Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-03-26, n. 201001762

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-03-26, n. 201001762
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201001762
Data del deposito : 26 marzo 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03513/2009 REG.RIC.

N. 01762/2010 REG.DEC.

N. 03513/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 3513 del 2009, proposto da:
Soc. Coop "Fornaci Marzo 88" Spa, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa in giudizio dagli avv.ti G D, L T, S T, L V, con domicilio eletto presso G D in Roma, via A. Bertoloni, n. 26/B;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissario Delegato Emergenza Rifiuti Regione Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, negli uffici della quale sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Comune di Montecorvino Pugliano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Anna Mele, con domicilio eletto presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;


FIBE

Campania Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giovanni Benedetto Carbone, Ennio Magri, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via degli Scipioni, n .288;

per la riforma

della sentenza del TAR LAZIO - ROMA - Sezione I n. 00258/2009, resa tra le parti, concernente ISTANZA DI RESTITUZIONE TERRENI ESPROPRIATI – RISARCIMENTO DANNI.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Commissario Delegato Emergenza Rifiuti per la Regione Campania, del Comune intimato e della

FIBE

Campania Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 marzo 2010 il cons. P L L e uditi per le parti gli avvocati G D, L V, Giovanni Benedetto Carbone, Ennio Magrì e l'avvocato dello Stato Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto notificato il giorno 10 aprile 2009, depositato il successivo 24 aprile, la Soc. Coop. “

FORNACI MARZO

88” S.p.A. ha presentato appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio n. 258/2009, che aveva accolto solo parzialmente il ricorso della medesima società proposto per l’accertamento del diritto ad ottenere la restituzione e la rimessa in pristino di immobili nel Comune di Montecorvino Pugliano, e per la determinazione ed attribuzione degli indennizzi e del risarcimento dei danni da occupazione e trasformazione abusiva degli immobili stessi, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale - con sentenza di questo Consiglio n. 197/1998 - di tutti gli atti della procedura espropriativa a suo tempo adottati per la localizzazione, l’approvazione del progetto e la realizzazione di una discarica in località Parapoti.

Il T.A.R. premetteva che la controversia non era soggetta al regime processuale di cui all’art. 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034;
disponeva la estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, oltreché della s.p.a.

FIBE

Campania, essendo legittimato passivo il Commissario delegato;
escludeva la possibilità di applicazione alla fattispecie in esame dell’art. 43 del d.P.R. 2001, n. 327, essendo ormai avvenuta l’acquisizione dei beni al patrimonio pubblico per “accessione invertita”, a seguito della irreversibile trasformazione della destinazione dell’area adibita a discarica, con conseguente reiezione della domanda di restituzione dei beni in parola.

Il primo giudice accoglieva, quindi, la domanda risarcitoria indicando all’Amministrazione i criteri di liquidazione ai sensi dell’art. 35, comma 1, del decreto legislativo 1998, n. 80.

In primo luogo, per la perdita del bene, stabiliva che dovevano essere riconosciuti gli importi relativi al valore del bene ed all’indennità per l’illegittima occupazione fino al momento della “accessione invertita”.

In secondo luogo, per il c.d. lucro cessante, conseguente alla perdita di chance richiamava l’onere del creditore di provare, anche se solo presuntivamente, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il risultato sperato, impedito dalla condotta illecita: conseguentemente statuiva che andavano esclusi dal computo i proventi dell’attività soltanto ipotizzata di trasformazione industriale dell’argilla estratta dalla cava, sita in zona avente destinazione agricola, e quindi incompatibile con tale attività, mancando oltretutto la certezza della utilizzabilità di detta argilla per la produzione di laterizi;
statuiva, altresì, che andava esclusa la risarcibilità dei danni derivanti dalla mancata attività di estrazione e commercializzazione dell’argilla per effetto dell’occupazione illegittima, in quanto la potenzialità estrattiva della cava in parola era preclusa dalle disposizioni dell’art. 36 della legge della Regione Campania 13 dicembre 1985, n. 54, intesa in concreto a consentire solo la prosecuzione di coltivazione di cave già in atto, previa apposita domanda che non risultava tempestivamente presentata dalla società ricorrente, la quale risultava pertanto priva di titolo per lo svolgimento dell’attività estrattiva.

