Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-09-15, n. 201006927

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-09-15, n. 201006927
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201006927
Data del deposito : 15 settembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10534/2001 REG.RIC.

N. 06927/2010 REG.DEC.

N. 10534/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 10534 del 2001, proposto da:
E L, rappresentato e difeso dall'avv. M M, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Roma, via della Giuliana n.70;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 08055/2000, resa tra le parti, concernente PERDITA DEL GRADO PER RIMOZIONE.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2010 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per la parte appellante l’avv. Massatani e per il Ministero della Difesa l’avvocato dello Stato Greco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il sig. E L, sottufficiale della Marina Militare col grado di 2° Capo Radiotelegrafista, veniva indagato e sottoposto a misura cautelare per il reato di tentata truffa aggravata, imputazione per la quale successivamente veniva disposto il non luogo a procedersi per intervenuta amnistia. Il medesimo veniva altresì denunziato dalla Procura presso il Tribunale Penale di Roma per il reato di associazione per delinquere, per il quale veniva poi assolto per non aver commesso il fatto.

Ancora, l’E veniva sottoposto da parte della Procura Militare di La Spezia ad una serie di procedimenti per concorso in truffa continuata aggravata, per i quali, in seguito, veniva disposto il non luogo a procedersi per intervenuta amnistia.

In relazione a tali fatti, l’E veniva precauzionalmente sospeso dal servizio e quindi sottoposto ad inchiesta disciplinare all’esito della quale la Commissione di disciplina con verbale del 20/3/1992 giudicava il sottufficiale meritevole della sanzione disciplinare della perdita del grado.

Con decreto del Ministero della Difesa del 30/4/1992 all’E veniva irrogata per motivi disciplinari la sanzione della perdita del grado per rimozione.

L’interessato impugnava, con ricorso n.3996/92 , innanzi al TAR per il Lazio tale provvedimento sanzionatorio, deducendone la illegittimità per i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

Nelle more della definizione del predetto gravame, il sig. E Luigi riportava una condanna dal Tribunale Militare di Bari per concorso in truffa militare aggravata e continuata, che però veniva riformata in appello dalla Corte Militare d’Appello di Napoli con sentenza del 20/11/1997 recante dichiarazione di non luogo a procedersi per il suddetto reato per intervenuta amnistia. Inoltre tra il finire del 1996 e i primi mesi dell’anno 1997 l’E veniva sottoposto da parte dell’Autorità Giudiziaria ordinaria a procedimenti penali relativi alla contestazione di reati quali “violenza carnale”,” tentata estorsione aggravata e continuata”, “concorso in estorsione”. Per tali fatti il Comandante in capo del Dipartimento Marina Militare di Taranto disponeva un’inchiesta formale, al cui esito la Commissione di disciplina officiata giudicava l’E meritevole di conservare il grado. Tuttavia il Direttore Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa , disattendendo il giudizio reso dalla Commissione di Disciplina , con decreto del 26/3/1999 decideva di irrogare al citato sottufficiale, ai sensi degli artt.60 n.6, 61,63 e 75 della legge n.599/1954, la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione.

Il Sig. E impugnava sempre innanzi al TAR per il Lazio, con ricorso n.8963/99, pure tale decreto, denunciandone la illegittimità per vari motivi.

L’adito TAR – Sez. I bis - con sentenza n.8055/2000 riuniva entrambi i ricorsi, ossia quello proposto avverso il decreto di perdita del grado per rimozione del 30/10/1992 (rubricato al n. 3996/92) e quello proposto avverso il decreto di rimozione del 26/3/1999 (rubricato al n.8963/99) e definitivamente pronunziando, rigettava il ricorso n.3996/92 e dichiarava improcedibile il ricorso n.8963/99 per carenza di interesse del ricorrente al predetto gravame

L’interessato ha quindi impugnato tale sentenza, ritenendola erronea oltreché ingiusta.

