Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-01-14, n. 202200256

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-01-14, n. 202200256
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200256
Data del deposito : 14 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/01/2022

N. 00256/2022REG.PROV.COLL.

N. 07820/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7820 del 2018, proposto da
F V, rappresentato e difeso dall'avvocato G P, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Capitaneria di Porto di Civitavecchia, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale (già Autorità Portuale di Civitavecchia-Fiumicino-Gaeta), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore e del Ministro in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Chemical Controls S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Luciano Canepa, Vittorio Pietro Canepa, Valerio Pardini, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

e con l'intervento di

ad opponendum :
Associazione Nazionale Chimici di Porto, rappresentata e difesa dagli avvocati Vittorio Pietro Canepa, Valerio Pardini, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza, 16 aprile 2018 n. 4135, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Capitaneria di Porto di Civitavecchia, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale e di Chemical Controls S.r.l.;

Visto l’atto di intervento ad opponendum dell’Associazione Nazionale Chimici di Porto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 giugno 2021 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti, in collegamento da remoto, gli avvocati Parisi, Pardini, Canepa e il Procuratore dello Stato Lipari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’ingegnere Vincenzo Fidone, premesso di essere laureato in “Chemical engineering for industrial sustainability” (classe della laurea magistrale in ingegneria chimica di cui al D.M. 16 marzo 2007), abilitato all’esercizio della professione di ingegnere industriale a seguito di esame di Stato e iscritto nella Sezione A- Settore “industriale” dell’Albo presso l’Ordine degli Ingegneri di Catania, propone appello avverso la sentenza in epigrafe che ha respinto il suo ricorso per l’annullamento del diniego (di cui alla nota prot. n. 12512 del 24 agosto 2016 a firma del Commissario Straordinario dell'Autorità Portuale di Civitavecchia Fiumicino Gaeta- oggi Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale) alla sua istanza di iscrizione nel Registro tenuto ai sensi dell’art. 68 del Codice della Navigazione, al fine di poter esercitare presso l’area di competenza della stessa Autorità l’attività di “consulente chimico di porto”, e di tutti gli atti preordinati, presupposti e consequenziali “se ed in quanto lesivi degli interessi del ricorrente” , ivi inclusi: a) il preavviso di rigetto dell’iscrizione richiesta (di cui alla nota prot. n. 11564 del 1 agosto 2016 a firma del Segretario Generale della detta Autorità Portuale); b) la nota prot. n. 20917 del 25 luglio 2016 avente ad oggetto l’ “accertamento requisiti iscrizione” ; c) “ove occorra e nei limiti dell’interesse” la Circolare del Ministero dei Trasporti e della Navigazione n. DEM3/1160 del 10 dicembre 1999; d) l'art. 12 del Decreto Presidenziale dell'Autorità Portuale di Civitavecchia Fiumicino Gaeta n. 22 del 20 febbraio 2014.

Il ricorrente domandava, in particolare, che fosse dichiarata l’illegittimità del diniego e degli atti impugnati laddove avevano ritenuto ostativi all’accoglimento dell’istanza presentata la mancanza del tirocinio pratico di un anno presso un consulente chimico di porto in attività e del successivo superamento di una prova teorica ai sensi della circolare dell’allora Ministero dei Trasporti e della Navigazione n. 1160 del 10 dicembre 1999 (richiamata anche dall’art. 12 punto 1 del Regolamento per la disciplina delle attività nelle aree portuali approvato con il citato decreto del Presidente dell’Autorità Portuale n. 22 del 20 febbraio 2014), con conseguente accertamento del suo diritto all’iscrizione nel registro di cui all’art. 68, comma 2, del Codice della Navigazione, tenuto presso la detta Autorità Portuale, al fine di ivi esercitare la su indicata attività professionale.

2. La sentenza, disattese le eccezioni in rito sollevate dalle Amministrazioni resistenti e dalla Chemical Controls s.r.l. (la società che esegue le verifiche di competenza dei consulenti chimici nei porti di Civitavecchia e Fiumicino), ha ritenuto infondate nel merito le doglianze articolate con l’unico motivo di ricorso avverso gli atti impugnati, con cui in sintesi si lamentava che il requisito in questione, previsto dalla sola circolare ministeriale, non sarebbe contemplato né dall’art. 68 del Codice della Navigazione né da altre norme di legge e che non avrebbe potuto perciò essere introdotto dalla prefata circolare (in quanto atto amministrativo non avente natura normativa o regolamentare, ma a rilevanza meramente interna): il primo giudice ha ritenuto infatti che il requisito contestato, correlato a preminenti esigenze di sicurezza del porto assicurate dai compiti cui detta figura professionale è preposta, troverebbe un’adeguata base normativa in nuce nel comma 2 del citato art. 68 a mente del quale “il capo del compartimento … può sottoporre all’iscrizione in appositi registri e ad altre speciali limitazioni coloro che esercitano le attività predette”.

3. L’appello è affidato ai seguenti motivi di censura: “I. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 68 del Codice della Navigazione e dell’art. 61 del Regolamento di esecuzione. Violazione e/o falsa applicazione dei principi normativi in tema di abilitazione alle professioni. Violazione dell’art. 17, comma 2, della Legge 23 agosto 1988, n. 400. Eccesso di potere per errore dei presupposti in fatto e in diritto. Travisamento e falsa rappresentazione della realtà. Eccesso di potere per inosservanza e difetto di motivazione in ordine al comportamento tenuto dall’Autorità Portuale. Eccesso di potere per incongruenza, illogicità ed irragionevolezza nella formazione della volontà della P.A. Ingiustizia grave e manifesta. Violazione e falsa applicazione e di principi normativi in relazione ai procedimenti amministrativi. II. Violazione art. 112 c.p.c., principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato: omessa pronuncia su uno specifico vizio del provvedimento impugnato.”

3.1. Con tali motivi l’appellante ha in sintesi riproposto le doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere formulate col ricorso di primo grado, lamentando altresì che la sentenza avrebbe pure omesso di pronunziarsi sulla specifica censura di violazione dell’art. 17, comma 2, della Legge 23 agosto 1988, n. 400 ad opera dell’impugnata circolare ministeriale n. 1160/1999.

3.2. Si sono costituite in resistenza le Amministrazioni intimate e la Chemical Controls s.r.l., eccependo in limine l’inammissibilità e nel merito l’infondatezza dell’appello, domandandone pertanto la reiezione.

3.3. È intervenuta ad opponendum anche l’Associazione nazionale dei Chimici di Porto (ANCP).

