Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-03-05, n. 201401065
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N. 01065/2014REG.PROV.COLL.
N. 01441/2013 REG.RIC.
N. 01530/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1441 del 2013, proposto da Maya Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. A R C e G M M, con domicilio eletto presso Marenghi &Associati Studio in Roma, piazza di Pietra n. 63;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Comune di Potenza, in persona del sindaco in carica, non costituito;
Associazione di Avvocati "Autonomia Forense", in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Vincenzo Montagna e Leonardo Pinto, con domicilio eletto presso Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;
sul ricorso numero di registro generale 1530 del 2013, proposto dal Comune di Potenza, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Concetta Matera, con domicilio eletto presso Consiglio di Stato Segreteria in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti di
Associazione di Avvocati "Autonomia Forense", in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Vincenzo Montagna e Leonardo Pinto, con domicilio eletto presso Consiglio di Stato Segreteria in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;
Maya Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita;
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi:
della sentenza del T.a.r. Basilicata, Sezione I, n. 00025/2013, resa tra le parti, concernente alienazione immobile con patto di locazione.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e dell’Associazione di Avvocati "Autonomia Forense";
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il Consigliere C S e uditi per le parti gli avvocati Di Giovanni, per delega di Castaldo, Marenghi Enzo Maria, per delega di Marenghi Gherardo Maria, Caselli, Pinto, in proprio e per delega di Montagna, e Matera;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Comune di Potenza, al fine di pervenire al riassetto finanziario del bilancio comunale, avviava procedure per la dismissione del proprio patrimonio immobiliare sia disponibile che indisponibile.
Tra i beni alienabili era stato individuato l'immobile adibito ad uffici giudiziari di mq. 14.022, a suo tempo costruito con diversi finanziamenti statali concessi al Comune ai sensi dell’art. 2 l. n. 26/1957 (contributi erogati con provvedimenti del 20/9/1972 e del 2/3/1978), dell’art. 11 del d.l. n. 662/1979 (contributo erogato con provvedimento del 13/5/1981), dell’art. 28 della legge n. 146/1980 e dell’art. 19 l. n. 119/1981 (contributi erogati con provvedimenti del 6/3/1984, del 12/8/1987, del 17/1/1989 e del 28/11/1991) per un importo complessivo di euro 17.345.160,00.
A sua volta il Comune contribuiva alla costruzione del palazzo con fondi propri e mutui a proprio carico contratti con la Cassa depositi e prestiti per euro 4.751.405,27.
Con deliberazione n. 84 del 30.7.2008 il consiglio comunale dava mandato alla direzione generale dell'ente di definire le procedure amministrative volte alla alienazione dell'immobile, con patto di successiva locazione.
Il direttore generale, con determinazione n. 67 del 22.12.2008, in esecuzione della delibera n. 84/2008, approvava lo schema di avviso pubblico per l'alienazione dell'immobile e con determinazione n. 16/2009 disponeva le condizioni della vendita.
All'acquisto dell'immobile si interessavano prima la Cassa nazionale forense (che però in data 25.9.2009 comunicava al Comune di non voler più proseguire nella trattativa) e successivamente una società immobiliare, la cui proposta d'acquisto (€.38.000.000,00 da pagare in due rate) non veniva ritenuta favorevole per il raggiungimento degli obiettivi finanziari stabiliti con la deliberazione n. 84/2008, dalla direzione per la gestione del patrimonio comunale dell'ente. In data 18.2.2011 la direzione generale dell'ente trasmetteva al dirigente dell'ufficio patrimonio l'offerta di acquisto, con patto di successiva locazione, proposta da altra società denominata Maya Immobiliare s.r.l..
Dopo aver acquisito il parere di congruità del dirigente del locale ufficio patrimonio e la documentazione per la predisposizione degli atti necessari all'alienazione trasmessa dal segretario generale in data 2.5.2011, il dirigente dell'unità di direzione gestione patrimonio, con propria determinazione n. 117 del 6.5.2011, approvava lo schema di avviso pubblico, lo schema di documento descrittivo e lo schema di contratto di locazione inerenti la proposta della Maya Immobiliare s.r.l. che prevedeva un prezzo di acquisto di 32 milioni di euro, un canone di locazione annuale pari a 3,290 milioni di euro ed una durata della locazione di anni trenta.
