Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-02-08, n. 201300735
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N. 00735/2013REG.PROV.COLL.
N. 04784/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4784 del 2012, proposto da:
Azienda Ospedaliera - Pia Fondazione di Culto e Religione "Card. G. Panico", rappresentata e difesa dagli avv. E S D e G P, con domicilio eletto presso Sticchi Damiani Studio Bdl in Roma, via Bocca di Leone, 78;
contro
- Regione Puglia, rappresentata e difesa dagli avv. S O D L e M G, con domicilio eletto presso la Delegazione della Regione in Roma, via Barberini, 36;
- Azienda Sanitaria Locale Lecce;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI, SEZIONE II, n. 00453/2012, resa tra le parti, concernente remunerazione prestazioni sanitarie erogate nell'anno 2008.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2012 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Sticchi Damiani, Di Lecce e Grimaldi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante – ente ecclesiastico civilmente riconosciuto e costituito in azienda ospedaliera - ha impugnato dinanzi al TAR della Puglia (sezione di Lecce, ma la controversia è stata trasferita a Bari, a seguito di declinatoria di competenza del TAR adito) la determina dirigenziale n. 198/2010, con cui è stato determinato il saldo definitivo ad esso spettante per le prestazioni erogate nel 2008.
Rivendicando la propria posizione di “equiparazione” agli ospedali pubblici, e comunque la parità di trattamento rispetto agli altri ospedali di enti ecclesiastici della Regione, ha lamentato che detto provvedimento - unitamente alla determina dirigenziale n. 365/2010 (con cui la Regione ha riconosciuto all’appellante ulteriori spettanze), sopravvenuta nel corso del giudizio di primo grado ed impugnata con motivi aggiunti - comporti il mancato riconoscimento di somme (pari a circa 7.690.000 euro) relative a prestazioni erogate extra tetto nel 2008. Tanto, in forza dell’applicazione a dette prestazioni della regressione tariffaria prevista dall’articolo 17, comma 3, della l.r. 14/2004;e, comunque, delle modalità con cui è stato effettuato il raffronto rispetto alle assegnazioni finanziarie/limiti di remunerazione, previste nel DIEF 2008 approvato con la d.G.R. n. 95/2008.
2. Il TAR, con la sentenza qui appellata (II, n. 453/2012), dopo aver svolto un’approfondita ricognizione critica dell’evoluzione della disciplina concernente l’inserimento degli ospedali privati “classificati” nel sistema del servizio sanitario, ha rigettato tutte le pretese.
3. Nell’appello, vengono sostanzialmente riproposte le censure prospettate in primo grado, sotto forma di critica alle argomentazioni svolte dal TAR :
3.1. la normativa, a partire dalla legge 132/1968, sancisce l’equiparazione degli ospedali “classificati” gestiti dagli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (nel caso del ricorrente, si tratta dell’ospedale di Tricase, classificato ospedale generale di zona ex lege 132/1968, convenzionato con la Regione Puglia in data 21 giugno 1978, riclassificato ospedale generale provinciale con d.P.G.R. n. 365/1981, e infine costituito in azienda ospedaliera giusta la d.G.R. n. 112/2001) alle strutture ospedaliere pubbliche;da ciò deriva che i primi devono essere trattati nello stesso modo per quanto riguarda la determinazione e l’efficacia dei tetti di spesa, e quindi spetta loro l’integrale rimborso di tutte le prestazioni erogate a favore degli utenti del SSR, ancorché esuberanti i tetti preventivamente assegnati;
3.2. in ogni caso, le regressioni tariffarie sulle prestazioni extra tetto, non possono essergli imposte, non essendo stato stipulato alcun accordo in tal senso vincolante ai sensi dell’articolo 8-quinquies, del d.lgs. 502/1992;
3.3. quanto meno, avrebbe dovuto applicarsi il principio di uguaglianza tra i tre “ospedali religiosi” operanti in Puglia, sancito dall’articolo 14, comma 5, della l.r. 26/2006, mentre invece l’IRCSS Casa sollievo della sofferenza e l’ospedale Miulli hanno ottenuto un’assegnazione finanziaria in misura quasi doppia;
3.4. nel determinare le prestazioni extra tetto, i tetti per i ricoveri e per le prestazioni ambulatoriali, anziché essere considerati separatamente, avrebbero dovuto essere accorpati (così come stabilito dalla d.G.R. n. 311/2007).
