Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-18, n. 202206116

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-18, n. 202206116
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202206116
Data del deposito : 18 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2022

N. 06116/2022REG.PROV.COLL.

N. 04343/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4343 del 2018, proposto da
Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato C P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Amilcare Ponchielli, 6;

contro

Comitato di Applicazione del Codice di Autoregolamentazione Tv e Minori, non costituito in giudizio;
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 02230/2018, resa tra le parti, concernente l’annullamento della delibera n. 283/04/CSP adottata dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni nella seduta del 22.12.2004;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 30 maggio 2022 il Cons. A F e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con nota del 17.3.2004 (prot. n. CTM 80c), il Presidente del Comitato di applicazione del Codice di Autoregolamentazione TV e minori (in seguito: Comitato) comunicava alla RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.a. (in seguito: RAI) l’apertura di un procedimento relativo alla trasmissione del film “ Il patto dei lupi ”, andato in onda il 4.3.2003 su Rai Due alle ore 21.00, volto alla verifica della violazione della Premessa e del punto 2.4. del Codice di autoregolamentazione “(..) non essendo determinante nel caso considerato l’adozione, seppure significativamente rafforzata, dei sistemi di segnalazione”, in quanto il film “ si caratterizza soltanto per la violenza orrorifica, comprensiva di un rapporto incestuoso entro un contesto storico/leggendario (Francia 1766)”, invitando la RAI a far pervenire le proprie deduzioni.

2. In data 26.03.04, la RAI presentava al Comitato la propria memoria difensiva, con la quale si chiariva che la versione andata in onda non era quella integrale, ma una versione differente, ampiamente epurata delle scene non adatte ai minori, i cui tagli, però, non corrispondevano esattamente a quelli individuati dalla Commissione di Revisione nell’agosto 2002, che aveva rilasciato il nulla- osta come film per tutti. Si sottolineava che, per un mero errore materiale commesso in perfetta buona fede, la versione trasmessa il 4 marzo 2004 era una copia del film francese ‘ Il patto dei lupi ’ nella versione originale, dalla quale comunque l’emittente radiotelevisiva aveva proceduto all’eliminazione delle scelte ritenute più ‘crude’, dando luogo, in tal modo, ad un ‘terza’ versione.

3. Il Comitato, ritenuta sussistente la violazione, trasmetteva la relativa risoluzione all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, la quale contestava alla RAI la violazione dell’art. 15, comma 10, legge 6 agosto 1990, n. 223 (“ Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato ”), con il contestuale avvertimento della possibilità di produrre scritti difensivi, documenti, nonché di essere sentiti.

4. In data 27.08.04, la RAI depositava una memoria difensiva, eccependo:

-la nullità dell’intero procedimento sanzionatorio per essere stato avviato non dall’Autorità, ma da un suo ufficio;

-l’improcedibilità dell’azione di accertamento e dell’azione sanzionatoria per assoluta genericità ed indeterminatezza della contestazione;

-l’improcedibilità dell’azione stessa per intervenuto decorso del termine di cui all’art. 14, commi 1 e 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (recante “ Modifiche al sistema penale ”);

- e, comunque, l’infondatezza della contestazione nel merito, dato che il film non concretizzava la fattispecie di cui all’art. 15, comma 10, della legge n. 223/90.

5. L’AGCOM, istruito il procedimento e ritenuto di non poter accogliere le argomentazioni della Rai, emanava in data 22.12.04 la delibera n. 238/04/CSP, con la quale ingiungeva all’ente di pagare la somma di euro 15.000,00, quale sanzione pecuniaria per la violazione dell’art. 15, comma 10 della legge n. 223/90.

6. Avverso il predetto provvedimento, la Rai proponeva ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, che veniva respinto con sentenza n. 2230 del 2018.