In particolare, in relazione alle statuizioni rese dal primo giudice in ordine al provvedimento sanzionatorio gravato con l’originario ricorso n.3996/92 parte appellante deduce due profili di illegittimità:

a) l’intervenuto proscioglimento dagli addebiti in sede penale per amnistia preclude all’Amministrazione di attivare il procedimento disciplinare culminato con la sanzione in contestazione;
l’Amministrazione si è limitata ad effettuare in sede disciplinare una indebita, automatica trasposizione dei fatti contestati in sede penale, senza tener conto dell’operatività dell’intervenuta amnistia ed in ogni caso, nella specie, in sede disciplinare non è stata effettuata, come, invece, dovevasi, una autonoma valutazione dei fatti;
ed inoltre sproporzionata è la misura disciplinare irrogata;

non si è considerata l’identica posizione del coimputato Mario Greco, che ha subito simili giudizi, sia di tipo penale che disciplinare, con esiti diversi, senza tener conto che le circostanze e le dichiarazioni che hanno contrassegnato l’analoga vicenda del collega Greco portano ad escludere una quale che sia responsabilità dell’attuale appellante.

Con riferimento poi alla parte della sentenza che dichiara improcedibile il ricorso n.8963/99, parte appellante, oltre a ribadire il proprio interesse per un decisione di merito dell’allora proposto gravame, denuncia la carenza motivazionale del provvedimento ministeriale, lì dove non espliciterebbe le gravi ragioni idonee a giustificare la decisione di disattendere il più favorevole avviso della Commissione di Disciplina ed inoltre fa presente che i fatti cui si riferisce la sentenza di condanna del Tribunale Militare di Bari, in realtà, fanno parte, dal punto di vista cronologico, di vicende verificatesi in precedenza e per le quali era intervenuta l’amnistia.

Si è costituito il Ministero della Difesa che ha contestato la fondatezza dell’appello di cui ha chiesto la reiezione.

DIRITTO

La sentenza di primo grado, nella parte in cui rigetta l’originario ricorso n.3996/92, appare meritevole di essere confermata, mentre la stessa, nella parte in cui dichiara la improcedibilità del ricorso 8963/99, deve essere riformata nei sensi e per gli effetti appresso indicati.

Relativamente alla vicenda conclusasi con l’irrogazione nei confronti del suindicato sottufficiale della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, di cui al decreto ministeriale del 30/4/1992, con riferimento al contenuto delle doglianze fatte valere col proposto gravame occorre procedere ad effettuare alcune considerazioni giuridiche aventi carattere prioritariamente logico, così come consegnate dai principi più volte affermati dalla giurisprudenza in tema di rapporti tra procedimento penale e sanzioni disciplinari.

La sanzione della rimozione è stata irrogata all’E in seguito ad alcuni fatti per i quali sono stati aperti nei confronti dell’appellante procedimenti penali sfociati poi in altrettante dichiarazioni di non luogo a procedersi per intervenuta amnistia;
e, in relazione a ciò, la difesa del sig. E oppone una prima pregiudiziale questione, quella secondo cui gli intervenuti esiti (come indicati) dei procedimenti penali subìti dal sottufficiale precluderebbero l’attivazione di qualsiasi procedimento disciplinare.

Al riguardo va osservato che non esiste alcun rapporto di necessaria pregiudizialità tra procedimento penale e procedimento disciplinare, stante la loro ontologica diversità, quanto a oggetto delle valutazioni, soggetti coinvolti, natura e scopi da perseguire (cfr Cons. Stato Sez. I 15/11/2006 n.2609).

In particolare, va sottolineato che il procedimento disciplinare nei confronti di dipendenti pubblici si presenta come del tutto peculiare e autonomo rispetto al procedimento penale, non essendo precluso all’Amministrazione, in virtù del principio di autonomia, utilizzare le risultanze comunque acquisite dal giudice penale quali elementi fattuali idonei a supportare il giudizio disciplinare (cfr. Cons. Giustizia Regione siciliana 23/9/2008 n.806).

Sul punto giova pure richiamare il principio per cui l’inconfigurabilità dell’illecito penale non esclude la rilevanza dello stesso fatto ai fini disciplinari, in quanto la potestà disciplinare opera in sfera diversa da quella del giudizio penale;
tant’è che anche le formule assolutorie non precludono l’ingresso dell’azione disciplinare e la possibilità che il medesimo comportamento possa essere qualificato dall’Amministrazione come illecito disciplinare (cfr. Cons. Stato Ad. Pl. n.10/06).

Da quanto sopra evidenziato deve allora necessariamente dedursi che l’estinzione dei reati inizialmente contestati all’appellante per intervenuta amnistia ai sensi dell’art.151 del codice penale non è incompatibile con l’adozione della contestata sanzione della perdita del grado per rimozione, fondata nel caso de quo sulla rilevanza disciplinare degli stessi fatti (in tal senso, Cons Stato Sez. VI n.226 dell’11/12/2007).

