Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-11-17, n. 202007132
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 17/11/2020
N. 07132/2020REG.PROV.COLL.
N. 05909/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5909 del 2019, proposto da
C C, rappresentato e difeso dall'avvocato A A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi n. 5;
contro
Comune di Atrani, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Annalisa Di Giovanni in Roma, via di San Basilio 61;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania sezione staccata di Salerno, 9 aprile 2019 n. 588, redatta in forma semplificata;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del Comune di Atrani;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2020 il Cons. D S;
Nessuno è presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 5909 del 2019, C C propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania sezione staccata di Salerno, 9 aprile 2019 n. 588 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Atrani per l'annullamento
- dell’ordinanza di demolizione n. 9 del 16 ottobre 2018.
Il giudice di prime cure così riassumeva i fatti di causa:
“Premesso che:
- col ricorso in epigrafe, Cavaliere Ciro impugnava, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, l’ordinanza di demolizione n. 9 del 16 ottobre 2018, emessa dal Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Atrani, unitamente alle presupposte relazioni di sopralluogo prot. n. 2856 del 9 luglio 2018 e prot. n. 4322 del 16 ottobre 2018;
- gli abusi contestati, sulla scorta delle risultanze delle relazioni di sopralluogo prot. n. 2856 del 9 luglio 2018 e prot. n. 4322 del 16 ottobre 2018, erano consistiti nella realizzazione, in assenza di permesso di costruire, delle seguenti opere, in corrispondenza dell’immobile in proprietà del ricorrente, ubicato in Atrani, alla via Montone n. 2, e censito in catasto al foglio 1, particella 143, sub 8: «1) Dalle risultanze catastali si evince che l’attuale configurazione dell’immobile, catastalmente identificato allo stato attuale nel Comune di Atrani dalla particella n. 143, sub 8, del foglio 1, cat. A/4, consistenza 2,5 vani e superficie catastale di mq 43, come da denuncia presso l’Agenzia del Territorio di Salerno del 19 dicembre 2011, deriva dall’accorpamento delle unità immobiliari precedenti censite catastalmente come di seguito riportate: - Comune di Atrani, foglio 1 – particella 143, sub 7, categoria A/4, consistenza 1 vano;- Comune di Atrani, foglio 1 – particella 143, sub 6, categoria C/2, consistenza mq 29. Pertanto l’attuale consistenza, interamente abitativa, di complessivi mq 43, deriva dall’accorpamento di un deposito di mq 29 e per la rimanente consistenza da un vano abitativo di circa 14 mq. Inoltre: l’unità immobiliare al foglio 1, particella 143, sub 7, con destinazione abitativa è stata denunciata al N.C.E.U. solo in data 18 novembre 2011. L’unità immobiliare al foglio 1, particella 143, sub 6, avente destinazione di deposito è stata oggetto di lavori di trasformazione per imprimere la destinazione abitativa all’intera consistenza con incremento di superficie abitativa 2) È stato realizzato un soppalco in legno di dimensioni 1,75 x 2,95 m e superficie di mq 5,16 adibito ad uso abitativo con posizionamento di un letto matrimoniale e relativo incremento della superficie abitativa»;
- a sostegno dell’esperito gravame, il Cavaliere lamentava, in estrema sintesi, che: -- l’adottata misura repressivo-ripristinatoria non sarebbe stata adeguatamente motivata, siccome non corredata delle richiamate relazioni di sopralluogo prot. n. 2856 del 9 luglio 2018 e prot. n. 4322 del 16 ottobre 2018;-- inoltre, non sarebbe stata preceduta dalla comunicazione dell’avvio del procedimento con essa definito;-- il contestato accorpamento delle preesistenti unità immobiliari da cui sarebbe scaturita quella attuale sarebbe stato legittimato in base a s.c.i.a. non inibita né annullata in autotutela dall’amministrazione comunale intimata preventivamente all’emissione dell’ordinanza di demolizione n. 9 del 16 ottobre 2018;-- la contestata realizzazione del soppalco, per la sua minima entità, non richiedeva il previo rilascio del permesso di costruire né avrebbe potuto, quindi, giustificare l’irrogata sanzione demolitoria;
- l’intimato Comune di Atrani, non costituitosi in giudizio mediante difensore patrocinante, depositava la relazione del Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale prot. n. 333 del 17 gennaio 2019, recante controdeduzioni alle censure attoree;
- il ricorso veniva chiamato all’udienza del 23 gennaio 2019 per la trattazione dell’incidente cautelare;
- nell’udienza camerale emergeva che la causa era matura per la decisione di merito, essendo integro il contraddittorio, completa l’istruttoria e sussistendo gli altri presupposti di legge;
- le parti venivano sentite, oltre che sulla domanda cautelare, sulla possibilità di definizione del ricorso nel merito e su tutte le questioni di fatto e di diritto che la definizione nel merito pone.”