3.4. All’udienza del 17 giugno 2021, tenuta in collegamento da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

4. La questione oggetto del giudizio verte sull’accertamento della sussistenza in capo all’appellante delle condizioni necessarie per ottenere l’iscrizione nel Registro di cui all’art. 68, comma 2, del Codice della Navigazione, tenuto presso l’Autorità Portuale appellata, al fine di ivi esercitare l’attività professionale di “consulente chimico del porto” , negatagli unicamente per la mancanza dell’ulteriore requisito, prescritto dalla sola circolare dell’allora Ministero dei Trasporti e della Navigazione n. 1160 del 10 dicembre 1999 (di seguito anche soltanto “la circolare” ), del tirocinio di un anno presso un Consulente chimico del Porto in attività (art. 1 lett. c) della circolare) e del successivo superamento della prova teorica (art. 1 lett. d) ), valutata dalla Commissione nella composizione indicata dalla stessa circolare.

5. Così in sintesi delineato il thema decidendum , va in via preliminare esaminata e respinta l’eccezione di carenza di legittimazione a intervenire in giudizio dell’Associazione Nazionale dei Chimici di porto formulata da parte appellante.

L’Associazione in questione rappresenta infatti i consulenti chimici di porto allo stato iscritti nel registro istituito ai sensi dell’art. 68 Cod. Nav. presso i porti nazionali.

Si tratta dunque di un’associazione rappresentativa degli interessi di categoria, statutariamente istituita per la tutela dei suoi associati, di fatto selezionati all’esercizio della professione sulla base delle attuali regole criticate dall’odierno appello;
ad essa inoltre l’impugnata circolare demanda anche la designazione dei due componenti esperti della commissione preposta alla valutazione della prova teorica degli aspiranti consulenti chimici di porto, anche questa contestata specificamente dall’appellante.

Alla luce di quanto evidenziato non è dunque revocabile in dubbio che l’Associazione interveniente è titolare di un interesse al mantenimento del sistema vigente ai fini della regolamentazione delle condizioni di accesso all’attività professionale in questione, di cui all’impugnata circolare ministeriale, dal cui annullamento “nei limiti dell’interesse del ricorrente” può derivarle una deminutio nelle attribuzioni che attualmente le sono riservate.

In altri termini, l’Associazione, in quanto titolare di una posizione giuridica collegata e dipendente da quella del controinteressato (la Chemical Controls, società che effettua le verifiche di competenza dei consulenti chimici di porto nell’ambito portuale interessato dall’istanza di iscrizione del ricorrente), è dunque sicuramente provvista di legittimazione ed interesse ad intervenire in giudizio ai sensi dell’art. 97 Cod. proc. amm. al fine di sostenerne le ragioni (opposte a quelle di parte appellante).

Infatti, l’art. 28 Cod. proc. amm. ( “Intervento” ) subordina l’intervento alla titolarità di un interesse giuridicamente rilevante alla conservazione (intervento ad opponendum ) o alla rimozione (intervento ad adiuvandum ) del provvedimento impugnato.

In particolare, l’intervento ad opponendum nel giudizio amministrativo, per consolidata giurisprudenza, è consentito a qualsiasi soggetto sia titolare di un interesse, anche di mero fatto, collegato e dipendente da quello sotteso al mantenimento dei provvedimenti impugnati, che gli consente di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dalla reiezione del ricorso: tale è certamente, per le ragioni esposte, l’interesse vantato dall’Associazione nazionale interveniente.

6. Sempre in limine vanno poi esaminate le eccezioni di rito sollevate dalle appellate, in parte assorbite in primo grado, che sono tutte infondate.

6.1. Nello specifico, quanto all’eccepita inammissibilità per carenza di interesse all’annullamento degli atti impugnati stante, in tal caso, la “reviviscenza” della vecchia circolare (che comunque prescriveva un tirocinio seppure più breve), viceversa non impugnata col ricorso introduttivo, deve anzitutto evidenziarsi che quest’ultima è stata espressamente abrogata dalla contestata circolare ministeriale n. 1160/1999 (come già chiarito dalla giurisprudenza: si veda sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, 22 giugno 2016, n. 184).

Oltre a non porsi dunque alcuna questione di “ reviviscenza” in senso tecnico della previgente circolare e della disciplina ivi recata ai fini della regolamentazione dell’accesso all’attività professionale in parola, va poi anche evidenziato che il sistema in esso delineato prevedeva comunque condizioni meno restrittive di quelle attuali (in particolare un tirocinio pratico di soli sei mesi e all’esito, in luogo di una prova teorica, una mera valutazione delle competenze acquisite da parte del candidato): vi sarebbe quindi in ogni caso, anche ad ammettere la “reviviscenza” della precedente circolare (di dubbia configurazione per le ragioni anzidette), l’interesse ad agire di parte appellante.

6.2. Va poi respinta anche l’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado per mancata impugnativa della circolare del 1999 in precedenti giudizi avverso altri dinieghi all’iscrizione nel registro ex art. 68 Cod. Nav. disposte da diverse Autorità marittime.

La circolare non è infatti divenuta inoppugnabile per tale motivo, come sostengono le parti appellate.

In disparte la condivisibilità sul punto delle statuizioni di primo grado (laddove, pronunziandosi espressamente sull’eccezione di irricevibilità già sollevata in primo grado, l’ha respinta, correttamente evidenziando “ che la conoscenza dell’atto da parte del difensore non vale come prova della piena conoscenza della parte rappresentata, con conseguente irrilevanza ai fini del dies a quo del termine decadenziale di rito stabilito per impugnare” ), statuizioni non impugnate in via incidentale e quindi passate in giudicato, deve soprattutto rilevarsi che la circolare poteva e doveva essere impugnata (come in effetti avvenuto) unitamente all’atto amministrativo che ne ha fatto applicazione (il diniego all’iscrizione allo specifico registro istituito ai sensi dell’art. 68 Cod. Nav. presso l’Autorità portuale appellata), lesivo degli interessi del ricorrente.

Per converso non può rilevare, ai fini dell’ammissibilità e ricevibilità del presente gravame avverso il diniego di iscrizione al registro dell’Autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, la mancata impugnazione della circolare in altro autonomo giudizio avverso un diverso diniego di iscrizione adottato in precedenza da altre Autorità marittime (il riferimento è al ricorso n. 7454/2015 R.G., definito dal T.a.r. Lazio con ordinanza declinatoria della competenza in favore del T.a.r. Sicilia): rileva infatti a tal fine soltanto l’avvenuta impugnazione dell’atto presupposto (la circolare ministeriale che prescrive il contestato obbligo di tirocinio annuale con prova teorica finale ai fini dell’abilitazione all’attività professionale in questione) col ricorso di primo grado, respinto dall’appellata sentenza.

