Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-01-22, n. 201300353

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-01-22, n. 201300353
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300353
Data del deposito : 22 gennaio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00364/2005 REG.RIC.

N. 00353/2013REG.PROV.COLL.

N. 00364/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 364 del 2005, proposto da:
B T, rappresentata e difesa dall'avv. A P, con domicilio eletto presso A P in Roma, via F. Traiano, 1/A c/o Schettini;

contro

Comune di Cercola, rappresentato e difeso dall'avv. F L, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sede di NAPOLI - SEZIONE I n. 02002/2004, resa tra le parti, concernente rilascio di concessione edilizia - adozione p.r.g. e regolamento edilizio.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 gennaio 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Fabio Buccellato (su delega di A P) e Mario Sanino (su delega di F L);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dalla odierna appellante B T l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale del Comune di Cercola n.24 del 28.4.1999, avente ad oggetto PRG, esame, osservazioni e controdeduzioni, adozione definitiva, e della deliberazione del Consiglio comunale n.31 dell’8.4.98, avente ad oggetto PRG e regolamento edilizio, nonché della nota del comune di Cercola III ripartizione II sezione-ufficio tecnico- del 21.6.99, nella parte in cui si era attestato che il progetto relativo alla proprietà della originaria ricorrente era in contrasto con la precedente norma del PDF e PDL.

In punto di fatto l’odierna appellante aveva evidenziato di essere proprietaria di un suolo ricadente nel piano di lottizzazione 2 C3 del 1987, in forza del quale aveva presentato istanza ai fini del rilascio della concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato unifamiliare a due livelli.

La commissione edilizia del Comune di Cercola aveva espresso parere favorevole alla approvazione del progetto a condizione che venissero apportate alcune modifiche.

Con delibera n. 31 dell’8.4.98 il Comune adottava il piano regolatore comunale e, con delibera n. 24 del 28.4.1999, il Consiglio comunale, esprimendo le determinazioni sulle osservazioni presentate dagli interessati, aveva deliberato la riadozione del piano.

Essa aveva gravato le suddette due delibere, deducendo la mancanza di motivazione in relazione alle modifiche introdotte con la delibera n. 24 del 28.4.99 e dolendosi della circostanza di non avere potuto fruire del rilascio della concessione edilizia richiesta nell’ambito di una lottizzazione precedentemente approvata, a causa della diversa destinazione impressa dal nuovo piano all’area su cui si sarebbe dovuto collocare l’immobile oggetto della chiesta concessione.

L’adito Tribunale amministrativo regionale della Campania - Sede di Napoli - ha partitamente preso in esame le censure dedotte, respingendole.

Quanto al primo motivo di ricorso (con il quale la originaria ricorrente si era doluta della circostanza che le proprie osservazioni presentate al Comune non avevano ricevuto controdeduzioni, poiché ritenute non attinenti alle modifiche ed integrazioni oggetto di adozione e ripubblicazione), il primo giudice ne ha escluso la fondatezza, in quanto, una volta non impugnate le parti del piano direttamente lesive, non poteva essere riaperto il termine per osservazioni, in occasione di modifiche che non avevano apportato variazioni alle parti riguardanti l’interessato;
era pertanto legittima, da parte del Comune, la mancanza di risposta (sotto forma di controdeduzioni) alle dette osservazioni tardive.

Quanto alla seconda doglianza (con la quale ci si doleva della circostanza che negli atti impugnati non si era tenuto conto della presenza della convenzione di lottizzazione stipulata nell’anno 1987 e della richiesta di concessione risalente all’anno 1992), parimenti ne è stata esclusa la accoglibilità in quanto la predetta convenzione aveva esaurito - al momento dell’adozione dell’avversato piano - la propria efficacia decennale, con conseguente venir meno anche dell’affidamento in ordine alla intangibilità della destinazione urbanistica.

Né aveva trovato accoglimento la richiesta di concessione formulata dalla ricorrente nell’anno 1992, a cagione del mancato adeguamento dei progetti alle prescrizioni imposte dall’Amministrazione: ne conseguiva che non era ravvisabile alcuna posizione tutelabile in termini di affidamento, né alcun onere di supplemento motivazionale in capo all’amministrazione comunale appellata.

