Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-05-18, n. 202003153

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-05-18, n. 202003153
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003153
Data del deposito : 18 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/05/2020

N. 03153/2020REG.PROV.COLL.

N. 00486/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 486 del 2010, proposto dalla Nuova Saicima s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati C P e M V, con domicilio eletto presso lo studio Placidi s.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;

contro

il Comune di Forlì, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato M G D G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato U P in Roma, via Ruggero Fauro, n. 43;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, sede di Bologna, sezione seconda, n. 1541/2009, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Forlì;

visti tutti gli atti della causa;

relatore, nell’udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2020, il consigliere Francesco Frigida e uditi per le parti l’avvocato Amina L’Abbate, su delega dell’avvocato M V, e l’avvocato Elena Provenzani, su delega dell’avvocato M G D G;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società odierna appellante, previo rilascio da parte del Comune di Forlì della concessione edilizia n. 368 del 20 luglio 1994, ha demolito e ricostruito, con ampliamenti, il proprio stabilimento per la lavorazione della frutta.

Successivamente, il Comune di Forlì, con ordinanza prot. n. 24370/94 del 4 novembre 1994 e notificata il 21 novembre 1994, ha chiesto alla società il pagamento di lire 49.504.774, a titolo di parte residua del contributo afferente alla concessione edilizia e non versato all’atto del ritiro della stessa, oltre le sanzioni di cui all’articolo 3 della legge n. 10 del 1977.

In particolare, ad avviso dell’amministrazione comunale, la parte privata avrebbe dovuto pagare gli oneri di urbanizzazione su tutta la superficie realizzata, mentre l’interessata ha sostenuto che il contributo andrebbe calcolato soltanto sulla superficie in aumento rispetto al precedente manufatto, ovverosia sul maggior carico urbanistico.

2. Avverso la su citata ordinanza, la società ha proposto il ricorso di primo grado n. 2783 del 1994, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, sede di Bologna.

Il Comune di Forlì si è costituito nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.

3. Con l’impugnata sentenza n. 1541 del 17 settembre 2009, notificata il 2 novembre 2009, il T.a.r. per l’Emilia-Romagna, sede di Bologna, sezione seconda, ha respinto il ricorso e ha compensato tra le parti le spese di lite.

4. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 29 dicembre 2009 e in data 21 gennaio 2010 –, la parte privata ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando quattro motivi confluenti in un’unica composita censura, con cui si è lamentata la violazione degli articoli 1, 3 e 5 della legge n. 10 del 1977 nonché del punto 1.5.4 della delibera del Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna del 14 marzo 1990, l’eccesso di potere (per carenza dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, contraddittorietà) e la violazione dei principi generali nella materia de qua .

5. Il Comune di Forlì si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello.

6. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 4 febbraio 2020.

7. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.

8. L’appellante, in sostanza, ha sostenuto di aver eseguito di fatto una ristrutturazione, essendovi una totale continuità fra il risultato conseguito e l’opera precedente, di cui sono state mantenute parte del preesistente, nonché la struttura fisica nel suo complesso e le caratteristiche fondamentali;
inoltre vi è stata contestualità fra demolizione e successiva ricostruzione.

In ogni caso, pur se l’opera fosse considerata nuova costruzione, la società ha affermato che essa andrebbe esentata dal contributo, poiché non si è verificato un cambiamento di destinazione d’uso incidente sulle spese di urbanizzazione e quindi urbanisticamente rilevante.

Le tesi dell’appellante non sono condivisibili.

8.1. L’intervento non può essere considerato quale ristrutturazione in base a costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui, per non incidere sul carico urbanistico, la ricostruzione di un preesistente fabbricato deve avvenire senza variazione o alterazione della superficie, volumetria e destinazione di uso, mentre le attività edilizie consistenti nella demolizione e ricostruzione, che non avvengano nel rispetto della stessa volumetria e sagoma del manufatto preesistente, sono da qualificare come nuove costruzioni.

In particolare, il Consiglio di Stato ha chiarito che:

- « Ai sensi dell’art. 31, l. 5 agosto 1978 n. 457, la nozione di ristrutturazione edilizia, comprende anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato, purché tale ricostruzione sia fedele, cioè dia luogo ad un immobile identico al preesistente per tipologia edilizia, sagoma e volumi » (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 10 agosto 2011, n. 4765);

- « La ristrutturazione edilizia può essere attuata attraverso la demolizione e la successiva ricostruzione di un fabbricato, ma in tale ipotesi il nuovo edificio deve essere comunque del tutto fedele a quello preesistente, perché in caso contrario infatti si realizza una nuova costruzione » (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 4 giugno 2013, n. 3056);

