Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-23, n. 202302991
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 23/03/2023
N. 02991/2023REG.PROV.COLL.
N. 04664/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4664 del 2021, proposto da -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati F S e S F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F S in Roma, Lungotevere delle Navi, 30; e da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati F C e M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
contro
la Corte dei conti, in persona del Presidente pro tempore , la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore , il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore , la Corte dei conti - Segretariato Generale, in persona del Segretario Generale pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
l’Istituto nazionale di previdenza e assistenza sociale - INPS, in persona del Direttore pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Dario Marinuzzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Prima, n. 1405/2021, in materia di applicabilità del cd. divieto di cumulo di cui all'art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Corte dei conti, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'economia e delle finanze e della Corte dei conti - Segretariato Generale;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’INPS;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2023 il Cons. Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati F S e F C e l'avvocato dello Stato Paola De Nuntis;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti hanno impugnato, chiedendone l'annullamento, i provvedimenti individuali con cui il Segretariato generale della Corte dei conti ha comunicato il recupero di somme non dovute nel periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre 2014, in quanto eccedenti il limite retributivo annuale, ai sensi dell’art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nonché gli atti ad esso presupposti, fra cui, in particolare, la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3/2014, recante le “ Nuove disposizioni in materia di limiti alle retribuzioni e ai trattamenti pensionistici - articolo 1, commi 471 e ss. della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per 2014) ”.
1.1. Inoltre, con i motivi aggiunti notificati in data 12 dicembre 2014 e depositati il successivo 15 dicembre, hanno prospettato vizi di illegittimità derivata, estendendo l’impugnazione alle note, sempre individuali, con cui il medesimo Segretariato generale, nell’indicare le modalità di recupero delle predette somme, ha chiesto la restituzione di un importo comprensivo anche delle ritenute previdenziali e di quelle relative alla corresponsione del trattamento di fine servizio.
1.2. I ricorrenti hanno chiesto, inoltre, l’accertamento del diritto a percepire interamente gli emolumenti connessi al servizio prestato come magistrato della Corte dei conti nel suddetto periodo, nonché a vedersi versati i relativi contributi previdenziali e gli accantonamenti ai fini del trattamento di fine servizio, con conseguente condanna dell’Amministrazione a versare quanto ancora dovuto e a restituire le somme nelle more indebitamente trattenute o recuperate.
2. Per meglio comprendere i fatti oggetto di impugnativa, è opportuno ripercorrere brevemente le vicende che hanno preceduto l’emanazione degli atti impugnati, nonché i successivi sviluppi processuali in cui si è articolato il contenzioso.
Più nel dettaglio, i ricorrenti, all’epoca dei fatti, erano ex consiglieri della Camera dei deputati o ex consiglieri del Senato della Repubblica, successivamente nominati dal Governo consiglieri della Corte dei conti ai sensi dell’art. 7 del R.D. n. 1214/1934 e del d.P.R. n. 385/1977.
Essendovi incompatibilità fra le funzioni di consigliere parlamentare e di consigliere della Corte dei conti, gli stessi sono stati collocati a riposo all'indomani della nomina, vedendosi così riconosciuto, in ragione dell'anzianità di servizio maturata, il diritto al trattamento di quiescenza previsto dai regolamenti interni di Camera e Senato.
Sino all'adozione dei provvedimenti impugnati in primo grado, pertanto, gli appellanti hanno percepito sia la retribuzione di consigliere della Corte dei conti, sia il trattamento di quiescenza erogato, nei loro rispettivi riguardi, dalla Camera e dal Senato.
Ad un certo punto, è accaduto che il Segretariato generale della Corte dei conti gli ha comunicato di ritenere applicabile nei loro confronti il regime concernente il cd. divieto di cumulo di cui all'art. 1, comma 489, della legge n. 147/2013, chiedendo la restituzione degli emolumenti percepiti nel corso dell'anno 2014, eccedenti il limite retributivo annuale.
In particolare, l’Amministrazione comunicava che “ il versamento dell’importo non dovuto al netto delle ritenute dovrà essere effettuato entro il 15 dicembre p.v. al fine di consentire la corretta emissione della certificazione dei redditi da lavoro dipendente (CUD) ” e che (…) “ nel caso in cui il versamento sia effettuato in data successiva al 31 dicembre 2014, in applicazione della normativa
fiscale, la somma da restituire dovrà necessariamente essere pari all’importo lordo …, comprensivo delle ritenute versate nel 2014 con riferimento al periodo indicato ”, e motivava la doverosità del recupero sulla base dell’applicazione dell’art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che, in combinato disposto con l’art. 23- ter del decreto legge n. 201/2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 214/2011, e con l’art. 13, comma 1, del decreto legge n. 66/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89/2014, vieta alle Amministrazioni pubbliche di erogare, a beneficio di soggetti già titolari di trattamenti pensionistici a carico di gestioni previdenziali pubbliche, retribuzioni che, sommate alle pensioni percepite, superano l'importo
della retribuzione annua onnicomprensiva spettante al Primo Presidente della Corte di cassazione.
3. Ritenendosi lesi nella propria sfera giuridica ed economica, i ricorrenti ha impugnato le suddette determinazioni amministrative, deducendo i seguenti motivi:
i) violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, in quanto i ricorrenti, nell’anno 2014, hanno percepito un trattamento di quiescenza erogato direttamente dalla Camera dei deputati e dal Senato, mentre la norma limita la propria applicazione ai “ soggetti già titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche ”;
ii) violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, per non avere, l'Amministrazione, applicato la deroga concernente “ i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza ”, nonostante i ricorrenti fossero pubblici funzionari già in carica all'entrata in
vigore della previsione di legge;
iii) in via subordinata, illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, per violazione degli artt. 3 e 117, comma 1, Cost., in riferimento all'art. 6 della CEDU, in ragione del trattamento irragionevolmente deteriore riservato ai ricorrenti rispetto a quello degli altri funzionari e dipendenti al servizio delle Pubbliche Amministrazioni, nonché per l'irragionevole lesione del legittimo affidamento (tutelato dall'art. 6 CEDU), non giustificato né sul piano del contenimento della spesa pubblica, né da altro interesse di rilievo costituzionale;
iv) ancora in via subordinata, illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, per violazione degli artt. 3, 4, 36, 53, 97, 100, 101, 104 e 108 Cost., in quanto il meccanismo del tetto massimo degli emolumenti comporta la forte decurtazione o addirittura l’azzeramento della remunerazione della funzione di consigliere della Corte dei conti, in violazione
degli artt. 4 e 36 Cost., determinando altresì un vulnus allo status di indipendenza e autonomia garantito ai magistrati dagli artt. 100, 101, 104 e 108 Cost., risolvendosi nell'imposizione di un prelievo fiscale speciale illegittimo, in quanto contrastante con gli artt. 3 e 53 Cost.
Inoltre, essendo la nomina a consigliere della Corte dei conti riservata, ai sensi art. 7, del R.D. n. 1214 del 1934, a coloro che hanno già conseguito, quanto meno, la qualifica di direttore generale o ispettore generale nell'Amministrazione statale o nelle Amministrazioni ad essa equivalenti, ovverossia a persone che hanno normalmente già conseguito il diritto al trattamento di quiescenza, la disposizione risulterebbe altresì irragionevolmente contraddittoria e in contrasto con l’art. 97 Cost., in quanto penalizza e disincentiva l'assunzione nei ruoli della magistratura contabile dei migliori curricula disponibili;
v) ancora, illegittimità dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 per