6.3. Quanto all’eccezione di difetto di contraddittorio processuale per mancata notifica del ricorso di primo grado a tutti i controinteressati (e nello specifico per omessa evocazione dell’Associazione interveniente, benché l’appellante censuri anche la composizione della commissione, in parte nominata anche dalla ridetta associazione), con conseguente necessità di rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 Cod. proc. amm., deve anzitutto osservarsi come il ricorso introduttivo sia stato ritualmente notificato, come prescritto dall’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm. (a mente del quale « qualora sia proposta un’azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso» ), alla controinteressata (la Chemical Control S.r.l.) e che non doveva invece essere necessariamente notificato anche all’Associazione nazionale interveniente, che tale posizione viceversa non riveste.

Come noto, la qualità di controinteressato all’annullamento di un atto amministrativo si desume con riguardo al soggetto, individuato nell’atto ovvero facilmente individuabile in ragione delle indicazioni contenute nell’atto medesimo, secondo semplice e ordinaria diligenza, che risulta titolare di un interesse eguale e contrario a quello del ricorrente ma pur sempre diretto e immediato.

Infatti, nel modello del giudizio impugnatorio tipico del processo amministrativo, caratterizzato dalla centralità della domanda costitutiva di un annullamento dell’atto dell’amministrazione, in cui le parti necessarie sono state individuate in base al criterio oggettivo dell’atto contestato, nel quale si estrinseca il potere di cui è titolare l’amministrazione, anche l’individuazione del terzo rispetto a quei soggetti minimi e la sua possibile qualificazione come parte necessaria si è giovata del criterio oggettivo dell’atto, secondo cui è parte necessaria il soggetto direttamente contemplato nell’atto o individuabile in base al vantaggio che l’atto gli attribuisce.

L’Associazione nazionale, organismo di categoria rappresentativa degli interessi dei suoi associati (selezionati in base alle regole qui in discussione, prescritte dalla circolare ministeriale e contestate da parte appellante), come già evidenziato, è titolare di legittimazione e interesse ad intervenire ad opponendum , per sostenere le ragioni contrarie all’accoglimento dell’appello e sottese al mantenimento degli atti impugnati, dal quale i propri associati ed anche la stessa associazione traggono un vantaggio, sia pure riflesso e indiretto, rappresentato dalle condizioni, allo stato maggiormente restrittive, di accesso a tale attività professionale.

Pertanto, se la Chemical Controls (società che effettua le verifica di competenza dei consulenti chimici di porto nell’ambito portuale di Civitavecchia e Fiumicino, cui si riferisce il registro istituito presso quella specifica Autorità che ha denegato l’iscrizione all’appellante) è controinteressata ( id est : soggetto avente un interesse giuridico qualificato, autonomo e diretto alla conservazione dell’atto impugnato, che si trova in posizione specularmente contrapposta a quella del ricorrente, in quanto titolare di interessi “omologhi e speculari” a quelli di quest’ultimo, siccome investiti in modo specifico e immediato dall’atto impugnato, dal quale ha già acquisito una posizione di vantaggio diretto) e perciò parte necessaria alla quale il ricorso doveva essere (ed è stato) notificato, viceversa l’Associazione nazionale è titolare di un interesse di mero fatto, collegato e dipendente da quello del controinteressato, al mantenimento degli effetti dei provvedimenti impugnati, che gli consente di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dalla reiezione dell’appello, pur non legittimandola alla proposizione di un’impugnazione in via autonoma, ma soltanto all’intervento in giudizio al fine di sostenere le ragioni delle Amministrazioni intimate e del controinteressato.

Non ricorre pertanto qui alcuna violazione del principio del contraddittorio né della sua integrità che imponga la rimessione della causa al primo giudice, non sussistendo nella specie alcun controinteressato (né in senso formale né in senso sostanziale) pretermesso che assuma la qualità di litisconsorte necessario: tale non è infatti l’Associazione nazionale dei chimici di porto, per quanto essa sia titolare di un apprezzabile interesse, anche se solo in via riflessa e derivata, al mantenimento dei provvedimenti impugnati che, come detto, la legittima all’intervento nel presente giudizio di appello ai sensi dell’art. 97 Cod. proc. amm.

6.4. Infine, non rileva neppure la mancata impugnazione del decreto direttoriale n. 234 del 1 dicembre 2017, eccepita dalla difesa erariale: infatti detto decreto, pur apportando talune modifiche alla disciplina (quali, per finalità di trasparenza, la pubblicazione degli elenchi dei chimici di porto in attività sul sito del Ministero e parziali modifiche alla composizione della Commissione esaminatrice per la prova teorica dei candidati), mantiene in sostanza invariato l’impianto complessivo della circolare in punto di modalità e condizioni per l’accesso all’attività professionale in parola, oggetto di contestazione coi motivi di appello dedotti.

7. L’appello nel merito è fondato.

8. Va in linea generale evidenziato che nessuna delle precedenti decisioni richiamate dalle parti e dalla stessa sentenza amministrativa attiene alle specifiche questioni oggetto del presente giudizio: non la pronunzia del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, 26 marzo 2012, n. 320 (concernente la legittimità del criterio di turnazione imposto dalla competente Autorità Portuale per i consulenti chimici del Porto);
né la sentenza di cui a Cons. di Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4298 (avente ad oggetto la diversa problematica inerente l’iscrizione del ricorrente nel registro ex art. 68 Cod. Nav. per la sola attività di chimico di porto, e non di consulente chimico del porto, come invece richiesto dal ricorrente);
né infine la decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, 22 giugno 2016, n. 184, erroneamente citata dalla sentenza appellata come precedente in termini, da cui trarre smentita alle tesi del ricorrente, e invece inerente alla differente fattispecie del rifiuto di iscrizione di un consulente chimico già iscritto nel registro di un altro porto situato nel territorio nazionale.

8.1. Acclarato dunque che la giurisprudenza citata non è stata direttamente investita della decisione sulla legittimità dei requisiti (tirocinio pratico e prova teorica finale) richiesti dalla circolare per lo svolgimento dell’attività in esame e qui contestati dall’appellante, nondimeno il Collegio rileva come dai principi ivi affermati possono trarsi argomentazioni utili ai fini della decisione, tanto per quel che riguarda la ricostruzione in generale della figura del consulente chimico del porto quanto come parametro di riferimento della fondatezza dell’odierno appello.

