Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-02-26, n. 201001133

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-02-26, n. 201001133
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201001133
Data del deposito : 26 febbraio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01471/2009 REG.RIC.

N. 01133/2010 REG.DEC.

N. 01471/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 1471 del 2009, proposto da:
E Z A, rappresentato e difeso dall'avv. B P, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Celimontana 38;

contro

Ministero dell'interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge presso la propria sede di Roma, via dei Portoghesi 12;
Questura di Treviso;

per la riforma

della sentenza del TAR VENETO - VENEZIA - SEZIONE III n. 03858/2008, resa tra le parti, concernente RIGETTO ISTANZA DI RINNOVO DI PERMESSO DI SOGGIORNO.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2010 il consigliere G D M e uditi per le parti gli avvocati Gerardis, avvocato dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto di appello notificato il 16.2.2009 si impugna la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, sez. III, n. 3858/08 del 17.12.2008 (che non risulta notificata), con la quale veniva respinto il ricorso del sig. E Z A avverso il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, emesso con decreto del Questore di Treviso n. cat. A 11/2008-Imm. Del 7.3.2008 e giustificato sia da decreto penale di condanna del 5.4.2004 per guida in stato di ebbrezza, sia da una condanna patteggiata, divenuta irrevocabile il 25.11.2006, per detenzione illecita di sostanze stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale, sia infine da una comunicazione di reato, inerente la ritenuta falsità della documentazione, relativa al rapporto di lavoro che si asseriva instaurato con la ditta Marital soc. coop. di Villorba (TV).

Nella sentenza appellata, emessa dal giudice amministrativo in forma semplificata, ex art. 9 L. n. 205/2000, si rilevava la sufficienza della predetta condanna quale causa ostativa del rinnovo di cui trattasi, a norma dell’art. 5, comma 5 del D.Lgs. n. 286/98, senza necessità di valutazione della pericolosità sociale del diretto interessato (comunque ricondotta dall’amministrazione all’art. 1 della legge n. 1423/1956), trattandosi nel caso di specie di un mero diniego di rinnovo, e non di rilascio della carta di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo.

Avverso la pronuncia del giudice amministrativo, nonché avverso il contestato diniego, nell’atto di appello viene sostanzialmente prospettata la violazione della normativa di riferimento, tenuto conto dell’effettivo titolo dello straniero in questione – regolarizzato in Italia nel 1996 – ad essere considerato soggiornante di lungo periodo e non essendo state considerate circostanze di vita familiare e di lavoro, atte ad escludere la pericolosità sociale del medesimo.

L’Amministrazione appellata, costituitasi in giudizio, resisteva formalmente all’accoglimento del gravame.

DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio è quella dell’avvenuta emanazione, o meno, dell’atto impugnato in primo grado in conformità alla disciplina vigente, con riferimento all’art. 5, comma 5 del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione), in base al quale “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato…sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”.

Tra le circostanze che precludono il rilascio del permesso di soggiorno (e quindi, in base alla norma sopra riportata, anche il rinnovo del medesimo) l’art. 4, comma 3 del medesimo D.Lgs. – nel testo introdotto dall’art. 4, comma 1, della legge 30.7.2002, n. 189 – pone espressamente il caso in cui lo straniero “risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’art. 380, commi 1 e 2 del codice di procedura penale, ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dall’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati, o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite”.

Nella situazione in esame non è contestato che l’appellante abbia riportato una condanna, configurante una delle ipotesi ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, a norma del citato art. 380 c.p.p.;
si sottolinea, tuttavia, come la condotta sanzionata (inerente la detenzione di stupefacenti) non potesse comportare automaticamente rigetto dell’istanza presentata, senza specifica valutazione della sussistenza, o meno, di una oggettiva pericolosità sociale dello straniero interessato.

Il citato art. 5, comma 5 del D.Lgs. n. 286/1998, in effetti, se in via generale non lascia margini di discrezionalità, circa l’entità della pena, l’abitualità o la segnalata occasionalità della condotta sanzionata, nonchè circa la valutazione della personalità complessiva dell’imputato, non esclude una possibile deroga, in via eccezionale, ove sia ravvisata la “sopravvenienza di nuovi elementi”, evidentemente da valutare caso per caso, in rapporto ai dati di fatto emergenti (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 20.4.2006, n. 2199;
17.5.2006, n. 2866, 27.6.2006, n. 4108;
17.5.2006, n. 2866);
nel testo aggiunto alla norma in questione dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 2 del D.Lgs. 8.1.2007, n. 5, inoltre, si specifica che – “nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno”, quando lo straniero abbia esercitato il diritto di ricongiungimento familiare – debba tenersi conto anche “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato”, ovvero dell’esistenza di “legami familiari e sociali nel Paese di origine” e della durata del soggiorno dello straniero stesso sul territorio nazionale.