Con determinazione n. 203 del 6.7.2011 il dirigente dell'unità di direzione gestione patrimonio, preso atto che la gara era andata deserta, avviava la procedura di vendita con la proponente Maya Immobiliare s.r.l., che si concludeva con la sottoscrizione, in data 28.12.2011, del contratto preliminare di vendita e del collegato contratto di locazione.
Avverso i citati provvedimenti il Ministero della Giustizia proponeva ricorso al T.A.R. per la Basilicata, deducendo violazione degli artt. 2 l. n. 26/1957, 11 d.l. n. 662/1979, 28 l. n. 146/1980 e 19 l. n. 119/1981, violazione dell’art. 828, comma 2, c.c., violazione e disapplicazione di provvedimenti ministeriali statali (segnatamente, decreti interministeriali 15/4/1972 e 7/1/1977 di approvazione dei progetti e decreti vari di approvazione delle perizie di variante successive), privazione di causa giuridica ai decreti di finanziamento, eccesso di potere;violazione ed erronea interpretazione dell'art. 29 del d.l. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003;violazione degli artt. 7 e seguenti l. n. 241/1990;violazione ed erronea interpretazione dell’art. 12 della legge n. 127/1997;violazione ed erronea interpretazione dell’art. 1 l. n. 392/1941 e del d.p.r. n. 187/1998.
Il T.A.R. per la Basilicata, con sentenza n. 25 dell'11 gennaio 2013, ha preliminarmente rigettato le eccezioni pregiudiziali sollevate dal Comune di Potenza in ordine alla asserita tardività ed inammissibilità del ricorso. Nel merito, poi, i giudici di primo grado hanno accolto il ricorso proposto dal Ministero della Giustizia ed hanno annullato la deliberazione del consiglio comunale n. 84 del 30 luglio 2008 e tutti gli atti consequenziali.
Avverso la sentenza ha proposto appello, iscritto al n. 1530/2013, il Comune di Potenza, previa istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della stessa.
Con altro ricorso, iscritto al n. 1441/2013, la società Maya Immobiliare s.r.l. ha proposto, a sua volta, appello avverso la citata sentenza del T.A.R. n. 25/2013.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia che ha chiesto di rigettare gli appelli perché inammissibili e infondati in fatto ed in diritto.
Si è costituita in giudizio, altresì, l'associazione di avvocati denominata "Autonomia Forense", chiedendo il rigetto degli appelli.
Con il primo motivo di censura il Comune di Potenza lamenta error in iudicando relativamente alla parte della sentenza del T.A.R. che ha ritenuto infondate le eccezioni di tardività del gravame avverso la deliberazione n. 84/2008 del consiglio comunale di Potenza.
Il Comune insiste nel ritenere la estraneità del Ministero alla procedura negoziata ad evidenza pubblica, avviata dal Comune di Potenza con l'atto deliberativo in contestazione per l'alienazione dell'immobile, perché considerato esso di sua esclusiva proprietà, benché adibito a sede degli uffici giudiziari, con conseguente ritenuta tardività del gravame, perché il termine di impugnazione in tal caso decorrerebbe dalla pubblicazione dei provvedimenti oggetto del ricorso.
Sul punto, che va esaminato preliminarmente, non vi sono ragioni per discostarsi da quanto ritenuto dal T.A.R., atteso che negli stessi atti allegati alla delibera del consiglio comunale n. 84/2008 il Ministero della Giustizia viene riconosciuto quale fruitore del vincolo di destinazione afferente l'immobile, tanto che viene evidenziata la condizione che l'acquirente non debba modificare detta destinazione e viene contestualmente affermato che il Ministero è tenuto per legge al rimborso al comune degli oneri di gestione per l'uso.
Non è contestabile, quindi, che il Ministero della Giustizia sia coinvolto nella vicenda, quale codestinatario degli effetti e delle conseguenze della delibera adottata e che, pertanto, la delibera stessa andava ad esso partecipata.
Con il secondo motivo di censura il Comune lamenta l'erroneità della sentenza del T.A.R. nella parte in cui il tribunale ha ritenuto infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso originario per carenza di interesse dell'amministrazione giudiziaria.
