Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-07-16, n. 201403763

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-07-16, n. 201403763
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201403763
Data del deposito : 16 luglio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04246/2014 REG.RIC.

N. 03763/2014REG.PROV.COLL.

N. 04246/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4246 del 2014, proposto da:
P P M, rappresentato e difeso dall'avv. F F, con domicilio eletto presso F F in Roma, via della Mercede, 11;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 09049/2013, resa tra le parti, concernente revoca della licenza di porto di fucile uso caccia


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2014 il Pres. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti l’avvocato Cardarelli su delega di Francario e l’avvocato dello Stato Varrone T.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, è stato destinatario dei provvedimenti rispettivamente del Questore di Roma e del Prefetto di Roma con i quali gli è stata revocata la licenza di porto di fucile per uso caccia e gli è stato imposto il divieto di detenere armi e munizioni. Entrambi i provvedimenti erano motivati con l’asserita inaffidabilità del soggetto riguardo alla custodia delle armi e del materiale analogo.

2. L’interessato ha fatto ricorso al T.A.R. del Lazio impugnando il primo provvedimento e poi (con motivi aggiunti) anche il secondo.

Il TAR, con sentenza n. 9049/2013, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti.

L’interessato ha quindi proposto appello davanti a questo Consiglio, riproponendo e sviluppando le censure già disattese. Resiste l’Amministrazione dell’Interno.

In occasione della trattazione della domanda cautelare annessa all’appello, il Collegio ravvisa le condizioni per la definizione immediata della controversia.

3. Il giudizio di inaffidabilità del ricorrente, quanto alla corretta custodia delle armi, ha tratto origine da uno specifico episodio.

Si tratta del suicidio di un fratello del ricorrente, avvenuto all’interno dell’abitazione di quest’ultimo e mediante il colpo di un fucile da caccia ivi conservato.

L’episodio aveva avuto uno svolgimento singolare. Il suicida, prima di commettere il gesto, aveva annunciato le sue intenzioni ad una parente e ad un amico. Costoro avevano allertato i Carabinieri, i quali si erano immediatamente recati (nottetempo) nel luogo dove si trovava la persona che aveva minacciato il suicidio, e cioè presso l’abitazione dell’attuale ricorrente, facente parte del complesso aziendale di una tenuta agricola di famiglia. Il suicida ha sparato il colpo mortale mentre i Carabinieri si trovavano ancora all’esterno dell’abitazione insieme al ricorrente e ad altre persone.

Tutti gli astanti, udito il colpo, sono entrati nella casa ed hanno trovato il suicida ormai esanime. Le circostanze hanno quindi permesso ai Carabinieri di verificare de visu e con immediatezza quante armi fossero detenute nell’abitazione e dove si trovassero. Hanno così constatato che armi e munizioni erano sparse liberamente e alla rinfusa nella camera da letto del ricorrente e in locali adiacenti.

Il materiale è stato immediatamente sequestrato ed è stato redatto un verbale di sequestro (sottoscritto anche dall’attuale appellante) nel quale per ciascun oggetto (armi e rispettivamente munizioni) è indicata la collocazione nella quale era stato reperito.

4. Sulla base di questi elementi di fatto, i Carabinieri hanno denunciato l’appellante all’autorità giudiziaria di Siena (luogo dei fatti) per il reato di omessa custodia delle armi ed hanno trasmesso gli atti alle autorità di pubblica sicurezza competenti per i provvedimenti amministrativi del caso.

La denuncia penale è stata archiviata dal G.I.P. di Siena su conforme richiesta del pubblico ministero. Invece le autorità di pubblica sicurezza di Roma (luogo di residenza dell’interessato) hanno adottato i provvedimenti impugnati nel presente giudizio.

I provvedimenti delle autorità di p.s., oltre ai fatti sopra ricordati, fanno anche menzione della circostanza che l’attuale appellante, circa due anni prima, era stato formalmente ammonito a custodire correttamente le armi per evitare che potessero impossessarsene «persone estranee o coabitanti» (l’ammonizione non si riferiva nominativamente al fratello A., ma la Questura intendeva proprio di evitare che le armi venissero a portata di mano di costui, sia pure per ragioni diverse dalla propensione al suicidio, non ancora manifestata).

5. Ciò premesso, si osserva che i poteri discrezionali concessi all’amministrazione della p.s. dagli articoli 39 e 43 del t.u.l.p.s. (rispettivamente per il divieto di detenzione di armi e munizioni, e per la revoca della licenza di porto d’armi) non hanno natura e finalità sanzionatorie. Non implicano necessariamente un giudizio d’illiceità sui comportamenti dell’interessato;
e non hanno come presupposto necessario che quei comportamenti siano stati giudicati illeciti in sede penale (anche se è vero che in presenza di talune condanne l’autorità di p.s. è tenuta ad intervenire).

