Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2011-01-25, n. 201100531

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2011-01-25, n. 201100531
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201100531
Data del deposito : 25 gennaio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05122/2007 REG.RIC.

N. 00531/2011REG.PROV.COLL.

N. 05122/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5122 del 2007, proposto da:
T M, rappresentato e difeso dall'avv. G B, con domicilio eletto presso la sig.ra Antonia De Angelis, in Roma, via Portuense, n. 104;

contro

Comune di Pozzuoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. A S, con domicilio eletto presso l’avv. Claudia De Curtis, in Roma, via Marianna Dionigi, n. 57;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE V n. 03978/2007, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto contro il provvedimento del Comune di Pozzuoli n. 3798/BP dell’8.9.2006, recante ordine di rilascio di alloggio occupato quale custode e avvio del procedimento di revoca del provvedimento sindacale n. 4254 del 3.2.1997, nonché contro il provvedimento n. 1027 del 24.2.2007, di sgombero coatto di occupanti abusivi;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pozzuoli;

Vista la memoria prodotta dalla parte appellante a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2010 il Cons. A A e uditi per le parti gli avvocati D'Avino, su delega dell' avv. Basile, e Starace;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;


FATTO

Il sig. Michele Testa, dipendente del Comune di Pozzuoli al quale è stato assegnato un alloggio di servizio sito nell’edificio di via Celle, sede di uffici di pertinenza comunale, con provvedimento del Sindaco di Pozzuoli n. 4254 del 3.2.1997 stante la necessità di custodia dell’edificio, in occasione del passaggio del personale A.T.A. dai ruoli comunali a quelli dello Stato ex art. 8 della L. n. 124 del 1999 ha optato per l’Ente di appartenenza, conservando lo status di dipendente comunale.

Pur essendo stato destinato presso il Servizio del VII Dipartimento con disposizione di detto Sindaco n. 4254 del 1997, ha continuato a svolgere dette mansioni di custodia di detto edificio, conformemente a quanto disposto dalla Giunta comunale di Pozzuoli, con provvedimento n. 808 del 7.12.1999, per altri dipendenti.

Con provvedimento del Dirigente del II Dipartimento, Servizio Patrimonio, del Comune di Pozzuoli n. 3798/BP dell’8.9.2006, premesso che “essendo stato il dipendente in questione trasferito in altra sede, sono venuti a mancare i presupposti che determinarono tale assegnazione”, è stato emanato l’ordine di rilascio del suddetto alloggio occupato quale custode ed è stato avviato il procedimento di revoca del provvedimento sindacale di assegnazione delle mansioni di custodia.

Con ricorso al T.A.R. Campania, Napoli, il suddetto dipendente ha impugnato il sopra citato provvedimento, nonché, a seguito di motivi aggiunti, ha impugnato il provvedimento con il quale è stata fissata la data per procedere alle operazioni di sgombero coatto.

La V Sezione di detto T.A.R., con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto il ricorso in primo luogo ritenendo che i dedotti vizi procedurali fossero comunque superabili alla stregua dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche e integrazioni, nonché che, sul piano sostanziale, risultava pacifica la sopravvenuta rimozione del presupposto del beneficio del godimento dell’alloggio, costituito dalle specifiche esigenze di servizio;
in secondo luogo rilevando che la deliberazione di giunta comunale n. 808 del 7 dicembre 1999 non era utilmente invocabile a sostegno della posizione del ricorrente (poiché precedenti atti favorevoli a terzi soggetti, ove non ne sia acclarata e ne resti discutibile la legittimità, non sono utilmente invocabili a proprio vantaggio, né valgono ad integrare il parametro di riferimento per eventuali doglianze di disparità di trattamento) e che la deliberazione stessa era da ritenere superata dal venir meno del presupposto costituito dall’affidamento delle mansioni di custodia all’interessato.