Il Comune sostiene che l'alienazione dell'immobile, di proprietà comunale, non ne avrebbe pregiudicato la destinazione ad uffici giudiziari, essendo stato espressamente previsto il mantenimento del relativo vincolo.
Con il terzo articolato motivo il Comune lamenta error in procedendo e in iudicando, erronea valutazione e travisamento dei fatti, errata percezione ed omessa valutazione delle risultanze processuali, errata interpretazione dell'art. 828, comma 2, cod. civ., errata interpretazione della natura del vincolo di destinazione e violazione e/o errata interpretazione degli artt. 2645 ter e 2645 quater del codice civile.
Il Comune sostiene che sull'immobile in questione, realizzato anche con contributi statali, non ci sarebbe alcun vincolo di inalienabilità, né alcun vincolo di destinazione, che peraltro sarebbe potuto essere apposto dal solo Comune in quanto unico proprietario del bene.
Il Comune sostiene, inoltre, che l'immobile, pur rientrando nel patrimonio indisponibile dell'ente, sarebbe comunque commerciabile, purché ne sia mantenuto il vincolo di destinazione come avvenuto nel caso di specie.
L'Ente locale ritiene, ancora, che l'art. 2645 ter, contrariamente a quanto sostenuto dal T.A.R., avrebbe connotazione pubblicistica, in quanto prevede che le stesse pubbliche amministrazioni possano essere beneficiarie del vincolo derivante dalla trascrizione dell'atto di destinazione.
Con il quarto e quinto motivo il Comune lamenta l'errata applicazione degli artt. 7 e seguenti (ss.) della legge n. 241/1990 e il difetto di motivazione della sentenza gravata. L'ente sostiene che il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere il Ministero della Giustizia soggetto legittimato a ricevere la comunicazione di avvio del procedimento di alienazione dell'immobile, non essendo lo stesso il diretto destinatario del provvedimento finale, non essendoci un diritto di prelazione all'acquisto dell'immobile in capo allo stesso e non essendovi alcun obbligo di acquisire il preventivo assenso del Ministero in merito al trasferimento della proprietà.
Con ulteriore motivo di censura (il sesto) l'appellante Comune lamenta l'errata, omessa o insufficiente motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto erronea la relazione illustrativa della deliberazione consiliare n. 84/2008, riguardante il rimborso del contributo previsto dalla legge n. 392/1941 a favore dei comuni nei quali hanno sede gli uffici giudiziari.
Similmente, nelle proprie censure la Maya Immobiliare s.r.l. nell’appello lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 104/2010, degli artt. 826 e ss., degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, degli artt. 2645-ter e 2645-quater, dell’art. 100 c.p.c., degli artt. 1321 e ss., 1372 del codice civile, dell'art. 2 della legge n. 26/1957, dell'art. 11 del d.l. n. 662/1979, dell'art. 28 della legge n. 146/1980 e dell'art. 19 della legge n. 119/1981, dell’art. 29 d.l. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, dell’art. 12 della legge n. 127/1997, nonché degli artt. 7 e 13 della legge n. 241/1990.
La società sostiene, in particolare, che la sentenza del T.A.R. sarebbe contraddittoria, in quanto da un lato riconosce il difetto di giurisdizione, quanto all'impugnazione del contratto preliminare di compravendita e di quello di alienazione, dall'altro annulla la delibera consiliare n. 64/2008 per profili che riguarderebbero proprio <<i contratti non oggetto di sindacato amministrativo, rispetto ai quali il G.A. non avrebbe potuto “cavillare">>.
La Maya Immobiliare s.r.l. lamenta, ancora, violazione e falsa applicazione dell'art. 826 e seguenti del codice civile, sostenendo che il T.A.R. non avrebbe valutato le modalità di conservazione del vincolo stabilite nella delibera consiliare gravata, vincolo che peraltro sarebbe garantito dall'art. 2645 quater cod. civ., che garantirebbe anche nei confronti dei terzi la stabilità della destinazione. L'appellante assume, inoltre, che le clausole previste nel contratto di locazione garantirebbero il vincolo di destinazione dell'immobile e l'eventuale mancato rispetto di una di esse determinerebbe il venir meno del contratto di locazione e la conseguente risoluzione del contratto di vendita, con il riacquisto della proprietà dell'immobile in capo al comune di Potenza.