Alla stregua di tali considerazioni il mezzo è stato integralmente disatteso.

L’originaria ricorrente rimasta soccombente ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati, ripercorrendo la cronologia degli accadimenti e chiedendo la riforma dell’appellata decisione, viziata anche ex art. 112 cpc.

In particolare, si è sostenuto che la delibera modificativa n. 24 del 28.4.1999 era priva di una esauriente motivazione in ordine alle ragioni che avevano reso necessarie le modifiche al predetto PRG.

Sotto altro profilo, aveva errato il primo giudice a ritenere che la convenzione di lottizzazione avesse esaurito la propria efficacia decennale, atteso che la richiesta di rilascio di provvedimento concessorio risaliva al 18 settembre 1992.

L’amministrazione comunale appellata illegittimamente aveva modificato la precedente destinazione dei suoli di pertinenza dell’appellante, classificandoli in zona “S6”: ciò in carenza di alcuna ponderazione sulla circostanza riposante nella pregressa convenzione di lottizzazione, con ciò tradendo il legittimo affidamento riposto dall’appellante nel mantenimento della pregressa destinazione ed obliando la circostanza che il parere favorevole della commissione edilizia sul progetto presentato dal privato doveva essere equiparato all’avvenuto rilascio della concessione. Sussisteva anche il vizio di disparità di trattamento, in quanto nella zona interessata dalla lottizzazione di via Carafa (seconda lottizzazione prevista dal comune di Cercola) continuavano ad essere rilasciate le concessioni edilizie.

La zona ove insistevano le aree di propria pertinenza era integralmente urbanizzata e la nuova destinazione era illogica, arbitraria, e carente di motivazione.

Ha poi puntualizzato e ribadito le dette censure depositando articolate memorie.

Il Comune di Cercola si è costituito, depositando una articolata memoria e chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.

Con decreto presidenziale n. 02531/2012 del 26 settembre 2012 è stato revocato il decreto di perenzione n. 1194 del 3/08/2011, a seguito della presentazione da parte dell’appellante di un latto, depositato in data 7 ottobre 2011 e sottoscritto dalla parte personalmente e dal difensore e notificato alle altre parti, in cui si era dichiarato di avere ancora interesse alla trattazione della causa.

Alla pubblica udienza dell’8 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1.L’appello è infondato e merita la reiezione.

2.L’intera causa si risolve nello scrutinio di due distinti versanti d’indagine: sotto il profilo sostanziale, occorre infatti interrogarsi in ordine alla sussistenza in capo all’odierna appellante di eventuali requisiti integranti una posizione di interesse pretensivo tutelabile e legittimanti l’onere in capo al Comune di una penetrante e differenziata motivazione in ordine alle scelte programmatorie adottate.

Sotto il profilo processuale, va invece esplorata la originaria accoglibilità del mezzo di primo grado, avuto riguardo alla circostanza che l’impugnazione venne articolata avverso la delibera n. 24 del 28.4.1999, con la quale Consiglio comunale, esprimendo le determinazioni sulle osservazioni presentate dagli interessati, aveva deliberato la riadozione del piano, mentre era rimasta inimpugnata, in prima battuta, la (precedente) deliberazione del Consiglio comunale n.31 dell’8.4.98 avente ad oggetto PRG e regolamento edilizio.

3. Ritiene il Collegio che nessuno dei versanti di critica prospettati meriti accoglimento.

3.1. L’appellante prospetta, anzitutto, che la sentenza sia viziata da omesso esame di petizione ex art. 112 cpc.

3.1.1. Il Collegio non aderisce a tale prospettazione.

Si ritiene di ribadire la tradizionale impostazione (confermata dalle previsioni contenute nel cpa) secondo cui “l'omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su censure e motivi di impugnazione costituisce tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducibile in sede di appello sotto il profilo della violazione del disposto di cui all'art. 112, c.p.c., che è applicabile al processo amministrativo.”(Consiglio Stato , sez. IV, 16 gennaio 2006, n. 98).

Ai fini della concreta ravvisabilità del detto vizio, poi, è stato in passato affermato che "il vizio di omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertato con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché esso può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile.”(Consiglio Stato , sez. VI, 06 maggio 2008, n. 2009).

