Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-03-14, n. 201401285

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-03-14, n. 201401285
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201401285
Data del deposito : 14 marzo 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03300/2009 REG.RIC.

N. 01285/2014REG.PROV.COLL.

N. 03300/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3300 del 2009, proposto da:
D L D, rappresentato e difeso dagli avv. O C e G C, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Ovidio, 32;

contro

Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione III ter , 25 marzo 2008, n. 2571, resa tra le parti, concernente liquidazione delle competenze professionali per consulenza di parte in procedimenti arbitrali.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dello sviluppo economico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 2 luglio 2013 il consigliere Andrea Pannone e udito per l’Amministrazione appellata l’avvocato dello Stato Clemente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente e appellante D L D, dipendente del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato con il IX livello funzionale, ha impugnato innanzi il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio i seguenti atti:

a) - determinazione del 7 luglio 1997, prot. n. 217.237 di reiezione della richiesta intesa ad ottenere la liquidazione delle competenze professionali per la consulenza di parte, prestata in favore dell’Amministrazione medesima nel procedimento arbitrale vertente tra la Dietalat s.r.l. (ora Parmalat s.p.a.) ed il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato;

b) - determinazione 7 luglio 1997, prot. n. 217.238, di reiezione della medesima richiesta di liquidazione di compensi per consulenza di parte prestata a favore dello stesso Ministero in altro procedimento arbitrale vertente contro la Parmalat s.p.a.;

c) - determinazione 2 settembre 1997, prot. 687.588, di reiezione della istanza per la corresponsione di compenso per l’attività di consulente di parte svolta in favore dell’ex Agensud nella causa civile promossa contro la SAVIR s.p.a. dinanzi al Tribunale civile di Salerno;

d) - nota dell’Ufficio legislativo del predetto Ministero 28 marzo 1996, prot. 14655, richiamata nelle note 7 luglio 1997 e la nota dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno del 24 giungo 1997, prot. 8449, richiamata nella nota 2 settembre 1997.

Egli ha chiesto altresì il riconoscimento del diritto alla corresponsione dei richiesti compensi per le attività cui si riferiscono i provvedimenti.

L’incarico di consulente di parte in procedimenti arbitrali e giurisdizionali è stato conferito dall’Amministrazione con nota del dirigente generale 28 marzo 1989, prot. S013154, sicché, per tali incarichi, egli meriterebbe di essere retribuito in qualità di libero professionista.

2. La sentenza ha respinto il ricorso rilevando che l’attività posta in essere dal ricorrente nello svolgimento degli incarichi di consulenza non ha autonomia causale rispetto al sinallagma contrattuale del suo rapporto con l’amministrazione di appartenenza, nell’interesse della quale sono stati disposti gli incarichi di cui rivendica la remunerabilità.

Gli incarichi risultano conferiti perché strettamente collegati alle mansioni da lui esercitate e con la qualifica di appartenenza (IX livello funzionale). L’interessato rivestiva la posizione di funzionario della Direzione generale della produzione industriale, che seguiva i lavori oggetto dei due giudizi arbitrali e di quello giurisdizionale: sicché l’attività di consulente di parte nei procedimenti in argomento non è estranea alle sue mansioni d’istituto, perché tra i compiti istituzionali rientra la trattazione degli affari inerenti i giudizi in corso.

Negli atti di incarico non era stata prevista una remunerazione per tali incombenze, né tali atti potevano essere configurati come autorizzazioni allo svolgimento di un incarico di natura professionale.

Nel caso di specie non poteva trovare applicazione l’art. 62 del r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537, laddove prevedeva la facoltà delle singole amministrazioni di liquidare ai propri funzionari corrispettivi per le prestazioni compiute per enti pubblici o aventi finalità di pubblico interesse, atteso che – a parte l’impossibilità di utilizzare tale regola, che si riferisce agli incarichi affidati a pubblici dipendenti di altre amministrazioni – la norma suddetta era stata abrogata dall’art. 18 della L. n. 109 del 1994, nel testo modificato dall’art. 13 della L. 17 maggio 1999, n. 144.

3. Ha proposto ricorso in appello l’interessato deducendo un unico complesso motivo così epigrafato: violazione e falsa applicazione degli artt. 58 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29;
61 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3;
62 del r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537;
3, 36 e 97 della Costituzione e dei principi vigenti in materia. Motivazione insufficiente, contraddittoria e perplessa.