Il ricorso veniva così deciso con la sentenza appellata, redatta in forma semplificata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione alla motivazione dell’ordinanza come pure alla sua fondatezza.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Atrani, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza del 30 luglio 2019, l’istanza cautelare accolta con ordinanza 13 agosto 2019 n. 4064, con cui venivano parimenti disposti adempimenti istruttori.
Alla pubblica udienza del giorno 8 ottobre 2020, dopo l’adempimento all’incombente istruttorio, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. - In via preliminare, va evidenziato che agli atti è riscontrabile la presenza di un atto del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, con cui si chiede lo stralcio della propria costituzione nel presente giudizio, in quanto erronea. Tuttavia, agli atti risulta solo la detta richiesta, depositata in data 6 agosto 2019, e non il provvedimento evocato di costituzione, per cui non vi è luogo a provvedere sull’istanza stessa.
2. - Nel merito, l’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
3. - Con il primo motivo di diritto, rubricato “I. Error in iudicando – violazione di legge - violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7.08.1990, n. 241 – difetto di istruttoria”, si lamenta l’erroneità della sentenza per aver dichiarato infondato il primo motivo di gravame con il quale si era censurato il provvedimento demolitorio per difetto di motivazione, non essendo state notificate al Cavaliere anche le relazioni tecniche ivi richiamate ed a lui ignote, reputando tale circostanza ininfluente e l’ordinanza di ripristino “sorretta da adeguata ed autosufficiente motivazione”.
3.1. - La doglianza non ha pregio.
Come correttamente ricordato dal giudice di prime cure, il tema della motivazione non va valutato in astratto ma in relazione alla concreta funzione che questo elemento provvedimentale svolge. In particolare, l’ordinanza di demolizione è effettivamente sorretta da adeguata e autosufficiente motivazione, apprezzabile già dalla mera lettura, proprio perché in essa si ritrova sia la compiuta descrizione delle opere abusive come anche l’individuazione delle norme applicate (art. 31 del d.P.R. n. 380/2001) e delle violazioni accertate (interventi edilizio eseguiti in assenza di permesso di costruire).
Va inoltre aggiunto come, da un lato, la parte appellante non evidenzi quale aspetto, in punto di fatto o di diritto, sarebbe stato disatteso e quale parte dell’ordinanza ingiunzione non sarebbe comprensibile e, dall’altro, la circostanza che l’istruttoria dibattimentale disposta non abbia evidenziato l’esistenza di ulteriori profili rilevanti non conoscibili tramite l’ordinanza gravata.
4. - Con il secondo motivo, recante “II. Error in iudicando- violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, introdotto dall’art. 14 della legge 15/2005 dell’11.2.2005 – mancata instaurazione del contraddittorio – carenza di istruttoria ed erroneità dei presupposti”, si duole la mancata considerazione del secondo motivo di impugnativa con il quale si era eccepita la violazione da parte della P.A. resistente delle disposizioni in tema di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo ex artt.7 e ss della L.241/90 assumendo che l’ingiunta misura repressivo- ripristinatoria, per la sua natura di atto urgente e vincolato, non richiedeva alcun apporto partecipativo del privato interessato.
4.1. - La censura va respinta.
Ancora una volta, il primo giudice ha succintamente ricordato come, in tema di abusivismo edilizio, la misura “repressivo-ripristinatoria, per la sua natura di atto urgente dovuto e rigorosamente vincolato, non implicante valutazioni discrezionali, ma risolventesi in meri accertamenti tecnici, fondato, cioè, su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo del soggetto interessato, non richiede apporti partecipativi di quest’ultimo”, con ciò dando continuità ad un orientamento pacifico della giustizia amministrativa per cui l’ordine di demolizione di un manufatto abusivo è un provvedimento vincolato, come tutti gli atti sanzionatori in materia edilizia, tale da non richiedere una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione (ex multis, Cons. Stato, VI, 17 luglio 2018 n. 4368).
Per altro verso, i contenuti della mancata partecipazione procedimentale, come si vedrà nello scrutinio di cui ai punti che seguono, risultano insussistenti in fatto.