3.5. le prestazioni di alta specialità erogate avrebbero dovuto comunque essere remunerate extra tetto, secondo quanto previsto nei DIEF per il 2004 e per gli anni successivi;
3.6. le prestazioni relative a trapianti, inserite nel coacervo delle prestazioni di alta specialità, avrebbero dovuto invece essere remunerate a parte, al costo standard, ai sensi degli articoli 8-sexies, del d.lgs. 502/1992 e 20, comma 1, della l.r. 16/1997 (l.r. 28/2000).
Ha chiesto pertanto l’annullamento dei provvedimenti impugnati, e l’accertamento del diritto a conseguire l’intera remunerazione per le prestazioni erogate extra tetto;ovvero, in subordine, un’assegnazione finanziaria per dette prestazioni equivalente o proporzionalmente corrispondente a quelle disposte a favore degli altri due suddetti ospedali di enti ecclesiastici;ovvero, al limite, la corretta remunerazione delle prestazioni di alta specialità e relative a trapianti.
4. Intimato, si è costituito in giudizio l’ente ecclesiastico ospedale generale regionale Miulli, eccependo la carenza di legittimazione passiva.
Detta eccezione va disattesa, non sembrando errato ipotizzare che dall’accoglimento della censura sulla violazione dall’articolo 14, comma 5, della l.r. 26/2006, per come prospettata, derivi una redistribuzione delle risorse pubbliche e quindi un pregiudizio alla posizione degli altri due ospedali ivi considerati.
5. L’appello è fondato, nei sensi appresso indicati.
5.1. E’ anzitutto opportuno precisare che le pretese dell’appellante riguardano la piena (vale a dire, senza applicazione della regressione tariffaria) e corretta remunerazione di prestazioni che assume effettivamente erogate nel 2008 e debitamente rendicontate – e che sulla correttezza di tale assunto la Regione non ha svolto confutazioni.
Non riguardano invece il ripiano di disavanzi dell’azienda ospedaliera (concetto evidentemente ben più ampio e che include voci di costo non compensate dai valori tariffari).
5.2. La prima questione da esaminare, in ordine logico, concerne la portata della “equiparazione” alle aziende ospedaliere pubbliche, invocata dall’ente appellante con il principale ordine di censure.
5.2.1. L’articolo 1, comma 1, della legge 132/1968, enuncia il principio per cui «L'assistenza ospedaliera pubblica é svolta a favore di tutti i cittadini italiani e stranieri esclusivamente dagli enti ospedalieri», per tali dovendosi intendere, in base all’articolo 2, comma 1, «gli enti pubblici che istituzionalmente procedono al ricovero ed alla cura degli infermi», i quali, ai sensi del successivo comma 3 « … salvo i limiti derivanti dalla specializzazione dell'ospedale o dalle particolari esigenze tecniche legata alla forma morbosa che si presenta, hanno l'obbligo di ricoverare senza particolare convenzione o richiesta di alcuna documentazione, i cittadini italiani e stranieri che necessitano di urgenti cure ospedaliere, per qualsiasi malattia, per infortunio, o per maternità, siano o meno assistiti da enti mutualistici ed assicurativi o da altri enti pubblici e privati.[…]»..
Per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitavano l'assistenza ospedaliera (anche se il comma 5 stabiliva che «nulla è innovato alle disposizioni vigenti per quanto concerne il regime giuridico-amministrativo»), il comma 6 aggiungeva che essi « … ove posseggano i requisiti prescritti dalla presente legge possono ottenere, a domanda, che i loro ospedali siano classificati in una delle categorie di cui agli artt. 20 e seguenti anche ai fini dell'applicazione delle disposizioni contenute nel titolo IV della presente legge» (comma 6).