8.2. Quanto al primo profilo, occorre premettere che la figura di consulente chimico del porto, come bene dedotto da parte appellante, non integra gli estremi di una specifica professione in senso proprio, bensì un’attività libero professionale riservata a laureati in chimica, ingegneria chimica e ingegneria industriale, iscritti nei rispettivi Albi professionali e in possesso di iscrizione nel registro ex art. 68 del Codice della Navigazione, trattandosi perciò di attività riferibile ad un segmento delle più ampie attribuzioni scaturenti da due professioni regolamentate: in particolare, sovviene al riguardo la disciplina di cui al d.P.R. 5 giugno 2001, n. 328 recante “Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove per l’esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti” (in particolare si vedano rispettivamente gli artt. 36, commi 1, lett. e) e 2 lett. m) per i chimici e 46, commi 1, lett. b) e 3 lett. b) per gli ingegneri industriali), in aggiunta a quanto già stabilito dall’art. 16 R.D. 1 marzo 1928 n. 842 per i chimici e 51 del R.D. 23 ottobre 1925 n. 2537 per gli ingegneri.

Orbene tanto premesso, deve poi evidenziarsi, sempre in linea generale, che il consulente chimico del porto è chiamato a svolgere, in via preventiva e a favore di privati, una serie di operazioni in area portuale, sia in stive di imbarcazioni che in depositi, contenenti prodotti petroliferi o altre merci pericolose, al fine di valutare in detti ambienti la sussistenza di rischi alle persone legate ai lavori di manutenzione o riparazione ivi effettuati in modo da garantirne la sicurezza (quali, ad esempio, l’accertamento delle condizioni di pericolosità delle navi relativamente alla presenza di gas pericolosi, di pericolosità per l’ingresso degli uomini nelle cisterne o per lavori meccanici a freddo): effettuati i necessari sopralluoghi e mediante l’utilizzo di apposita strumentazione, all’esito il consulente chimico del porto rilascia il “certificato di non pericolosità” delle dette operazioni, attestante i risultati degli accertamenti effettuati. Inoltre, egli è chiamato ad esprimere “pareri su richiesta dell’autorità competente per quanto concerne la sicurezza in ambito portuale, in merito alle merci pericolose e in tutti i casi previsti dalla normativa internazionale, comunitaria e nazionale in materia di sicurezza della nave e del porto” (cfr. punto 3, lett. f, circolare n. 1160).

8.3. Come già rilevato dalla sopra riportata giurisprudenza (Cons. Stato, IV, 26 agosto 2014, n. 4298) non esiste a livello primario una definizione normativa del consulente chimico di porto.

L’art. 68 Cod. Nav. (“Vigilanza sull’esercizio di attività nei porti” ) si limita infatti a precisare che “coloro che esercitano un’attività nell’interno dei porti ed in genere nell’ambito del demanio marittimo sono soggetti, nell’esplicazione di tale attività, alla vigilanza del comandante del porto” , aggiungendo, al comma 2, che “il capo del compartimento, sentite le associazioni sindacali interessate, può sottoporre all’iscrizione in appositi registri, eventualmente a numero chiuso, e ad altre speciali limitazioni coloro che esercitano le attività predette” .

L’esercizio dell’attività di consulente chimico di porto, esplicandosi in ambito portuale, può dunque essere subordinata dall’Autorità portuale all’iscrizione nell’apposito registro tenuto ai sensi dell’art. 68, “eventualmente a numero chiuso” ;
la relativa definizione, emersa nella prassi, non è stata tuttavia mai ancorata dalla legge “a professioni specifiche o al possesso dell’iscrizione in specifici albi professionali” (Cons. Stato, IV, 4298/2014 cit.).

8.3.1. Quest’ultima decisione (sulla base dei precedenti giurisprudenziali ivi citati) ha in particolare evidenziato che: “Solo a partire dal 1991 (v. d.m. 22 luglio 1991- “norme di sicurezza per il trasporto marittimi alla rinfusa di carichi solidi”) è stato fatto formale riferimento alla figura del “consulente chimico di porto” ma fornendone la semplice, generica definizione che segue: “1.25. Consulente chimico di porto: il consulente iscritto nel registro di cui all’articolo 68 del codice della navigazione”.

“Anche nel d.lgs. n. 272 del 27 luglio 1999 (“adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell’espletamento di operazioni e servizi portuali, nonché di operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale, a norma della L. 31 dicembre 1998, n. 485”) si fa riferimento- per la prima volta, a livello primario- al “consulente chimico di porto”, ma senza alcuna indicazione in ordine agli specifici requisiti professionali che il medesimo debba possedere (non diversamente, nel d.m. del 31 ottobre 2007 viene utilizzata, nella Sezione 1, n. 1.25, la stessa definizione contenuta nel d.m. 22 luglio 1991: Consulente chimico di porto- il consulente iscritto nel registro di cui all’articolo 68 del codice della navigazione”).

“In tale contesto caratterizzato dal fatto che viene individuata un’attività professionale da svolgersi in seno ai porti senza alcuna precisazione in merito ai titoli necessari, il Ministero dei trasporti e della navigazione ha emanato la circolare relativa alla “disciplina dell’attività dei consulenti chimici di porto” (diretta alle Capitanerie di porto e alle Autorità portuali) n. 1160 del 10 dicembre 1999, precisante che “i consulenti chimici per operare in ambito portuale devono essere iscritti nel registro istituito ai sensi dell’art. 68, cod. nav., dal capo del circondario marittimo o dall’autorità portuale dove istituita” e che, tra i requisiti di iscrizione, vi è anche la laurea in “ingegneria chimica”(accanto a quelle in chimica industriale)”. (così testualmente Cons. Stato, IV, 4298/2014).

8.3.2. Sovvengono poi anche i principi affermati dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia nella sentenza del 26 marzo 2012, n. 320 che, pur attenendo alla diversa problematica della legittimità del criterio di turnazione stabilito dall’Autorità portuale (nella misura in cui imponeva alla committenza privata di avvalersi coattivamente delle prestazioni del professionista di turno e non già di quello di fiducia liberamente scelto), chiarisce, con statuizioni rilevanti anche ai fini della presente decisione, quale sia la natura dell’attività del consulente chimico di porto.