4. In ordine alla dedotta violazione delle singole norme il Collegio osserva.

4.1. L’art. 58 ( Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi ) del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 ( Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 ), per quel che qui interessa, disponeva al comma 5, che il conferimento di un incarico, operato direttamente dall’amministrazione, andava disposto nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione.

Da tale disposizione, che risulta pacificamente applicata perché gli incarichi sono stati conferiti dal Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, non si evince che questi causino un contratto d’opera separato e distinto dall’ordinario rapporto di lavoro dell’interessato e perciò vadano retribuiti.

4.2. L’art. 61 ( Limiti dell’incompatibilità ), comma secondo, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 ( Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato ), dispone che: “L’impiegato può essere prescelto come perito od arbitro previa autorizzazione del Ministro o del capo ufficio da lui delegato” .

Anche da tale disposizione non si evince argomento a favore di un siffatto carattere autonomo e distinto e dunque dell’autonoma retribuibilità, da parte dell’amministrazione pretesa committente, per l’attività svolta: ma solamente che, previa autorizzazione, questa possa avere una rilevanza esterna rispetto all’amministrazione di appartenenza.

4.3. Il ricorrente invoca poi il r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537 ( Approvazione del regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto ), art. 62, comma quarto, che disponeva: “È riservata alle singole amministrazioni dello Stato la facoltà di liquidare ai propri funzionari i corrispettivi per le prestazioni compiute per enti pubblici o aventi finalità di pubblico interesse. Tali corrispettivi saranno fissati sulla base delle tariffe per i liberi professionisti con una riduzione non inferiore ad un terzo né superiore alla metà, salvo disposizioni speciali in contrario” .

Il ricorrente censura la sentenza richiamando il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto ministeri, per il quadriennio 1998-2001, che inquadrava nell’area funzionale C, nella quale egli era ricompreso, “i lavoratori che svolgono funzioni che si caratterizzano per il loro elevato contenuto specialistico” .

Nella posizione economica C3, nella quale egli era inserito, le specifiche professionali prevedevano: elevate conoscenze, capacità ed esperienze consolidate;
direzione e controllo di unità organiche con assunzione diretta di responsabilità e risultati;
relazioni esterne.

Le caratteristiche professionali di base individuavano poi lavoratori che svolgevano, tra l’altro, “attività di valutazione di particolare rilevanza ovvero, per l’elevato livello professionale, collaborano ad attività specialistiche” .

Il ricorrente sostiene che in nessuna delle disposizioni del contratto di lavoro, i cui dati essenziali sono stati trascritti, può essere compresa l’attività di “perito di parte” , svolta nell’ambito di un procedimento giudiziale.

Egli poi afferma “Tale peculiare attività non può essere inclusa nelle mansioni d’ufficio del ricorrente, che, si riferiscono, in via esclusiva, ad attività rese nell’ambito della propria struttura operativa o, comunque, all’interno della pubblica amministrazione, ma certamente non al cospetto di uffici giurisdizionali” .

4.4. Tale prospettazione non può essere condivisa.

Nel contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto ministeri non v’è una disposizione che indichi la possibilità per l’amministrazione di appartenenza di nominare periti. Dovrebbe quindi semplicemente inferirsene che nessun dipendente potrebbe mai essere nominato perito.

La potestà di nominare un perito ha in realtà fondamento nell’art. 61, secondo comma, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, invocato dal medesimo ricorrente ed estraneo alla disciplina contrattuale, che non pone limite alla scelta dell’amministrazione, né in ordine alla qualifica posseduta, né in ordine all’esperienza acquisita.

In ogni caso poi, quanto dedotto dal ricorrente circa la limitata rilevanza della propria attività lavorativa, da valutarsi solo all’interno della amministrazione, è contraddetto dalle stesse previsioni contrattuali invocate, le quali, nelle specifiche professionali, indicavano la possibilità di trattenere “relazioni esterne”.

4.5. Un problema di retribuibilità accessoria potrebbe porsi solo quando tra le mansioni svolte all’interno dell’amministrazione e il contenuto dell’incarico non vi fosse alcuna attinenza.

Nel caso di specie, invece, il ricorrente è stato nominato consulente nei procedimenti arbitrali e giurisdizionali proprio perché in qualità di dipendente aveva trattato le relative questioni.

5. La circostanza, pure dedotta, che l’attività sia stata svolta fuori dell’orario di servizio e in località di versa dalla sede di servizio, è tema che esula dal presente giudizio, dove si richiede un compenso ancorato alle tariffe professionali invece di soli imborsi o indennità di missione.

6. In conclusione il ricorso in appello non può trovare accoglimento, mentre sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

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