Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-04-16, n. 201202189

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-04-16, n. 201202189
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201202189
Data del deposito : 16 aprile 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05610/2008 REG.RIC.

N. 02189/2012REG.PROV.COLL.

N. 05610/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5610 del 2008, proposto dal:
sig. G D M, rappresentato e difeso dagli avv. A V e N P, con domicilio eletto presso il primo di detti difensori, in Roma, via Ennio Quirino Visconti, n. 61;

contro

il Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e Consiglio Centrale di Disciplina, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio - Roma - Sezione I^ quater - n. 06993 del 25 luglio 2007, resa tra le parti, concernente sanzione disciplinare della destituzione dal servizio;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;

Viste le memorie difensive prodotte dalle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2012 il Cons. G R e uditi per le parti gli avvocati N P e Verdiana Fedeli dell’Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. - Con ricorso al TAR del Lazio il sig. G Mario Davide, già agente scelto del Corpo di Polizia Penitenziaria, impugnava il decreto ministeriale n. 287755 del 5 novembre 2002 di sua destituzione dal servizio dal 7 luglio 2003 per motivi disciplinari, nonché il verbale del Consiglio Centrale di Disciplina del 23 settembre 2003 e tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali deducendo l’illegittimità di detti atti con i quattro motivi di impugnazione proposti.

2. - Con sentenza n. 6993 del 25 luglio 2007 il Giudice di primo grado ha rigettato il ricorso perché ha ritenuto:

i)- infondata in fatto, tenuto conto dei contenuti concreti del parere reso dalla Commissione di Disciplina e del decreto impugnati, la doglianza che detti atti si fonderebbero esclusivamente sui fatti accertati nelle sentenze penali di condanna, poi annullate senza rinvio dalla Cassazione per intervenuta prescrizione del reato, e non anche, come dovuto, su autonomi accertamenti ed autonoma motivazione dell’organo disciplinare;

ii)- infondate, altresì, le censure di violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 449 del 1992 (per non avere la contestazione di addebiti chiaramente indicato i fatti contestati) e dell’art. 15 dello stesso decreto (per non aver concesso all’inquisito l’audizione da questi richiesta e non avere la Commissione acquisito le dichiarazioni rese dai testimoni dinanzi all’autorità giudiziaria penale) in quanto, sotto il primo profilo, é chiara e precisa la contestazione di aver compiuto atti contrari al proprio ufficio consegnando indebitamente a detenuti bevande alcoliche in cambio di merce di vario tipo, tra cui lampadari;
sotto il secondo profilo, l’audizione richiesta in sede istruttoria è generica e, per di più, né il difensore, né l’inquisito, pur potendo, nulla hanno richiesto o eccepito in proposito in sede di discussione innanzi alla Commissione di Disciplina, con la conseguenza che è da escludere anche qualsivoglia violazione delle garanzie di difesa;
sotto il terzo profilo, in nulla avrebbe potuto giovare all’inquisito l’acquisizione delle testimonianze rese in sede penale visto che nei primi due gradi di giudizio questi è stato condannato;

iii)- infondata, inoltre, la censura di violazione dei termini perentori di cui agli articoli 16 e 17 del d.lgs. n. 449 del 1992 avuto presente, per un verso, che detti termini sono ordinatori, alla stregua della condivisibile giurisprudenza amministrativa in materia, e che la notifica del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare riguarda la fase della comunicazione dell’atto, ma non anche quella del suo perfezionamento;
per altro verso, che il termine di 180 giorni di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990, che sembra essere stato invocato dal ricorrente, non trova applicazione nella fattispecie poiché il procedimento disciplinare in questione “...fa seguito a sentenza di proscioglimento…” ed, “…in quest’ultimo caso, non vi è previsione di termini di durata massima del procedimento disciplinare, ma sono invece imposti i diversi termini di cui all’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 449 del 1992…” (n.d.r. cioè 120 giorni), nonché “…il termine endoprocedimentale di novanta giorni tra un atto ed il successivo, ai sensi della norma generale di cui all’art. 120 del d.P.R. n. 3 del 1957…” ;