In particolare, la su indicata sentenza ha disatteso la tesi secondo la quale “l’attività espletata dal chimico di porto – in quanto finalizzata alla sicurezza di determinate delicatissime attività che si svolgono in ambito portuale e alla prevenzione di incidenti- consiste in una consulenza prestata in favore dell’Autorità e non dell’utenza, ancorché sia quest’ultima, per motivi empirici, a remunerarne direttamente la prestazione d’opera professionale” , sì da integrare “gli estremi del pubblico servizio se non della pubblica funzione” (per svolgersi essa attività “interamente sotto il penetrante controllo dell’Autorità stessa la quale infatti seleziona i chimici sulla base di apposito avviso pubblico, li iscrive in un registro a numero chiuso ed esercita nei loro confronti un penetrante potere disciplinare” ) ed ha al contrario chiaramente affermato che: “secondo la normativa attualmente vigente l’attività dei chimici di porto resta di natura libero professionale ed è espletata in via immediata a favore dell’utenza, la quale infatti provvede a remunerarla ai sensi dell’art. 2233 cod. civ. , non trattandosi di attività svolta “a favore dell’Autorità portuale ma in via esclusiva a favore di soggetti privati (armatori, agenzie, etc.) che operano in ambito portuale e che non possono eseguire determinate operazioni (ad es. ingresso di operatori nelle cisterne delle navi) ove il professionista abilitato non certifichi previamente l’assenza di rischi” .

La sentenza richiamata ha dunque concluso che “A ben vedere, pertanto, nei suoi tratti fondamentali l’attività del chimico di porto non integra tanto gli estremi del pubblico servizio in senso soggettivo (esercitato cioè da un pubblico potere o per suo conto: cfr. art. 358 cod. pen.) quanto quelli del servizio di pubblica necessità, consistente nell’asseverare la conformità delle attività portuali da realizzare da parte dell’utenza alle prescrizioni normative di settore e più in generale al rispetto delle norme di sicurezza.”

Infatti si è chiarito che tale asseverazione o certificazione- pur avendo un necessitato rilievo in ambito pubblicistico- “è sempre resa dal chimico sulla base e nell’ambito di un rapporto libero professionale che lo lega all’utente” : al pari del progettista abilitato (il quale assevera la dichiarazione di inizio attività in materia edilizia, necessaria affinché questa possa essere presentata al comune, senza trasformarsi per ciò in un consulente dell’ente locale), anche il consulente chimico di porto, del quale l’utente privato è obbligato a valersi previamente se intende svolgere determinate attività in ambito portuale (cfr. art. 359 cod. pen.) , non per questo si trasforma da “professionista” in un “consulente dell’Autorità” o vede perciò solo connotarsi la sua attività “in termini di parasubordinazione”.

Dalla richiamata sentenza si trae dunque il principio, rilevante nella presente fattispecie, secondo cui, in base alla normativa primaria e per come risulta allo stato orientato il sistema positivo, ai consulenti chimici di porto l’utenza è libera di rivolgersi sulla base di una scelta sostanzialmente fiduciaria (tanto da doversi escludere che l’Autorità portuale “possa invece autonomamente imporre all’utente stesso di valersi di uno specifico soggetto tra quelli abilitati ad erogare quel servizio in regime di reciproca concorrenza” ) e che le prestazioni professionistiche in esame si svolgono in regime di “ concorrenzialità” .

8.3.3. Anche la giurisprudenza richiamata dal Tribunale amministrativo (di cui alla sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia 22 giugno 2016, n. 184) - nell’affrontare la diversa tematica della possibilità di iscrizione del soggetto già iscritto nel registro di un altro porto nazionale senza necessità di ulteriore tirocinio e valutazione (ovvero sulla base della sola autocertificazione dell’interessato di essere già iscritto e di aver svolto il servizio presso un altro porto nazionale), risolta nel senso di riconoscere validità, in base al principio di ragionevolezza, alle iscrizioni operate nella vigenza delle precedenti circolari abrogate e finanche a prescindere dal compimento di un tirocinio (sul rilievo per cui l’essere già “iscritto e operante” condensa i requisiti specifici occorrenti per tale categoria di possibili partecipanti, che tengono luogo dei requisiti prescritti) - ha ribadito che l’attività del chimico di porto non sia qualificabile come servizio pubblico (in conformità alla citata decisione dello stesso Consiglio n. 320/2012 che aveva ritenuto infondata quella tesi), concordando con l’avviso secondo cui in base alla “normativa attualmente vigente l'attività dei chimici di porto resta di natura libero professionale ed è espletata in via immediata a favore dell'utenza, la quale infatti provvede a remunerarla ai sensi dell'art. 2233 cod. civ. , e che tale attività (ivi incluso il rilascio del certificato di non pericolosità del professionista abilitato), pur connotata da un’indubbia valenza pubblicistica, sia pur sempre resa dal chimico sulla base e nell'ambito di un rapporto libero professionale che lo lega al soggetto privato operante in ambito portuale.

Pertanto, l'attività del professionista rileva su piani diversi, che vanno tenuti distinti: “dal punto di vista funzionale, infatti, detta attività assume rilievo pubblicistico ed esterno, costituendo presupposto procedimentale per l'esercizio da parte del terzo operatore di attività disciplinate dall'ordinamento di settore e comunque soggette al controllo della p.a.;
dal punto di vista strutturale, invece, tale attività costituisce una prestazione d'opera professionale erogata sulla base di un contratto tra cliente e professionista abilitato.”
(così Cons. Giust. Amm. n. 320/2012;
id. 184/ 2016 cit.).

8.3.4. Anche a voler considerare infatti gli incisivi poteri di vigilanza e controllo sul servizio chimico che la normativa vigente- nel sistema delineato prima dall'art. 68 Codice della navigazione e poi dalla legge di riforma n. 84 del 1994 (cfr. in particolare art. 16) - riconosce indubbiamente all'Autorità portuale nei confronti di ogni attività o servizio (cfr. art. 8 della L. n. 84/1994) che si svolge nel demanio marittimo portuale per la tutela della pubblica incolumità, ciò non rileva ai fini della qualificazione del regime, pubblicistico o privatistico, secondo cui l'attività dei consulenti in esame è erogata: la natura oggettivamente pubblica di un'attività (e cioè la sua oggettiva inerenza a profili di pubblico interesse) non incide, infatti, sui modi di esercizio della stessa, fermo restando il necessario e ineliminabile controllo da parte del pubblico potere (in termini, C.G.A.R.S. n. 320/2012).

Esistono infatti, accanto a servizi pubblici gestiti dal pubblico potere in forma amministrativa o imprenditoriale, servizi pubblici gestiti da soggetti privati con strumenti di diritto comune (si pensi al settore dell'istruzione), ai quali l'utenza è libera di rivolgersi sulla base di una scelta sostanzialmente fiduciaria, a ciò corrispondendo correlativamente, il regime di concorrenzialità delle prestazioni professionistiche svolte.