Il primo giudice, infine, attesa la reciproca soccombenza, disponeva la compensazione della spese del giudizio tra le parti.

La società appellante contesta in toto le statuizioni del T.A.R. e ripropone le richieste e le doglianze già dedotte in primo grado, lamentando tra l’altro che il primo giudice avrebbe omesso di pronunciare su alcuni punti controversi e che, per quanto riguarda le spese di giudizio, non sia stato applicato il principio della soccombenza.

Con memoria la predetta società ribadisce ulteriormente le proprie argomentazioni.

Si sono costituite la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania che deducono, anche con memoria, l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.

Si è costituita per resistere in giudizio la s.p.a.

FIBE

Campania, estromessa in primo grado.

Si è costituito anche il Comune di Montecorvino Pugliano, non costituito in primo grado, che chiede di essere estromesso dal giudizio.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 9 marzo 2010.

DIRITTO

1. - La società appellante contesta le statuizioni del T.A.R. del Lazio in base alle quali è stata respinta la pretesa relativa alla restituzione di aree di sua proprietà illegittimamente occupate per la realizzazione di una discarica, mentre è stata solo parzialmente accolta la pretesa relativa al risarcimento dei danni conseguenti alla occupazione ed alla trasformazione abusiva delle aree stesse.

2. - Con il primo motivo di appello viene censurata la parte della sentenza che ha disposto la estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della s.p.a.

FIBE

Campania, assumendosi che, nella specie, essendo venuto meno il presupposto che legittimava l’occupazione, non sarebbe applicabile il principio della “delegazione amministrativa”, ma il diverso criterio dell’utilità e della riferibilità degli atti e dei comportamenti dei convenuti, che sarebbero in tal modo solidalmente responsabili dei danni cagionati.

Il motivo va parzialmente accolto dovendosi prendere atto che, con la sentenza di questo Consiglio 16 aprile 1998, n. 197, sono state annullate le ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 11 febbraio 1994 e successive, mediante le quali era stato conferito al Prefetto di Napoli il potere di adottare gli atti espropriativi necessari per la realizzazione della discarica in questione, con la conseguenza che cade in tal modo il presupposto stesso della predetta delegazione da parte della Presidenza.

Né risulta probante, in senso contrario, il richiamo - effettuato dalla difesa dell’Amministrazione – all’O.P.C.M. n. 2425/1996 che non riguarda specificamente le vicende che ora ci occupano, limitandosi a “confermare” i poteri del Prefetto, quale Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti, ai fini del “completamento” delle attività già avviate ai sensi delle precedenti ordinanze, e riguarda, pertanto, le ulteriori iniziative da porre in essere nel quadro delle attività intraprese nel settore.

Mentre deve disporsi, quindi, la riammissione nel giudizio di detta Presidenza, va confermata, invece, la estromissione della s.p.a. FIBE, in quanto estranea ai fatti su cui verte la controversia.

3. - Per la stessa ragione deve essere accolta la richiesta di estromissione, avanzata in sede di appello, dal Comune di Montecorvino Pugliano, che in primo grado non aveva presentato alcuna istanza in proposito, non essendosi neppure costituito.

4. - Prima di passare all’esame del merito dell’appello, il Collegio deve preventivamente puntualizzare che non ritiene condivisibili le considerazioni svolte dal T.A.R. in ordine alla inapplicabilità, alla fattispecie in esame, delle disposizioni dell’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, (attinente alla “utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”) in base al quale, al terzo comma, si attribuisce all'Amministrazione la facoltà di chiedere che il giudice “nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo”.