L’Amministrazione può legittimamente assumere a presupposto dell’azione disciplinare gli stessi fatti - in relazione ai quali il procedimento penale si sia concluso in modo non sfavorevole per il dipendente - sempreché, però, proceda ad un’autonoma valutazione della loro rilevanza sotto il profilo disciplinare (vedi CGA n.806/2008 già citata).

Appare allora indispensabile andare a verificare se nella fattispecie si sia inverata o meno quella autonoma valutazione dei fatti , quale condicio juris per un corretto esercizio della potestà disciplinare e al riguardo si ritiene debba darsi atto dell’avvenuta osservanza da parte dell’Amministrazione procedente della regola sopra illustrata.

Invero, ove si locale abbia riguardo alle risultanze documentali illustrative del procedimento disciplinare, con particolare riferimento al rapporto finale dell’inchiesta, si è in grado di rilevare che l’istruttoria svolta non si è limitata alla mera raccolta degli addebiti aventi rilevanza penale, mettendosi in evidenza vari dati rivelatori dell’esistenza di fatti disciplinarmente rilevanti, senza quindi che il giudizio di responsabilità disciplinare si sia esaurito in un mero, apodittico recepimento delle contestazioni penali.

L’Amministrazione della Difesa ha quindi doverosamente valutato i fatti, attribuendo agli stessi la valenza negativa sotto il profilo disciplinare, evidenziando la loro non compatibilità con i compiti e i doveri d’istituto e ciò sia in sede di inchiesta disciplinare sia in sede di “confezionamento” del provvedimento di irrogazione della sanzione, e tanto con sufficiente contezza, per cui neppure possono rilevarsi a carico delle determinazioni assunte profili di illegittimità sussumibili sotto la figura dell’eccesso di potere per carenza motivazionale e difetto di istruttoria pure dedotti..

Quanto poi alla misura della sanzione disciplinare adottata, è sufficiente rinviare alla costante giurisprudenza (ex plurimis Cons Stato Sez. IV 31/1/2006 n.399;
idem n.811 del 24/2/2006;
n.6404 del 1 ottobre 2004) che ritiene la scelta della sanzione da applicare frutto di valutazioni di merito insindacabili in sede di legittimità, salvo il limite della manifesta abnormità, nella specie non rinvenibile, trattandosi di fatti che hanno dato pur sempre luogo alla formulazione di un capo di imputazione di una certa gravità (concorso in truffa militare continuata aggravata).

Con un secondo motivo di gravame la difesa dell’appellante introduce una serie di critiche nei confronti del decisum del primo giudice che non è dato ben comprendere nella loro logica articolazione, doglianze che, in ogni caso, appaiono inammissibili.

Invero parte appellante lamenta, come pare, una sorta di disparità di trattamento o se si vuole la mancata considerazione da parte del giudice di primo grado degli esiti di contenuto positivo delle vicende giudiziarie e disciplinari conseguiti da un collega e coimputato dell’attuale appellante, il sig. Mario Greco, la cui posizione però sarebbe del tutto identica a quella dello stesse E .

Ora, è del tutto evidente che le vicende processuali del collega dell’appellante non hanno e non possono avere una diretta rilevanza in ordine al procedimento disciplinare qui in discussione, dal momento che le relative controversie instaurate dagli interessati sono contrassegnate da percorsi ed esiti del tutto autonomi;
né parte appellante può invocare una sorte di disparità di trattamento, essendo del tutto inconfigurabile una quale che sia ingiustificata diversificazione in ordine a decisioni giurisdizionali aventi una propria esclusiva autonomia.

In definitiva la dedotta legittimità dell’operato del collega Greco, come potrebbe essere stata sancita da apposite pronunce giurisdizionali o determinazioni amministrative, non può valere come causa di esenzione di responsabilità disciplinari dell’E, stante l’autonomia dei giudizi che di volta in volta vengono ad instaurarsi e ciò anche a fronte di situazioni di fatto che appaiono omogenee.

Il provvedimento disciplinare di perdita del grado per rimozione adottato con decreto ministeriale del 30/4/1992 si appalesa, conclusivamente, immune dai profili di illegittimità dedotti dall’interessato, rivelandosi altresì corrette le statuizioni e prese conclusioni del giudice di primo grado rese in ordine alla legittimità della determinazione assunta a carico del predetto sottufficiale.

