Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-06-23, n. 202205185

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-06-23, n. 202205185
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202205185
Data del deposito : 23 giugno 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/06/2022

N. 05185/2022REG.PROV.COLL.

N. 05137/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 5137/2021, proposto da R M P, rappresentata e difesa dall'avv. F T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Comune di Soriano nel Cimino, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio, sez. II, n. 11859/2020, resa tra le parti e concernente l’ordinanza di demolizione n. 27 del 10 marzo 2016, relativamente ad abusi edilizi accertati nell’edificio attoreo;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 3 marzo 2022 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi per le parti l’avv. Emilio Lopoi, per delega di Taurchini;


Ritenuto in fatto che:

– la sig. R M P dichiara d’aver acquistato, in esito ad un pubblico incanto giudiziale presso il Tribunale di Viterbo del 22 ottobre 2009 e secondo quanto asseverato (anche ai fini della conformità edilizia ed urbanistica) dal tecnico geom. F, la «… porzione di fabbricato per civile abitazione sito in Comune di Soriano nel Cimino, loc. Montagna, al piano primo di mq. 117 con corte e strada di accesso, distinta nel catasto fabbricati al foglio 22 con la particella 131 sub 2 ex scheda 11614 del 15.12.1983 (cat. A/2, cl. 2, vani catastali 6,5) e nel catasto terreni al foglio 22 con le particelle 205 e 131 della superficie complessiva di mq. 1800. Confini: residua proprietà debitore esecutato, proprietà Boldrini, strada vicinale, salvo altri …», in area soggetta a vincolo paesaggistico;

– a quanto consta in atti, tal edificio attualmente è costituito da un piano seminterrato, allo stato censito ad uso autorimessa, da un p.t. e da un piano 1° ad uso residenziale, indipendenti tra loro (quest’ultimo è munito d’un vano scala esterno e protetto), nonché da un sottotetto accessibile il cui uso attuale, riscontrato in sede di verificazione disposta nel giudizio di I grado, è quello di deposito;

– come s’evince dagli atti di causa, il sig. Emanuele Sabatini è proprietario del piano seminterrato adibito a garage, del p.t. e della corte esclusiva del fabbricato (in CE fg. 22, part. 204, già 131), mentre la sig. P è proprietaria del 1° p. e del piano sottotetto dell’edificio stesso, nonché del confinante fabbricato e della relativa corte esclusiva censiti con la part. 205;

– tal edificio era stato costruito, ma con una consistenza diversa e minore, in forza del n.o. edilizio n. 2890 del 4 luglio 1975 (tant’è che furono presentate due varianti in corso d’opera, approvate dal Comune nel 1983) e grazie alla CE n. 4302 del 3 giugno 1989, atti, tutti questi, che determinarono l’assetto edilizio oggetto della vendita forzata contro l’originario proprietario D S e che, ad avviso del geom. F, furono tali da aver regolarizzato integralmente la posizione edilizia del proprietario esecutato;

Rilevato altresì che:

– con ordinanza n. 27 del 10 marzo 2016, il Comune ingiunse alla sig. P la demolizione, per quanto d’interesse, di «… - piano seminterrato adibito a locale garage risultato completamente abusivo;
- volumetria eccedente del piano terra la cui sagoma deve tornare a corrispondere a quella autorizzata con N.O edilizio n. 2890, ribadendo che la destinazione d’uso dello stesso non può avere carattere residenziale;
- volumetria eccedente del piano secondo la cui sagoma deve tornare a corrispondere a quella autorizzata con N.O edilizio n. 2890;
- piano sottotetto adibito residenza risultato completamente abusivo;
- locale tipo “dependance” costruito in muratura ed adibito ad uso abitativo, coperto con tetto spiovente ed appoggiato su di un lato al vano scala esterno che collega il piano terra al piano primo risultato completamente abusivo;
- terrazzi e balconi tra il primo piano ed il sottotetto;
- muro di spina, al piano terra, in blocchetti di tufo e malta cementizia, realizzato sul lato dx della scala di accesso al piano superiore
…»;