iv)- non condivisibile la doglianza di omessa valutazione, in ossequio all’art. 11, lettera a), del d.lgs. n. 449 del 1992, dei precedenti di servizio e disciplinari del ricorrente, nonché delle circostanze attenuanti, tenuto conto che il Consiglio di disciplina “…non ha ignorato…” questi profili poiché il deliberato dà espressamente atto “…delle prospettazioni effettuate al riguardo dal difensore del ricorrente…” sulla base di tutta la documentazione depositata dallo stesso difensore inerente, in particolare, “…i giudizi informativi…” , il “…ventennale comportamento tenuto in servizio…” e le contestazioni mosse alla relazione del funzionario istruttore, nonché considerato che alcuna incidenza può avere sulla legittimità della deliberazione l’omessa indicazione formale di avere applicato la disposizione di legge anzidetta;

v)- infondata, infine, la denunzia di manifesta anomalia e sproporzione della sanzione irrogata, proposta in relazione alla omessa considerazione dei 15 anni trascorsi dai fatti commessi (1987), del contesto operativo, della giovane età al tempo del ricorrente, del curriculum professionale e dell’intervenuto proscioglimento in sede penale per estinzione del reato, in quanto, premesso che risulta effettuata la valutazione di tutte le circostanze attenuanti e di carriera, è da ritenere esente da vizi logici e carenze valutative “..l’asserzione di coincidenza fatta dall’Amministrazione, tra quegli addebiti e quelle fattispecie…” ed, inoltre, la deliberazione adottata può ritenersi “…logicamente ed ermeneuticamente più corretta di quella proposta dal ricorrente… ” (di applicazione alla fattispecie della più lieve sanzione della sospensione dal servizio, prevista dell’art. 5 del d.lgs. n. 449 del 1992) considerato che le norme sanzionatorie sono tipiche e che i fatti contestati rientrano espressamente nella previsione dell’art. 6 dello stesso decreto, cioè della norma applicata nel caso in esame;
né è rilevante l’eventuale questione di costituzionalità riguardante i contenuti non simmetrici delle norme dell’art. 5 e 6 del citato decreto, essendo stata fatta applicazione nella fattispecie soltanto la seconda di dette norme.

3. - Con l’appello in epigrafe il sig. G, dopo aver affermato di riproporre tutti le censure articolate in primo grado, intendendosi esse ritrascritte nello stesso appello, ha chiesto la riforma della sentenza impugnata articolando i seguenti motivi:

1) – carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza sul dedotto vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento del fatto, manifesta contraddittorietà, violazione del giusto procedimento e del principio di buona fede;

2) – motivazione illogica e contraddittoria sul dedotto vizio di eccesso di potere per violazione dei termini procedimentali di cui all’art. 16 e 17 del d.lgs. n. 449 del 1992 e per violazione del termine di durata massima del procedimento disciplinare;

3) – carenza di motivazione sul dedotto vizio di sviamento di potere per carenza istruttoria e di motivazione e violazione dell’art. 11, lettera a), del d.lgs. n. 449 del 1992 per mancata valutazione delle circostanze attenuanti e dei precedenti disciplinari;

4) – carenza ed illogicità della motivazione sul dedotto vizio di sviamento di potere per applicazione della sanzione più grave ed ingiustizia manifesta;

5) – eccesso di potere per difetto di istruttoria conseguente al mancato accertamento del fatto.

4. - Si è costituita in giudizio l’Amministrazione della Giustizia che con memoria ha argomentato in ordine all’infondatezza dell’appello del quale ha chiesto la reiezione.