8.4. Da quanto finora detto consegue che la giurisprudenza richiamata (compresa quella menzionata dall’appellata sentenza a sostegno del rigetto del ricorso), più che smentire le tesi del ricorrente, afferma principi che le avvalorano, laddove esclude la riconducibilità della controversia afferente l’iscrizione del consulente chimico di porto nel registro di cui all’art. 68 Cod. Nav. alla previsione dell’art. 119, lett. a), c.p.a. e afferma inoltre che la selezione in discussione non concretizzi un affidamento di un servizio pubblico da parte dell’Autorità portuale al professionista (poiché, appunto, sono i privati che affidano il servizio loro occorrente al professionista di fiducia, che lo svolge in via esclusiva a loro favore di tali soggetti), quanto piuttosto una modalità di autorizzazione del predetto all’esercizio della propria professione nell’ambito del porto soggetto al controllo dell’Autorità portuale che indice la selezione;
tant’è vero che- conclude la giurisprudenza citata (cfr. Cons. Giust. Amm. n. 164/2016) la circolare ministeriale 10 dicembre 1999, prot. DEM3/1160, della cui pretesa violazione si discute, si riferisce proprio all’ “Autorizzazione allo svolgimento dell’attività” (rubrica dell’art. 1).

8.5. Tanto premesso e venendo alla disamina dei motivi di appello e all’esposizione delle ragioni della loro fondatezza, si osserva anzitutto che anche in relazione alla professione di consulente chimico, così come accaduto per altre professioni, sono state, nel corso degli anni, introdotte modifiche ai requisiti di iscrizione ad albi o registri, prevedendone via via di maggiori, ad esempio quanto alla previsione e durata del preventivo tirocinio: così, se inizialmente (in base alla circolare ministeriale 18 aprile 1977) non era richiesto di documentare lo svolgimento di un periodo di tirocinio e in base alla successiva circolare ministeriale 7 gennaio 1981 era prescritto un obbligo di tirocinio semestrale, demandando all’esito al Comandante di porto di accertare, avvalendosi della collaborazione di un consulente chimico, che il candidato possedesse una adeguata conoscenza degli argomenti di carattere professionale, con la circolare ministeriale n. 1160 del 10 dicembre 1999 (che ha abrogato le precedenti circolari, pur riconoscendo il valore delle iscrizioni avvenute nella vigenza di queste ultime) è stato previsto tra i requisiti per l’iscrizione iniziale, per quanto qui interessa, il compimento del tirocinio pratico di un anno presso un consulente chimico di porto ed il superamento di una prova teorica (v. punto 1.3;
valutazione che il capo del circondario marittimo compie “avvalendosi della collaborazione di due consulenti chimici” ).

In tal modo tuttavia, il requisito in questione, nella misura in cui per come interpretato dai provvedimenti impugnati costituisce condizione per l’iscrizione nel registro di cui all’art. 68 Cod. Nav., configura un provvedimento di abilitazione all’esercizio dell’attività professionale di consulente chimico di porto, in assenza delle necessarie previsioni legislative di rango primario che presuppongono tali ulteriori criteri abilitanti ai fini dell’ottenimento dell’iscrizione in questione.

Pertanto, è illegittimo il diniego che sulla scorta di tale circolare, considerata direttamente cogente, e del parere richiesto al Ministero dei Trasporti sulla necessità dei requisiti ivi previsti e sulla loro “valenza costitutiva” (di cui all’impugnata nota n. 20917 del 25 luglio 2016), ha respinto la domanda di iscrizione al registro istituito ai sensi dell'art. 68, cod. nav. presentata dall’odierno appellante, in quanto privo soltanto del requisito del tirocinio pratico annuale e del superamento della prova teorica di cui alla detta circolare ministeriale.

Non può infatti ritenersi ostativa all’iscrizione nel registro di cui al più volte citato art. 68 Cod. Nav. e, in sostanza, dell’abilitazione all’esercizio della professione, in forza della sola circolare cui è attribuita portata vincolante, la mancanza del tirocinio formativo ivi previsto, sebbene il richiedente possa vantare titoli professionali che ben ricalcano le competenze specialistiche richieste per lo svolgimento dell'attività in esame (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4298).

8.6. Invero, l’art. 33, comma 4, della Costituzione dispone che: “È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale” .

L’art. 2229 cod. civ. ( “Esercizio delle professioni intellettuali” ) prescrive che: “ La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio dei quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi. L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente.

Contro il rifiuto dell’iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all’esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali” .

A completamento della su indicata disciplina, l’art. 2, comma 2, del d.P.R. 137 del 2012, nel regolamentare l’esercizio dell’attività professionale, stabilisce testualmente che “La formazione di albi speciali, legittimanti specifici esercizi dell’attività professionale, fondati su specializzazioni ovvero titoli o esami ulteriori, è ammessa solo su previsione espressa di legge” , specificando inoltre, al successivo comma 3 che: “Non sono ammesse limitazioni, in qualsiasi forma, anche attraverso previsioni deontologiche, del numero di persone titolate a esercitare la professione, con attività anche abituale e prevalente, su tutto o parte del territorio dello Stato, salve deroghe espresse fondate su ragioni di pubblico interesse, quale la tutela della salute.” .

8.7. Orbene, alla luce delle previsioni di legge richiamate, rileva il Collegio, come non possa rinvenirsi alcuna base normativa ai requisiti in parola nell’art. 68 del Codice della Navigazione (avente ad oggetto la disciplina della “vigilanza sull’esercizio di attività nei porti” ) che si limita a prevedere, al primo comma, che coloro che esercitano una attività nell’ambito del demanio marittimo sono “soggetti, nell’esplicazione di tale attività, alla vigilanza del comandante del porto” e, al secondo comma, che “coloro che esercitano tali attività possono essere soggetti all’iscrizione in appositi registri, eventualmente a numero chiuso, ed altre speciali limitazioni” .

Si tratta, con tutta evidenza, di una disciplina intesa ad attribuire all’Autorità marittima che esercita la “competenza” sull’area portuale la funzione pubblicistica di “vigilanza” di quei soggetti che sono chiamati ad operare al suo interno. Nessuna norma ricavabile da tale disposizione, tuttavia, legittima l’Autorità amministrativa ad introdurre (come invece avvenuto con una semplice circolare ministeriale) requisiti formativi e/o “professionalizzanti” a carattere “abilitante” finalizzati all’esercizio di un’attività di consulenza libero professionale svolta in regime di reciproca concorrenza a favore di soggetti privati operanti all’interno delle aree portuali: la norma in esame si limita infatti a prevedere la facoltà del comandante di porto di subordinarne l’esercizio (come per tutte le attività che si svolgono in ambito portuale) all’iscrizione “in appositi registri, eventualmente a numero chiuso” o ad “altre speciali limitazioni” .

