Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-10-30, n. 201305229
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N. 05229/2013REG.PROV.COLL.
N. 03760/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3760 del 2007, proposto da:
Ministero dell' Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA- SEZIONE I TER n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente cessazione programma di protezione e capitalizzazione misure di assistenza
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2013 il Cons. V S e udito l’ avvocato dello Stato Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Commissione Centrale ex articolo 10 della legge 15 marzo 1991 n. 82 presso il Ministero dell' Interno con deliberazione in data 15 dicembre 2005 ha disposto la cessazione del programma speciale di protezione nei confronti di -OMISSIS- e rispettivi nuclei familiari, nonché l'erogazione di una somma pari alla capitalizzazione delle misure di assistenza percepite, riferite a 5 anni, con segnalazione alle competenti Autorità di P.S. ai fini dell'adozione delle ordinarie misure di protezione.
Il provvedimento riferisce dapprima circa la citazione proposta nei confronti del Ministero presso il Tribunale di Roma per il risarcimento di danni asseritamente subiti, quindi in ordine alla richiesta di transazione inoltrata dai familiari del citato F, e, previo parere favorevole della Procura della Repubblica di Palermo, alla fuoriuscita dal programma degli altri familiari, per poi motivare la cessazione del programma per Roberto F, il quale, a seguito di separazione dalla moglie Giorgia Vitale, non comunicata, si è trasferito autonomamente presso l'abitazione del fratello, non sottoposto a misure tutorie, ed ha rifiutato il trattamento in altra località protetta.
2. Il signor F ha proposto ricorso presso il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio deducendo una serie di violazioni di legge e di profili di eccesso di potere, e in particolare il difetto di motivazione in assenza di valutazione circa il venir meno delle esigenze di sicurezza.
Il T.A.R., con sentenza n. 13889 del 23 novembre 2006 depositata il 5 dicembre 2006, ha accolto il ricorso ritenendo fondato, con assorbimento delle altre censure e con compensazione delle spese, il dedotto difetto di motivazione, in carenza di una puntuale e articolata verifica dell'attualità e della concretezza del pericolo connesso all'attività collaborativa specificatamente per lo stesso F, la cui posizione sarebbe stata invece valutata in un provvedimento unico contestualmente a quella degli altri familiari, che hanno richiesto la fuoriuscita dal programma e relativa capitalizzazione e in presenza di parere della Procura genericamente riferito ai familiari.
3. Il Ministero dell' Interno, con atto dell'Avvocatura generale dello Stato notificato il 24 aprile 2007 e depositato il 4 maggio 2007, ha interposto appello evidenziando, sul piano della sicurezza, come la posizione del F era stata oggetto invece di autonoma valutazione proprio tenendo conto del comportamento posto in essere dallo stesso – ed esplicitato nel provvedimento – che ha palesemente violato gli obblighi sottoscritti connessi alle misure protettive nonostante anche i ripetuti richiami del Servizio Centrale di Protezione, così rinunciando alle misure stesse e quindi dando luogo non a cessazione anticipata bensì alla revoca “automatica” per legge di quelle misure (articolo 13 quater, c. 2, della legge n. 82/91) ed alla sospensione anche di quelle economiche con azione di recupero delle somme già versate.
La Procura di Palermo d’altra parte ha espresso parere favorevole anche riguardo al F che nel frattempo aveva presentato, come i familiari, richiesta transattiva sul piano economico, e, che, si soggiunge, anche dopo la pronuncia del T.A.R., ha continuato a permanere in località non protetta, ove ha assunto servizio presso una P.A..
Il provvedimento peraltro, seppur unitario, distingue in effetti le singole posizioni e ha preso in considerazione specificatamente gli aspetti economici connessi al giudizio civile e alla richiesta di transazione proposta anche dallo stesso F nonché alla “capitalizzazione” disposta nella misura massima e autonomamente da quella della moglie.
4. Il Ministero dell' Interno, con atto depositato il 21 agosto 2012, ha dichiarato l'interesse a coltivare l'appello e la causa, all'udienza pubblica del 17 ottobre 2013, è stata trattenuta in decisione.
5.1. L'appello è fondato e quindi la sentenza impugnata va riformata.
5.2. In linea di diritto giova premettere che la revoca o la modifica dello speciale programma di protezione adottato dalla Commissione Centrale e sottoscritto dall'interessato (art. 12 legge n. 82/1991 e successive modifiche: “Le speciali misure di protezione sono sottoscritte dagli interessati, i quali si impegnano personalmente a: a) osservare le norme di sicurezza prescritte e collaborare attivamente all'esecuzione delle misure”) - e dunque costituenti oggetti di un vero e proprio contratto di natura pubblica, fonte di reciproci diritti ed obblighi – possono essere disposte o per cessazione o modifica del presupposto essenziale delle misure, ossia del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia in conseguenza dei suoi apporti alle indagini, oppure per i comportamenti inadempienti dello stesso collaboratore.
