Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-01-31, n. 202401002
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Pubblicato il 31/01/2024
N. 01002/2024REG.PROV.COLL.
N. 05894/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5894 del 2022, proposto da
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
contro
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli Avvocati F C, F L e Jacopo D'Auria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato F L, in Roma, via G. P. Da Palestrina n. 47;
Vodafone Italia S.p.A., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 03034/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Telecom Italia S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2024 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati Federica Varrone e F L;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Telecom Italia S.p.A. (di seguito Telecom) impugnava dinanzi al Tar per il Lazio l’ordinanza-ingiunzione n. 28/11/CONS adottata il 20 gennaio 2011 dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (di seguito Autorità o AGCom), di importo pari a € 174.000,00, per « la violazione dell’art. 61, comma 4, del decreto legislativo 1 agosto 2003 n. 259 con riferimento al mancato rispetto nell’anno 2009 degli obiettivi qualitativi relativi al tempo di riparazione dei malfunzionamenti » e, con motivi aggiunti, la delibera n. 21/12/CONS del 19 gennaio 2012 recante « Misure specifiche ai sensi dell’art. 61, comma 6, del decreto legislativo 1 agosto 2003 n. 259 e verifica dei dati relativi agli obblighi di servizio universale forniti dalla società » adottata sul ritenuto presupposto del perdurante inadempimento ai prefissati obiettivi di qualità.
Il Tar, con sentenza n. 8211 del 20 luglio 2020, rigettava il ricorso principale ritenendo: legittimo il diniego opposto all’istanza di presentazione di impegni da parte di Telecom;fondate le contestazioni mosse dall’Autorità e congruo l’importo della sanzione.
In accoglimento dell’eccezione pregiudiziale sollevata da Telecom, dichiarava, invece, improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse i motivi aggiunti sul rilievo « della natura prettamente limitata nel tempo e transitoria delle misure specifiche a suo tempo adottate nei confronti della stessa ».
La decisione di primo grado veniva impugnata con ricorso iscritto al n. 7718/2020 che la Sezione, preso atto della mancata contestazione dell’improcedibilità dichiarata in primo grado, accoglieva con sentenza n. 3034 del 21 aprile 2022, ritenendo fondato il primo motivo di appello « relativo alla natura del termine per presentare impegni ed alla conseguente lesione della possibilità, esplicitata nella stessa contestazione, di presentare impegni i quali, se accettati, avrebbero estinto il procedimento sanzionatorio ».
AGCom impugnava la decisione di appello con ricorso per revocazione depositato il 18 luglio 2022 ritenendo « evidente l’abbaglio dei sensi, dell’attività di lettura e percezione da parte del giudice, per effetto del quale si è determinato un contrasto tra due diverse rappresentazioni della medesima realtà processuale: l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa nel loro incontestabile significato letterale e logico ( Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6865) ».
Telecom si costituiva in giudizio il 5 settembre 2022 sostenendo l’insussistenza della rilevata « presunta errata percezione della sussistenza dei presupposti per la proposizione degli impegni da parte di TIM in relazione all’assenza del requisito della previa cessazione della condotta ».
AGCom, con memoria depositata il 5 gennaio 2024, ribadiva la sussistenza del dedotto errore revocatorio e riproponeva i motivi assorbiti dal giudice di appello.
Telecom replicava alle difese della ricorrente Autorità con memoria depositata il 9 gennaio successivo.
All’esito della pubblica udienza del 25 gennaio 2024 la causa veniva decisa.
Ai fini di una corretta perimetrazione dell’oggetto del presente giudizio si rende necessario un preliminare e sintetico inquadramento del rimedio revocatorio.
Ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. « le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione» se «la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare ».