Del pari infondato è l’assunto della Maya Immobiliare, laddove la società sostiene che le clausole previste nel contratto di locazione garantirebbero il vincolo di destinazione dell’immobile e che l’eventuale mancato rispetto di una di esse farebbe venir meno il contratto di locazione e determinerebbe la risoluzione del contratto di vendita, con il riacquisto della proprietà dell’immobile in capo al Comune di Potenza.
In particolare la Maya Immobiliare sostiene che il contratto preliminare di compravendita è “causalmente ricollegato ad un contratto di locazione che garantisce la permanenza della utilizzazione del bene come Palazzo di Giustizia” e che la destinazione a palazzo di giustizia “viene garantita con il massimo rigore” perché, "ai sensi dell’articolo 6 del contratto preliminare di compravendita, infatti, la risoluzione del contratto di locazione è causa di risoluzione automatica del contratto di alienazione”.
L’interpretazione data dall’appellante alla clausola contrattuale non è verosimile.
Il contratto preliminare tra la società e il Comune di Potenza, oggetto della scrittura privata numero 5 del 28 dicembre 2011, all’articolo 6 recita: “Clausola risolutiva espressa. Poiché il presente contratto e quello definitivo e il contratto di locazione sono tra di loro necessariamente collegati, il presente contratto si intenderà risolto nel caso in cui non venissero rispettate le condizioni previste nel contratto di locazione, allegato contestualmente al presente atto, del complesso immobiliare a favore degli uffici giudiziari della città di Potenza”.
Come si evince dal tenore letterale della clausola suindicata, nulla è detto, invero, in ordine agli sviluppi del rapporto locatizio in epoca successiva alla sua stipulazione, essendo solo previsto, come portato logico dell’intesa, che il contratto di locazione, da redigersi dopo la sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita, debba rispettare, a pena di risoluzione del contratto stesso, ”le condizioni previste nel contratto di locazione“.
Permangono, pertanto, successivamente all’eventuale stipula del contratto di locazione, gli effetti di legge, propri di tale genere di contratti, legati ad inadempienze delle parti, con conseguenze dirette sul contratto di locazione stesso e non certo immediatamente e direttamente su quello di compravendita.
E comunque il dedotto collegamento tra gli atti negoziali successivi, delineati nell’iniziale delibera del Comune, non garantisce in modo pieno l’interesse pubblico sotteso alla sussistenza e alla permanenza del vincolo di destinazione.
La Maya Immobiliare s.r.l. lamenta, infine, violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale e degli artt. 2645 ter e 2645 quater del codice civile, asserendo che, ai sensi dell'art. 2645 ter, l'atto in questione, essendo un atto tipico, sarebbe meritevole di tutela ab origine, avendo il legislatore riservato la verifica della "meritevolezza della tutela" solo per gli atti atipici. La società sostiene ancora che il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere inapplicabile al caso di specie l'art. 2645 quater per violazione del principio del tempus regit actum, in quanto il contratto definitivo di vendita dell'immobile non era stato ancora stipulato alla data in vigore di detta norma.
Le censure avanzate dai due appellanti, connesse tra loro, necessitano una trattazione contestuale. Entrambi gli appellanti sostengono, di fatto, che la concessione di finanziamenti per la costruzione del Palazzo di Giustizia e l'interesse ad evitare che il comune di Potenza concluda accordi sul presupposto che l'onere della locazione ricada sul Ministero, non legittimerebbe quest'ultimo a sindacare la decisione dell'amministrazione comunale di dismettere un immobile di sua proprietà, essendo garantito l'originario vincolo di destinazione.
Nessun rilevo assumerebbe, poi, l'entità dei contributi, peraltro assai elevati come risulta in atti, ricevuti dal Comune per la costruzione prima e la gestione, poi, dell'immobile, così come la misura del canone locativo e gli aggiornamenti dello stesso, che, ove non condiviso, potrebbe essere oggetto di esame in altra sede.
Orbene, come indirettamente rilevato trattando del primo motivo di censura del Comune, deve preliminarmente osservarsi che la comunicazione dell'avvio del procedimento era necessaria, essendo il Ministero soggetto nei confronti del quale il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti.