– contro tal ordinanza insorse quindi la sig. P innanzi al TAR Lazio, con il ricorso NRG 6439/2016, deducendo: I) – l’erronea indicazione dominicale dei manufatti illeciti (piano seminterrato adibito a garage;
volumetria al p.t. eccedente il n.o. edilizio n. 2890/1975 con cambio indebito di destinazione d’ uso), essendo questi di proprietà altrui contro cui la ricorrente non aveva poteri ablativi;
II) – l’erroneo riferimento comunale al solo n.o. n. 2890, mentre sull’edificio furono rilasciati altri titoli (1983 e 1989), tant’è che nei grafici erano evidenziati la copertura a tetto, l’esistenza della dependance ed il muro di spina, fermo per il resto il difetto di motivazione;
III) – la natura di fatto revocatoria dell’impugnata ordinanza verso detti titoli edilizi, ma in evidente assenza dei presupposti per una legittima autotutela;
IV) – l’omessa considerazione comunale del titolo di acquisto attoreo (in esito ad incanto giudiziale e per beni conformi) e, anzi, il Comune non solo non emanò per trent’anni alcun atto repressivo, ma nulla ebbe a che dire sulle varianti al citato n.o., sì da ingenerare un legittimo affidamento;

– l’adito TAR, previa verificazione sull’intera vicenda e con sentenza n. 11859 del 13 novembre 2020, ha stralciato i manufatti abusivi altrui dalla posizione della ricorrente, ma ne ha comunque respinto, per la restante parte e considerata la natura vincolata dell’ordinanza (che non abbisognava d’alcuna motivazione rafforzata, neppure per il tempo trascorso, donde l’assenza d’ogni “legittimo” affidamento del privato), la pretesa azionata per assenza di titoli legittimi, per: a) la volumetria eccedente del p. 2°, donde il ripristino della sagoma a quella autorizzata col n.o. n. 2890;
b) il sottotetto adibito a mansarda, del tutto abusivo;
c) la dependance abitativa costruita in muratura, appoggiata su un lato al vano scala esterno d’accesso al p. 1°;

– appella quindi la sig. P, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per: I) – l’omessa pronuncia sulla doglianza relativa al legittimo affidamento ingenerato nel privato dai precedenti atti autorizzativi emanati dal Comune, l’autorevolezza dell’atto traslativo della proprietà proveniente dall’AGO ed il notevole lasso di tempo trascorso dall’ultimazione delle opere;
II) – l’applicabilità nella specie, in base pure alla verificazione, dell’art. 34 del DPR 6 giugno 2001 n. 380, poiché l’abuso inerente al manufatto n. 3, compiuto dal precedente proprietario, non è rimovibile senza coinvolgere il manufatto n. 2 (lecito) e la scala per il p. 1°, in danno alla statica dell’edificio;

– il Comune di Soriano nel Cimino, pur se ritualmente intimato, non risulta costituito in giudizio;

Considerato in diritto che:

– il primo motivo del presente appello s’incentra, tra l’altro, sul legittimo affidamento del terzo acquirente, in esito ad un’asta giudiziale, a fronte della perizia di stima (pure sullo stato dell’edificio trasferito) resa dal geom. P innanzi all’AGO in sede d’esecuzione forzata;

– in linea di massima, l’affidamento è un criterio che concorre alla soluzione d’uno specifico conflitto tra l’interesse del regolatore all’adattabilità del diritto al mutare del tempo e quello dei privati (comuni cittadini e imprenditori) a condurre la loro vita ed i loro affari sulla base dello scenario giuridico loro tracciato e tal conflitto si presenta quando il legislatore ritorna sui suoi passi abrogando o neutralizzando (ossia, imponendo oneri corrispettivi) il precedente quadro regolatorio;

