Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-05-29, n. 201702552

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-05-29, n. 201702552
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201702552
Data del deposito : 29 maggio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/05/2017

N. 02552/2017REG.PROV.COLL.

N. 03811/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3811 del 2017, proposto da:
Ufficio Territoriale del Governo di Roma, Ministero dell'Interno, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Villa Sacchetti n. 11;
Comune Castelnuovo di Porto, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, Sezione Seconda Bis, n. 6103 del 2017, resa tra le parti, concernente il ricorso elettorale ex art. 129 c.p.a.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella up speciale elettorale del giorno 29 maggio 2017 il Cons. Stefania Santoleri e udito per le parte appellata l’avvocato A P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - Con il ricorso di primo grado il ricorrente, candidato alla carica di consigliere comunale nelle elezioni dell’11 giugno 2017 nel Comune di Castelnuovo di Porto, ha impugnato i seguenti atti:

- il verbale della Sottocommissione Elettorale Circondariale di Castelnuovo di Porto del 14 maggio 2017, n. 214, con cui ha deliberato la sua esclusione, ai sensi dell’art. 12, comma 2 del D.Lgs. n. 235/2012, dalla lista dei candidati per l’elezione del Sindaco e del Consiglio Comunale;

- il successivo verbale della Sottocommissione del 17 maggio 2017, n. 224, recante la conferma della sua esclusione, ai sensi dell’art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 235/2012.

L’esclusione è stata disposta perché dal suo certificato del Casellario Giudiziale (n.-OMISSIS-) risulta una “condanna definitiva per il delitto di cui all’art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica 09 ottobre 1990, n. 309”.

2. - A sostegno della sua impugnativa ha dedotto, in primo grado, i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili rilevando che:

a) poiché la sentenza di condanna di cui trattasi, emessa ex art. 444 c.p.p., risale al 2002, doveva trovare applicazione l’art. 16 della d.lgs. n. 235 del 2012 (il quale limita - in relazione a sentenze di tal genere - l’operatività del disposto dell’art. 15, comma 1, esclusivamente alle sentenze “pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore del presente testo unico”);

b) è ampiamente maturato il termine massimo di incandidabilità contemplato dall’art. 13 del medesimo decreto, fissato in 6 anni dalla data in cui la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile;

c) l’iter argomentativo del provvedimento di esclusione “risulta del tutto illogico e irragionevole”, atteso che, dichiarando la S.C.E.CIR. di poter “prescindere dall’estinzione degli effetti penali che l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta comporta”, non ha tenuto in alcun conto il disposto dell’art. 445 c.p.p. e, precipuamente, la circostanza che, “nei casi di patteggiamento, … il reato si considera estinto ope legis, indipendentemente da un provvedimento giudiziale, se nel termine di cinque anni l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole”.

3. - Con la sentenza appellata il TAR ha respinto le censure riportate sub a) e sub b) ed ha invece accolto la terza doglianza, sub c).

4. - Avverso tale sentenza ha proposto appello principale il Ministero dell’Interno, unitamente alla Prefettura – UTG di Roma e la Sottocommissione Elettorale Circondariale di Castelnuovo di Porto, chiedendo la riforma della decisione di primo grado.

5. - Si è costituito in giudizio l’appellato che ha anche proposto appello incidentale avverso i capi di sentenza nei quali è risultato soccombente (relativi alle doglianze sub a) e b).

6. - All’udienza pubblica del 29 maggio 2017 l’appello è stato trattenuto in decisione.

7. - Per ragioni logiche deve essere preventivamente esaminato l’appello principale proposto dall’Amministrazione.

8. - L’appello principale è fondato e va, dunque, accolto.

Con l’unico motivo di appello principale l’appellante ha dedotto la violazione e/o la falsa applicazione dell’artt. 15, comma 2, del D.Lgs. n. 235/2012, degli 178 e 179 c.p., dell’art. 445, comma 2, c.p.p., nonché dei principi in materia di incandidabilità alle cariche elettive.

Con tale doglianza la parte appellante ha rilevato che il TAR avrebbe sostanzialmente disapplicato la disposizione recata dall’art. 15, comma 2 del D.Lgs. n. 235/2012 – riproducendo la disposizione già contenuta nell’art. 15, comma 4-sexies della L. n. 55/90 e nell’art. 58, comma 5 del T.U. n. 267/00 – secondo cui la sentenza di riabilitazione costituisce l’unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità prevista dallo stesso T.U.

Il primo giudice, infatti, avrebbe fatto ricorso ad un’interpretazione analogica e costituzionalmente orientata della disposizione, ritenendo equiparabile l’estinzione ex art. 445 c.p.p. alla riabilitazione.

A sostegno della propria impugnativa l’appellante deduce che le due figure non sarebbero equivalenti, in quanto l’estinzione del reato e degli effetti penali della condanna di cui all’art. 445 c.p.p. discende dal mero decorso del tempo, ove il condannato non commetta altro reato della stessa indole nel termine di cinque anni;
nel caso della riabilitazione, invece, l’effetto estintivo si verifica solo se il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta.