4.1. - Come osservato nella sentenza appellata, detta norma si inserisce nella disciplina di una fattispecie, relativa alla cosiddetta “acquisizione sanante” che intende superare la figura - sorta nella prassi giurisprudenziale – della “accessione invertita”, per recepire l'orientamento espresso dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo secondo cui un comportamento illecito non può fondare l'acquisto di un diritto, ponendosi un simile effetto in palese contrasto con il principio di legalità;
tuttavia, ad avviso del T.A.R., la disciplina in discorso costituirebbe una norma di carattere sostanziale applicabile, come tale, solo a far tempo dalla sua entrata in vigore.

4.2. - La Sezione non ha motivo di discostarsi, invece, dalla più recente linea giurisprudenziale di questo Consiglio, ormai prevalente, secondo cui la procedura di acquisizione in sanatoria di un'area occupata sine titulo, descritta dal citato articolo 43, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell'entrata in vigore della norma, come testualmente si ricava anche dal successivo articolo 57 del medesimo testo che, richiamando i “procedimenti in corso”, ha previsto norme transitorie unicamente per individuare l'ambito di applicazione della riforma in relazione alle diverse fasi fisiologiche del procedimento sostanziale, mentre l'atto di acquisizione ex articolo 43 è emesso ab externo del procedimento espropriativo e non rientra, pertanto, nell'ambito di operatività della normativa transitoria (v. da ultimo: Cons. Stato, Sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3509: cfr. inoltre: Ad. Plen. 29 aprile 2005, n. 2;
Sez. V, 11 maggio 2009, n. 2877;
Sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2582;
Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830, esaminata senza rilievi sulla giurisdizione dalla Cass. SS.UU. 16 aprile 2009, n. 9001).

A ciò può aggiungersi che il riferimento, operato dal citato articolo 57, ai progetti per i quali “sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza”, non potrebbe comunque attagliarsi alla fattispecie in esame in cui, come ricordato sopra, l'atto relativo a tale dichiarazione, risulta ab origine caducato per effetto del suo annullamento in sede giurisdizionale.

Né alcun rilievo possono assumere, per il profilo ora considerato, le disposizioni richiamate dall'appellante che sono dettate dall'articolo 55 dello stesso testo, relativo alle occupazioni senza titolo anteriori al 30 settembre 1996, atteso che tali norme riguardano soltanto la determinazione della misura di liquidazione del risarcimento del danno (che nella formulazione attuale corrisponde al valore venale del bene).

4.3. - Quanto ora detto comporta un duplice ordine di conseguenze sulla vicenda che ci occupa.

Da un lato, non può ammettersi che l'acquisizione del bene in questione al patrimonio pubblico sia già stata realizzata, per “accessione invertita”, a seguito della irreversibile trasformazione dell'area illegittimamente occupata che risulta avvenuta, in concreto, alla data del 18 aprile 1996. Ciò si rifletterà, naturalmente, sui criteri per la determinazione del risarcimento dovuto per l'occupazione abusiva, come si vedrà meglio più oltre.

Dall'altro lato, avendo l'Amministrazione ritualmente esercitato la facoltà di chiedere la esclusione della restituzione del bene, mediante specifiche istanze della difesa erariale avanzate nel corso dei diversi giudizi instaurati per questa vicenda (dapprima dinanzi al giudice ordinario poi avanti ai tribunali amministrativi della Campania e del Lazio), deve necessariamente concludersi per la reiezione della domanda principale della società appellante, rivolta specificamente ad ottenere la restituzione, previa riduzione in pristino dei suoli di sua proprietà, nonostante la trasformazione dell'immobile che viene qualificata come “irreversibile” o, comunque, eccessivamente onerosa. Ciò in quanto non sono ravvisabili seri dubbi in ordine alla effettiva corrispondenza a realtà di una simile situazione.

Sorge in tal modo l’obbligo ineludibile dell’Amministrazione di provvedere senza indugio all’adozione del formale atto di acquisizione dell’immobile in discorso, ai sensi del richiamato art. 43 del d.P.R. n. 327/2001.