Tale “classificazione” (articolata, secondo l’articolo 20, nelle categorie degli ospedali generali – di zona, provinciali e regionali – e specializzati) conseguiva alla verifica della tipologia e della adeguatezza della struttura ospedaliera ad erogare prestazioni al pubblico, e determinava l’inserimento nella programmazione ospedaliera (è questa la materia disciplinata dal richiamato Titolo IV, articoli 26 – 31), che comportava la considerazione nell’ambito della legge di programma ospedaliero, dei piani ospedalieri nazionale e regionali e la concessione dei relativi finanziamenti pubblici previsti dal fondo ospedaliero (vale a dire «le somme necessarie per la costruzione di nuovi ospedali, l'ampliamento, la trasformazione e l'ammodernamento degli ospedali esistenti, nonché per l'acquisto delle relative attrezzature di primo impianto» – come precisato dall’articolo 31).
Gli effetti della classificazione riguardavano dunque essenzialmente la definizione dell’assetto complessivo del sistema ospedaliero, alla luce dei fabbisogni programmati e delle risorse disponibili, nell’ambito del quale gli ospedali degli enti ecclesiastici erano affiancati agli enti ospedalieri, cioè agli ospedali pubblici (risultando, alla stregua degli enti ospedalieri, sottoposti alla vigilanza regionale – articolo 16 – ed all’alta vigilanza ministeriale – articolo 18) . D’altra parte, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (non diversamente dalle case di cura private e dalle associazioni e fondazioni non riconosciute come enti ospedalieri) potevano stipulare convenzioni con gli enti ospedalieri, oltre che con gli istituti mutualistici ed assicurativi per il ricovero dei propri iscritti (articolo 53).
A tale disciplina, l’articolo 129 del d.P.R. 130/1969 (sullo stato giuridico del personale degli enti ospedalieri), aggiungeva, per gli ospedali classificati dei soggetti di cui all’articolo 1, commi 5 e 6, della legge 132/1968, la possibilità di ottenere, previa valutazione di equipollenza dei rispettivi ordinamenti del personale a quanto disposto dalla nuova normativa, «l'equiparazione dei servizi e dei titoli acquisiti dal proprio personale ai servizi e ai titoli acquisiti dal personale in servizio presso ospedali di uguale classifica, amministrati da enti ospedalieri».
La stipula di convenzioni tra ospedali classificati gestiti da enti ecclesiastici e le Regioni è stata poi prevista dall’articolo 18 del d.l. 264/1974, convertito in legge 386/1974 (laddove, per le case di cura private, ciò era consentito «qualora … necessario per esigenze del servizio ospedaliero»).
La posizione degli ospedali classificati non risulta essere stata modificata in modo espresso e diretto dalle disposizioni successive.
Secondo l’articolo 41, comma 1, della legge 833/1978, «nulla è innovato alle disposizioni vigenti per quanto concerne il regime giuridico-amministrativo degli istituti ed enti ecclesiastici che esercitano l’attività ospedaliera», i cui rapporti con le unità sanitarie locali erano regolati da apposite convenzioni, dalle quali derivava per gli enti privati la possibilità di erogare prestazioni a carico del servizio sanitario pubblico (e delle quali pertanto le regioni dovevano tener conto nell’assicurare la dotazione finanziaria alle unità sanitarie locali). Lo schema tipo di convenzione, approvato con il d.P.C.M. 18 luglio 1985, prevedeva l’assimilazione al sistema pubblico relativamente al regime delle ammissioni e dismissioni dei pazienti, agli obblighi in caso di interruzione per qualsiasi causa dei servizi essenziali, alla disciplina degli organici e della struttura operativa.
Anche secondo l’articolo 4, comma 12, del d.lgs. 502/1992, «nulla è innovato alla vigente disciplina per quanto concerne … gli istituti ed enti che esercitano l’assistenza ospedaliera di cui agli artt. 40, 41 e 43, comma 2 [della legge 833/1978] …».
