

Alla udienza pubblica del 30 marzo 2023 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie con le quali gli appellanti hanno ulteriormente argomentato le motivazioni poste a sostegno del gravame, insistendo per le conclusioni già rassegnate.

L’appello è fondato nei limiti di seguito precisati.

Con un primo motivo, nel censurare il capo di sentenza che ha trattato la questione in senso sfavorevole, gli eredi del signor Q chiedono che sia loro liquidata una indennità identica a quella già riconosciuta al proprietario dei terreni, pari a 1,3 milioni di euro, invocando la tutela del diritto di proprietà nella interpretazione estensiva data a tale nozione dalla Corte EDU.

Qualunque bene, a loro dire, anche un diritto di credito e persino una mera aspettativa, sarebbero tutelati dal Protocollo 1 e, a sostegno della tesi, richiamano giurisprudenza della Corte EDU in tema.

Il motivo è infondato.

Un diritto personale di godimento connesso ad un rapporto derivato rispetto al diritto di proprietà non deve necessariamente essere assistito dalla medesima intensità di tutela approntata dall’ordinamento per il diritto di proprietà, pena la duplicazione e la tendenziale moltiplicazione degli indennizzi in relazione a tutti le posizioni derivate o connesse alla titolarità del diritto ablato.

La norma speciale in questione - peraltro ora abrogata - deve pertanto ritenersi idonea ad apprestare una tutela adeguata e ragionevole a tale posizione derivata in quanto la quantificazione dell’indennizzo è commisurata alla minore ampiezza del diritto di godimento rispetto al diritto di proprietà. Ciò peraltro è in linea con quanto previsto dall’art. 1638 c.c. che disciplina la tutela dell’affittuario in caso di espropriazione del terreno, riconoscendogli un diritto nei confronti del proprietario, per la quota parte dell’indennizzo percepito, riferibile ai frutti non percepiti o per il mancato raccolto, onde evitare un indebito arricchimento del proprietario.

La posizione dell’affittuario non può essere assimilata a quella del proprietario del terreno espropriato atteso che mentre il secondo vede definitivamente pregiudicata le facoltà di godimento e di disposizione di un diritto reale perpetuo, il primo vede pregiudicata la sola aspettativa allo sfruttamento agricolo del terreno sino alla scadenza del contratto.

Si tratta di beni della vita di diversa consistenza e rilevanza economica cui l’ordinamento legittimamente accorda una diversa forma di tutela in caso di procedura espropriativa.

A fortiori le sentenze che hanno liquidato il danno in favore del proprietario dei terreni espropriati non possono essere invocate a favore dell’affittuario rispetto al quale, in forza del principio generale sui limiti soggettivi del giudicato, non producono effetto alcuno.

Del resto gli appellanti non hanno evidenziato in concreto alcuna motivazione per sostenere la “non serietà” del ristoro previsto dagli artt. 16 e 17 della legge n. 861 del 1971, a garanzia della posizione dell’affittuario, prospettando una automatica assimilazione della sua posizione giuridica sostanziale a quella del proprietario del fondo ed invocando la medesima tutela risarcitoria – per il caso di espropriazione contra ius - laddove le due posizioni non possono ritenersi assimilabili, con la conseguenza che il motivo di appello dev’essere disatteso.

Con un secondo motivo gli appellanti contestano la quantificazione dell’indennizzo operata dal T.a.r. sulla scorta della verificazione disposta in primo grado.

In particolare, quanto alle caratteristiche dei terreni, chiedono che sia riconosciuta la coltivazione ad orto anziché lo sfruttamento a pascolo.

Il motivo è infondato in quanto prevale la valenza fidefacente del verbale recante la descrizione dello stato di consistenza redatto in sede di occupazione d’urgenza in data 12 maggio 1981 dove è chiaramente indicato l’utilizzo effettivo dei terreni a pascolo (cfr. p. 4 del verbale in atti).

Quanto al parametro del valore agricolo medio - VAM è contestata l’applicazione del coefficiente 5 a fronte di una forbice da 4 a 10 per i terreni posti in comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti qual è il Comune di Roma.

Il verificatore, dopo avere dato atto che il Comune di Roma non ha adottato atti per disciplinare i criteri applicativi della forbice, sviluppa un ragionamento di tipo analogico in relazione ai valori OMI nel rapporto tra immobili siti in centro storico e immobili in zona “pineta Sacchetti” e poiché i valori di stima sono pari a circa la metà di quelli del centro (55% arrotondato per difetto al 50%) applica la medesima percentuale del 50% al coefficiente massimo previsto per la stima del VAM (10), giungendo ad applicare il coefficiente 5.

Il ragionamento è effettivamente opinabile come dedotto dagli appellanti, in quanto i valori OMI non sono traslabili in materia di stima dei terreni agricoli essendo riferiti ad immobili ad uso abitativo.

Reputa pertanto il Collegio corretto, da un punto di vista logico oltre che equitativo, applicare il coefficiente di 7, quale valore medio tra quello minimo (4) ed il massimo (10).

Infine, è infondato anche il terzo motivo di appello, per il quale la sentenza di primo grado non avrebbe tenuto conto dell’esistenza di un “giudicato panprocessuale” che sarebbe idoneo a dirimere la questione del quantum del risarcimento e che sarebbe rappresentato dalle sentenze che hanno accolto la domanda risarcitoria della SEP, società proprietaria del fondo, per l’espropriazione ad opera del Ministero.

Ribadita ancora una volta la differenza tra la situazione soggettiva del proprietario e quella del conduttore coltivatore diretto del fondo, il giudicato panprocessuale è istituto che riguarda esclusivamente le sentenze passate in giudicato intervenute tra le stesse parti e su questioni identiche a quella in discussione (Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3211), ipotesi non ricorrente nel caso di specie atteso che quanto accertato nei confronti del proprietario non può essere esteso al conduttore coltivatore del fondo trattandosi di posizioni giuridiche soggettive diverse.

L’appello va pertanto accolto limitatamente alla stima del valore agricolo medio (cfr. p. 12-13 dell’appello) dovendosi applicare il coefficiente 7 con conseguente condanna del Ministero della Difesa alla rideterminazione del dovuto nei termini precisati ed alla corresponsione della differenza in tal modo quantificata, maggiorata di interessi legali e rivalutazione trattandosi di debito di valore.

Non spetta invece il risarcimento del danno morale in quanto nessuna disposizione di legge all’epoca vigente prevedeva tale voce di danno e lo stesso articolo 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, invocato dagli appellanti, lo ha riconosciuto solo a beneficio del proprietario espropriato in modo illegittimo, non anche degli aventi causa titolari di rapporti giuridici derivati.

Le spese di lite possono essere compensate tenuto conto dell’accoglimento solo parziale dell’appello.

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