Resta inteso che la tempestiva adozione di detto provvedimento costituisce condizione essenziale per esimere l’Amministrazione dall’obbligo di restituire – previa completa bonifica e rimessa in pristino – l’immobile in questione, e che, quindi, la mancata adozione di tale provvedimento, nel termine assegnato, consentirebbe a controparte di richiedere la restituzione del bene, in sede di ricorso per l’esecuzione del giudicato, in alternativa al risarcimento del danno per equivalente rapportato al valore del bene stesso, da calcolarsi nei sensi di seguito indicati.

4.4. - A tal proposito appare manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale del già richiamato articolo 55 del d.P.R. n. 327/2001, sollevata “in via di mero tuziorismo” dalla società appellante, nonché del ripetuto art. 43 dello stesso testo, trattandosi di norme che - come ben evidenziato dalla difesa dell'Amministrazione - si prefiggono di tutelare lo scopo sociale dell'intervento progettato dall'Autorità cui la legge riconosce il potere di valutare l'interesse pubblico, in piena coerenza con il principio generale dettato dall'articolo 2058 del codice civile, e senza un grave pregiudizio per il privato proprietario al quale viene riconosciuto il diritto all'integrale ristoro per la perdita del bene. In simile prospettiva non sono, invero, ravvisabili profili di incostituzionalità per violazione dei principi fondamentali di uguaglianza, della difesa in giudizio, del riconoscimento della proprietà privata, posti dagli articoli 3, 24 e 42 della Costituzione. Né emergono ulteriori profili di eventuale incostituzionalità in relazione alle deduzioni - peraltro del tutto generiche - dell'appellante in ordine alle modalità di attuazione della delega di cui alla legge 8 marzo 1999, n. 50;
in ordine al principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione posto dall'articolo 97;
in ordine alla possibilità di tutela giudiziale nei confronti della pubblica amministrazione, ai sensi dell'articolo 113 secondo comma;
in ordine, infine, alle previsioni sulle competenze statali e regionali di cui all'articolo 117, primo comma, della stessa Costituzione.

5. - Vanno ora esaminate le doglianze – dedotte nell’ambito di diversi motivi dell’appello - rivolte dalla società ricorrente nei confronti delle statuizioni del T.A.R. che, in accoglimento della domanda proposta in via subordinata dalla stessa ricorrente, si è pronunciato sui criteri per la liquidazione del risarcimento del danno spettante per l'occupazione illegittima in questione.

La predetta interessata lamenta che il giudice non abbia adeguatamente valutato né il valore del fondo occupato, né il cosiddetto “lucro cessante”, ossia il mancato guadagno per la perdita di chance in conseguenza immediata e diretta dell'occupazione, non essendosi tenuto conto della natura del bene immobile (costituito da una cava d'argilla), oltreché del progetto per la realizzazione di uno stabilimento di trasformazione dell'argilla estratta, per il quale erano stati già ottenuti appositi finanziamenti.

5.1. - Per quanto riguarda il bene immobile in questione, deve considerarsi che, seppure in precedenza vi si svolgeva effettivamente attività di estrazione dell'argilla, tale attività era ormai cessata e, a seguito del fallimento dell'azienda che esercitava tale attività, il terreno è stato poi acquistato dalla società odierna ricorrente con atto notarile stipulato in data 3 agosto 1992, nel quale si precisava che si trattava di un appezzamento con “destinazione esclusivamente agricola”.

Come messo in evidenza nella sentenza appellata, la società ricorrente, che non ha mai esercitato attività estrattiva, non poteva comunque iniziare una simile attività, essendo ciò precluso dalla vigente normativa della Regione Campania e, in particolare, dall'articolo 36 della legge 13 dicembre 1985, n. 54 (come modificato dall'articolo 22 della legge 13 aprile 1995, n. 17), secondo cui “la coltivazione delle cave in atto alla data dell'8 agosto 1986, per le quali, a norma dell'articolo 28 del d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, è stata presentata denuncia al Comune e alla Regione Campania, potrà essere proseguita, purché entro sei mesi dalla stessa data, l'esercente abbia presentato domanda di proseguimento …”;
quest'ultima condizione, tuttavia, non risulta che fosse stata soddisfatta neppure dalla dante causa dell'attuale società, non emergendo alcun elemento probatorio al riguardo.

