Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-05-14, n. 201502464

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-05-14, n. 201502464
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201502464
Data del deposito : 14 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04006/2014 REG.RIC.

N. 02464/2015REG.PROV.COLL.

N. 04006/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4006 del 2014, proposto da:
Duo Salus S.r.l. in Liquidazione per la Casa di Cura S. Giovanni, rappresentato e difeso dall'avv. E S D, con domicilio eletto presso Sticchi Damiani Studio Bdl in Roma, Via Bocca di Leone, 78;

contro

Azienda Sanitaria Locale Ba, rappresentato e difeso dall'avv. E Trotta, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2;
Asl Puglia 1 (Già Azienda Sanitaria Locale Ba Incorporante L'Ausl Ba/4);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE I n. 01469/2013, resa tra le parti, concernente risarcimento danno a seguito determinazione tetti di spesa in materia sanitaria


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Locale Ba;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2015 il Cons. Bruno Rosario Polito e uditi per le parti gli avvocati Sticchi Damiani Saverio su delega di Sticchi Damiani Ernesto e Marchese su delega diTrotta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. per la Puglia la società Duo Salus a r.l. – a seguito della declaratoria di illegittimità con sentenza del T.A.R. per la Puglia n. 52 del 2004 delle delibere con le quali l’ASL Ba/4 aveva stabilito i tetti di spesa in materia sanitaria per gli anni 1999/2000 con riferimento alle strutture accreditate, tra cui la stessa società esponente operante in accreditamento provvisorio - formulava domanda per il riconoscimento di risarcimento del danno patrimoniale sofferto per la tardiva corresponsione degli importi relativi alle prestazioni effettivamente rese e debitamente fatturate.

Duo Salus raccordava il danno patrimoniale alla necessità del ricorso necessitato agli istituti di credito per finanziare la propria attività – in presenza dei minori corrispettivi erogati dalla A.S.L. - con maggior impegno di spesa per il pagamento degli interessi (euro 305.319,55) e per commissione finanziaria (euro 1.286,81).

Con sentenza n. 1469 del 2013 il T.A.R. adito respingeva il ricorso sul rilievo che la società istante non aveva assolto l’onere probatorio in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie risarcitoria.

Appella la soc. Duo Salus che ha censurato le conclusioni del primo giudice lamentando che, alla luce della sentenza del T.A.R. n. 52 del 2004, emerge una palese violazione da parte della A.S.L. Bari della disciplina nazionale e regionale sulla determinazione del budget dei soggetti accreditati, che consentiva di valicare i tetti massimi di spesa annualmente stabiliti. Infatti solo con la L.R. n. 12 del 2010, di esecuzione del piano di rientro della nella spesa sanitaria regionale per gli anni 2010/2012, è stato dato avvio al sistema chiuso delle prestazioni remunerabili in accreditamento.

A giudizio dell’appellante si versa, pertanto, a fronte di una condotta non scusabile dell’ Azienda sanitaria che ha colposamente disatteso specifiche e puntuali disposizioni regionali. cui segue l’obbligo risarcitorio del danno per ritardato pagamento di somme dovute.

L’ A.S.L. Bari si è costituita in resistenza.

All’udienza del 26 marzo 2015 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

2. L’appello è infondato.

2.1. Osserva il collegio, in linea con le conclusioni del primo giudice, che l’accertamento in sede giurisdizionale di vizi di legittimità in provvedimenti dell’ Amministrazione non integra di per sé gli estremi di una condotta colposa cui possa collegarsi l’obbligo risarcitorio nei confronti del destinatario dell’atto, in base al solo dato oggettivo della violazione di una norma di azione. In relazione alla singole fattispecie concrete deve, invece, prendersi in considerazione il comportamento complessivo degli organi che sono intervenuti nel procedimento, il quadro delle norme rilevanti ai fini dell’adozione della statuizione finale, la presenza di possibili incertezze interpretative in relazione al contenuto prescrittivo delle disposizioni medesime, onde apprezzare se l’organo procedente sia incorso in violazione delle comuni regole di buona amministrazione, di correttezza, buona fede (cfr. Sez. III, n. 1717 del 1° aprile 2015;
n. 5839 del 25 novembre 2014;
Sez. VI, n. 6421 del 30 dicembre 2014;
Sez. IV^, n. 5500 del 10.08.2004;
n. 8363 del 19.12.2003;
Sez. V^ n. 529 del 04.02.2003;
n. 1133 del 01.03.2003;
Corte di Cassazione, Sez. I^, n. 5259 del 04.04.2003).

La questione di cui è controversia si colloca in un contesto di controllo dei corrispettivi per prestazioni rese dai soggetti che operano in accreditamento e di introduzione di limiti certi per la sostenibilità della spesa nel settore sanitario a fronte di risorse economiche necessariamente contenute.

Come posto il rilievo dalla giurisprudenza amministrativa il principio di libertà dell’utente nella scelta della struttura presso la quale fruire delle prestazioni di assistenza e di cura, delineatosi a partire dal d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni, si colloca nell’ambito della programmazione regionale volta definire il volume massimo di prestazioni che ciascuna struttura, operante nell’ambito territoriale dell’ azienda sanitaria locale, è abilitata ad erogare. Le scelte della programmazione regionale rivestono, quindi, per loro natura carattere autoritativo e vincolante, non derogabile in via concordata e convenzionale, e si impongono agli operatori del settore che sono chiamati a rendere le prestazioni in base a prefissati tetti di spesa.

Con riguardo alla fattispecie di cui è controversia la remunerazione delle prestazioni rese negli anni 1999/2000 dalla ricorrente casa di cura - operante in regime di accreditamento provvisorio - ha avuto luogo in applicazione di criteri predeterminati da parte della A.S.L., onde dare certezza alla spesa sostenibile, con scelta che non può qualificarsi contraria alle regole di buon andamento e di corretto governo della finanza pubblica.

Quanto precede in un non univoco quadro di regole di indirizzo della Regione Puglia (d.g.r. nn. 2013 e 1832 del 1999) che non superava il vaglio di legittimità avanti al Consiglio di Stato.

Inoltre - stante il carattere autoritativo delle delibere della A.S.L. sui tetti di per gli anni 1999/2000 e la loro presunzione di legittimità fino all’annullamento disposto con la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 52 del 2004 – l’ appellate casa di cura non può invocare alcun valido affidamento a rendere prestazioni (con ricorso al credito bancario per la copertura dei costi) oltre il definito tetto di spesa, in vista di un solo ipotizzato rimborso da parte del servizio sanitario regionale.

Quanto precede porta a qualificare, per le anzidette ragioni, come evitabile - e quindi non suscettibile di indennizzo ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, cod. civ. - il danno di cui si invoca il ristoro per interessi e commissioni relativi a somme anticipate dagli istituti di credito

Va in ogni caso ribadito che le scelte della A.S.L. tese ad assegnare carattere rigido e non valicabile ai tetti di spesa non possono qualificarsi come condotta ascrivibile e titolo di colpa dell’organo di amministrazione, essendo invece all’evidenza anticipatorie del complesso di misure, attualizzate poi a mezzo della legislazione di emergenza e della nomina di organo commissariale, a salvaguardia del corretto impiego delle risorse nel settore della sanità e a prevenzione di ogni ulteriore dissesto.

Per le considerazioni che precedono l’appello va respinto.

Il relazione ai profili della controversia spese e onorari possono essere compensati fra le parti per il grado di giudizio

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