Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-01-10, n. 201200038

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-01-10, n. 201200038
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201200038
Data del deposito : 10 gennaio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02904/2009 REG.RIC.

N. 00038/2012REG.PROV.COLL.

N. 02904/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2904 del 2009, proposto da:
E G, rappresentato e difeso dagli avv. G B e S A V, con domicilio eletto presso l’avv. Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

contro

Regione Campania, rappresentato e difeso dall'avv. R S, con domicilio eletto presso l’Ufficio Rappresentanza della Regione Campania in Roma, via Poli, 29;
Comune di Pozzuoli;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE V n. 09808/2008, resa tra le parti, concernente MANCATO INQUADRAMENTO NELLA VII QUALIFICA FUNZIONALE


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2011 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Resta, per delega dell'Avv. Basile, e Imparato, per delega dell'Avv. Saturno;


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. V, con la sentenza n. 9808 del 5 agosto 2008, ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento del provvedimento di diniego del Comitato Regionale di Controllo n. 209002, verb. n. 79, del 18.10.1994 di annullamento della Delibera della Giunta del Comune di Pozzuoli n. 1113 del 3.8.1994 e per l’annullamento del provvedimento interlocutorio dello stesso Comitato n. 208242, verb. n. 66, del 30.8.1994 di richiesta di chiarimenti, nonché del provvedimento sindacale di comunicazione del provvedimento di annullamento del CO.RE.CO.

La vicenda riguarda l’odierna appellante, in quanto dipendente del Comune di Pozzuoli, oggetto di inquadramento ai sensi del DPR n. 810-80 nell’VIII q.f., poi inquadrato nella VI q.f. a seguito di Delibera di Giunta del 24.7.1987 adottata ai sensi del DPR n. 347-83, cui era stato riconosciuto il trattamento economico previsto per la VII q.f. in esecuzione di ordinanza del TAR Campania n. 169 del 1989 fino alla data di decisione di merito.

La sentenza di merito del TAR (n. 110 del 1993) dichiarò l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, dal momento che, con sentenza dello stesso TAR n. 20 del 1991, erano stati annullati i provvedimenti del CO.RE.CO. del 23.7.1987 e del 9.11.1987 di annullamento delle Delibere consiliari n. 302 e n. 327 del 1986.

Il Comune ha, quindi, adottato la Delibera di Giunta n. 1113 del 1994, oggetto del presente giudizio di impugnazione, di applicazione delle citate Delibere consiliari nn. 302 e 327 del 1986 che avevano, quale effetto, l’inquadramento (tra gli altri) dell’attuale appellante nella VII qualifica funzionale ex d.p.r. 347-83.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che l’art. 40 del DPR n. 347-83 non ha attribuito alcun rilievo alle mansioni superiori svolte dai dipendenti degli Enti locali rispetto ai livelli già attribuiti in base agli atti applicativi del DPR n. 191-79, dovendo l’Amministrazione tenere conto esclusivamente delle mansioni proprie della qualifica formale posseduta dal dipendente e prescindere dalle eventuali diverse mansioni, seppur svolte in virtù di incarichi formali.

Secondo l’appellante, la sentenza merita riforma in quanto la precedente sentenza del TAR Campania n. 20 del 1991, passata in giudicato, aveva annullato i provvedimenti del CO.RE.CO. che avevano annullato le precitate Delibere consiliari n. 302 e n. 327 del 1986 che, come detto, avevano, quale effetto, l’inquadramento (tra gli altri) dell’attuale appellante nella VII qualifica funzionale ex d.p.r. 347-83: pertanto, dovevano rivivere gli effetti giuridici di quegli originari provvedimenti, come sarebbe anche sancito dalla sentenza n. 110 del 1993, che riguarda l’attuale appellante, sentenza che ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse richiamando esplicitamente, in motivazione, la sentenza dello stesso TAR n. 20 del 1991, passata in giudicato, di annullamento dei detti provvedimenti del CO.RE.CO.