Circa la natura e consistenza dell’errore di fatto rilevante a tali fini, la giurisprudenza, con posizione consolidata, ha già avuto modo di rilevare che « l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi delle citate disposizioni normative deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (Cons. St., A.P., n. 1 del 2013 e n. 2 del 2010;sez. III, 1° ottobre 2012, n. 5162;24 maggio 2012, n. 3053;sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503, 23 settembre 2008, n. 4607;16 settembre 2008, n. 4361;20 luglio 2007, n. 4097;e meno recentemente, 25 agosto 2003, n. 4814;25 luglio 2003, n. 4246;21 giugno 2001, n. 3327;15 luglio 1999 n. 1243;C.G.A., 29 dicembre 2000 n. 530;sez. VI, 9 febbraio 2009, n, 708;17 dicembre 2008, n. 6279;C.G.A., 29 dicembre 2000, n. 530;Cass. Civ., sez. I, 24 luglio 2012, n. 12962;5 marzo 2012, n. 3379;sez. III, 27 gennaio 2012, n. 1197);l’errore deve inoltre apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (C.d.S., sez. VI 25 maggio 2012, n. 2781;5 marzo 2012, n. 1235) » (Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5).
In coerenza con le illustrate coordinate ermeneutiche, è pacifico che il rimedio in questione, in quanto avente natura straordinaria, non possa che essere esperibile nei soli casi tassativamente contemplati e in alcun modo possa tradursi in un ulteriore grado di giudizio o in un riesame di questioni già oggetto di sindacato da parte del giudice (fra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 6 luglio 2021, n.5159).
Deve, quindi, ritenersi che l’errore revocatorio non possa che ricorrere quando si sostanzia in una erronea percezione delle acquisizioni processuali, frutto di una svista che induca a ritenere la sussistenza o insussistenza di fatti decisivi ai fini dell’esito processuale, invece inesistenti o accertati, e in alcun modo possa interessare l’attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni formulate in giudizio.
Ne deriva che, come già affermato dalla Sezione, « tale disallineamento fra la realtà fattuale e il contenuto della decisione deve essere “macroscopico, ovvero essere percepibile attraverso una lettura meramente oggettiva degli “atti o documenti della causa”, senza che, al fine di ricavarla da questi ultimi, sia necessario alcun tipo di attività interpretativa e/o valutativa” e “non deve aver costituito oggetto, sulla scorta delle contrapposte rappresentazioni delle parti, del vaglio giurisdizionale” (Cons. Stato, Sez. III, 7 giugno 2021, n.4304 )» (Cons. Stato, sez. VI, 15 febbraio 2022, n. 1088).
Inquadrato nei suesposti sensi il rimedio revocatorio, si rileva che AGCom con il presente ricorso censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che « come emerge dall’esame degli atti del procedimento sopra riassunti, a fronte di un tardivo avvio della stessa procedura da parte dell’Autorità – a fine 2009 per l’anno stesso –, se da un lato in sede di contestazione veniva specificata la possibilità per la società di presentare impegni, i quali, se accettati, avrebbero estinto il procedimento sanzionatorio, dall’altro (ma connesso) lato, in sede di audizione del 22 ottobre 2010, cioè nell’ambito della naturale sede di esercizio delle garanzie partecipative, la stessa Autorità concedeva il termine di proroga per il deposito di atti attestanti il rispetto degli obiettivi di qualità (cfr. l’ultima pagina del verbale dell’audizione, prodotto sub doc n. 1 allegato all’atto di appello )» pervenendo alla conclusione che « la eccepita perentorietà del termine che la società avrebbe violato, presupposto procedimentale della sanzione irrogata, trova smentita sia nelle regole generali predette sulla necessità di una specifica ed espressa previsione di perentorietà (assente nel caso in esame, quantomeno al necessario livello legislativo e normativo, rispetto al quale la previsione evocata dall’Autorità si appalesa illegittimo ed inapplicabile), sia nel comportamento procedimentale delle parti, nei termini correttamente dedotti da parte appellante ».
In particolare, deduce la non decisività della natura ordinatoria del termine di presentazione della proposta preliminare di impegni valorizzata dal giudice di appello quale fondamento della propria decisione, posto che la proposta in questione era da considerarsi in ogni caso inammissibile essendo l’accoglimento della stessa subordinato al requisito della « previa cessazione della condotta » oggetto di contestazione, reiterata invece da Telecom anche « per tutto l’anno 2010 ».
Ai sensi, infatti, dell’art. 12 bis del Regolamento sulle procedure sanzionatorie dell’Autorità, all’epoca vigente, la presentazione della « proposta preliminare di impegni », poteva essere presentata (a prescindere dal rispetto del termine di trenta giorni decorrente dalla notifica delle contestazioni previsto « a pena di decadenza ») « purché [l’operatore, ndr] abbia cessato la condotta contestata ».