– in tal caso, i paradigmi di giudizio del corretto rapporto tra legge (atto amministrativo) e tempo vanno individuati: I) nella sussistenza d’un motivo imperativo d’interesse generale;
II) nel grado di consolidamento della ragionevole fiducia dei privati verso un assetto regolatorio dato (tenuto conto della prevedibilità del mutamento), alla buona fede, al decorso del tempo;
III) nel modo in cui si attua tal mutamento giuridico, in quanto non basta che il peso imposto ai destinatari della norma “retroattiva” sia diretto a perseguire un interesse pubblico imperativo, occorrendo che esso sia anche ragionevolmente proporzionato al fine che s’intende realizzare;

– parimenti nota è la declinazione dell’affidamento nell’ambito del contenzioso sulla repressione degli abusi edilizi, secondo la quale, in linea di massima e quantunque il principio della tutela dell'affidamento permei il sistema dei rapporti tra cittadini e P.A., nel caso di mancata repressione d’un illecito edilizio il fattore tempo opera non in sinergia con l'apparente legittimità dell'azione amministrativa favorevole ―che dà l'apparenza e l'aspettativa di una sorta di sanatoria materiale estintiva di detto illecito―, bensì in antagonismo con l'azione amministrativa sanzionatoria (cfr., da ultimo, Cons. St., VI, 15 settembre 2021 n 5446;
id., 22 novembre 2021 n. 7764);

– per le funzioni di vigilanza e controllo dell'ordinato assetto del territorio, in mancanza di altra o espressa previsione normativa in deroga o di prescrizione della potestà sanzionatoria, vale il principio dell'inesauribilità di questa, a causa della natura d'illecito permanente riconoscibile nell'abuso edilizio, donde la perenne sanzionabilità, anche in capo al proprietario “inconsapevole”, di quest’ultimo, qualunque siano il tempo già trascorso e l'entità dell'infrazione e, quindi, l'assenza d'un affidamento, tutt'altro che incolpevole, alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, in forza di una legittimazione fondata solo sul tempo;

– tal sistema, tuttavia, non reagisce allo stesso modo in relazione alla peculiare modalità d’acquisto dell’edificio (e nella sua attestata consistenza, fisica e giuridica) da parte dell’odierna appellante, in tal caso dovendosi meglio parlare d’un affidamento del terzo inconsapevole di ulteriori illeciti, non evidenti dalla perizia di stima o da altro certificato reso dal Comune innanzi all’AGO in sede di esecuzione forzata;

Considerato infatti che:

– com’è noto ed in base all’art. 569, I co., c.p.c. ed all’art. 173-bis delle relative disposizioni di attuazione, il perito deve controllare «... la completezza dei documenti di cui all'articolo 567, secondo comma, del codice, segnalando immediatamente al giudice quelli mancanti o inidonei …»;

– con ogni evidenza, la relazione di stima non rileva più solo come strumento necessario per la determinazione del valore dell'immobile e, quindi, del prezzo base per la vendita, ma diventa la fonte di tutte le informazioni che interessano gli aspiranti acquirenti, cui essi possono accedere attraverso i sistemi di pubblicità che saranno indicati tra breve, esaurendone la due diligence ;

– pertanto, è plausibile che si verifichino eventuali errori od omissioni della perizia, specie per la parte urbanistico-edilizia quando, come nella specie, l’edificio ha subito una pluralità di interventi trasformativi ed è stato coinvolto da plurimi titoli edificatori e che possa ridondare in danno al soggetto acquirente, ma ciò non inficia né la correttezza della perizia (al più, si può parlare di mera incompletezza, non già d’infedeltà di essa), né l’affidamento qualificato del vincitore dell’asta, che acquista a titolo originario;