Il Tribunale adito, con riferimento all’asserita incompetenza del Dipartimento Garanzie e Contenzioso dell’AGCOM, osservava che il Regolamento AGCOM di cui alla delibera n. 316/02/CONS attribuiva al Dipartimento funzioni non soltanto di indagine e preparatorie ma anche “…istruttorie ai fini dell’esercizio delle attribuzioni dell’Autorità…”, le quali implicavano anche il potere di dare avvio al procedimento mediante atto di accertamento e di contestazione prodromici alla successiva adozione del provvedimento sanzionatorio conclusivo da parte della Commissione per i Servizi e Prodotti. Nel caso di specie, era pacifica l’irrogazione della sanzione da parte della Commissione ed era chiaro che il Dipartimento non aveva adottato il provvedimento finale, ma solo atti endoprocedimentali (contestazione e accertamento) a conclusione della fase istruttoria, che il citato regolamento riservava proprio al Dipartimento.

Quanto alla eccepita genericità della contestazione, il Collegio riteneva che la contestazione non potesse considerarsi generica, in quanto successiva all’istruttoria svolta in precedenza dal Comitato, durante la quale erano state articolate dalla RAI ampie deduzioni difensive.

In merito all’asserita tardività della contestazione, il giudice di prima istanza osservava che il termine di 90 giorni, entro il quale l’Amministrazione doveva procedere alla contestazione, era decorso dalla piena conoscenza della condotta illecita e non dal mero verificarsi del fatto storico, ossia la messa in onda del film.

Il T.A.R. osservava che il film andato in onda conteneva alcune scene che erano nella versione integrale (vietata ai minori di anni 14), ma non in quella che aveva ottenuto il nulla osta per la visione “per tutti” da parte della competente Commissione di revisione cinematografica presso il MIBAC, violando pertanto l’art. 15, comma 10, della Legge n. 223 del 1990, vigente “ ratione temporis ”, la cui ratio era quella di prevenire lesioni agli interessi (morali, etici, di corretto sviluppo psichico) degli spettatori e, in particolare, dei minori, rispetto ad ogni genere di programmazione.

Né potevano essere considerate come esimenti le cautele adottate dall’emittente pubblica e consistite nell’annuncio preventivo circa la destinazione del film ad un pubblico adulto e l’inserimento del simbolo iconografico della “farfalla rossa” in evidenza in tutto il corso della messa in onda.

Tali elementi avevano comunque inciso nella valutazione della portata della condotta lesiva e di cui l’AGCOM aveva tenuto conto nella motivazione del provvedimento, ai fini della determinazione dell’ammontare sanzionatorio.

7. La RAI ha proposto appello, illustrato con note, lamentando: a) Violazione e falsa applicazione della legge 31 luglio 1997, n. 249. Violazione e falsa applicazione del ‘Regolamento concernente l’organizzazione ed il funzionamento dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni’ approvato dall’Autorità con delibera n. 316/02/CONS;
b) Violazione e falsa applicazione degli artt. 14, e 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del ‘Regolamento in materia di procedure sanzionatorie’ approvato dall’autorità con Delibere n. 425/01/Cons. Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Illogicità ed ingiustizia manifesta. Difetto di motivazione;
c) Violazione falsa applicazione dell’art. 15 della legge 16 agosto 1990, n. 223.

8. Si è costituita in resistenza l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, concludendo per il rigetto dell’appello.

9. All’udienza del 30 maggio 2022, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

10. Con il primo motivo, l’appellante lamenta violazione e falsa applicazione della legge 31 luglio 1997, n. 249 e del ‘Regolamento concernente l’organizzazione ed il funzionamento dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni’ approvato dall’autorità con delibera n. 316/02/CONS, contestando la competenza del Dipartimento Garanzie e Contenzioso dell’Autorità ad avviare il procedimento, e dunque ad adottare l’atto di accertamento e l’atto di contestazione, nonché a condurre l’istruttoria. Secondo l’esponente, dal combinato disposto dei commi 3 e 6 dell’art. 1, della l. n. 249 del 1997 discenderebbe che la competenza ad avviare il procedimento sanzionatorio spetti esclusivamente alla Commissione per i Servizi e Prodotti, e non al Dipartimento garanzie e contenzioso, da ritenersi mero ufficio interno, privo come tale della legittimazione ad adottare atti a rilevanza esterna.