In forza di quanto suesposto l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha rigettato l’originario ricorso n.3996/92 proposto avverso il decreto 30/4/1992 di perdita del grado per rimozione va, perciò confermata


La stessa sentenza deve invece, essere riformata nella parte in cui reca la dichiarazione di improcedibilità del ricorso n.8963/99 proposto avverso il decreto ministeriale 26/3/1999.

Va, in primo luogo, affermata la sussistenza nella specie di un interesse sostanziale e processuale del sig. E ad ottenere una pronuncia di merito sul ricorso proposto nei confronti del “secondo” provvedimento sanzionatorio qui in contestazione.

Invero - a parte l’interesse morale a veder rimosso una determinazione emessa in termini che incidono negativamente sulla posizione giuridica soggettiva del destinatario, circostanza, questa che di per sé evidenzia la persistenza dell’interesse di cui all’art.100 c.p.c. ai fini alla decisione di merito del gravame -, con riferimento alla individuazione dei presupposti per farsi luogo alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso come affermati in giurisprudenza, bisogna tener presente che la declaratoria di improcedibilità, precludendo l’esame del merito della controversia, non deve tradursi in una sostanziale elusione dell’obbligo del giudice di pronunciarsi sulla domanda avanzata dall’attore;
e comunque l’interesse residuo alla pronuncia di merito va inteso nella sua massima ampiezza (cfr. Cons. Stato Sez. V 10/3/1997 n.242).

In ogni caso, nella specie, ai fini della sussistenza dell’interesse de quo, appare decisiva la considerazione che il “nuovo” decreto di perdita del grado per rimozione viene adottato in relazione a fatti considerati aventi rilevanza disciplinare a suo tempo posti alla base di ipotesi di reato di tipo diverso da quelle contestate e considerate con il precedente analogo provvedimento sanzionatorio, di talchè, essendo in valutazione nuovi, diversi fatti , non si tratta di un provvedimento integralmente sostitutivo del precedente, e per ciò stesso non può farsi luogo alla dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse (cfr. Cons. Stato Sez. VI 3/972009 n. 5191).

Ciò premesso, il Collegio deve prendere atto degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n.62 del 5/3/2009, recante dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art.75 della legge n.599 del 1954 sulla fattispecie all’esame.

Invero, in questo secondo caso, il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione è stata assunto, come rilevasi dalla lettura della parte motiva dell’atto stesso, dall’Autorità ministeriale espressamente ai sensi dell’art.75 della citata legge n.599/54, ai sensi cioè di quella norma che permette al massimo organo dell’Amministrazione di disporre in pejus, in contrario avviso della Commissione di disciplina (e nella fattispecie l’organo preposto all’inchiesta disciplinare aveva concluso con il giudizio di “meritevole di conservare il grado”).

Com’è noto il giudice delle leggi ha sancito con detta sentenza, in accoglimento dei dubbi di costituzionalità espressi proprio da questa Sezione (ordinanza di rimessione n.224/09) che la previsione legislativa recante la reformatio in pejus in tema di irrogazione di sanzioni disciplinari è da ritenersi illegittima in quanto sostanzialmente priva l’incolpato rispetto al procedimento disciplinare condotto dall’apposito organo di una serie di garanzie da ritenersi indefettibili.

Ora questa irragionevolezza di fondo del provvedimento ministeriale rispetto al giudizio emesso dall’organo di disciplina è stata sia pure in nuce dedotta dalla difesa dell’appellante sia in primo grado che in sede di appello e comunque la doglianza va interpretata nel senso più aderente al dettato impartito sul punto dal Giudice delle leggi;
se così è , in virtù dell’avvenuta rimozione dal mondo giuridico ad opera della suindicata sentenza della Corte Costituzionale della norma utilizzata per irrogare la sanzione della perdita del grado per rimozione, va dato atto della illegittimità dell’impugnato decreto del Ministero della Difesa- Direzione Generale per il Personale Militare- del 30/4/1999.

In questi sensi l’impugnata sentenza, in parte qua, va riformata, pur rimanendo fermo, per la precisione, l’effetto del precedente provvedimento di perdita del grado per rimozione.

Sussistono, peraltro giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda all’esame, per compensare tra le parti le spese e competenze del presente grado di giudizio.



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