L’attivazione del detto registro istituito ai sensi dell’art. 68 Cod. Nav. soddisfa invece di per sé, conformemente alla legge, la necessaria funzione di monitoraggio per coloro che operano all’interno dell’area (quali, tra gli altri, i consulenti chimici di porto) in modo che siano assicurate, a favore dei soggetti terzi ivi operanti, le opportune garanzie di qualificazione e specializzazione, già correlate al titolo accademico di studio e all’esame di abilitazione posseduti (con il conseguente inserimento nell’albo professionale di appartenenza) dai soggetti che aspirano ad esercitare la detta attività libero- professionale di consulenza all’interno dei porti.

Pertanto, il ricorrente, in base ai titoli professionali posseduti (laurea in ingegneria industriale e abilitazione all’esercizio della professione a seguito di esame di Stato, con conseguente iscrizione nell’apposita sezione dell’Albo degli ingegneri) ben poteva ottenere, ricorrendone gli altri requisiti, l’iscrizione nel registro di cui all’art. 68 Cod. Nav. (che autorizza allo svolgimento dell’attività di consulente chimico di porto in base allo specifico settore di attività riservato dalla legge al profilo professionale di appartenenza), ciò non richiedendo in base alla normativa primaria ulteriori tirocini o abilitazioni.

In particolare, per quanto riguarda la figura dell’ingegnere industriale (quale è l’odierno appellante) l’art. 46, d.P.R. n. 328/2001, al comma 1 specifica in generale le attività professionali che costituiscono l’oggetto della detta professione e nello specifico per il settore " ingegneria industriale" (al quale fanno capo gli ingegneri chimici iscritti nella Sezione A dell’Albo, settore industriale): “la pianificazione, la progettazione, lo sviluppo, la direzione lavori, la stima, il collaudo, la gestione, la valutazione d'impatto ambientale di macchine, impianti industriali, impianti per la produzione, trasformazione e la distribuzione dell'energia, di sistemi e processi industriali e tecnologici, di apparati e di strumentazioni per la diagnostica e per la terapia medicochirurgica" .

La stessa norma prevede, poi, al comma 2 che, " ferme restando le riserve e le attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa e oltre alle attività indicate nel comma 3, formano in particolare oggetto dell'attività professionale degli iscritti alla sezione A, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, le attività, ripartite tra i tre settori come previsto dal comma 1, che implicano l'uso di metodologie avanzate, innovative o sperimentali nella progettazione, direzione lavori, stima e collaudo di strutture, sistemi e processi complessi o innovativi". Inoltre, ai sensi dell'art. 2 dello stesso decreto , "le norme contenute nel presente regolamento non modificano l'ambito stabilito dalla normativa vigente in ordine alle attività attribuite o riservate, in via esclusiva o meno, a ciascuna professione" .

9.8. Il sistema positivo vigente, in ossequio agli articoli 33 della Costituzione e 2229 c.c., è infatti orientato nel senso che il prerequisito del titolo abilitativo, necessario e sufficiente per l’iscrizione del registro ex art. 68 Cod. Nav., è il conseguimento dell’abilitazione all’esercizio della specifica professione, attraverso il prescritto esame di Stato, nonché l’iscrizione al corrispondente Albo professionale nel settore di pertinenza, in base alle leggi professionali che delineano le competenze delle singole categorie e, in assenza di norme speciali, attribuiscono agli iscritti agli albi l’abilitazione all’esercizio delle prestazioni alle stesse afferenti (cfr. in tal senso Cons. St., Sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4298).

Il tirocinio pratico e la prova teorica attualmente previsti come requisiti indispensabili per l’iscrizione al registro ex art. 68 Cod. Nav. soltanto dalla circolare ministeriale del 1999 non costituiscono unicamente, come ritenuto dal primo giudice, “una misura organizzatoria legata alla sicurezza dell’attività portuale prevista, in nuce, da una norma primaria costituita dal più volte ricordato art. 68 del Codice della Navigazione , ma in effetti configurano la surrettizia introduzione nell’ordinamento di un vero e proprio “esame di Stato”, interdetta sia al Ministero che all’Autorità Portuale, in base alle disposizioni ordinamentali in materia (cfr. art. 33 della Costituzione e 2229 cod. civ.).

In base a tali disposizioni, infatti, l’istituzione di professioni il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in albi o elenchi è espressamente demandato alla “legge” , da intendersi come legge dello Stato, con esclusione di qualsiasi altra fonte (cfr. sentenze Corte Cost., Sentenze numeri 355 e 424 del 2005;
n. 319 del 2005).

Contrariamente a quanto ritenuto dall’appellata sentenza lo scrutinio in termini positivi della compatibilità costituzionale e comunitaria dell’attuale sistema dei registri delineato dall’art. 68 del Codice della Navigazione, specie con la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi sanciti dal diritto eurounitario, non può affatto presupporre l’introduzione nell’ordinamento di un esame di Stato per l’abilitazione alla professione in assenza di una norma di legge.

Infatti, una “misura organizzatoria” proveniente da una circolare non può che fare riferimento all’attività interna della Pubblica Amministrazione (mediante disposizioni vincolanti esclusivamente per gli organi di quest’ultima), ma non può riguardare la regolamentazione diretta (in assenza di norme primarie) di una libera professione né può consentire ad atti amministrativi (in mancanza di previsioni di legge) di limitare per motivi di interesse generale la libertà di circolazione dei servizi.

8.9. Le pur suggestive argomentazioni delle appellate e dell’Associazione interveniente sulla necessità del tirocinio in aggiunta ai titoli professionali già posseduti dal ricorrente (la laurea specialistica e l’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere industriale, oltre al diploma presso l’istituto nautico che lo abilita al comando di navi mercantili), per lo più incentrate sulla delicatezza dei compiti dei consulenti chimici di porto in funzione di tutela della sicurezza del porto e della nave nonché dell’incolumità di chi vi opera, anziché scalfire, confermano la correttezza del ragionamento dell’appellante.