In tale occasione, il Ministero avrebbe potuto sottoporre all'ente la "verifica di compatibilità" fra l'alienazione dell'immobile e le condizioni di permanenza della sua destinazione ad uso pubblico e avrebbe potuto avanzare osservazioni su tutto quanto poi eccepito in sede giurisdizionale, coerentemente con le finalità proprie dell'istituto della partecipazione al procedimento per chi vi abbia concreto interesse, ivi compresa quella di una potenziale riduzione del contenzioso.
Come evidenziato dal T.A.R., la lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente, che abilita questi a proporre ricorso, riguarda, in primo luogo, infatti, l'interesse dell'amministrazione giudiziaria al mantenimento dell'attuale configurazione pubblicistica del vincolo posto a base della menzionata fruizione dell'immobile.
Diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, nella sentenza gravata il primo giudice ha tenuto ben conto che il Comune di Potenza, nella programmata vendita del palazzo di giustizia, ha inteso prevedere l'obbligo per l'acquirente di mantenere la destinazione dell'immobile a sede di uffici giudiziari e che, nel mandato alla direzione generale dell'ente di definire le procedure di alienazione, era previsto il patto di locazione con destinazione dello stesso a sede degli uffici giudiziari ed era posta la condizione che l'acquirente non ne dovesse modificare le vigenti condizioni di uso.
Tuttavia, occorre preliminarmente chiedersi se, nella fattispecie, si sia in presenza di una vicenda traslativa del bene effettivamente priva di riflessi modificativi del vincolo di destinazione.
E’, invero, riconosciuto dalle parti che, nel caso di specie, il bene in questione è da considerarsi, quanto al regime giuridico che lo riguarda, un bene indisponibile.
Conseguentemente si deve osservare che i beni facenti parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 828 c.c.) e tale regola comporta la nullità di tutti gli atti preordinati ad incidere sulla destinazione del bene, diversi da quelli di volta in volta previsti dalle leggi.
Dal vincolo dei beni in esame in ordine alla loro destinazione, si evince che il regime giuridico che li riguarda risulta di pregnanza pubblicistica, che, seppure attenuata rispetto ai beni demaniali, impone sempre e comunque che resti fermo il loro vincolo di destinazione a finalità pubbliche.
La giurisprudenza, peraltro, si è orientata ad estendere ai beni del patrimonio indisponibile regime giuridico sostanzialmente analogo a quello dei beni demaniali, sia sotto il profilo della incommerciabilità, che della tutela in via amministrativa, così come si ricava, estensivamente, dalla ordinanza della Corte di Cassazione n. 17295/2003, per casi di affidamento di appalto di servizi all'interno di un bene pubblico rientrante tra i beni patrimoniali indisponibili ai sensi dell'art. 830 c.c..
La nota che qualifica la specialità dei beni demaniali e patrimoniali indisponibili, rispetto a quelli del patrimonio disponibile, è costituita proprio dalla circostanza che i primi sono utilizzabili secondo modalità determinate, nelle quali il rispetto del vincolo funzionale della destinazione pubblica impone l'applicazione di regole di matrice pubblicistica e autoritativa.
Ed è innegabile che nel costituendo contratto di locazione, tra il Comune di Potenza e l'acquirente Maya Immobiliare, regolato solo dal codice civile, il vincolo di destinazione perderebbe la pregressa connotazione pubblicistica e le conseguenze contrattuali, con le previsioni proprie del diritto comune.
Non è condivisibile, poi, quanto sostenuto dagli appellanti, che a connotare il vincolo di destinazione come pubblico o privato non sia il soggetto proprietario del bene vincolato bensì l'interesse perseguito attraverso la posizione del vincolo, perché ciò è contraddetto dai fatti, solo se si consideri quanto previsto dagli articoli 3 e 9 dello schema contrattuale predisposto dalle parti, rispettivamente in tema di recesso illegittimo delle parti e di ritardo di pagamento del canone locativo o di qualsiasi somma dovuta dal Comune al locatore, circostanze tutte che determinano la conseguente risoluzione per colpa del contratto.