L’appellante insisteva, inoltre, nella carenza di potere del CO.RE.CO., relativamente al provvedimento impugnato in primo grado (censura non esaminata in primo grado), per essere lo stesso diretto contro un provvedimento erga omnes applicativo del d.p.r. n. 347-83.

Si costituiva la Regione appellata chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 2 dicembre 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato.

Le ragioni della reiezione, tuttavia, non possono basarsi sulle note decisioni dell’Adunanza Plenaria 5 marzo 1992, n. 5, 29 febbraio 1992, n. 2 e 29 febbraio 1992, n. 1 (più una quarta decisione, 5 marzo 1992, n. 6, largamente conforme alla decisione 5/92), come pretenderebbe la Regione nella sua memoria difensiva.

Infatti, con le citate decisioni, in cui si giunti all’individuazione di principi caratterizzati per alcune affermazioni (e conseguenti regole applicative) comuni, si è presa in considerazione unicamente la situazione dell’assunzione di un pubblico dipendente, disposta in violazione di norme imperative che comminino la sua nullità, ritenuta radicalmente nulla, e non solo annullabile, in coerenza con l’affermazione che le norme sulla selezione concorsuale del personale da assumere, e con le modalità di conferimento degli incarichi sono poste nell’esclusivo interesse dell’Amministrazione, così che gli interessati non possono vantare al riguardo posizioni che siano di diritto soggettivo (cfr. Cass. 24 ottobre 1991, n. 11325).

Si tratta di situazioni in cui il rapporto che ne deriva è di puro fatto e in cui al dipendente vanno riconosciute le spettanze retributive e previdenziali conseguenti alle prestazioni lavorative.

Tali affermazioni non riguardano, ovviamente, i casi in cui l’assunzione sia avvenuta in seguito a selezioni concorsuali illegittime, ma si riferiscono a ipotesi tutte connotate da norme imperative che dispongano per la propria violazione la nullità dell’atto che le violi (il che non si verifica nella specie).

Sono le ipotesi, come è noto, dell’assunzione disposta in difetto di previo concorso (è questo il caso dell’art. 3, ultimo comma, d.p.r. 3/57);
all’instaurazione di rapporti di impiego non di ruolo, al di fuori dei presupposti in presenza dei quali è consentita (è in relazione ad essa che appare più propriamente formulato l’art. 12, comma 3, d. lgs. 207-47);
alla costituzione di rapporti di impiego in violazione dei limiti quantitativi posti alle assunzioni (è questo il caso che ricorre soprattutto nella legislazione volta al contenimento della spesa pubblica: è esemplare a questo proposito l’art. 5 d.l. 702-78, convertito, con modificazioni, nella l. 3-79).

Come rilevato anche di recente (Consiglio di Stato, sez. V, 25 agosto 2008, n. 4031, 6 settembre 2007, n. 4677 e 14 febbraio 2011, n. 957), la norma dell’art. 5 del D.L. 10 novembre 1978, n. 702 convertito nella L. 8 gennaio 1979, n. 3, che dispone il divieto di assunzione in forme diverse da quelle del pubblico concorso e la nullità degli atti adottati in tal senso, deve essere intesa come fondamento dell'impossibilità di accertare che il rapporto di pubblico impiego si è costituito, e ciò indipendentemente dalla sussistenza, in concreto, di quelli che sono stati definiti gli indici rivelatori della rapporto di lavoro subordinato, che hanno perduto rilevanza al fine specifico di tale accertamento.

Pertanto, tale normativa impedisce il riconoscimento di un rapporto di lavoro, anche a tempo determinato, per l'esistenza di una specifica disciplina contraria che esclude ogni riferimento alla diversa disciplina privatistica, ma non può trovare applicazione al caso di specie in cui l’odierna appellante, dipendente del Comune di Pozzuoli, è stato oggetto di inquadramento (illegittimo, ma non nullo) ai sensi del DPR n. 810-80 nell’VIII q.f.;
quindi è stato inquadrato nella VI q.f. a seguito di Delibera di Giunta del 24.7.1987, adottata ai sensi del DPR n. 347-83, cui era stato riconosciuto il trattamento economico previsto per la VII q.f. in esecuzione di ordinanza del TAR Campania n. 169 del 1989 fino alla data di decisione di merito, decisione che è stata, tuttavia, di improcedibilità del ricorso.