Il principio si desume dal disposto dell’art. 1, comma 2 del Regolamento cit., secondo cui: “ l’organizzazione di primo livello dell’Autorità è articolata in Dipartimenti, con funzioni istruttorie ai fini dell’esercizio delle attribuzioni dell’Autorità in servizi, con funzioni di supporto agli organi collegiali, al Segretariato generale e ai Dipartimenti”. L’esponente, pertanto, ritiene che ai Dipartimenti spetterebbero solo funzioni istruttorie e gestionali di supporto;
in particolare, con specifico riferimento al Dipartimento per le Garanzie e il Contenzioso, che nella specie ha avviato il procedimento, l’appellante richiama il disposto dell’art. 20 del citato Regolamento, deducendo che da tale premessa deriverebbe il vizio dell’intero procedimento.

10.1. Il motivo è infondato.

Il Collegio rileva che l’art. 3 della L. n. 249 del 1997 elenca gli organi dell’Autorità (il Presidente, la Commissione per le infrastrutture e le reti, la Commissione per i servizi e i prodotti e il Consiglio), individuando all’art. 6 le competenze di ciascuno. In particolare, la lettera b) n. 6 del citato art. 6 statuisce che la Commissione per i servizi e i prodotti ‘ verifica il rispetto nel settore radiotelevisivo delle norme in materia di tutela dei minori, anche tenendo conto dei codici di autoregolamentazione relativi al rapporto tra televisione e minori e degli indirizzi della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi’.

L’art. 7 della L. n. 249 del 1997 rubricato: ‘ redistribuzione delle competenze’ prevede espressamente che ‘ le competenze indicate al comma 6 possono essere ridistribuite con il Regolamento di organizzazione dell’Autorità di cui al comma 9’.

Dalla piana lettura delle norme emerge che l’Autorità, ai sensi dell’art. 7 della l. n. 249 del 1997, ha potuto prevedere nel proprio Regolamento una redistribuzione delle competenze e conseguentemente il trasferimento di alcune competenze della Commissione Servizi e Prodotti al Dipartimento Garanzie e Contenzioso perché potesse esercitare i relativi poteri. Il Dipartimento, in tal caso, è l’organo che ha competenza per svolgere l’istruttoria, secondo i criteri indicati nel Regolamento.

Di tali principi si è fatto carico il giudice di prima istanza, affermando che ‘ il potere di normazione secondaria espressamente attribuito dalla norma di legge menzionata è stato quindi esercitato con l’emanazione del Regolamento AGCOM di cui alla delibera n. 316/02/CONS, il cui art. 20 ha attribuito al Dipartimento ‘de quo’ funzioni non soltanto di indagine e preparatorie ma anche “…istruttorie ai fini dell’esercizio delle attribuzioni dell’Autorità…”, le quali implicano anche il potere di dare avvio al procedimento mediante atto di accertamento e di contestazione prodromici, ove ne sussistano le condizioni, alla successiva adozione del provvedimento sanzionatorio conclusivo da parte della Commissione servizi e prodotti”.

Nella fattispecie, come precisato nella sentenza impugnata, l’irrogazione della sanzione è stata effettuata dalla Commissione, mentre il Dipartimento ha adottato solo atti endoprocedimentali (contestazione e accertamento) a conclusione della fase istruttoria che il Regolamento riserva proprio al Dipartimento. All’esito della fase istruttoria, l’atto di contestazione è stato correttamente adottato dal Dipartimento per i Prodotti e Servizi, secondo la previsione di cui all’art. 4, comma 1, della delibera AGCOM n. 425/01/CONS vigente ratione temporis, con cui è stabilito che il Direttore del Dipartimento per le Garanzie e il Contenzioso dispone l’avvio del procedimento sanzionatorio con l’atto di contestazione.

11. Con il secondo mezzo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 18 della legge n. 689 del 1981, e dell’art. 4 del Regolamento in materia di procedure sanzionatorie approvato dall’Autorità con Delibere n. 425/01/CONS, nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia manifesta e difetto di motivazione.