– nella vendita forzata devono esser tutelate le aspettative del terzo acquirente, come evincesi dalla salvezza degli effetti della vendita forzata posta dall'art. 187-bis disp. att. c.p.c., che s’esprime tanto nell'affidamento qualificato dell'acquirente alla legittimità del processo esecutivo civile (ove questo non sia stato riformato o annullato), quanto nell’obbligo di diligenza del perito, segnatamente se non ricorrano errori manifesti e se, a sua volta, l’interessato abbia adoperato invero la diligenza e la cautela prima di partecipare all'asta, con verifica di tutti i documenti allegati, come accadde;

– tornando, perciò, ai tre paradigmi in cui si deve inverare un corretto rapporto in relazione ad atti amministrativi sopravvenuti a modificare un assetto giuridico lecito e legittimo già consolidato, è opportuno dire che la vendita giudiziale è nella specie attuazione d’un giudicato, che questo non è revocabile in dubbio da atti amministrativi inerenti ad un tempo anteriore alla res judicata , che tale assetto è modificabile solo per imperiose e gravi esigenze d’interesse generale (e, certo, non per perseguire illeciti urbanistici quando pare al Comune) e che la regola generale sull’imprescrittibilità delle sanzioni edilizie trova il suo legittimo contemperamento nei casi in cui l’Autorità giudiziaria abbia accertato, con la forza formale del giudizio, una realtà giuridica diversa da quella altrimenti indicata dal Comune;

– in parole più semplici, nel caso in esame: I) non v’è nel Comune un motivo imperativo d’interesse generale superiore al giudicato ed alla sua attuazione;
II) il grado di consolidamento di ragionevole fiducia in capo all’appellante fu massimo verso l’assetto regolatorio impresso alla fattispecie dal processo esecutivo e dall’asta giudiziale (non essendo a quel momento prevedibile il mutamento poi recato dal Comune), nonché alla perizia F, peraltro mai contestata, né disattesa o riformata dal Giudice dell’esecuzione;
III) il modo in cui il Comune ha imposto il cambiamento d’assetto è stato sì diretto a perseguire un interesse pubblico, ma non anche ragionevolmente proporzionato al fine che intendeva realizzare, con riguardo a tutti gli interessi giuridici in campo;

– inoltre, la perizia F, a quanto consta, non si limitò a citare il n.o. n. 2890/1975 e la CE n. 4302/1989, ma concluse per la sostanziale conformità e adeguatezza dell’edificio a tali titoli;

– anche a voler seguire il ragionamento evincibile dagli atti del Comune, sfugge al Collegio qual ulteriore due diligence il partecipante all’asta (prima quindi d’esser aggiudicatario) avrebbe dovuto esercitare (a fronte del controllo sui titoli edilizi effettuato a suo tempo dal perito del Giudice dell’esecuzione, a sua volta convinto della serietà della perizia F verso la quale non mosse rilievi) e quali ulteriori documenti avrebbe potuto chiedere al Comune (a fronte d’un intervento repressivo di questo, emanato non solo dopo più di sei anni dall’acquisto dell’edificio, ma con un provvedimento rivelatosi ampiamente erroneo in fatto, quanto a consistenze ed a proprietari dei lotti), mentre, a differenza di quanto ha detto il TAR, nella specie il Comune era onerato ad una motivazione rafforzata, inutile in ogni altro caso, proprio a causa della complessità della vicenda in capo alla sig. P;

– l’accoglimento del primo mezzo d’appello implica l’assorbimento del secondo, subordinato di fatto all’altro, poiché la misura sostitutiva ex art. 34 del DPR 380/2001 è vicenda notoriamente connessa alla fase esecutiva dell’ordine di ripristino e non alla validità di questo;

– l’appello va così accolto, in quanto tutte le questioni fin qui vagliate esauriscono la vicenda posta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso;

– la novità e la complessità della vicenda suggeriscono tuttavia la declaratoria d’irripetibilità di metà delle spese del presente appello, per il resto liquidate come da dispositivo.

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