Va anche sottolineato, con riferimento alle modificazioni apportate al d.lgs. 502/1992 dal d.lgs. 229/1999, che il comma 18 dell’articolo 1, statuiva che «Le istituzioni e gli organismi a scopo non lucrativo concorrono, con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate di cui all’art. 4, comma 12, alla realizzazione di doveri costituzionali di solidarietà, danno attuazione al pluralismo etico-culturale dei servizi alla persona …» - istituzioni (private) “equiparate” che tuttavia, secondo l’accezione dell’articolo 4, comma 12, contemplavano non soltanto gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati, ma anche quelli non classificati e tutte le altre istituzioni private di cui all’articolo 43, comma 2.
E che alle «strutture pubbliche ed equiparate», in modo distinto dalle strutture private, si sono poi riferiti l’articolo 8-quater (al comma 1) e l’articolo 8-quinquies (al comma 2), disposizioni che disciplinano, rispettivamente, l’accreditamento istituzionale e gli accordi contrattuali (per le strutture private ed i professionisti, i contratti), vale a dire i presupposti ritenuti ormai indispensabili, per tutti gli operatori, al fine di poter erogare prestazioni a carico del SSN.
5.2.2. Dalle disposizioni ricordate, può evincersi che la posizione degli ospedali privati classificati era, sotto alcuni aspetti, “equiparata” a quella degli ospedali pubblici.
L’equiparazione certamente comportava, fin dalla legge 132/1968, la presenza degli ospedali classificati, al fianco di quelli pubblici, quale componente stabile del servizio sanitario, e rilevava nel momento della definizione delle aree di intervento e delle capacità operative delle strutture, assicurando ai primi una positiva considerazione ai fini del finanziamento pubblico dei necessari investimenti, a seconda del ruolo e delle funzioni rispettivamente attribuite nell’ambito della programmazione regionale.
A ciò va aggiunto, con riferimento al sistema di remunerazione delle prestazioni introdotto, in attuazione dell’articolo 8 del d.lgs. 502/1992, con il D.M. 15 aprile 1994, che l’equiparazione degli ospedali privati classificati comportava il riconoscimento, per le prestazioni da essi erogate, delle medesime tariffe applicate alle aziende ospedaliere pubbliche (nella Regione Puglia, sono interpretabili in tal senso, gli articoli 16 della l.r. 22/1997, 6, commi 4 e 5, della l.r. 20/2002, 17, comma 10, della l.r. 1/2005, e 14, commi 4 e 5, della l.r. 26/2006).
La giurisprudenza (probabilmente, a partire da TAR Campania, Napoli, I, 28 febbraio 2007, n. 3016 – evidenziata dall’appellante) si è incaricata di precisare ulteriormente il presupposto logico e gli effetti dell’equiparazione per quanto concerne il profilo dello svolgimento dell’attività, affermando che anche gli ospedali privati classificati hanno l'obbligo di rendere le prestazioni richieste dagli assistiti, nei limiti consentiti dalla loro capacità operativa determinata dall'assetto strutturale ed organizzativo. In particolare, si è consolidato l’orientamento secondo il quale «ai fini dell'operatività del meccanismo dei cd. tetti di spesa , da un lato stanno le strutture pubbliche e quelle ad esse equiparate (Ospedali classificati , I.R.C.C.S., etc.), dall'altro quelle private accreditate. Solo per le seconde, invero, ha senso parlare di imposizione di un limite alle prestazioni erogabili;mentre per le strutture che risultano consustanziali al sistema sanitario nazionale (Ospedali pubblici, Ospedali classificati , I.R.C.C.S., etc.) non è neppure teorizzabile l'interruzione delle prestazioni agli assistiti al raggiungimento di un ipotetico limite eteronomamente fissato»;infatti, la struttura ospedaliera «non può sottrarsi al dovere, non negoziabile, di erogare il servizio pubblico a tutti gli utenti», dovendo, dunque, ricondursi il tetto delle prestazioni erogabili al limite strutturale dell'ospedale (cfr. Cons. Stato,V, 22 aprile 2008, n. 1858;28 maggio 2009, n. 3263;16 marzo 2010, n. 1514 - va fin d’ora sottolineato che si tratta di decisioni relative a controversie concernenti tetti di spesa antecedenti al 2009).