La censura è inammissibile.
La statuizione censurata è frutto di una valutazione del giudice circa la pretesa natura del termine che AGCom assume essere stato violato, come tale insuscettibile di essere qualificata in termini di errore revocatorio nei sensi sopra delineati, pena la configurazione del presente rimedio alla stregua di un terzo grado di giudizio.
Non può, inoltre, sottacersi che la censura si fonda su un elemento (la mancata cessazione della condotta) che non costituiva un profilo controverso in giudizio, essendo pacifico che il rigetto degli impegni veniva dall’Autorità motivato unicamente ritenendo ormai spirato un termine considerato perentorio.
Inconferente è, inoltre, il richiamo all’art. 12 bis del Regolamento che, sebbene subordini l’accoglimento della proposta preliminare di impegni alla cessazione della condotta, è riferibile a fattispecie diversa da quella oggetto del presente giudizio, ove non si verte in tema di miglioramento delle condizioni della concorrenza nel settore rimuovendo le conseguenze anticompetitive dell’illecito, ma di mancato raggiungimento di obiettivi qualitativi.
AGCom deduce ulteriormente che l’affermazione per la quale « in sede di audizione del 22 ottobre 2010, cioè nell’ambito della naturale sede di esercizio delle garanzie partecipative, la stessa Autorità concedeva il termine di proroga per il deposito di atti attestanti il rispetto degli obiettivi di qualità », comproverebbe che il Collegio « confondeva gli atti istruttori dei due procedimenti » che conducevano all’adozione delle due delibere impugnate in primo grado, atteso che la proroga cui si fa riferimento non veniva concessa nell’ambito del procedimento sfociato nell’adozione della delibera n. 28/11/CONS ma in quello concluso con l’adozione della delibera n. 21/12/CONS.
La « incoerenza procedurale » rilevata dal giudice di appello sarebbe, quindi, inesistente.
La censura è inammissibile poiché la pretesa « confusione » addebitata al giudice, tutt’altro che comprovata, è priva del richiesto carattere decisivo, posto che quanto dedotto non impatta sulla qualificazione del termine di presentazione degli impegni nei sensi esposti in sentenza e si palesa, quindi, come irrilevante ai fini della decisione dell’appello.
Inoltre, ammesso pure che la proroga riguardasse altro procedimento diverso da quello che aveva portato alla sanzione mentre nella specie l’audizione sarebbe stata unica e si sarebbe svolta nello stesso giorno, si tratta pur sempre della prospettazione di un errore di valutazione del giudice.
AGCom contesta, altresì, l’affermazione per la quale. in merito alla definizione degli obiettivi annuali per l’anno 2009 (delibera n. 49/09/CSP), si sarebbe verificato un « tardivo avvio della stessa procedura da parte dell’Autorità – a fine 2009 per lo stesso anno ».
A tal proposito l’Autorità, premesso che il relativo procedimento veniva avviato con avviso pubblicato in G.U. l’11 dicembre 2008 e concluso con atto del 31 marzo 2009, pubblicato sul sito il giorno successivo e in G.U. il 24 aprile 2009, afferma che si sarebbe in presenza di un lieve scostamento rispetto al termine fissato con delibera n. 254/04/CSP « entro la fine di ogni anno ».
Tale scostamento, inoltre, sarebbe dipeso da Telecom che aggiornava la proposta di obbiettivi per il 2009 (già presentata nel mese di ottobre) solo a fine dicembre dello stesso anno, impendendo la definizione degli stessi entro il 2008: tempistica che non avrebbe arrecato alcun pregiudizio a Telecom poiché, per quanto riguarda gli indicatori relativi ai tempi di riparazione dei malfunzionamenti, sarebbero stati fissati valori obiettivo in parte coincidenti con quelli proposti dallo stesso operatore.
Valgono per la presente censura le medesime considerazioni esposte in merito alla precedente poiché, anche in questo caso, il preteso errore non rivestirebbe in ogni caso carattere decisivo ed è pertanto insuscettibile di integrare l’errore revocatorio.
Per quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Nulla spese nei confronti di Vodafone Italia S.p.A., che non si è costituita in giudizio.