I primi giudici hanno condiviso l'impianto sostanziale dell’azione amministrativa spiegata dall’Amministrazione, chiarendo perché l’aspirazione dell’appellante non potesse essere soddisfatta.

Appare evidente, pertanto, che, sia pure non fornendo analitica e partita risposta sulle questioni dedotte nei sopracitati motivi del ricorso di primo grado, essi si sono implicitamente pronunciati sulle medesime, respingendole, avendo riscontrato la legittimità degli atti impugnati in primo grado sotto profili assorbenti rispetto alla portata delle censure medesime.

Ritiene la Sezione di potere condividere detto modus procedendi e che nel caso di specie non sia ravvisabile alcuna lesione del principio di cui all'art. 112 cpc.

In ogni caso, si deve rilevare che per costante giurisprudenza “l'omessa pronuncia su una o più censure proposte col ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado, ma solo un vizio dell'impugnata sentenza, che il giudice di appello è legittimato ad eliminare integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa.”(Consiglio Stato , sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3289).

3.2. Nel merito, preme al Collegio rilevare – quanto alla censura con cui l’appellante sostiene che la delibera modificativa n. 24 del 28.4.1999 era priva di una esauriente motivazione in ordine alle ragioni che avevano reso necessarie le modifiche al predetto PRG - che l’appellante medesima non pare aver colto la ratio del rigetto affermato dal primo giudice.

Premesso che le motivazioni della stessa si rinvengono nelle stesse decisioni sulle tematiche prospettate dai cittadini e che, per pacifica giurisprudenza, non era necessaria alcuna stringente chiarificazione delle scelte effettuate (ex multis: “nel caso dello strumento urbanistico generale, le motivazioni relativamente alle modifiche alla zonizzazione sono ritenute necessarie solo quando in capo ad alcuni soggetti si siano consolidate situazioni obiettive, mentre in ogni altro caso in cui lo strumento urbanistico modifichi una precedente destinazione urbanistica - come è nella specie -, ciò non determina la necessità di alcuna specifica motivazione in ordine alle ragioni che hanno determinato tale modificazione, è giurisprudenza pacifica quella, peraltro rispondente ad esigenze operative evidenti ed altresì inserita nella L. n. 241 del 1990, per cui gli atti a carattere generale non abbisognano di specifiche motivazioni e tale è indubbiamente il Piano regolatore generale.” così Cons. Stato Sez. IV, 21-02-2005, n. 558), le censure di difetto di istruttoria e ponderazione, oltre che genericamente formulate, non attingono il punto centrale della statuizione del Tar.

Ivi è stato chiarito, infatti, che le osservazioni proposte dall’appellante ben legittimamente non erano state riscontrate con controdeduzioni: esse infatti – il punto non è stato contestato - non erano attinenti alle modifiche ed integrazioni oggetto di adozione e ripubblicazione.

L’appellante non aveva tempestivamente gravato la delibera n. 31 dell’8.4.98, con la quale il Comune aveva adottato il piano regolatore comunale – e contenenti le prescrizioni a sé lesive -, né proposto tempestivamente osservazioni avverso queste ultime: una volta non impugnate le parti del piano direttamente lesive, non poteva essere riaperto il termine per osservazioni, in occasione di modifiche che non avevano apportato variazioni alle parti riguardanti l’interessata.

Pertanto esattamente il primo giudice ha ritenuto ben legittima, da parte del Comune, la mancanza di risposta (sotto forma di controdeduzioni) alle osservazioni tardive.

4. Quanto al secondo versante impugnatorio, è certo che la convenzione di lottizzazione, che – ad avviso dell’appellante - fondava la propria posizione legittimante, in quanto risalente al 1987 ed avente efficacia decennale, era scaduta al momento dell’adozione degli atti gravati.

Parte appellante sostiene che la propria richiesta di concessione risalente al 1992 avrebbe impedito la sopravvenuta inefficacia del piano per scadenza del termine decennale di efficacia del medesimo.