Secondo l’appellante, l’azione di accertamento e sanzionatoria sarebbe improcedibile, sia per assoluta genericità dell’atto di contestazione, atteso che l’Autorità non avrebbe contestato in maniera puntuale e dettagliata le sequenze del film ai sensi dell’art. 4, comma 1, del Regolamento in materia di procedure sanzionatorie, con conseguente lesione del diritto di difesa e nullità dell’atto, sia per tardività della contestazione in violazione del termine di novanta giorni ex art. 14 della l. n. 689 del 1981. Secondo l’esponente, non sarebbe applicabile l’art. 4 del Regolamento in materia di procedure sanzionatorie, adottato dall’Autorità con delibera n. 425/01/CONS, sussistendo una distinzione tra ‘accertamento formale’ di cui all’art. 4 del Regolamento cit. adottato dall’Autorità con delibera n. 425/01/CONS e ‘accertamento sostanziale’ di cui all’art. 14, comma 1, e 2 della legge n. 689 del 1981 e sostenendo che, nel caso di specie, il dies a quo decorrerebbe dall’’accertamento sostanziale’ di cui all’art. 14 cit., e non dall’’accertamento formale’ di cui all’art. 4 cit..

11.1. Le critiche vanno respinte.

Esaminando con ordine le questioni prospettate dall’appellante nello sviluppo illustrativo del motivo, va respinta l’eccepita genericità delle contestazioni, tenuto conto che emerge all’evidenza la chiarezza dei fatti oggetto di addebito, evidentemente compresi dal destinatario che nel corso dell’istruttoria è stato in grado di articolare adeguatamente le proprie difese, rappresentando anche nei propri scritti difensivi le questioni ritenute rilevanti ai fini dell’esclusione della propria responsabilità.

Il giudice di prime cure ha, infatti, condivisibilmente evidenziato che “ ancora più ampie e articolate appaiono le deduzioni difensive endo –procedimentali presentate dalla RAI con la nota depositata in data 27.8.2004, dopo la notificazione dell’atto di contestazione da parte del Dipartimento Garanzie e Contenzioso. Ciò dimostra l’adeguatezza contenutistica della contestazione e, in ogni caso, la piena cognizione da parte dell’Ente ricorrente dei fatti contestati e delle ragioni giuridiche poste a fondamento dell’atto di contestazione”.

Quanto alla censura sulla tardività della contestazione, va rammentato che a tale riguardo la giurisprudenza ha chiarito che può dirsi perfezionato l'accertamento quando l'autorità procedente ha acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell'esistenza della violazione segnalata. In altri termini, il termine per la contestazione dell'infrazione, non decorre dalla sua consumazione, ma dal completamento dell'attività di verifica di tutti gli elementi dell'illecito, dovendosi considerare anche il tempo necessario all'amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi acquisiti e gli atti preliminari per l'individuazione in fatto degli estremi di responsabilità amministrativa.

E’ stato, infatti, chiarito che: “ Secondo quanto precisato da questo Consiglio, "l'arco di tempo entro il quale l'Autorità deve provvedere alla notifica della contestazione, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 689 cit., è collegato non già alla data di commissione della violazione, ma al tempo di accertamento dell'infrazione, da intendersi in una prospettiva teleologicamente orientata e quindi non già alla notizia del fatto sanzionabile nella sua materialità, ma all'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita, implicante il riscontro dell'esistenza e della consistenza della infrazione e dei suoi effetti [...] Di conseguenza, il termine di novanta giorni previsto dal comma 2 dell'art. 14, l. n. 689/1981 cit. inizia a decorrere solo dal momento in cui è compiuta - o si sarebbe dovuta ragionevolmente compiere, anche in relazione alla complessità della fattispecie - l'attività amministrativa intesa a verificare l'esistenza dell'infrazione, comprensiva delle indagini intese a riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi dell'infrazione stessa" ( Consiglio di Stato, sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 512).

Ne consegue che il termine per la tempestiva contestazione non decorre dal giorno in cui il programma è stato trasmesso sull’emittente RaiDue, ma dalla data dell’accertamento dell’illecito (Cons. Stato, Sez. VI, 14 aprile 2020, n. 2418), pertanto, nella fattispecie, il termine di novanta giorni tra l’accertamento e la contestazione previsto dall’art. 14 della l. n. 689 del 1981 è stato rispettato, come correttamente precisato dal giudice di prima istanza.