L'articolo 13 quater, comma 1, prevede infatti che: “Le speciali misure di protezione sono a termine e, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell'art. 13, comma 1, possono essere revocate in relazione all'attualità del pericolo, alla sua gravità e alla idoneità delle misure adottate, nonché in relazione alla condotta delle persone interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma di legge”.
Il comma 2 aggiunge che costituiscono fatti che possono comportare la revoca e la modifica delle speciali misure di protezione l'inosservanza degli impegni assunti a norma dell'articolo 12, fra i quali la rinuncia espressa alle misure, nonché ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell'identità e/o del luogo protetto.
Tali previsioni sono state ribadite e dettagliate dal D.M. n. 161 del 23 aprile 2004, recante il regolamento di attuazione della legge n. 82/1991, applicabile ratione temporis alla fattispecie.
Ciò stante il Collegio è ben a conoscenza che quanto alla revoca per condotte inadempienti degli interessati il legislatore disciplina diversamente la violazione dei diversi tipi di obblighi derivanti dalla sottoscrizione delle misure speciali (o dal programma speciale) di protezione, distinguendo l'ipotesi della violazione dell'obbligo primario di collaborare con gli organi di giustizia (sottoposizione ad interrogatori, esami, testimonianze) da quella della violazione degli altri obblighi di natura secondaria e, segnatamente, dei doveri di “osservare le norme di sicurezza prescritte e collaborare attivamente all'esecuzione delle misure” ed “adempiere agli obblighi previsti dalla legge e dalle obbligazioni contratte” (v. art. 12, comma 2, lett. a) e c) legge n. 82/1991 e successive modifiche).
Senza dubbio la violazione degli obblighi secondari non sono di per sé sufficienti a giustificare la revoca delle misure imponendosi una valutazione comparativa di tutti gli interessi essenziali in gioco e quindi, nello specifico, dello spessore delle condotte di collaborazione.
5.3. O, applicando gli enunciati principi al caso di specie, si osserva che l'impugnato provvedimento di revoca imputa al ricorrente ed odierno appellato la violazione del cd. “codice comportamentale”, e in particolare la violazione dell'obbligo, personalmente sottoscritto, di comunicare sia la separazione dalla moglie che il trasferimento in altra località presso l'abitazione del fratello, non sottoposto a misure protettive, ove risulta per di più esser stato assunto presso una P.A., rifiutandosi poi, nonostante più richiami, di trasferirsi in altro luogo protetto in Regione limitrofa.
Ciò stante, è ben vero che nella fattispecie si tratta di inadempienze comportamentali, ma è altresì indubbio che il nominato F risulta, con la sua condotta, aver disatteso volontariamente gli obblighi contrattuali sottoscritti e le più elementari norme di sicurezza e riservatezza inerenti il programma di protezione vanificando di fatto la sua attuazione concreta.
In effetti il signor F ha posto in essere una serie di personali determinazioni che, per facta concludentia , hanno integrato inequivocabilmente una vera e propria rinuncia alle misure di protezione e l'intendimento comunque di “disvelare” la propria identità e il luogo di residenza a prescindere dal programma di protezione.
Per di più – a riprova – lo stesso ha, come gli altri familiari, avanzato richieste di carattere economico a titolo transattivo nel giudizio civile in corso, per cui il Ministero ha provveduto a erogargli la cd. “capitalizzazione” nella misura massima e la relativa deliberazione è stata impugnata presso il T.A.R. Lazio, come le altre riguardanti i familiari.
Né d’altra parte emergono dagli atti né risultano prospettati motivi plausibili che avrebbero potuto giustificare il contestato comportamento, per cui il Ministero è stato indotto, anche a tutela dell'erario, a disporre la sospensione del trattamento economico e l'attivazione dell'azione di recupero delle somme già versate.
In conclusione il provvedimento de quo contiene gli elementi, in fatto e in diritto, indispensabili per configurare la fattispecie all'esame e specificatamente la posizione del nominato F rispetto a quelle dei familiari, pur ricomprese nello stesso, che, d'altra parte, ha previsto anche la segnalazione delle posizioni degli interessati alle competenti Autorità di P.S. per l'adozione delle misure ordinarie di protezione.
6. Per le considerazioni che precedono l'appello va accolto e, per l'effetto, la sentenza impugnata va riformata con conseguente rigetto del ricorso di primo grado.
Nulla si dispone per le spese di giudizio non essendosi costituita la controparte.