5. - Con ordinanza n. 4084, adottata nella camera di consiglio del 29 luglio 2008, la Sezione ha rigettato l’istanza cautelare proposta dal sig. G di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata “…verificata l’insussistenza di profili che ad un sommario esame possano determinare un esito favorevole del ricorso di appello in relazione alle censure dedotte…”.

6. - Con atto depositato il 16 novembre 2011 si è costituito quale difensore aggiunto del sig. G anche l’avv. N P.

7. - Con memoria depositata il 27 gennaio 2012 l’appellante ha ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive confermando la richiesta di accoglimento dell’appello e, per l’effetto, del ricorso di primo grado.

8. - All’udienza pubblica del 28 febbraio 2012 l’appello è stato assegnato in decisione.

DIRITTO

1. - E’ appellata la sentenza n. 6993 del 25 luglio 2007 con il Giudice di primo grado ha rigettato il ricorso del sig. G Mario Davide, già agente scelto del Corpo di Polizia Penitenziaria, avverso il decreto ministeriale n. 287755 del 5 novembre 2002 di sua destituzione dal servizio per motivi disciplinari, con decorrenza dal 7 luglio 2003, nonché il verbale del Consiglio Centrale di Disciplina del 23 settembre 2003 che ha proposto detta sanzione espulsiva e tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali.

2. - Con il primo motivo di appello il sig. G ha articolato tre profili di critica alla sentenza impugnata.

2.1 - Con il primo di essi sostiene che la sentenza del TAR si sarebbe sostanzialmente appiattita sulla motivazione resa dall’organo disciplinare senza tener conto, come pure rilevato in ricorso, che erano stati posti a fondamento della sanzione irrogata fatti che sono stati travolti dalla sentenza della Corte di Cassazione laddove, applicando la prescrizione per fatti avvenuti nel 1987, ha annullato senza rinvio entrambe le sentenze di condanna di primo e di secondo grado. Dunque, la Commissione disciplinare non avrebbe operato alcun autonomo accertamento istruttorio, né alcuna autonoma ponderazione dei presupposti, né alcun autonomo apprezzamento valutativo dell’intera posizione dell’inquisito e la sentenza impugnata sarebbe errata sul punto per non avere ritenuto illegittima detta deliberazione.

La tesi non può essere condivisa per le seguenti considerazioni.

La sentenza penale che applica la prescrizione non ha natura ed effetti di “proscioglimento” , come assume l’appellante, poiché essa ha valenza esclusivamente processuale, nel senso che prende atto dell’improcedibilità verificatasi per factum principis , come ritiene la prevalente giurisprudenza, che il Collegio condivide, ed afferma anche la dottrina più autorevole.

Inoltre, giova considerare che, secondo condivisibile orientamento della Corte di Cassazione ( cfr. sul principio ad es. Sez. I^, n. 16559 del 5 agosto 2005 ), nell’ipotesi di sentenza penale definitiva di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, sono utilizzabili gli accertamenti effettuati nella relativa sede processuale, tenere conto di tutti gli elementi di prova acquisiti ed anche ripercorrere lo stesso iter argomentativo del giudice penale e giungere alle medesime conclusioni.

Consegue che non può fondatamente imputarsi alcun difetto o carenza di istruttoria nel caso di specie, poiché, alla stregua di quanto è deducibile dagli atti del procedimento disciplinare, i fatti contestati, previamente individuati dal funzionario istruttore, sono stati autonomamente valutati dalla Commissione di disciplina, unitamente alle difese svolte dall’inquisito e dopo aver ascoltato anche il difensore di quest’ultimo che, peraltro, nulla ha eccepito in ordine ad eventuali carenze istruttorie o violazione del diritto di difesa.