Il Tribunale ha infatti ha evidenziato come nel caso in esame erano risultati essere contestuali, datati entrambi 20 luglio 2004 e congiuntamente notificati, il verbale di accertamento della violazione dell’art. 15, comma 10, della legge n. 223 del 1990, in relazione alla messa in onda del film ‘ Il patto dei lupi ’ in data 4 marzo 2004 alle ore 21:00, e l’atto di contestazione, entrambi sottoscritti dal Direttore del Dipartimento Garanzie e Contenzioso dell’AGCOM.

Sono infondate anche le ulteriori critiche, non ravvisandosi alcun difetto di motivazione del provvedimento impugnato, per le ragioni sopra ampiamente esposte, né eccesso di potere per travisamento dei fatti, atteso che i fatti, effettivamente verificatisi, sono stati compiutamente contestati e adeguatamente appuntati nel provvedimento impugnato.

12. Con il terzo motivo di appello, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della legge 6 agosto n. 223. Secondo l’appellante, la circostanza che l’Autorità abbia ritenuto meritevole di sanzione la trasmissione del film in questione sarebbe indice di una errata interpretazione del quadro normativo di riferimento, nonché della sussistenza di un vizio logico nella ricostruzione del significato letterale e semantico delle disposizioni stesse.

La motivazione del provvedimento sanzionatorio sarebbe approssimativa e non veritiera, in quanto:

(i) indicherebbe in maniera sommaria la presenza di alcune scene di “ violenza gratuita ”;

(ii) le collocherebbe in maniera approssimativa “ prima delle ore 22:30 (in pieno orario di <televisione per tutti>”.

L’esponente censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto sufficiente ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’emittente pubblica la circostanza che le due ultime scene siano andare in onda in un orario che non integrava più fascia protetta “ per il verificarsi di un inammissibile effetto trascinamento oltre l’orario limite nei confronti degli stessi spettatori che avevano iniziato a fruire della visione del film anteriormente”. Si argomenta che la diffusione dell’opera è avvenuta nella fascia oraria 21:00- 23:00, ossia fuori della fascia “protetta” di programmazione di cui all’art. 3 Codice di Autoregolamentazione (“Televisione per minori”), prevista dalle ore 16:00 e le ore 19:00 idonea ai minori e, quindi, in una fascia non specificamente dedicata ai minori, nel cui ambito possono senz’altro essere trasmessi programmi non adatti agli stessi, purchè vengano rispettate le prescrizioni di legge. La RAI avrebbe adottato tutte le misure imposte dal Codice nell’ambito della trasmissione di opere nella fascia oraria di “televisione per tutti”, atte a tutelare la visione da parte del pubblico dei minori, mediante l’annuncio e la segnalazione (cfr. art. 2.2, lett. a e b e 2.4 Codice), ossia il fatto che la trasmissione del film era stata preceduta da un annuncio specifico segnalante le destinazione a pubblico adulto e l’inserimento del simbolo iconografico della farfalla rossa sullo schermo in tutto il corso della messa in onda.

La RAI ritiene che la violazione dell’art. 15, comma 10 della l. n. 223/90 presupporrebbe la trasmissione di programmi televisivi contenente concretamente immagini pornografiche o immagini di violenza gratuita, non individuabili nel caso di specie.