Infatti, se per un verso l’ordinamento non consente di comprimere l’accesso alle attività connesse all’esercizio delle professioni regolamentate mediante atti amministrativi (quale è la circolare impugnata, fonte subregolamentare a mera rilevanza interna, non avente natura normativa e priva di valore cogente all’esterno) - di modo che il sistema ivi delineato, configurando di fatto un’ulteriore esame di abilitazione alla detta professione si pone in frontale contrasto con le vigenti disposizioni di legge sopra richiamate- per altro verso deve evidenziarsi che proprio la delicatezza e complessità delle prestazioni professionali rese dai consulenti chimici di porto e “la marcata specificità dell’attività” in oggetto (cfr. sentenza impugnata) impongono vieppiù garanzie di adeguata qualificazione, conseguibili solo mediante una regolamentazione basata su criteri oggettivi di selezione degli aspiranti (sì da evitare le storture censurate dall’appellante il quale lamenta la sostanziale impossibilità pratica di accedere al tirocinio per mancanza di un consulente resosi disponibile per l’affiancamento, anche per l’assai esiguo numero degli stessi, come documentato in atti): criteri che non sta certamente ad una circolare individuare, bensì (nel caso) alla legge, solo quest’ultima potendo infatti prevedere l’istituzione di professioni il cui accesso è subordinato al superamento di un esame di Stato.

Al contrario, per quanto concerne la figura professionale del consulente chimico di porto, la disciplina di legge (cfr. artt. 25 e 46 del D.Lgs. n. 272/1999 “Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell’espletamento di operazioni e servizi portuali, nonché di operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale” ) ne descrive le attività e prestazioni professionali, ma non contiene alcun accenno al percorso formativo abilitante all’esercizio della professione.

Anche dal D.M. 30 novembre 2010 del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (recante “Norme di sicurezza e procedure amministrative per il rilascio dell’autorizzazione all’imbarco e trasporto marittimo e per il nulla osta allo sbarco di carichi alla rinfusa”) che si limita a definire il consulente chimico di porto come “ il consulente iscritto nel registro di cui all’art. 68 del Codice della Navigazione non si rinvengono indicazioni sul percorso formativo (successivo al conseguimento della laurea specialistica e all’abilitazione professionale) che consenta agli aspiranti di acquisire le necessarie competenze specialistiche ai fini dell’esercizio delle attività e dei compiti da svolgere.

Pertanto, nessuna norma nell’attuale sistema ordinamentale consente all’Amministrazione di assoggettare l’esercizio dell’attività di consulente chimico di porto al tirocinio formativo prescritto dalla sola circolare, in aggiunta ai titoli prescritti ai fini dell’abilitazione all’esercizio delle professioni su indicate.

Non è ovviamente preclusa in astratto la previsione di ulteriori condizioni abilitanti, ove ritenute necessarie in base alle competenze richieste da tali specifiche attività: tuttavia tale facoltà spetta in via esclusiva alla legge, non potendo per converso la circolare, atto amministrativo avente mera rilevanza interna e priva di valore normativo vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione, introdurre, in assenza di copertura normativa, un esame di abilitazione ai fini dell’esercizio della professione di consulente chimico di porto (neppure annoverabile tra quelle c.d. “non regolamentate”, di cui alla legge n. 4 del 2013).

Del resto, anche l’art. 1, comma 6, della Legge 14 gennaio 2013, n. 4, afferma che “Ai professionisti di cui all’art. 1, comma 2, anche se iscritti alle associazioni di cui al presente articolo, non è consentito l’esercizio delle attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti, salvo il caso in cui dimostrino il possesso dei requisiti previsti dalla legge e l’iscrizione al relativo albo professionale” .

8.9.1. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, deve dunque ritenersi che la sentenza appellata, pur muovendo da premesse corrette (secondo cui la figura in questione non trova disciplina compiuta a livello primario e che, dunque, in nessuna norma né di legge (o avente forza di legge), né regolamentare si hanno utili indicazioni, rilevanti ai fini della individuazione degli “specifici requisiti professionali che il medesimo debba possedere” ), è pervenuta ad erronee conclusioni quanto alla fondatezza delle censure e al loro rigetto, sulla base dell’inconferente distinzione tra “istituzione della professione” e “questione legata al percorso per giungere ad esercitare la medesima” , nonché del richiamo alla citata pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia n. 184/2016, afferente a diversa fattispecie.

Infatti, come evidenziato, la natura specifica della professionalità richiesta al consulente chimico di porto “legata al particolare ambito della sicurezza navale ” e l’esistenza di motivi di interesse generale non consente affatto, per le ragioni su indicate, di ritenere logico e ragionevole, come fa la sentenza impugnata, che “il silenzio normativo sui titoli necessari a svolgere la professione in parola possa e debba essere colmato dall’Autorità amministrativa di settore mediante la previsione di una attività formativa che consenta agli aspiranti di affiancare alla già posseduta preparazione generica (implicita nel titolo professionale vantato) le competenze specialistiche della materia da trattare” (cfr. sentenza paragrafo 2): profili questi inerenti alla regolamentazione delle condizioni e dei criteri di accesso all’attività libero professionale senz’altro riservati in via esclusiva alla legge, per il più proficuo esercizio della stessa in vista del miglior perseguimento dell’interesse pubblico.

8.9.2. In conclusione, contrariamente a quanto prospettato dalle appellate e dall’Associazione interveniente e condiviso dalla sentenza di prime cure, il più volte richiamato art. 68 del Codice della Navigazione, non autorizza “implicitamente” il Ministero a disciplinare con atti amministrativi (in assenza di base normativa) l’accesso alla professione in esame mediante ulteriori titoli abilitanti oltre a quelli già previsti dall’ordinamento né consente perciò di trarre elementi interpretativi idonei a sorreggere la legittimità dei provvedimenti impugnati;
né può rinvenirsi, come ancora sostenuto dalle appellate, la necessità di una siffatta regolamentazione (comportante l’introduzione ad opera della (sola) impugnata circolare di limitazioni all’accesso e allo svolgimento dell’attività professionale configuranti un vero e proprio esame di abilitazione) nel principio di precauzione ex art. 191 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea.

9. L’appello va dunque accolto e, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado e annullati gli atti ivi impugnati “nei limiti dell’interesse del ricorrente” , con conseguente accertamento del diritto di quest’ultimo all’iscrizione nel registro di cui all’art. 68, comma 2°, del Codice della Navigazione, tenuto presso l’Autorità Portuale appellata al fine di ivi esercitare l’attività di “consulente chimico di porto” , non costituendo condizione a ciò ostativa, per le ragioni esposte, il mancato svolgimento del tirocinio pratico prescritto dalla sola circolare ministeriale n. 1160 del 1999.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a fondare una decisione di tipo diverso.

Le spese di giudizio sono liquidate in dispositivo secondo il principio di soccombenza.

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