- « L’art. 3, comma 1, lett. d) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 riconduce la nozione di ristrutturazione edilizia alla finalità di recupero del patrimonio esistente: per cui, nei casi in cui ricorra la demolizione parziale o totale dell'edificio, la ricostruzione che voglia ascriversi nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia deve rispettare le linee essenziali della sagoma;
l’identità della complessiva volumetria del fabbricato, e la copertura dell’area di sedime, senza alcuna variazione rispetto all’originario edificio. Qualora tali parametri non risultino rispettati, l’intervento deve essere qualificato come “nuova costruzione” e sottoposto alla disciplina prevista in materia di nuove edificazioni
» (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 18 novembre 2014, n. 5662);

- « Ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. e), t.u. dell’edilizia, un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti la sagoma dell’edificio preesistente, intesa quest’ultima come la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale, configura un intervento di nuova costruzione, e non di ristrutturazione edilizia » (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 7 aprile 2015, n. 1763).

Pertanto, al fine di escludersi un nuovo carico urbanistico, occorre la piena fedeltà tra vecchio e nuovo edificio, che nel caso di specie è pacificamente esclusa.

Ne discende che l’interessata deve sopportare il pagamento degli oneri di urbanizzazione.

Peraltro non ha alcun rilievo l’asserita differenza tra carico urbanistico precedente e carico urbanistico successivo all’intervento stesso che, nel caso di specie, non potrebbe comunque essere quantificata, atteso che l’insediamento precedente era preesistente agli anni quaranta del ventesimo secolo e per esso, come ha correttamente rilevato il T.a.r., non è mai stato pagato alcun onere di urbanizzazione;
né su tale ultimo punto risulta convincente un contrario e isolato precedente giurisprudenziale richiamato in memoria da parte appellante, dove si afferma la tesi di un assolvimento virtuale di un onere inesistente all’epoca della primigenia costruzione, poiché si determinerebbe una sovrapposizione temporale tra discipline totalmente differenti e mancherebbe comunque un parametro di riferimento certo e non solamente potenziale per la quantificazione dell’onere fittizio.

8.2. Anche a voler ritenere sussistente una ristrutturazione, il che nella fattispecie de qua è – come prima precisato – recisamente da escludere, il contributo concessorio per gli oneri di urbanizzazione secondaria, anche per le aree oggetto di interventi convenzionati, va tassativamente determinato sulla base delle apposite tabelle parametriche regionali (non impugnate dalla parte privata), esclusa ogni possibilità di far riferimento a costi reali, presunti o effettivi, delle opere stesse;
inoltre il punto 1.5.4. delle tabelle parametriche della Regione, al comma 3, prevede che “ nel caso di intervento anche sulla parte preesistente, la superficie utile cui applicare l’onere è computata ai sensi del precedente capoverso ”, il quale a sua volta statuisce che “ nel caso che detti interventi di risanamento e ristrutturazione riguardino intere unità immobiliari, la superficie utile cui applicare gli oneri di urbanizzazione è quella di cui ai punti 1.5.1. e 1.5.2. ”, ovverosia tutta la superficie del nuovo edificio.

8.3. Riepilogando, è palese che non sussiste alcuna violazione della legge n. 10 del 1977 né della su citata disciplina regolamentare regionale;
non si rinvengono altresì i lamentati indici sintomatici dell’eccesso di potere, attesa la sopra descritta logicità, imparzialità e completezza dell’azione amministrativa;
sono stati infine rispettati i principi generali in tema di oneri concessori, così come delineati dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, diffusamente richiamata in precedenza (si veda anche, in passato, Consiglio di Stato, sezione V, 15 settembre 1997, n. 959: “ ai fini della riliquidazione o meno degli oneri d’urbanizzazione su un intero fabbricato industriale, non costituisce variazione essenziale, rispetto al progetto originariamente assentito, quella che inerisce soltanto alle diverse modalità costruttive dell’edificio, ma che ne mantiene la stessa forma e dimensione del progetto medesimo, a nulla rilevando che, pur non essendosi modificata la primitiva destinazione d’uso industriale, è cambiata l'organizzazione interna del lavoro, atteso che tale ultimo dato non ha alcun significato agli effetti urbanistici o edilizi. Infatti, ai predetti fini, l’unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell’eventuale maggior carico urbanistico provocato dalla variante introdotta in un fabbricato già autorizzato, con conseguente illegittimità della richiesta del pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la variazione in aumento del carico urbanistico ”).

9. In conclusione l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

10. La peculiarità della vicenda e la prospettazione di una questione controversa in giurisprudenza, ovverosia la possibile – e in concreto esclusa – rilevanza nel caso di specie del mancato assoggettamento a oneri di urbanizzazione dell’immobile primigenio, giustificano la compensazione tra le parti delle spese di lite del presente giudizio.

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