Nei termini sopra indicati, la valutazione di pericolosità sociale – prevista ex art. 9 del medesimo D.Lgs. n. 286/1998 per il diniego di permesso ai soggiornanti di lungo periodo – appare in qualche misura estesa anche ai meri dinieghi di rinnovo, in quanto una interpretazione costituzionalmente orientata del precedente art. 5 non può non far rientrare fra i “nuovi elementi”, valutabili ai fini del rilascio del permesso di cui trattasi, le stesse circostanze rilevanti in caso di ricongiungimento familiare (non potendosi operare un trattamento differenziato di identiche esigenze e situazioni personali, ove le stesse non siano conseguenti a ricongiungimento).

Mentre, però, per i soggiornanti di lungo periodo la legge prevede in ogni caso una valutazione discrezionale dell’Amministrazione, che deve tenere conto “anche” di eventuali condanne, riconducibili agli art. 380 e 381 c.p.p., per gli altri stranieri, richiedenti rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, il combinato disposto degli articoli 4, comma 3 e 5, comma 5 del D.Lgs. n. 286/98 postula un effetto preclusivo di determinate sentenze di condanna, che solo in via eccezionale – e, deve ritenersi, su specifica e documentata richiesta del soggetto interessato – possono richiedere una più approfondita valutazione, circa l’attuale assenza di pericolosità e la positiva integrazione nel tessuto sociale dello straniero interessato.

Nel caso di specie non solo la condanna riportata dall’attuale appellante rientra fra quelle ostative, ex se, del rilascio o del successivo rinnovo del permesso di soggiorno, ma sono stati evidenziati dall’Amministrazione ulteriori circostanze (condanna per guida in stato di ebbrezza, presumibile falsità della situazione lavorativa rappresentata), tali da indurre al ragionevole convincimento che l’attuale appellante potesse vivere, almeno in parte, dei proventi di attività criminose, ai sensi e per gli effetti della legge n. 1423/1956. Tali conclusioni non risultano in contrasto con la documentazione, in possesso dell’Amministrazione stessa alla data di emanazione del provvedimento contestato: provvedimento che – al contrario di quanto asserito nell’impugnativa – contiene una precisa disamina della pericolosità sociale del soggetto di cui trattasi.

Le ulteriori considerazioni di quest’ultimo – che solo nell’attuale grado di giudizio ha rappresentato la propria condizione di lungo soggiornante – costituiscono inammissibile ampliamento della domanda, per il riconosciuto divieto di “ius novorum” in appello (quale principio sancito dall’art. 345, comma 2, c.p.c., nella formulazione modificata con L. 26.11.1990, n. 35, che vieta la proposizione in appello di nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio”: cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 2.10.2006, n. 5724;
Cons. St., sez. VI, 29.7.2005, n. 4115, 27.7.4176 e 22.4.2008, n. 1854).

Ad avviso del Collegio, pertanto, la predetta circostanza, nonchè una documentata rappresentazione della situazione familiare e lavorativa dell’interessato (intero nucleo familiare stabilizzato in Italia e rapporto di lavoro in corso con la ditta “Idrotermica di G. Basso”, alla data di emanazione dell’atto impugnato: 21.7.2008) potrebbero giustificare un’istanza di riesame, ma non anche l’invalidazione di un provvedimento, che si configurava come atto dovuto in base ai presupposti di fatto e di diritto, che risultano valutati dall’Amministrazione alla data della relativa emanazione (non essendo stata dedotta, nemmeno in corso di giudizio, un’avvenuta integrazione documentale, antecedente all’emanazione stessa).

In base alle considerazioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello non possa trovare accoglimento;
quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ravvisa le ragioni di legge per la relativa compensazione, tenuto conto dell’evoluzione intervenuta nella normativa vigente e delle circostanze segnalate dall’appellante.

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