Né alcun rilievo può assumere la circostanza, segnalata nel nono motivo di appello, dell'acquisizione in proprietà del fondo, da parte dell'appellante, ben oltre la scadenza dei termini per la produzione della domanda rivolta la prosecuzione della coltivazione della cava, atteso che non si tratta di valutare una sanzione per un comportamento omissivo della proprietaria, ma invece di riscontrare oggettivamente la effettiva possibilità di avviare la menzionata attività di estrazione da parte della medesima società.

Neppure potrebbe utilmente invocarsi, da parte della società ricorrente, la norma dell'articolo 28 della succitata legge regionale n. 17 del 1995, che ha aggiunto l'articolo 38-quinquies alla già ricordata legge regionale n. 54 del 1985;
tale norma vietava, infatti, fino alla prevista approvazione del Piano regionale delle attività estrattive entro il 31 dicembre 1995, il rilascio di autorizzazioni o concessioni per l'apertura di nuove cave, con espressa eccezione dell’ipotesi in cui la Giunta regionale, sentiti gli Enti interessati, potesse ravvisare un “caso di preminente interesse regionale”.

Ma, a parte ogni considerazione in ordine alla effettiva configurabilità di una simile ipotesi per l'immobile di proprietà della società ricorrente, sta di fatto che dalla data dell’8 maggio 1995 (anteriore all'occupazione dell'area), di entrata in vigore di detta norma, fino alla data stabilita del 31 dicembre 1995 (quando ancora non si era verificata l'irreversibile trasformazione dell'area) la predetta società non si è attivata in alcun modo per ottenere la necessaria autorizzazione.

La normativa successiva che, a quanto esposto dalla società, avrebbe consentito l'esercizio di nuove cave dall'anno 1996 fino al 15 dicembre 2000, non appare poi probante ai fini di una valutazione prognostica della possibilità di esercitare l'attività di cava da parte della società in parola, restando una simile eventualità preclusa dal mutamento della situazione di fatto che, seppure di per sé giuridicamente inidonea - per quanto si è detto sopra - a determinare la perdita della proprietà, rendeva in ogni caso concretamente impossibile la realizzazione di un simile progetto.

Sull’argomento non sembra superfluo aggiungere che il detto mutamento dello stato dei luoghi è stato attuato per preminenti ed insopprimibili esigenze di pubblico interesse, sulla base di provvedimenti amministrativi che risultavano, all’epoca, pienamente validi ed efficaci, e che le anzidette concrete esigenze di pubblico interesse non sono state successivamente contestate in modo persuasivo, mentre non possono ritenersi smentite neppure dalle sopravvenute statuizioni giurisdizionali di annullamento, atteso che gli atti relativi alla dichiarazione di pubblica utilità della progettata discarica sono stati annullati dal giudice unicamente per vizi attinenti alla legittimità formale degli atti medesimi. Va sottolineato, ancora, che proprio la persistenza delle ricordate esigenze di pubblico interesse si pone ora alla base dell’applicazione della norma sulla “acquisizione sanante” alla fattispecie in esame.

5.2. - Tutto ciò considerato può concludersi nel senso di escludere, anzitutto, la sussistenza di un danno concretamente quantificabile per l’asserito “lucro cessante” connesso alla perdita di eventuali introiti derivanti dall’attività di cava.

5.3. - Inoltre, deve ritenersi corretta e va confermata la valutazione del primo giudice in ordine al valore dell'immobile oggetto dell'occupazione, avente destinazione agricola, in quanto, in assenza di una diversa connotazione dell'immobile, il valore di esso - ai fini del risarcimento del danno da liquidarsi in misura pari al valore venale del bene – mancando altri riferimenti attendibili, non può che essere determinato in rapporto al prezzo stabilito per il suo acquisto, con i necessari aggiornamenti per gli anni a seguire, sulla base degli indici ISTAT. Va opportunamente precisato che il calcolo degli aggiornamenti dovrà essere effettuato - alla stregua di quanto sopra chiarito in ordine alla inapplicabilità della figura della “accessione invertita” - fino a quando intervenga il previsto atto di acquisizione della proprietà dell'immobile da parte dell'Amministrazione.