In realtà, diversamente da quanto ritiene l’appellante, la sentenza n. 110 del 1993, che riguarda l’attuale appellante e che, come detto, ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse richiamando esplicitamente, in motivazione, la sentenza dello stesso TAR n. 20 del 1991, passata in giudicato, di annullamento dei detti provvedimenti del CO.RE.CO., poiché tale sentenza riguarda le determinazioni di carattere generale riguardanti i criteri applicabili ai fine della attribuzione delle nuove qualifiche del personale (Delibere consiliari n. 302 e n. 327 del 1986 che, come detto, avrebbero avuto, quale effetto, l’inquadramento, tra gli altri, dell’attuale appellante nella VII qualifica funzionale.

In realtà, la legittimità del singolo atto di inquadramento deve essere verificata in relazione ai parametri normativi di cui al DPR n. 347/1983, indipendentemente dal contenuto di altri atti generali o accordi tra Amministrazione e organizzazioni sindacali di diverso tenore e, anzi, palesemente contra legem.

In altre parole, la sentenza di improcedibilità richiamata dall’appellante ha un contenuto, effettivamente passato in giudicato, tramite il richiamo alla sentenza definitiva di annullamento del TAR n. 20-1991, che non incide sulla posizione soggettiva del singolo dipendente, ma riguarda gli atti generali con i quali sono stati decisi i criteri applicabili ai fine dell’attribuzione delle nuove qualifiche del personale dirigenziale e non dirigenziale.

Pur asserita, con sentenza passata in giudicato (pur essendo una sentenza formalmente di estinzione, quale è quella di improcedibilità), la legittimità degli atti generali relativi all’inquadramento del dipendente non fanno sorgere in capo al singolo alcun tipo di diritto soggettivo all’inquadramento, che rimane a tutti gli effetti una posizione di interesse legittimo, per la quale occorre, come è noto, uno specifico ed individuale atto di inquadramento, il quale deve non solo essere conforme ai precedenti atti, per un principio di coerenza, sanzionabile con la figura dell’eccesso di potere, ma deve essere conforme anche a legge, pena la sua illegittimità per violazione di legge, così come è stato sancito correttamene dal CO.RE.CO. e così come correttamente ha stabilito il TAR.

Infatti, vale la pena accennare, sotto il profilo dell’illegittimità del provvedimento individuale di inquadramento annullato dal CO.RE.CO., che riguarda l’appellante, che l’inquadramento del personale previsto dall’art. 40 del DPR n. 347-83, non attribuendo tale norma alcun rilievo alle mansioni superiori svolte dai dipendenti degli Enti locali, debba essere effettuato esclusivamente in base alla comparazione tra il contenuto delle qualifiche funzionali già contemplate nel precedente ordinamento ed il contenuto funzionale tipico delle qualifiche introdotte nel medesimo DPR n. 347-83, senza che vengano in rilievo le mansioni effettivamente espletate dagli interessati, sia di fatto che a seguito di incarico in forza di atti formali diversi da quelli prescritti dalla legge per il conferimento della qualifica funzionale.

L’inquadramento dei dipendenti secondo la procedura in questione costituisce, peraltro, un’attività amministrativa priva di profili di discrezionalità, le cui operazioni non sono sindacabili per eccesso di potere sotto i profili del difetto di motivazione e della disparità di trattamento (Consiglio di Stato, sez. V, 13 dicembre 1999, n. 2098) e l’annullamento del CO.RE.CO. si presenta, sotto questo profilo come un annullamento pienamente rientrante nei suoi poteri e, anzi, sotto questo profilo, doveroso, non intaccando affatto, come invece pretende l’appellante gli atti generali, aventi valenza erga omnes.

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

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