Gli appellanti censurano la decisione del T.A.R., anche laddove il Tribunale ha ritenuto inapplicabile al caso di specie l'art. 2645 quater del cod. civ., perché la norma è successiva all'adozione degli atti impugnati, sostenendo essi che il citato articolo sarebbe al contrario utilmente applicabile, in quanto la procedura di alienazione dell'immobile, con vincolo di destinazione e con obbligo di locazione, non si sarebbe perfezionata in mancanza di adozione di un provvedimento definitivo da parte del Comune.
Anche questa censura non è condivisibile.
Al riguardo, si osserva, infatti, che l'art. 2645 ter del codice civile prevede che il vincolo di destinazione sia opponibile ai terzi e i beni "vincolati" sono sottratti ad azioni esecutive, ma su basi privatistiche e suscettibili di giudizio di merito sottoposto alla volontà delle parti, al di fuori delle regole pubblicistiche.
L'art. 2645 quater (trascrizione di atti costitutivi di vincolo), peraltro entrato in vigore col D.L. 2 marzo 2012 n. 16, successivamente all'adozione degli atti impugnati, ha certamente funzione di pubblicità notizia, ma non offre alcuna certezza quanto all'opponibilità dei vincoli richiamati.
Quanto sopra significato preclude anche che risulti utile a sostegno delle proprie ragioni quanto rappresentato dalla "Maya Immobiliare s.r.l." nella ulteriore memoria, nella quale si evidenzia la intervenuta sottoscrizione di un atto unilaterale d'obbligo, costitutivo del vincolo di destinazione permanente ad uso pubblico dell'immobile e trascritto nelle forme di legge.
Tanto proprio per i limiti della opponibilità del vincolo a terzi e perché permane, comunque, la possibilità di recesso delle parti per inadempimento contrattuale, come sopra descritto.
Infondato, oltre che generico, perché privo di concrete censure, è l'ulteriore motivo di appello della sentenza impugnata, laddove il T.A.R., in modo invece esplicito e condivisibile, ha sostenuto che l'art. 29 del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003, disciplina esclusivamente la cessione di immobili statali ed è stato ancora ritenuto improprio il richiamo, effettuato negli atti impugnati, all'art. 12 della legge 127/1997;norma quest’ultima che si applica solo alla vendita di beni patrimoniali disponibili e che, per la sua operatività, richiede comunque l’emanazione di un regolamento dell’ente locale interessato (nella specie mai intervenuta).
La Maya Immobiliare s.r.l. lamenta, infine, violazione e falsa applicazione dell'art. 100 del cod. proc. civ., in quanto la sentenza del T.A.R. avrebbe riconosciuto, all'associazione di avvocati denominata "Autonomia Forense", la legittimazione all'intervento nel giudizio ad adiuvandum, pur in difetto di requisiti e condizioni.
Come precisato dal T.A.R., lo statuto dell'associazione prevede che la stessa ha, tra i propri scopi, la promozione di iniziative volte alla migliore gestione degli uffici giudiziari, per cui, nel caso di specie, l'intervento risulta giustificato dalla ritenuta necessità di salvaguardare l'immobile da possibili pregiudizi sulla sua funzionalità e non è contestabile che gli avvocati, quali primari operatori della giustizia, abbiano specifico interesse al riguardo.
Nella memoria prodotta, l'associazione correttamente rileva come il Ministero "avesse la posizione giuridica riconducibile a quella di soggetto destinatario degli effetti economici della statuizione amministrativa adottata per cui la deliberazione doveva essere notificata o comunicata individualmente a quell’autorità". Ciò nella considerazione che il contributo sul fitto "del tutto nuovo e di importo rilevantissimo" doveva far carico al Ministero stesso.
Non conferenti in questa sede risultano, invece, le considerazioni dell'associazione circa il valore venale attribuito all'immobile e il corrispettivo pattuito per la sua locazione con le intervenute variazioni, fermo restando che il Ministero effettivamente non avrebbe certo potuto accettare tale esborso supinamente, non solo in caso di onere integrale a suo carico del pagamento, ma anche nel caso più corretto di corresponsione di un contributo parziale.
Conclusivamente entrambi gli appelli sono infondati e vanno respinti.
Attesa la peculiarità della problematica trattata sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell'attuale grado di giudizio.