5.4. - Va, altresì, confermata la statuizione del primo giudice relativa all'obbligo di corresponsione degli interessi legali sulla somma via via rivalutata, a decorrere dal 1º settembre 1992, fino alla data dell'effettivo soddisfo.

6. - E’ ugualmente da confermare la statuizione relativa alla indennità di occupazione, per un importo pari ad 1/12 del valore del bene come sopra individuato, per ogni anno di occupazione e per tutto il periodo di illegittima occupazione dello stesso;
a tal riguardo va precisato, però, che l’anzidetto periodo comprende tutto il tempo necessario per l’adozione, da parte dell’Amministrazione, del summenzionato atto formale di acquisizione.

Anche sulla somma dovuta a titolo di indennità di occupazione vanno calcolati la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulla somma via via rivalutata, fino alla data dell’effettivo soddisfo.

7. - Deve ora esaminarsi la pretesa – rinvenibile in diversi motivi dell’appello in esame - avanzata dalla società ricorrente con riferimento alla perdita di chance asseritamente subita, in conseguenza dell’illegittima occupazione di parte della sua proprietà, per quanto riguarda la realizzazione di uno stabilimento industriale per la lavorazione di laterizi, in relazione al quale erano stati chiesti ed ottenuti finanziamenti pubblici con particolari agevolazioni creditizie.

E’ opportuno rammentare che, nell’ambito del nono motivo di appello, dalla stessa società ricorrente si sottolinea testualmente quanto segue: “l’attività estrattiva era funzionale (recte: costituiva una vera e propria componente del processo produttivo) alla progettata iniziativa industriale…”. Ne consegue, logicamente, che in assenza di una concreta prospettiva di avvio dell’attività di cava, anche il progetto del nuovo insediamento industriale viene conseguentemente a perdere il requisito della sua effettiva realizzabilità che, ad un giudizio prognostico, potrebbe consentire la individuazione del “lucro cessante” in riferimento al quale rapportare un eventuale risarcimento del danno.

E ciò anche a prescindere dagli ostacoli di altra natura (urbanistica, ambientale od economica) che, come rilevato dal primo giudice, potevano frapporsi per la realizzazione dell’insediamento industriale.

Va aggiunto, con specifico riferimento ai contributi e finanziamenti pubblici ottenuti (e poi revocati) per il progetto di stabilimento di cui è questione, che trattasi come è evidente di benefici funzionali alla realizzazione di iniziative economiche, a titolo di promozione e di rimborso delle spese e degli oneri da affrontare da parte dell’imprenditore, e non possono, quindi, assumere autonoma rilevanza in assenza della realizzazione delle iniziative programmate.

8. - Restano da esaminare le ulteriori pretese, dedotte con il quinto ed il settimo motivo di appello, relative al risarcimento di un ulteriore danno emergente, già prospettato sotto diversi profili dalla società interessata nel giudizio di primo grado, su cui non si rinviene alcuna esplicita pronuncia nella sentenza appellata.

8.1. - In primo luogo si lamenta il mancato riconoscimento del diritto alla refusione del valore corrispondente all’argilla già estratta, lavorata e presente sul fondo al tempo della sua occupazione (argilla c.d. “ammannita”), che avrebbe raggiunto la consistenza di 60.000 mc., ed avrebbe avuto un prezzo unitario di circa lire 5.000/mc., come indicato nelle relazioni predisposte dai consulenti tecnici incaricati.

Il Collegio ritiene che la pretesa sia fondata, atteso che le relazioni anzidette appaiono sufficientemente probanti in ordine alla effettiva esistenza, all’epoca dell’occupazione, di un certo quantitativo di materiale.

Mancando, tuttavia, elementi di certezza per la determinazione del preciso ammontare del danno, si procede con valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 del codice civile, con un abbattimento della metà del valore calcolato secondo i parametri sopra riportati. Su tale ammontare dovranno essere calcolati gli interessi legali dalla data della occupazione del fondo fino al soddisfo.