4.1.La censura è priva di pregio, in quanto la pacifica giurisprudenza [per cui “in virtù di un principio di ordine generale, ormai consolidato, in tema di rapporto tra p.r.g. e obbligo di motivazione, le scelte urbanistiche, trasfuse in un piano regolatore, non comportano, di regola, la necessità di una specifica motivazione, che tenga conto delle aspirazioni dei privati e ciò anche quando si tratti di variante al piano vigente o di modifiche a scelte precedenti, essendo obbligatoria solo in presenza di impegni già presi con la stipula di una convenzione di lottizzazione, o quando lo strumento incida su aspettative qualificate”.(Cons. Stato Sez. IV, 25-02-2005, n. 970 )] non può trovare applicazione nel caso di specie, proprio a cagione della sopravvenuta inefficacia del piano di lottizzazione.

La circostanza che era stata richiesta, in data 18 settembre 1992, la concessione edilizia è elemento del tutto neutro, laddove si consideri che il Comune impose alcune prescrizioni (la eliminazione di un balcone) e che l’appellante, non avendo ottemperato alle richieste, non concluse il procedimento finalizzato al rilascio del titolo abilitativo, né ebbe mai a chiedere la proroga del regime di durata della convezione di lottizzazione.

Ne consegue che il procedimento finalizzato al rilascio del titolo edilizio non ebbe a completarsi;
mai vennero iniziati i lavori (si veda Cons. Stato Sez. IV, 18-05-2012, n. 2915);
la richiesta di concessione era del tutto inidonea a prorogare l’efficacia del piano di lottizzazione (ex multis: “il piano di lottizzazione ha una durata decennale. Decorso il relativo termine, esso perde di efficacia e non può più costituire valido presupposto per il rilascio di qualsivoglia titolo abilitativo alla edificazione di manufatti.”-Cons. Stato Sez. IV, 06-04-2012, n. 2045-).

4.2. Può affermarsi pertanto che nessun affidamento giuridicamente tutelato sussisteva nel caso di specie, armonicamente con le conclusioni della giurisprudenza di merito, secondo la quale neppure il parere favorevole della Commissione edilizia può fondare una simile posizione giuridica attiva (ex multis: “va rilevato che è necessario uno specifico apprezzamento dell'interesse privato nella determinazione della destinazione urbanistica dell'area, allorché emerga la preesistenza di convenzioni di lottizzazione approvate, di accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle aree, ovvero di giudicati di annullamento relativi ad atti di diniego della concessione edilizia o di accertamento dell'illegittimità dell'inerzia dell'amministrazione in materia. Si tratta, in ogni caso, di situazioni nelle quali l'affidamento del privato risulta consolidato per effetto di pregressi atti amministrativi o di decisioni giurisdizionali. L'aspettativa di mero fatto derivante da una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo è invece cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica e non comporta la necessità di motivazioni ulteriori rispetto a quelle che si possono desumere dai criteri di ordine tecnico-urbanistico seguiti nella elaborazione progettuale del piano. Del pari è da escludere che la mera pendenza di una domanda tendente al conseguimento di un titolo edilizio sia idonea a consolidare una pretesa qualificata del proprietario di fronte all'intendimento dell'amministrazione di sacrificare la destinazione edificatoria dell'area. In questa prospettiva la mera comunicazione del parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale non può né considerarsi equivalente al rilascio della concessione edilizia, che è un atto formale di competenza del sindaco e conclusivo di un procedimento avviato con la domanda dell'interessato, né tanto meno può legittimare uno specifico ed intangibile affidamento nel privato circa l'esito favorevole del procedimento. Difatti, specialmente a seguito dell'entrata in vigore della L. 28 gennaio 1977, n. 10 - che ha dissipato i dubbi in ordine alla possibilità di equipollenza tra parere della Commissione edilizia e concessione, equipollenza in contrasto con il principio di tipicità della concessione -, l'autorizzazione di altri organi ed il parere favorevole della Commissione edilizia comunale hanno soltanto valore di atti preparatori, che non possono sostituire la concessione edilizia, né possono giustificare una pretesa buona fede di colui che costruisca. Dunque, la mera comunicazione del parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale non può avere né formalmente, né sostanzialmente il valore provvedimentale di un atto di assentimento della concessione edilizia richiesta, ma semmai solo di un mero atto informativo di una fase dell'iter procedimentale, non ancora perfezionato” - T.A.R. Campania Napoli Sez. I, 20-07-2006, n. 7600;
ma si veda anche Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3594).