Con il ricorso in appello in epigrafe indicato il dipendente di cui trattasi ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza deducendone la erroneità per i seguenti motivi:

1.- Violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 1971. Difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, “error in judicando”, violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del T.U. n. 267 del 2000, incompetenza, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per difetto di istruttoria, dei presupposti e di motivazione. Omessa ponderazione della situazione contemplata, travisamento, sviamento, perplessità e manifesta ingiustizia.

Il T.A.R. non ha considerato che la delibera n. 808 del 1999 (di conferma della detenzione dell’alloggio per altri dipendenti) era stata oggetto di generale applicazione da parte del Comune di Pozzuoli, né che le esigenze di servizio in base alle quali era stato confermato il godimento dell'alloggio di servizio non erano occasionali e temporanee, né che con il provvedimento impugnato è stata applicata alla fattispecie la disciplina di cui alla L. R. n. 18 del 1997, pur escludendo l’art. 1 della legge stessa gli alloggi di servizio dalla sua applicazione, né che l’art. 30 di detta L. R. attribuisce il relativo potere al Sindaco (peraltro quale Ufficiale di Governo) e non al Dirigente.

2.- Violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 19 71. Difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, “error in judicando”, violazione di legge, violazione e falsa applicazione dei principi di cui all’art. 97 della Costituzione e degli artt. 7, 8, 9, 10 e 21 octies della L. n. 241 del 1990. Violazione del giusto procedimento, eccesso di potere perplessità, manifesta ingiustizia, difetto di motivazione, contraddittorietà ed erroneità del presupposto.

Con il provvedimento impugnato è stato contestualmente informato l’appellante dell’avvio del procedimento di revoca del provvedimento di assegnazione dell’alloggio 4254 del 3.2.1997 ed ordinato lo sgombero dell’appartamento.

Detto provvedimento è anche viziato dalla omessa indicazione, ex art. 8, I c., lettera c-bis, della L. n. 241 del 1990, del termine entro il quale avrebbe dovuto concludersi il procedimento di revoca della nota sindacale n. 4254 del 3.2.1997.

Comunque è stato violato l’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990.

3.- Violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 1971. Difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, “error in judicando”, violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990. Violazione dei principi in materia di atti di ritiro e del principio del “contrarius actus”. Violazione del giusto procedimento, difetto di istruttoria e di motivazione, erroneità del presupposto e contraddittorietà.

Il provvedimento impugnato è comunque illegittimo sia perché è stato adottato senza considerare che l’appellante espleta tuttora le mansioni di custode a suo tempo affidategli, sia poiché è motivato solo con riferimento alla esigenza di utilizzazione di tutto il complesso “della scuola media Artico per le esigenze della Direzione Didattica”, senza esternare le ragioni per le quali il pubblico interesse prevaleva su quello del privato, sia perché non è stato considerato che l’appellante usufruiva legittimamente dell’alloggio.

Con memoria depositata il 5.11.2010 si è costituito in giudizio il Comune di Pozzuoli, che ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

Con memoria depositata il 5.11.2010 parte ricorrente ha ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza del 19.11.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Con il ricorso in appello, in epigrafe specificato, il sig. Michele Testa, dipendente del Comune di Pozzuoli al quale è stato assegnato un alloggio di servizio sito nell’edificio di Via Celle n.19 con provvedimento del Sindaco di Pozzuoli n. 4254 del 3.2.1997 stante la necessità di custodia dell’edificio in cui hanno sede uffici di pertinenza comunale, ha impugnato la sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, Sezione V, n. 3978 del 2007, di reiezione del ricorso proposto contro il provvedimento del Comune di Pozzuoli n. 37985/BP dell’8.9.2006, recante ordine di rilascio di detto alloggio occupato e avvio del procedimento di revoca del provvedimento sindacale n. 4254 del 1997, nonché contro il provvedimento n. 1027 del 24.2.1004, di sgombero coatto di occupanti abusivi.

2.- Con il primo motivo di appello sono stati dedotti violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 1971, difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, “error in judicando”, violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del T.U. n. 267 del 2000, incompetenza, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per difetto di istruttoria, dei presupposti e di motivazione. Omessa ponderazione della situazione contemplata, travisamento, sviamento, perplessità e manifesta ingiustizia.