I provvedimenti in materia hanno invece lo scopo di prevenire i sinistri (non necessariamente intenzionali) che possono derivare da un uso inappropriato delle armi, vuoi da parte del legittimo detentore, vuoi di terzi.

In questa luce, i provvedimenti interdittivi sono possibili e legittimi (o anzi doverosi) anche qualora il legittimo detentore sia pienamente affidabile per quanto riguarda il corretto impiego delle armi da parte sua, ma non sia altrettanto affidabile riguardo alla cautela che pure è tenuto ad adottare per prevenire che le armi da lui legittimamente detenute vengano nella disponibilità di terzi.

6. Nel caso in esame, sta di fatto che il fratello dell’interessato si è impossessato di un’arma di proprietà di costui e si è suicidato con essa: è questo proprio il genere di eventi che l’autorità di p.s. ha il compito di prevenire, e si direbbe che per ciò solo emerga, con la forza dei fatti, la ridotta affidabilità del soggetto nella custodia delle proprie armi, o quanto meno l’inefficacia delle precauzioni da lui adottate – nonostante che la Questura lo avesse già diffidato.

L’interessato obietta che le armi erano efficacemente custodite dentro un apposito armadio ermeticamente chiuso e che l’armadio era all’interno della sua abitazione, i cui accessi erano a loro volta chiusi. Ma la prova dei fatti dimostra che tali cautele non erano sufficienti;
potevano forse esserlo nei confronti di un estraneo, ma non di un congiunto che sapeva come entrare nella casa (dagli atti risulta, fra l’altro, che vi era la possibilità di accedere all’abitazione attraverso gli attigui locali dell’azienda agraria di famiglia).

7. La difesa dell’interessato mette in evidenza che dopo il sinistro egli era stato denunciato all’autorità giudiziaria per il reato di omessa custodia delle armi, ma che la denuncia penale è stata archiviata con la motivazione che il suicida aveva potuto impossessarsi dell’arma solo grazie alla effrazione di un lucchetto, e invoca a questo riguardo l’art. 654 del codice di procedura penale.

E’ tuttavia facile replicare che l’art. 654 c.p.p. conferisce autorità di giudicato, riguardo all’accertamento dei fatti materiali, solo «alla sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento» . Chiaramente analoga autorità non può essere riconosciuta ad un semplice decreto di archiviazione, il quale, a parte ogni altra considerazione, non è “irrevocabile” e comunque non è pronunciato “a seguito di dibattimento” vale a dire con l’assunzione diretta delle prove nel contraddittorio fra le parti. Il fatto che il pubblico ministero, qualora intenda riaprire le indagini dopo l’archiviazione, sia tenuto a chiedere l’autorizzazione del g.i.p., conferisce al decreto di archiviazione una certa rilevanza sul piano processuale, ma non basta certamente a conferirgli sul piano sostanziale l’autorità del giudicato.

A parte la questione della rilevanza giuridica del decreto di archiviazione in quanto tale, si osserva che tale provvedimento appare emesso sul presupposto che vi fosse stata l’effrazione del lucchetto che chiudeva una determinata porta, sulla base di dichiarazioni “testimoniali” raccolte e prodotte dai difensori dell’indagato. Ora, a ben vedere, quelle dichiarazioni concernevano unicamente la circostanza che quella determinata porta di solito è chiusa con un lucchetto, ma nessuno ha asserito di avere constatato de visu che il lucchetto fosse stato forzato – anche perché i dichiaranti, a quanto pare, non erano presenti al momento dei fatti. Non si può dunque parlare di verità accertata nel giudizio penale, ma al più, di una mera presunzione o illazione.

8. A fronte di queste indicazioni, favorevoli all’interessato ma generiche e non probanti, vi sono i verbali e le annotazioni di servizio dei Carabinieri presenti al sinistro. Questi documenti hanno efficacia probatoria qualificata, essendo stati formati da pubblici ufficiali per attestare atti e fatti compiuti da loro medesimi o verificatisi in loro presenza. Potrebbero dunque essere contraddetti solo con la proposizione di una querela di falso.

Da tali atti fidefacienti risulta (con abbondanza di dettagli) che all’interno dell’abitazione dell’attuale appellante numerose armi si trovavano sparse disordinatamente senza altra custodia o protezione che quella delle porte di accesso alla casa dall’esterno – porte che de facto non avevano ostacolato il fratello in preda all’impulso suicida.

9. In tale situazione di fatto, le valutazioni discrezionali compiute dall’autorità di pubblica sicurezza – pur opinabili per definizione – non risultano manifestamente illogiche né sproporzionate ai fatti accertati.

In conclusione, l’appello va respinto.

S’intende che la presente decisione non impedisce all’autorità di p.s. di riesaminare discrezionalmente il caso, anche alla luce dei comportamenti futuri dell’interessato.

10. Le spese del grado seguono la socccombenza, come di norma.

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