Tale approdo ermeneutico è ormai stato stabilmente affermato dalla giurisprudenza di merito (ex multis: “il rilascio del parere favorevole della commissione edilizia comunale e la sua comunicazione non possono più essere considerati equivalenti al rilascio della concessione edilizia comunale. Detto parere, infatti, va considerato alla stregua di un atto informativo di una fase non ancora conclusa del procedimento;
detto parere costituisce un atto preparatorio ed interno al procedimento amministrativo di rilascio della concessione edilizia e non equivale, né formalmente né sostanzialmente, all'adozione di quest'ultima.”-T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, 24-01-2012, n. 765 -;
“la comunicazione del parere sfavorevole della commissione edilizia è immediatamente impugnabile, e ciò perché, se è vero che la comunicazione del parere favorevole della commissione edilizia non ha valore di rilascio della concessione, non altrettanto può dirsi della comunicazione del parere contrario che, se effettuata da parte dell'organo competente a rilasciare il titolo abilitativo richiesto, costituisce manifestazione della volontà di aderire alla decisione negativa della commissione e, quindi, avendo tutti gli elementi necessari del diniego, costituisce atto immediatamente lesivo ed autonomamente impugnabile.”-T.A.R. Liguria Genova Sez. I, 25-01-2010, n. 191- );
e da esso il Collegio non ravvisa alcuna ragione per discostarsi.

Dal punto di vista più generale, anche la giurisprudenza civile di legittimità era in passato approdata alle medesime considerazioni reiettive condivisibilmente esposte nella decisione gravata, e vale la pena di riportare per esteso la massima che segue, che fotografa una realtà in larga parte sovrapponibile a quella oggetto della odierna delibazione, essendosi ivi rilevato (ed il Collegio consente al riguardo) che: “in tema di tutela risarcitoria per l'agire illegittimo della P.A., qualora l'area compresa in una lottizzazione convenzionata divenga inedificabile in base ad un successivo piano regolatore, l'annullamento di quest'ultimo da parte del giudice amministrativo, per non aver considerato, senza specifica e puntuale motivazione, che la lottizzazione era stata parzialmente eseguita, non comporta il risarcimento del danno per il mancato compimento della lottizzazione stessa, se ciò sia dipeso da fatti imputabili esclusivamente al proprietario - quali l'inadempimento alle prescrizioni della convenzione -, risalenti ad epoca anteriore all'adozione del nuovo strumento urbanistico, ovvero quando, a tale momento, il piano stesso non sia più valido ed efficace (nella specie non operando la clausola di salvezza prevista dall'art. 28, ottavo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dall'art. 8 della legge 6 agosto 1967, n. 765, in quanto per l'autorizzazione a lottizzare, alla data del 2 dicembre 1966, non era intervenuta la deliberazione del Consiglio comunale). In tali casi, viene meno l'interesse legittimo alla conservazione della qualità edificatoria del suolo, avente natura oppositiva e la cui lesione è di per sé danno ingiusto risarcibile, senza necessità di prognosi sulla effettiva realizzabilità dello "ius aedificandi", ed il proprietario è titolare di un interesse legittimo (pretensivo) al rilascio di (nuove) concessioni edilizie, implicante un giudizio prognostico sull'esistenza di una situazione giuridicamente protetta, in quanto destinata, in base alla disciplina applicabile e secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole;
egli, quindi, ha diritto, oltre al recupero delle spese sostenute per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, al risarcimento del danno qualora, rimasta inerte la P.A. dopo l'annullamento, fornisca elementi prognostici idonei a dimostrare che gli strumenti urbanistici adottandi in sostituzione di quello annullato avrebbero destinato i terreni ad utilizzazioni edificatorie e, quindi, provi di aver subito pregiudizi diversi da quelli derivanti dall'impossibilità di portare a compimento il piano di lottizzazione, quali l'impossibilità di vendere i terreni stessi ad un prezzo maggiore, ove ne fosse stata confermata la natura edificatoria.” (Cass. civ. Sez. I Sent., 10-12-2008, n. 28980).

4. Conclusivamente, il gravame deve essere integralmente disatteso.

5. Le spese processuali possono tuttavia essere compensate tra le parti in ragione della natura e complessità della controversia.

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