5. - Il terzo motivo di diritto, rubricato “III. Error in judicando- violazione e falsa applicazione dell’art. 23 – ter del d.p.r. 380/2001, in combinato disposto con il d.m. 1444/1968- carenza dei presupposti- di diritto e di istruttoria”, censura la sentenza dove ha rilevato che, il contestato accorpamento delle modeste unità immobiliari preesistenti – locale uso deposito di 23 mq e locale ad uso residenziale di 14 mq-, sarebbe stato accompagnato da un presunto “cambio di destinazione d’uso” da deposito ad abitazione del locale di 23 mq, che avrebbe comportato la “triplicazione dell’originaria superficie residenziale (da mq 14 a 43) e quindi un proporzionale aggravio del carico urbanistico”, per cui non poteva essere realizzato senza il previo rilascio di un permesso di costruire.
5.1. - La doglianza è infondata in fatto.
Come risultante dall’ordinanza e confermato dagli accertamenti istruttori, l’immobile in argomento, della superficie di mq 43, è il risultato di un accorpamento tra un deposito di mq 29 e un vano abitativo di mq 14.
Infatti, la lettura delle planimetrie delle preesistenti unità immobiliari, condivisibilmente svolta dal Comune di Atrani, ha evidenziato: a) che l’unità immobiliare di cui alla p.lla 143, sub 7, avente destinazione abitativa di consistenza pari ad 1 vano, è stata denunciata al Nuovo Catasto Edilizio Urbano in data 18 novembre 2011;b) l’unità immobiliare, di cui alla p.lla 143 sub 6, avente destinazione deposito, ha subito lavori di trasformazione al fine di consentirne l’utilizzo in funzione abitativa, collegandola alla precedente con conseguenziale incremento della superficie abitativa e ulteriore aggiunta di un soppalco in legno di superficie pari a m 1,75 x m 2,95, utilizzato per il posizionamento del letto matrimoniale.
La detta descrizione evidenzia compiutamente come la parte appellante, tramite l’accorpamento del vano deposito con quello ad uso abitativo, abbia dato vita ad una nuova unità immobiliare a complessivi mq 43 con contestuale mutamento di destinazione d’uso con opere, senza prima conseguire un idoneo titolo abilitativo (notando in questa sede come la vantata esistenza di una proposta S.C.I.A., evocata in prime cure e mai provata, è argomento abbandonato in appello).
Si può quindi condividere la lettura complessiva fattane in primo grado;si verte su un deposito è trasformato in vano residenziale (con opere), con triplicazione della superficie residenziale e con incremento del carico urbanistico, senza alcun titolo abilitativo. Il che conferma la valutazione di rigetto del motivo, come parimenti fatto dal T.A.R..
6. - Con il quarto e ultimo motivo di appello, recante “IV. Error in iudicando - violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 34 d.p.r. 380/2001 - carenza dei presupposti di diritto e di istruttoria”, si evidenzia l’infondatezza della pronuncia nella parte in cui ha ritenuto che la realizzazione sine titulo del “soppalco” avrebbe incrementato la superficie residenziale utile ed aggravato il carico urbanistico, a nulla rilevando le ridotte dimensioni dello stesso (5,16 mq), avendo inciso “in maniera apprezzabile” in proporzione all’estensione complessiva dell’immobile.
6.1. - La censura va respinta.
Come sopra evidenziato, il soppalco in questione (realizzato in legno e con una superficie pari a m 1,75 x m 2,95) è stato destinato al posizionamento del letto matrimoniale;il che comporta come la sua funzione sia stata espressamente quella di un aumento degli spazi abitativi fruibili.
Nella giurisprudenza amministrativa, è pacifica l’affermazione che la realizzazione di un soppalco comporta ulteriore superficie calpestabile ed autonomi spazi, e rientra nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, dal momento che determina un aumento della superficie utile dell’unità con conseguente aggravio del carico urbanistico (da ultimo, Cons. Stato, VI, 9 luglio 2018 n. 4166, che sottolinea come ciò si realizzi quando sussiste la possibilità di accedervi in sicurezza per lo svolgendo del normale esercizio di calpestio e di posizionamento di carichi variabili).
Pertanto, non trattandosi di quelle vicende eccezionali dove la struttura, per la sua non fruibilità ai fini abitativi, non determina aumento di carico urbanistico, appare del tutto corretta la valutazione operata dal Comune e dal T.A.R. sulla infondatezza della ragione di doglianza.
7. - L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.