Il percorso logico seguito per pervenire alla contestata deliberazione può ritenersi, pertanto, correttamente costruito ed espresso laddove, in particolare, detta Commissione ha spiegato per quali ragioni i fatti accertati dovessero essere ritenuti di gravità tale da comportare l’applicazione della massima sanzione disciplinare, sol che si tenga presente quanto evidenziato con la parte di motivazione, di certo non irragionevole né incongrua, che pone in risalto come “…il G ha dimostrato di non possedere quelle doti necessarie per essere un buon operatore penitenziario. Ha soprattutto dimostrato una preoccupante debolezza aggravata dal fatto che è maturata in un particolare contesto operativo ove la fermezza e la consapevolezza del proprio ruolo sono ingredienti necessari per essere in grado di poter offrire una collaborazione valida al raggiungimento dei fini istituzionali dell’Amministrazione. In definitiva, ha dimostrato una mancanza del senso morale o di senso dell’onore, piegandosi alla volontà di pericolosi criminali;
ha violato sicuramente la promessa dei doveri assunti con il giuramento ed ha sicuramente compromesso in modo irreparabile il rapporto di fiducia che l’Amministrazione Penitenziaria aveva riposto in lui…”
.

2.2 - Con il secondo profilo di critica l’appellante sostiene che il TAR avrebbe disatteso la specifica censura dedotta di violazione da parte dell’Amministrazione dell’articolo 12 del d.lgs. n. 449 del 1992 poiché, pur riferendosi la contestazione della sede penale ai presunti fatti avvenuti nel carcere di Reggio Calabria e pur avendo il ricorrente indicato che “…nessuna responsabilità gli è stata attribuita dal giudice penale per fatti avvenuti nel carcere di Palmi…” , detto Tribunale avrebbe convalidato l’errore, certamente non materiale, commesso dal funzionario istruttore nell’indicare il luogo in cui sarebbero stati compiuti dall’inquisito gli atti contrari al proprio ufficio e, quindi, nel contestare gli addebiti “…per un fatto diverso per tempi e per luogo…” , laddove precisa che i fatti sarebbero accaduti “…quando il G era in servizio presso la Casa circondariale di Palmi…” .

La tesi, seppur abilmente proposta, non può essere condivisa.

Ed invero, un attento esame degli atti del procedimento disciplinare mostrano come sia la contestazione degli addebiti, sia la delibera della Commissione di disciplina, facciano riferimento ai fatti accertati in sede penale e cioè a quelli individuati nelle sentenze della Corte di Assise di Reggio Calabria e della Corte di Assise di appello, per cui non può sussistere alcun possibile dubbio su quali siano effettivamente i fatti addebitati disciplinarmente al dipendente e quelli valutati dalla predetta Commissione.

Né può contestarsi l’utilizzo dei relativi accertamenti penali, tenuto conto di quanto già affermato nel capo di motivazione che precede circa la natura e gli effetti della sentenza penale di “proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato” e circa la possibilità di utilizzazione in altra sede extrapenale degli accertamenti effettuati in tale sede di “proscioglimento”.

2.3 - Infine, vanno disattese anche le deduzioni formulate con il terzo dei profili in esame tenuto conto che la norma invocata dall’appellante dell’art. 15 del d.lgs. n. 449 del 1992 ben può ritenersi rispettata nel caso in esame per le stesse motivazioni rese dal primo Giudice.

Ed invero, essa non impone alcun obbligo al funzionario istruttore di ascoltare l’inquisito per cui l’istruttoria non può ritenersi completa se, pur in presenza di una richiesta dell’interessato, quest’ultima non venga accolta.

Il diritto di difesa dell’incolpato risulta del tutto rispettato in fase istruttoria attraverso l’indicazione dei fatti addebitati, l’assegnazione di un termine congruo per controdedurre e l’acquisizione delle giustificazioni eventualmente prodotte dall’interessato che sono tutti adempimenti correttamente posti in essere nella specie.

