Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-03-29, n. 202303238

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-03-29, n. 202303238
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202303238
Data del deposito : 29 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/03/2023

N. 03238/2023REG.PROV.COLL.

N. 01471/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1471 del 2020, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato A F T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, Guardia di Finanza - Comando Generale, Guardia di Finanza - Comando Regionale Friuli Venezia Giulia - Trieste, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione Prima, n. -OMISSIS-resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Guardia di Finanza - Comando Generale e di Guardia di Finanza - Comando Regionale Friuli Venezia Giulia - Trieste;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2022 il Cons. O F e udito per la parte appellante l’avvocato Pierpaolo De Vizio per A F T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con l’appello in esame, il signor -OMISSIS- impugna la sentenza -OMISSIS- con la quale il TAR per il Friuli Venezia Giulia ha respinto il ricorso proposto, in particolare, avverso la determinazione del Comandante interregionale Italia Nord Orientale della Guardia di Finanza 18 luglio 2019 n. -OMISSIS- di perdita del grado per rimozione.

L’appellante, brigadiere della Guardia di Finanza, aveva ricevuto la sanzione innanzi indicata, all’esito dell’instaurato procedimento disciplinare, per avere “nel periodo dall’ 1.1.2014 al 30.4.2018….abusando delle proprie funzioni e in concorso con altro appartenente al Corpo, con artifizi e raggiri consistiti nella costante e reiterata falsificazione delle rendicontazioni mensili afferenti al trattamento economico del personale . . . indotto in errore gli organi amministrativi preposti alla liquidazione dei compensi, procurando a sé un ingiusto profitto derivante dalla percezione di indennità …non spettanti, pari complessivamente ad euro 12.478,64, così arrecando un ingiusto danno all’amministrazione militare”.

La sentenza impugnata afferma, in particolare:

a) contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, “il termine di cui all’art. 1392, co. 2, del d. lgs. n. 66/2010 …..non può assolutamente ritenersi spirato nel caso di specie, dovendo essere individuato quale dies a quo per la contestazione degli addebiti il giorno 31 ottobre 2018 (coincidente con il nulla osta del pubblico ministero della Procura militare della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- per l’ostensione agli organi centrali/uffici competenti del Corpo della Guardia di Finanza degli atti afferenti il procedimento penale . . . a carico del ricorrente, e non, come dal medesimo preteso, il giorno 18 maggio 2018 o, addirittura, il 15 maggio 2018, essendo ictu oculi evidente che in nessuna di tali date potevano ritenersi conclusi gli accertamenti preliminari”, per il cui espletamento l’art. 1040, co. 1, lett. d) n. 19 e 1041, co. 1, lett. s) n. 6 DPR 15 marzo 2010 n. 90, accordano 180 giorni dalla conoscenza del fatto da parte dell’autorità competente”;
da tali atti, peraltro, l’autorità militare “ha potuto evincere anche la maggiore entità delle somme indebitamente percepite dal ricorrente”;

b) “solo dal momento in cui il competente Comando ha potuto acquisire, facendoli propri, gli esiti delle complesse e diffuse verifiche esperite dall’Autorità delegata alle indagini (che hanno consentito di circoscrivere la responsabilità in capo a due soli soggetti, e fatto emergere il modus operandi perpetrato dagli indagati” ….può ritenersi sostanzialmente conclusa (peraltro anche in anticipo rispetto al termine di 180 giorni dalla conoscenza del fatto) la fase degli accertamenti preliminari”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

vizi dell’impugnata sentenza: errore sul presupposto, erronea interpretazione degli artt. 1392 e 1393 d. lgs. n. 66/2010;
contraddittorietà ed illogicità della motivazione;

vizi degli atti impugnati: illegittimità per violazione art. 1392, co. 2, e 1393, co. 1, d. lgs. n. 66/2010;
mancato rispetto dei termini perentori per la contestazione disciplinare;

ciò in quanto il termine di 60 giorni per l’instaurazione del procedimento disciplinare comunque avviato in via autonoma da quello penale, decorre dalla conclusione degli accertamenti preliminari, momento identificabile con la nota 15 maggio 2018 del Comandante provinciale di -OMISSIS- dalla quale si deduce che “erano stati raccolti elementi conoscitivi più che sufficienti per delineare la finalità ed il modus operandi” dei militari.

In sostanza “l’amministrazione è rimasta sostanzialmente inerte per ciò che riguarda le valutazioni disciplinari come se, in relazione alla complessità della fattispecie volesse optare per il differimento dell’azione disciplinare all’esito del procedimento penale, salvo poi tardivamente attivarsi dopo che il Comando Polizia economico-finanziaria della G.d.F. di -OMISSIS- ha comunicato l’esito dell’attività di indagine specificamente delegata dalla A.G.”.