5.2.3. La sentenza appellata contraddice detto orientamento, non ravvisando nella normativa il fondamento di una così ampia equiparazione, ed in particolare negando che gravasse sul ricorrente l’obbligo di prestare assistenza ospedaliera in maniera incondizionata. Ed affermando invece che anche gli ospedali classificati, secondo la disciplina originaria del d.lgs. 502/1992, e tanto più secondo le modificazioni apportate dal d.lgs. 222/1999 e dal d.l. 112/2008, convertito nella legge 133/2008, sottostanno – in modo sostanzialmente non dissimile dalle strutture private accreditate e firmatarie dei contratti - al limite dei tetti di spesa che, tenuto conto del fabbisogno di assistenza e delle risorse disponibili, siano stati stabiliti dall’Amministrazione in sede di programmazione sanitaria.
5.2.4. Il Collegio non ritiene condivisibili le conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado.
Seguendo il brillante ed approfondito sviluppo argomentativo della sentenza appellata, è anzitutto opportuno sottolineare che uno dei cardini sui quali ruota la riforma introdotta dal d.lgs. 229/1999 é costituito dagli “accordi contrattuali”, che tutte le strutture sanitarie di cui le regioni si avvalgono, ai sensi dell’articolo 8-bis, per assicurare i livelli essenziali e uniformi di assistenza prefissati (vale a dire: i presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché gli altri soggetti accreditati ai sensi dell'articolo 8-quater) devono stipulare, ai sensi dell’articolo 8-quinquies, per poter erogare prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale.
L'articolo 8-quinquies, nel testo originario, stabiliva (comma 2) che detti “accordi contrattuali” indicassero (oltre ad obiettivi, programmi di integrazione e requisiti dei servizi da rendere), il volume massimo delle prestazioni che le strutture si impegnavano ad assicurare, distinto per tipologia e modalità di assistenza (lettera b), ed «il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell'accordo, da verificare comunque "a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali di cui al comma 1 lett. d)» (lettera d). Il precedente comma 1, stabiliva, infatti, che le regioni dovessero definire lo specifico ambito di applicazione degli accordi contrattuali, individuando i soggetti interessati e disciplinando alcuni aspetti specifici: tra questi (lettera d) i «criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura».
In sintesi, può convenirsi con il giudice di primo grado che, secondo la disciplina risultante dalla novella del d.lgs. 229/1999, gli accordi contrattuali dovessero individuare dei limiti di operatività delle strutture (un determinato volume per ogni tipologia di prestazioni, ed il relativo budget);ma che, tuttavia, detto limite non fosse invalicabile, posto che il corrispettivo indicato negli accordi contrattuali costituiva una sorta di “preventivo”, soggetto a verifica concreta in sede di consuntivo, in base ai risultati raggiunti ed alla attività effettivamente svolta (che poteva risultare superiore a quella massima individuata dagli accordi).
La relativa “elasticità” del corrispettivo preventivato negli accordi contrattuali a fronte delle attività concordate non determinava, tuttavia, l'automatico diritto delle strutture ad essere remunerate sempre ed incondizionatamente per le prestazioni erogate oltre il volume massimo concordato;la remunerabilità di tali prestazioni, infatti, era legata ai criteri che la legislazione regionale avrebbe individuato, e quindi dipendeva da un presupposto frutto di una scelta legislativa, vale a dire da un titolo (legale) diverso dall’accordo contrattuale (la Regione Puglia ha provveduto ad adottare tali criteri, ad esempio, con l’articolo 17 della l.r. 14/2004, applicato alle prestazioni dell’appellante).