2.1.- Il T.A.R. non avrebbe, secondo l’appellante, considerato che la delibera n. 808 del 1999 (di conferma della detenzione dell’alloggio per altri dipendenti) era stata oggetto di generale applicazione da parte del Comune di Pozzuoli, né che le esigenze di servizio in base alle quali era stato confermato il godimento dell'alloggio di servizio da parte sua non erano occasionali e temporanee, né che con il provvedimento impugnato il Dirigente del II Dipartimento, Servizio Patrimonio, del Comune de quo aveva applicato alla fattispecie de qua la disciplina relativa alla assegnazione di alloggi E.R.P. di cui alla L. R. n. 18 del 1997, pur escludendo l’art. 1 della legge dalla sua applicazione gli alloggi di servizio, né che l’art. 30 di detta L. R., in base al quale detto Dirigente ha ordinato lo sgombero dell’alloggio, attribuisce il relativo potere al Sindaco e non al Dirigente.

2.1.- La censura non può essere valutata positivamente dal Collegio, atteso che il provvedimento 3798/BP del 2006 impugnato è basato sul rilievo che erano venuti a mancare i presupposti che avevano determinato la assegnazione all’appellante dell’alloggio de quo in qualità di custode a seguito del suo trasferimento ad altra sede, sicché è irrilevante la circostanza che fosse stata a suo tempo confermata la detenzione dell’alloggio per altri dipendenti comunali (peraltro con atto avente valenza particolare e non generale) e che le esigenze di servizio poste a base del provvedimento di assegnazione non fossero temporanee, essendo comunque venuti meno i compiti di custodia dell’immobile de quo che giustificavano la assegnazione dell’alloggio al dipendente in questione.

Neppure possono essere apprezzate in senso positivo le censure relative alla violazione della L. R. n. 18 del 1997 (applicabile agli alloggi realizzati, recuperati ed acquistati da Enti pubblici a totale carico o con il concorso o contributo a qualsiasi titolo dello Stato o della Regione, delle Province o dei Comuni nonché a quelli acquistati, realizzati o recuperati da Enti pubblici non economici, ma utilizzati per le finalità sociali proprie dell' Edilizia Residenziale Pubblica), sia perché essa non è richiamata nel provvedimento impugnato, sicché non può essere stato violato il suo art. 1 (che esclude la applicazione della legge stessa agli alloggi di servizio), né il successivo art. 30 (che prevede che il Sindaco dispone con propria ordinanza il rilascio degli alloggi di edilizia residenziale pubblica occupati senza titolo), proprio perché in base al citato art. 1 all’immobile de quo non possono essere applicate le disposizioni emanate con la legge in questione, quindi nemmeno l’art. 30.

2.2.- E’ dedotto inoltre con il motivo di appello in esame che comunque la diffida de qua, se avesse avuto carattere contingibile ed urgente, avrebbe dovuto essere adottata dal Sindaco quale Ufficiale di Governo ed in base ad attenta e non difettosa ponderazione della situazione contemplata.

Il Comune avrebbe quindi dovuto munirsi di un titolo giudiziale innanzi al Giudice ordinario per poter agire esecutivamente contro l’occupante abusivo.

2.2.1.- La Sezione non può condividere la censura, sia perché in nessuna parte del provvedimento impugnato è affermato che esso è stato adottato in base a ragioni contingibili ed urgenti e sia poiché esso provvedimento appare assistito da sufficiente motivazione circa le circostanze di fatto poste a base dello stesso, cioè, in sostanza, il trasferimento del custode de quo ad altra sede, con venir meno delle ragioni poste a base dell’assegnazione allo stesso dell’alloggio all’interno del complesso edilizio che era tenuto a custodire.

3.- Con il secondo motivo di gravame sono stati dedotti violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 1971, difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, “error in judicando”, violazione di legge, violazione e falsa applicazione dei principi di cui all’art. 97 della Costituzione e degli artt. 7, 8, 9, 10 e 21 octies della L. n. 241 del 1990. Violazione del giusto procedimento, eccesso di potere perplessità, manifesta ingiustizia, difetto di motivazione, contraddittorietà ed erroneità del presupposto.