9. - La doglianza è fondata.

Occorre innanzitutto rilevare che la norma dell’art. 15 c. 3 del D.Lgs. n. 235/2012 dispone che “la sentenza di riabilitazione, ai sensi dell’art. 178 e seguenti del codice penale, è l’unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità” (cfr. Cons. Stato Sez. V 13/9/99 n. 1052): la norma non reca un’analoga previsione con riferimento all’estinzione del reato ex art. 445 c.p.p., ma anzi il riferimento all’aggettivo “unica” depone nel senso di ritenere che soltanto la riabilitazione sia stata considerata dal legislatore idonea a far venir meno l’incandidabilità.

Il TAR, infatti, ha dovuto procedere ad un’interpretazione analogica della disposizione sostenendo che le due misure sarebbero equivalenti, perché entrambe farebbero cessare gli effetti penali della condanna.

Correttamente, però, l’Amministrazione ha rilevato che ai fini della riabilitazione non è sufficiente la mancata commissione di altri reati, come nel caso dell’estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell’art. 445 c.p.p., ma occorre l’accertamento del “completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione (ove possibile) delle conseguenze civili del reato” (Cass. Pen. Sez. I, 18 giugno 2009, n. 31089).

La Cassazione ha precisato, infatti, che “mentre l’estinzione della pena patteggiata si produce con il solo mancato avveramento della condizione risolutiva nel previsto arco temporale ….la riabilitazione viene pronunziata all’esito di un effettivo approdo rieducativo del reo”.

Ha inoltre riconosciuto al condannato, la cui pena sia stata medio tempore estinta ex art. 445 c. 2 c.p.a., l’interesse a chiedere la riabilitazione, in quanto correlato ad una completa valutazione post factum, non irrilevante sul piano dei diritti della persona.

Ne consegue che sebbene entrambi gli istituti assicurino al condannato la cessazione degli effetti penali della condanna, non possono però ritenersi sovrapponibili, in quanto solo con la riabilitazione si acquista la certezza dell’effettiva rieducazione del reo, poiché l’estinzione ex art. 445 c.p.p. deriva dal solo dato fattuale del mero decorso del tempo.

9.1 - Il Legislatore, nell’ambito della propria discrezionalità, ha seguito una scelta rigorosa,

non accontentandosi del mero venir meno degli effetti penali della condanna, ma ha espressamente richiesto la prova dell’effettiva rieducazione del reo, elemento ritenuto indefettibile per il riacquisto dei requisiti di onorabilità richiesti dall’art. 54, comma 2 Cost. per l’accesso alle funzioni pubbliche.

9.2 - La norma recata dall’art. 15 comma 3, del D.Lgs. 235/2012 non presenta neppure profili di incostituzionalità, fondandosi sulla previsione recata dall’art. 54 Cost., né appare eccessivamente gravosa per la parte interessata, tenuto conto che il destinatario della sentenza di patteggiamento (come già rilevato) può ottenere la declaratoria di riabilitazione anche dopo il decorso del termine quinquennale di estinzione del reato, facendo così venire meno la condizione di incandidabilità.

9.3 - L’appello principale è dunque fondato.

10. - L’appello incidentale va invece respinto alla stregua dei principi espressi dal TAR, perché:

- l’art. 16 del D.Lgs. n. 235/2012 si riferisce alle “incandidabilità di cui ai Capi I e II” e a quelle di cui ai “Capi III e IV non già rinvenibili nella disciplina previgente”;

- la sentenza di condanna è stata emessa ex art. 444 c.p.p. nel 2002, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 235/2012, e dunque non sarebbe preclusiva ai sensi dell’art. 16, comma 1, del citato D.Lgs n. 235/2012, ma il reato per il quale è stato condannato l’appellato (art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990) costituiva, però, già causa di incandidabilità nel precedente regime (art. 15, comma 1 lett. a) della L.19/3/90 n. 55);

- l’appellato non gode della riabilitazione e dunque permane l’ostatività della condanna;

- l’art. 13 del D.Lgs. 235/12 si applica – per espresso tenore testuale – soltanto alle cariche di cui al Capo I e non si estende, quindi, anche al caso di specie;

- questo Consiglio si è già espresso sulla manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 13 del D.Lgs. n. 235/2012 nella sentenza della Sez. Quinta n. 695/2013, dalla quale non ritiene di doversi discostare;
e comunque la questione relativa alla differenza del regime relativo alle incandidabilità previsto per i deputati, senatori e membri del Parlamento Europeo (oltre che gli incarichi di Governo) è stata già esaminata dalla Corte Costituzionale ritenendola infondata (cfr. Corte Cost. n. 407/92;
Corte Cost. 16/12/2016, n. 276 proprio con riferimento alla legge in questione).

11. - In conclusione, per i suesposti motivi, va accolto l’appello principale e va invece respinto quello incidentale e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, va respinto il ricorso di primo grado.

12. - Quanto alle spese del doppio grado di giudizio, in considerazione della novità della questione, sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

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