Al contrario, “gli accertamenti preliminarmente eseguiti dal Comandante provinciale G.d.F. -OMISSIS- erano sicuramente utilizzabili per fini amministrativi, a prescindere dal nulla osta comunque rilasciato in data 18 maggio 2018”;
ne consegue che l’amministrazione “ha fatto decorrere dal 17 maggio 2018 il termine di sessanta giorni per la contestazione degli addebiti che, invece, è stata effettuata soltanto in data 19 dicembre 2018”.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Economia – Comando generale della Guardia di Finanza, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

Occorre innanzi tutto ricordare – come affermato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, con sentenza 13 settembre 2022 n. 14 – che “in linea generale. . . per il personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (e, in particolare, per i militari imputati di fatti penalmente rilevanti), resta fermo il principio generale di "autonomia temperata" del procedimento disciplinare rispetto a quello penale, dato che, nel caso di addebito di fatti penalmente rilevanti che comportino sanzioni gravi (ed in particolare, quelle di stato), e sempre che vi siano necessità istruttorie, il procedimento disciplinare può essere sospeso in attesa di quello penale.

L'avvio del procedimento disciplinare, anche in pendenza di procedimento penale, costituisce, dunque, la regola nell'impiego pubblico, mentre la sospensione rappresenta l'eccezione, dipendente dalla sussistenza di due distinti presupposti: la natura particolarmente grave della sanzione astrattamente irrogabile all'esito del procedimento;
la particolare "complessità" dell'istruttoria, ovvero la indisponibilità di "elementi conoscitivi sufficienti";
quegli elementi cioè, come è dato dedurre, che solo le indagini penali ed il successivo dibattimento possono fornire, attesa l'ampiezza e la capacità di acquisizione proprie dei mezzi all'uopo predisposti dall'ordinamento”.

Il rapporto così delineato tra procedimento penale e procedimento disciplinare – con la sospensione del secondo solo in determinate circostanze, normativamente previste – comporta, a tutta evidenza, che sussiste un momento, anche successivo all’avvio del procedimento penale, in cui l’amministrazione prende cognizione, proprio per effetto delle indagini già svolte, della sussistenza (o meno) della complessità dell’istruttoria ovvero della sufficienza (o meno) degli elementi conoscitivi da essa medio tempore acquisiti.

Se ciò non fosse, non vi sarebbe possibilità di concreta e consapevole scelta – come è invece normativamente previsto - tra l’avvio e/o prosecuzione del procedimento disciplinare, in modo indipendente da quello penale, ovvero la sospensione del medesimo procedimento disciplinare. E ciò tenuto anche conto del fatto che, diversamente opinando, il più delle volte l’amministrazione si troverebbe a dover avviare un procedimento disciplinare pur in assenza di una conoscenza piena dei fatti, al solo scopo di evitare la decorrenza del termine perentorio per l’esercizio del relativo potere.

Ciò comporta ancora che ben può essere possibile che l’amministrazione, pur a conoscenza, sia pure in misura non chiara e completa, di fatti che possono avere rilevanza disciplinare, tuttavia non abbia un grado di conoscenza tale da consentire l’avvio del procedimento disciplinare per il tramite di una formale contestazione degli addebiti, e che tale piena e qualificata conoscenza intervenga (anche) a seguito di quanto medio tempore accertato in sede penale.

3. A tali fini, l’art. 1392 d. lgs. 15 marzo 2010 n. 66, per il caso in cui il procedimento disciplinare di stato non venga instaurato a seguito di processo penale, prevede (comma 2) che lo stesso “deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 60 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari, espletati dall'autorità competente, nei termini previsti dagli articoli 1040, comma 1, lettera d), numero 19 e 1041, comma 1, lettera s), numero 6 del regolamento”.

A loro volta, gli articoli 1040, co. 1, lett. d) n. 19 e 1041, co. 1, lett. s), con formulazione identica, prevedono il termine di 180 giorni dalla conoscenza del fatto da parte dell’autorità competente per l’effettuazione degli “accertamenti preliminari disciplinari di stato”.

Da quanto esposto, emerge che, ai fini dell’instaurazione del procedimento disciplinare di stato in modo indipendente dal procedimento penale, rilevano due distinti termini:

- il primo, di 180 giorni, decorrente dalla data di “conoscenza del fatto” da parte dell’autorità competente, per lo svolgimento delle indagini preliminari;

- il secondo, di 60 giorni, decorrente dalla conclusione degli accertamenti preliminari, per la instaurazione del procedimento disciplinare mediante contestazione degli addebiti.

Ciò comporta che, al fine di poter individuare la tardività dell’instaurazione del procedimento occorre, innanzi tutto, determinare il giorno di “conoscenza del fatto”, onde poter computare la decorrenza del termine di 180 giorni;
in secondo luogo, ed a decorrere dall’ultimo giorno utile per gli accertamenti preliminari, computare il termine di sessanta giorni, entro il quale procedere alla contestazione deli addebiti.