8.2. - A giudizio della Sezione è fondata anche l’ulteriore pretesa, volta a reclamare il risarcimento per il deprezzamento del fondo residuo (in quanto l’occupazione illegittima ha riguardato soltanto 16 dei 24 ettari di terreno di proprietà della società ricorrente), il valore del quale è stato sicuramente depauperato dalla vicinanza della discarica.

La società chiede, in concreto, l’applicazione dei principi derivanti dall’art. 40 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, riguardante l’indennità da corrispondere per il minor valore della parte residua nei casi di occupazione parziale.

Il Collegio osserva preliminarmente che, pur se le controversie riguardanti simili indennità rientrano in generale nella giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 53, comma 3, del citato d.P.R. n. 327/2001, nel caso di specie possono ravvisarsi i presupposti per una concentrazione dinanzi al giudice amministrativo del giudizio relativo a tutte le pretese avanzate della società ricorrente, in quanto strettamente correlate ad un unico procedimento amministrativo, riguardante un solo immobile di proprietà della medesima ricorrente.

La pretesa relativa alla parte residua del bene occupato, infatti, si configura non già come una autonoma richiesta di indennizzo, bensì come una domanda volta ad ottenere un incremento del risarcimento da ricollegare ad una procedura espropriativa illegittima in ordine alla quale, anche dopo la caducazione degli atti posti a base del procedimento stesso, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, chiamato a pronunciarsi sulle varie componenti del ristoro spettante al soggetto che abbia ingiustamente subito un pregiudizio economico dalla iniziativa posta in essere dall’Amministrazione per preminenti finalità di pubblico interesse.

Ciò posto, per quanto concerne la determinazione del valore originario della parte residua del fondo, il Collegio ritiene che debba farsi ricorso agli stessi criteri indicati per la parte dello stesso fondo che è stata oggetto dell’occupazione.

Per quanto riguarda la misura di tale componente del risarcimento da corrispondere, deve prendersi atto che, anche in questo caso, non sussistono elementi di certezza, e quindi, procedendosi con valutazione equitativa - tenuto altresì conto di quanto fatto presente dalla difesa dell’Amministrazione in ordine alla circostanza che la discarica è ormai chiusa ed in corso di bonifica - si ritiene che possa ammettersi il risarcimento con un abbattimento del 50% del valore del bene, da calcolarsi dal giorno dell’occupazione, con rivalutazione ed interessi fino alla data del soddisfo.

8.3. - Infondata risulta, invece, l’istanza relativa al ristoro per il mancato godimento dell’area durante il tempo dell’occupazione, non venendo prospettati elementi giustificativi di un pregiudizio ulteriore, rispetto a quello compensato con l’indennità di occupazione.

9. - Sulla scorta di quanto detto sopra, va disposto il risarcimento del danno ingiusto subito dalla società ricorrente, con le modalità di cui all’art. 35, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, già indicate dal giudice di primo grado, ed a tal fine la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel termine di 90 (novanta) giorni dalla comunicazione in forma amministrativa o dalla notificazione, se anteriore, della presente decisione, dovrà provvedere ad adottare il necessario atto di acquisizione dell’immobile illegittimamente occupato e dovrà formulare la proposta risarcitoria nei sensi sopra specificati;
in caso di inutile decorso di detto termine, la società ricorrente potrà esperire il ricorso di cui all’art. 27, comma 1, n. 4) del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054.

10. - Per quanto riguarda, infine, le spese del giudizio, non è fondata la doglianza della società appellante riguardante la disposta compensazione tra le parti delle spese del giudizio di primo grado, in relazione all’esito del giudizio relativo all’accoglimento solo parziale del ricorso.

Ugualmente, in ordine alla liquidazione della spese del doppio grado di giudizio, stante il solo parziale accoglimento delle pretese avanzate anche in sede di appello dalla detta ricorrente, sussistono giusti motivi per confermare l’integrale compensazione delle spese tra tutte le parti in causa.

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