Pertanto, alcuna incidenza sulla legittimità degli atti impugnati può avere la circostanza dell’omessa audizione dell’interessato da parte del funzionario istruttore che, peraltro, a ben vedere è stata circostanza neppure ritenuta essenziale dallo stesso inquisito, tenuto conto che di nulla al riguardo si è doluto innanzi alla Commissione di Disciplina, né per il tramite del proprio difensore, che pure ha svolto specifico intervento in quella sede, né allorquando gli è stata data dal Presidente “la parola” per fare proprie dichiarazioni.

3. - Con il secondo motivo di appello il sig. G afferma che sarebbe errata la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha deciso la censura di eccesso di potere per violazione dei termini procedimentali di cui all’art. 16 e 17 del d.lgs. n. 449 del 1992 e per violazione del termine di durata massima del procedimento disciplinare, perché l’affermata natura ordinatoria, anziché perentoria, di detti termini si porrebbe in contrasto con il fatto che essi sono stati “…espressamente previsti dal legislatore per garantire la celerità dell’attività amministrativa quando questa incide su interessi primari, quali il lavoro…” e perché, quanto al termine di durata massima del procedimento disciplinare, “…sarebbe oltremodo ingiusto ed illogico ritenere applicabile al dipendente sospeso il termine di 270 giorni, determinato dalla somma di giorni 180 + 90…” .

Detto motivo non ha pregio per le seguenti ragioni.

3.1 - E’ pacifico l’avviso giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, che il carattere ordinatorio o perentorio dei termini stabiliti in materia di procedimento disciplinare a carico di pubblici dipendenti discende dagli effetti che la fonte regolatrice del rapporto ricollega alla loro osservanza, tenuto conto che, in base al principio sancito dall'art. 152 c.p.c., i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori tranne che la legge stessa li dichiari perentori.

Nella specie le norme degli articoli 16 e 17 in esame hanno chiara natura ordinatoria non essendo prevista alcuna decadenza in ipotesi di loro inosservanza.

3.2 - Inoltre, neppure possono condividersi le ulteriori critiche concernenti i termini di inizio e di compimento del procedimento disciplinare, poiché la sequenza temporale del caso in esame può ritenersi conforme a quanto sancito, con riferimento al primo di detti termini, dall’art. 97, comma terzo, del T.U. impiegati civili dello Stato (inizio del procedimento entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di non doversi procedere perché il reato è estinto) e, con riferimento al secondo, dall’art. 120 del medesimo T.U. innanzi citato, che trova applicazione in carenza di espresse disposizioni al riguardo nel d.lgs. n. 449 del 1992.


4. - Con il terzo motivo l’appellante sostiene che la sentenza impugnata sarebbe errata con riferimento al dedotto vizio di sviamento di potere per carenza di istruttoria e di motivazione, nonché per violazione dell’art. 11, lettera a), del d.lgs. n. 449 del 1992, per mancata valutazione delle circostanze attenuanti e dei precedenti disciplinari del ricorrente, tenuto conto che le argomentazioni espresse sarebbero “…apodittiche e contraddittorie…” avendo il TAR, da un lato, ammesso che detti precedenti di carriera sono stati riportati nel verbale e che non v’è alcun riferimento ad essi nella delibera della Commissione di Disciplina e, dall’altro, giustificato il comportamento di detta Commissione in quanto l’omissione non equivarrebbe alla mancata considerazione dei relativi profili. Così operando, però, lo stesso TAR avrebbe sostanzialmente sostituito la motivazione dell’atto impugnato con quella propria.

L’assunto è smentito, innanzi tutto, dal contenuto del verbale della Commissione di disciplina n. 428 del 23 settembre 2002 riguardante l’apporto dato dal difensore del ricorrente in sede di discussione del caso;
inoltre, è contrastato dalle complessive valutazioni operate dalla predetta Commissione con la propria delibera che va valutata tenendo conto, ovviamente, del contenuto di tutti gli atti istruttori ad essa presupposti che non possono non ritenersi conosciuti dal predetto organo e, quindi, condivisi.