3.1.- E’ dedotto con il motivo in esame che con il provvedimento impugnato è stato contestualmente informato l’appellante dell’avvio del procedimento di revoca del provvedimento di assegnazione dell’alloggio n. 4254 del 1997 ed ordinato lo sgombero dell’appartamento, in violazione dei principi posti a base della L. n. 241 del 1990, con preclusione per l’interessato ad intervenire ed a presentare memorie che l’Amministrazione aveva l’obbligo di valutare.

Il provvedimento impugnato sarebbe anche viziato dalla omessa indicazione, ex art. 8, I c., lettera c-bis, della L. n. 241 del 1990, del termine entro il quale avrebbe dovuto concludersi il procedimento di revoca della nota sindacale n. 4257 del 1997 e dalla omessa considerazione della perdurante efficacia della delibera n. 808 del 1999.

Comunque sarebbe stato violato l’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, non essendo palese che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato e non avendo l’Amministrazione dimostrato in giudizio la legittimità del suo operato.

3.1.1. - Osserva il Collegio che ai sensi dell'art. 21 quinques, della L. 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dall'art. 14, della L.11 febbraio 2005 n. 15, tre sono i presupposti che in via alternativa legittimano l'adozione di un provvedimento di revoca di un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole da parte dell'Autorità emanante ovvero da altro organo previsto dalla legge, cioè sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto e nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.

L'art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, introdotto dalla L. n. 15 del 2005, è relativo all’annullamento del provvedimento amministrativo, che non è effettuabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Quest'ultima parte della norma si applica anche all'attività discrezionale della Amministrazione, quando il contenuto del provvedimento a seguito dell'intervento partecipato del privato non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato.

Ritiene il Collegio che la anzidetta disposizione abbia introdotto un principio generale in base al quale perché possa ritenersi priva di efficacia invalidante l'omissione dell'avviso di avvio del procedimento di adozione di atti di autotutela (quindi anche di revoca) si rende necessario che emerga in giudizio che il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere diverso da quello effettivamente adottato.

Nel caso che occupa la revoca de qua era pienamente giustificata dal mutamento della situazione di fatto e di diritto che aveva comportato l’assegnazione dell'alloggio de quo (essendo stato il dipendente con compiti di custodia che lo occupava trasferito ad altre mansioni) e dalla ritenuta prevalenza dell’interesse pubblico alla utilizzazione di tutti i locali di cui trattasi su quello del privato, che faceva affidamento al mantenimento delle posizioni consolidatesi in capo ad esso in base all'atto da revocare, sicché il contenuto del provvedimento di revoca assegnazione dell’alloggio n. 3798/BP del 2006 non poteva essere diverso da quello adottato e conseguentemente è da considerare irrilevante il mancato rispetto della normativa attinente alla partecipazione del privato al procedimento ed il mancato riferimento alla delibera n. 808 del 1999, peraltro ininfluente perché relativa ad altri dipendenti e non avente carattere generale.

4.- Con il terzo motivo di appello sono stati dedotti violazione e falsa applicazione di legge, in particolare della L. n. 1034 del 1971, difetto di motivazione, erroneità del presupposto, violazione del procedimento, “error in judicando”, violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990. Violazione dei principi in materia di atti di ritiro e del principio del “contrarius actus”. Violazione del giusto procedimento, difetto di istruttoria e di motivazione, erroneità del presupposto e contraddittorietà.

4.1.- Il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo anche sotto il profilo sostanziale perché è stato adottato senza considerare che l’appellante “espleta tuttora le mansioni di custode degli uffici comunali di Via Celle n. 19”, non di fatto, ma in virtù di un provvedimento amministrativo avente rilevanza esterna, in particolare la delibera n. 808 del 1999.