Occorre ancora ricordare come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sez. II, 14 luglio 2022 n. 6024;
sez. IV, 21 gennaio 2020 n. 484) abbia affermato che “gli "accertamenti preliminari" non hanno indole disciplinare ed il relativo termine non è perentorio, sia perché manca una previsione espressa di legge in proposito, sia, comunque, perché detto termine trae il suo fondamento dalla disciplina generale del procedimento amministrativo come riassettata ed attuata, per le specifiche esigenze dell'ordinamento militare, negli artt. 1039, 1040 e 1041 D.P.R. n. 90 del 2010 …. Ne consegue, a fronte di tale non perentorietà, la sostanziale irrilevanza del termine in cui gli stessi sarebbero dovuti essere iniziati”.

4. Tanto precisato, nel caso di specie, l’appellante ritiene che il termine di conclusione degli accertamenti preliminari andrebbe individuato nella nota 15 maggio 2018 del Comandante provinciale di -OMISSIS- alla Procura militare di -OMISSIS-, dalla quale si dedurrebbe che “erano stati raccolti elementi conoscitivi più che sufficienti per delineare la finalità ed il modus operandi” dei militari;
il che renderebbe tardivo l’esercizio dell’azione disciplinare con contestazione degli addebiti, intervenuto il 19 dicembre 2018, in quanto ben oltre il termine di sessanta giorni di cui all’art. 1392, co. 2, d. lgs. n. 66/2010.

Orbene – a prescindere da quanto affermato dalla giurisprudenza in ordine alla non perentorietà del termine per lo svolgimento degli accertamenti preliminari – appare evidente come occorra distinguere tra una generica “conoscenza del fatto” disciplinarmente rilevante, idonea a dare avvio agli accertamenti preliminari, ed una conoscenza piena e circostanziata di detti fatti, tale da poter essi formare oggetto di contestazione di addebiti che, per la stessa tutela dell’indagato, non possono essere generici e/o approssimativi, ma devono bensì consistere in circostanziati addebiti di fatti che, nell’ottica dell’inquirente, integrano gli estremi di illecito disciplinare.

In questo senso, la nota del 15 maggio 2018 – dalla quale l’appellante assume la decorrenza del termine di sessanta giorni - non individua ex se il giorno di conclusione degli accertamenti preliminari, né integra quella “conoscenza piena” dei fatti, tale da concretizzarsi in un capo di incolpazione indicante fatti ritenuti integranti illeciti disciplinari.

Come innanzi affermato, è ben possibile la generica conoscenza di fatti (o meglio, frammenti di fatti) che possono integrare gli estremi dell’illecito disciplinare, nonché dell’illecito penale, e che tuttavia – per difetto, ad esempio, di completezza di rappresentazione oggettiva ovvero di elementi probatori in ordine alla responsabilità dei soggetti - non superano una soglia di attendibilità e consapevolezza quantomeno idonea a determinare il dies a quo per l’esercizio dell’azione disciplinare. Così come è possibile che tale conoscenza (con la conseguente scelta tra proseguire/instaurare ovvero sospendere il procedimento disciplinare) può derivare dalle indagini svolte in sede penale, pur eventualmente avviate su segnalazione della stessa amministrazione.

Né il dies a quo per la decorrenza del termine di sessanta giorni può essere individuato, nel caso di specie, nel 18 maggio 2018, data in cui viene rilasciato un primo nulla osta dalla Procura militare di -OMISSIS- (come pure sostenuto dall’appellante: pag. 12 app.).

Come condivisibilmente affermato dalla sentenza impugnata, tale nulla osta “va necessariamente contestualizzato e rapportato allo stato dei sommari elementi di conoscenza in quel momento acquisiti”.

Sul punto, giova inoltre sottolineare che non è possibile sovrapporre e confondere due distinti elementi: il primo, costituito dalla effettiva e completa conoscenza dei fatti;
il secondo, costituito dalla utilizzabilità degli atti che quei fatti (in ipotesi già conosciuti) documentano.

E’ del tutto evidente che una conoscenza compiuta di fatti disciplinarmente rilevanti, ma non assistita dalla utilizzabilità degli atti che la comprovano, non può ex se dar luogo alla decorrenza del termine per la contestazione degli addebiti (ciò argomentando quantomeno dal principio generale desumibile dall’art. 2937 c.c.).

Ma, nel caso di specie, nelle date del 15 e/o del 18 maggio 2018 ciò che difetta in capo all’amministrazione competente non è (o non è solo) la utilizzabilità di atti relativi a fatti già compiutamente conosciuti, quanto proprio la conoscenza completa dei fatti ad un livello idoneo a supportare la contestazione di un (prospettato) illecito disciplinare.

E’ invece solo per effetto del nulla osta del 31 ottobre 2018 che i fatti vengono compiutamente conosciuti, per il tramite degli atti afferenti al procedimento nei confronti dei militari indagati.

Ne consegue, dunque, la tempestività della contestazione degli addebiti in data 19 dicembre 2018.

5. Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Stante la particolare natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

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