Non rileva, infatti, che non vi sia stata espressa menzione nella motivazione di detta delibera delle circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio, del carattere dell’inquisito, della sua età all’epoca dei fatti, della qualifica e dell’anzianità di servizio da quest’ultimo possedute poiché la concreta ponderazione di tali elementi emerge dalla motivazione allegata alla delibera, già riportata nel capo di motivazione che precede n. 2.1, laddove la Commissione di Disciplina opera un concreto bilanciamento dei fatti accertati con il ruolo ed il comportamento del dipendente per trarne, poi, le conclusioni decisorie del caso.

Sotto detto profilo la decisione del primo Giudice è pienamente condivisibile e, dunque, non può affermarsi che questi abbia “prestato” la motivazione al provvedimento impugnato perché é dagli atti del procedimento che il convincimento espresso è direttamente ritraibile allorquando, come nella specie, si sia in presenza di fatti e comportamenti di tale negativo di rilievo da travolgere l’essenza stessa delle funzione affidata dalla legge al dipendente, oltre che il giuramento a tal proposito prestato da quest’ultimo.

Né può condividersi l’assunto che il Giudice di prima istanza abbia “…dimenticato l’esistenza del principio di tipicità delle singole fattispecie dell’illecito disciplinare e delle relative misure afflittive…” , laddove ha fatto rientrare la fattispecie nel campo dell’applicazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 449 del 1992, anziché nel più consono art. 5, lettera m) ed o), poiché la norma applicata prevede espressamente l’ipotesi applicativa qui considerata ed il criterio di particolare rigore seguito dalla Commissione di Disciplina trova riscontro nella disposizione della lettera b) del primo comma dell’art. 11 dello stesso decreto n. 449, laddove il legislatore detta il criterio che debbano essere sanzionate con maggior rigore le mancanze commesse in servizio, che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio ed indicanti scarso senso morale.

Inoltre, come ben osserva la difesa dell’Amministrazione, i fatti commessi dall’appellante (cioè commerciare con delinquenti all’interno di istituto di pena collocato in area di particolare densità ed incidenza della delinquenza organizzata) assumono ancor più grave rilievo, per la loro evidente pericolosità, che rende ragionevole la sanzione massima applicata.

Ogni altra deduzione impinge, poi, nel merito delle valutazioni rimesse esclusivamente all’Amministrazione e, dunque, è inammissibile nella presente sede di legittimità.

5. - L’ultimo dei motivi di impugnazione non può non seguire la stessa sorte negativa dei precedenti poiché la richiesta istruttoria formulata dal sig. G, a ben vedere, è stata dallo stesso direttamente soddisfatta già nel corso del procedimento disciplinare allorquando, innanzi alla Commissione di Disciplina, il proprio difensore ( cfr. verbale n. 428 della Commissione di disciplina del 23 settembre 2003, rubricato doc. n. 6, in produzione del ricorrente in primo grado ), ha depositato in atti, oltre a dichiarazioni testimoniali, “…lo stato matricolare ed i rapporti informativi degli ultimi dieci anni…” e le “…note di compiacimento…” inviategli dall’Amministrazione per il servizio prestato, e cioè quanto oggi si duole che non sia stato acquisito.

In breve, la richiesta non ha alcuna valenza processuale apprezzabile, risultando in atti, oltre quanto già segnalato più innanzi con riferimento alla fase procedimentale amministrativa, che le parti hanno comunque prodotto in questa sede giurisdizionale, sia in primo che in secondo (ed attuale) grado, tutto ciò che era effettivamente utile ai fini del decidere.

6. - In conclusione, l’appello non merita di essere accolto e, quanto alle spese del presente grado di giudizio, ritiene il Collegio che possa disporsi la compensazione delle stesse spese tra le parti, in deroga ai principi recati dall’art. 26 C.P.A., atteso che la vicenda è sostanzialmente riconducibile alla materia del lavoro ed anche considerato quanto dichiarato dall’appellante circa la sua condizione familiare.

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