Inoltre deduce il motivo in esame che il provvedimento impugnato è motivato solo con riferimento alla esigenza di “utilizzazione di tutto il complesso della scuola media Artiaco per le esigenze della Direzione didattica”, senza esternazione delle ragioni per le quali il pubblico interesse prevaleva su quello del privato, soprattutto perché è stato adottato un atto di ritiro, a distanza di anni, di una precedente determinazione ampliativa della sfera giuridica del soggetto interessato che aveva generato in esso affidamento. Neppure sarebbe stato considerato che la infondata esigenza di ripristino della legalità adombrata nel provvedimento de quo si scontrava con la circostanza che l’appellante da anni assicurava la custodia e la salvaguardia dell’edificio di cui trattasi.

4.1.1. – La censura non è ritenuta dalla Sezione suscettibile di consenso, innanzi tutto perché la generica affermazione che l’appellante espletava ancora le mansioni di custode a suo tempo affidategli è smentita dalla asserzione contenuta nel provvedimento impugnato e facente fede fino a querela di falso, che “il dipendente in questione” è stato “trasferito in altra sede”.

4.1.2.- In secondo luogo il motivo non può essere apprezzato in senso positivo perché l’art. 21 quinquies, I c., della citata L. n. 241 del 1990 stabilisce che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Conseguentemente il provvedimento di revoca deve essere adeguatamente motivato quando incide su posizioni in precedenza acquisite dal privato, non solo con riferimento ai motivi di interesse pubblico che giustificano il ritiro dell'atto, ma anche in considerazione delle posizioni consolidate in capo al privato e all'affidamento ingenerato nel destinatario dell'atto da revocare, salvo quando la revoca dell’atto costituisce un vero e proprio dovere dell'Amministrazione che è tenuta a porre rimedio alle sfavorevoli conseguenze derivate dal perdurare dell’efficacia del provvedimento del quale sono venute meno le ragioni giustificatrici, non sussistendo in questo caso uno specifico obbligo di motivazione, atteso che l'interesse pubblico all'adozione dell'atto è in re ipsa quando ricorre un indebito assegnazione di alloggio pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato.

Il provvedimento impugnato si presentava nel caso che occupa quale atto dovuto e l'interesse pubblico alla sua adozione consisteva nella porre fine agli effetti di un atto che aveva perduto le ragioni giustificanti la sua adozione (in ossequio ai principi di buon andamento cui deve conformarsi l’operato della P.A.), ritenuto prevalente sulle posizioni consolidate e sull’affidamento ingeneratosi nel privato sulla base della sufficiente motivazione che i locali in questione erano necessari al buon funzionamento dell’Amministrazione.

Non si è trattato, dunque, di un atto di mero ripristino della legalità, interesse questo che la giurisprudenza, anche più risalente, non ritiene mai sufficiente a sostenere il provvedimento di autotutela (Consiglio di Stato, sezione V, 25 settembre 2006, n. 5622), ma della adozione di un atto dovuto, nell’esercizio dell’interesse al corretto esercizio del potere amministrativo che deve garantire il buon andamento dell’azione amministrativa, che non comportava la necessità di minuziosa esternazione delle ragioni per le quali il pubblico interesse prevaleva su quello del privato, essendo esse ragioni in re ipsa.

4.1.3. - In terzo luogo la censura è insuscettibile di condivisione perché la circostanza che l’appellante usufruiva legittimamente dell’alloggio in virtù della deliberazione n. 808 del 1999, mai revocata, è irrilevante, essendo venute meno, (a prescindere dalla portata non generale della delibera, riferita ad altri dipendenti) a seguito dell’avvenuto trasferimento del dipendente ad altra sede (contenuto nell’impugnato atto facente fede in assenza di querela di falso), le ragioni giustificanti la (a suo tempo legittima) assegnazione al suddetto dell’alloggio stesso, essendo da ritenere, da ciò stesso, smentita l’affermazione che fosse infondata la asserzione contenuta nel provvedimento impugnato che erano venuti meno i presupposti di fatto e di diritto dell’assegnazione a suo tempo avvenuta.

5.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

6.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.

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