12.1. Il motivo è infondato e va respinto.

Ai sensi dell’art. 15, comma 10, della l. n. 223 del 1990 è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità”. Nella fattispecie, l’Autorità appellata ha precisato che il film “ Il patto dei lupi ” si è caratterizzato “ per la presenza di scene di violenza gratuita, in quanto l’efferata, insistita ed orrorifica rappresentazione delle stesse non risulta esclusivamente funzionale alla comprensione della trama e di scene riproducenti omicidi particolarmente cruenti. Inoltre, la scelta dell’orario di inizio del film (in pieno orario di ‘televisione per tutti’) comporta che il film in questione si configuri nel suo insieme come nocivo degli interessi morali, etici e di corretto sviluppo psichico dei minori – spettatori, con particolare riferimento a talune scene di violenza gratuita andate in onda prima delle 22.30 (in primo piano: un cadavere femminile nudo, ferito ed insanguinato;
una donna colta da una crisi epilettica;
una scena di sesso e sangue;
un altro cadavere ritrovato nella neve;
scene angoscianti e sanguinose di lotta tra uomini e una belva mostruosa), nonché alle scene di incestuosa prevaricazione sessuale e del protagonista ucciso che emette dei rantoli, andata in onda dopo le 22.30”.

La giurisprudenza di questa Sezione, con plurime e recenti pronunce (ex multis, Cons. St., Sez. VI, 20 febbraio 2020, n. 2300;
Id. 2299/2020 ), ha chiarito che l'art. 15, comma 10, l. n. 233/1990, secondo il quale : "è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità", nel fare riferimento ai programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, prevede una fattispecie di illecito di pericolo concreto.

Ciò comporta che ai fini dell'integrazione della fattispecie sanzionata, occorre l'accertamento della effettiva esposizione a pericolo del bene tutelato dalla norma violata, desumibile da specifiche e rilevanti circostanze concretamente occorse. Nel caso concreto, il provvedimento impugnato ha chiaramente evidenziato l’esposizione a pericolo del bene che la norma intende proteggere.

Orbene, tale valutazione va coordinata con altra verifica che, sulla scorta della disciplina europea e dei precetti costituzionali, si atteggia sotto forma di bilanciamento tra l'esigenza di tutela del minore e la garanzia della libertà di espressione, da effettuare secondo un parametro di proporzionalità che deve tenere conto delle concrete circostanze del caso.

Nella fattispecie, come evidenziato dal primo giudice e non contestato dall'appellante, la trasmissione del film, con le scene sopra specificate, è avvenuta nella fascia oraria denominata "televisione per tutti" (ore 21.00). Dopo le 22.30 sono andate in onda le scene di “ incestuosa prevaricazione sessuale” e la scena del protagonista colpito e morente che emette rantoli.

Queste ultime scene erano state vietate ai minori di anni 14 dalla competente Commissione di revisione cinematografica per la proiezione nelle sale cinematografiche.

La presenza di scene di violenza gratuita e l’efferata e ‘orrorifica’ rappresentazione delle stesse non è apparsa funzionale alla comprensione della trama e, a tale fine, ingiustificata, sicchè la scelta dell’orario di inizio e la collocazione delle scene violente, anche prima delle ore 22.30, hanno comportato che la rappresentazione del lungometraggio si sia configurata come nociva per gli interessi morali, etici e di corretto sviluppo psichico dei minori.

Il Collegio condivide le conclusioni a cui è giunto il Tribunale amministrativo, laddove ha evidenziato che la circostanza che le due scene sopra citate siano andate in onda in un orario che non integrava più la fascia protetta non può escludere la responsabilità dell’emittente pubblica tenuto conto che, stante la continuità del film e ‘ comprensibile desiderio dello spettatore di voler seguire la storia fino al suo epilogo, si sia verificato un effetto di trascinamento oltre l’orario – limite nei confronti degli stessi spettatori che avevano iniziato a fruire della visione del film anteriormente ’.

Per tali ragioni, le cautela adottate dall’emittente pubblica non possono certamente considerarsi delle esimenti ai fini della esclusione della configurabilità della violazione dell’art. 15, comma 10 della legge n. 223 del 1990, pur essendo state certamente considerate dall’AGCOM ai fini della determinazione dell’ammontare della sanzione.

Inoltre, l’Autorità, con riferimento al delicato bilanciamento tra tutela del soggetto minore e libertà di espressione artistica, ha esposto in modo chiaro il meccanismo potenzialmente nocivo per lo sviluppo psichico o morale dei minori attraverso una dettagliata descrizione delle immagini, del loro contenuto e correlazione.

13. In definitiva, l’appello va respinto. Le spese seguono il criterio della soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

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