Vi era dunque, prima del decreto legge 112/2008, la possibilità che le prestazioni rese oltre i volumi predeterminati in sede di programmazione nazionale e regionale nonché negli accordi contrattuali potessero essere, in qualche misura, remunerate;anche se, sotto tale profilo, la posizione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati non risultava formalmente privilegiata, rispetto a quella degli altri enti erogatori privati.
Tuttavia – ed è qui che la valutazione del Collegio si discosta da quella del TAR - supponendo che non fossero venuti meno l’obbligo di assistenza incondizionata e la correlata equiparazione, si poteva sostenere (con l’orientamento giurisprudenziale sopra ricordato) che anche per gli ospedali classificati, come per le aziende ospedaliere pubbliche, le prestazioni eccedenti i tetti prefissati, non soltanto potessero, ma addirittura dovessero essere remunerate.
5.2.5. E’ solo con la riforma attuata dal decreto legge/2008, che la diversità di trattamento tra le strutture pubbliche e le strutture private diviene incompatibile con gli effetti che si facevano discendere dall’equiparazione.
Nell'articolo 8-quinquies del d.lgs. 502/92, vengono introdotti i commi 2-quater e 2-quinquies.
Il comma 2-quater prevede che «Le regioni stipulano accordi con le fondazioni istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e con gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e contratti con gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico privato, che sono definiti con le modalità di cui all'art. 10 comma 2 del decreto legislativo 16 ottobre 2003 n. 288. Le regioni stipulano altresì accordi con gli istituti, enti ed ospedali di cui agli articoli 41 e 43, secondo comma, della legge 23 dicembre 1978 n. 833, e successive modificazioni, che prevedano che l'attività assistenziale, attuata in coerenza con la programmazione sanitaria regionale, sia finanziata a prestazione in base ai tetti di spesa ed ai volumi di attività predeterminati annualmente dalla programmazione regionale nel rispetto dei vincoli di bilancio nonché sulla base di funzioni riconosciute dalle regioni, tenendo conto nella remunerazione di eventuali spese già attribuite per spese di investimento, ai sensi dell'art. 4 comma 15, della legge 30 dicembre 1991 n. 412 e successive modificazioni ed integrazioni. Ai predetti accordi si applicano le disposizioni di cui al comma 2, lettere a) b), c), e) ed e-bis)»
Ai sensi del comma 2-quinquies «In caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo l'accreditamento istituzionale di cui all'art. 8 quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale interessati è sospeso».
Il selettivo richiamo contenuto nell’ultimo periodo del comma 2-quater comporta che agli accordi in questione non si applichi il comma 1, lettera d) - vale a dire la disposizione che consentiva di rivedere l'importo del corrispettivo preventivato in funzione del volume delle attività erogate e dei risultati raggiunti. Conseguentemente, il corrispettivo preventivato in sede di programmazione regionale e negli accordi contrattuali diventa, di fatto, un tetto di spesa invalicabile.
D’altro canto, agli accordi in questione si applica la nuova disposizione del comma 2, lettera e-bis), introdotto dalla legge 31/2008, di conversione del d.l. 248/2007, il quale ha specificamente previsto, tra i contenuti (necessari) degli accordi contrattuali, «la modalità con cui viene comunque garantito il rispetto del limite di remunerazione delle strutture correlato ai volumi di prestazioni, concordato ai sensi della lettera d), prevedendo che in caso di incremento a seguito di modificazioni, comunque intervenute nel corso dell'anno, dei valori unitari dei tariffari regionali per la remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera, delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, nonché delle altre prestazioni comunque remunerate a tariffa, il volume massimo di prestazioni remunerate, di cui alla lettera b), si intende rideterminato nella misura necessaria al mantenimento dei limiti indicati alla lettera d), fatta salva la possibile stipula di accordi integrativi, nel rispetto dell'equilibrio economico-finanziario programmato». Vale a dire, che la modificazione, in corso di esecuzione del contratto, dei valori unitari delle prestazioni comporta automaticamente la rideterminazione del solo volume delle prestazioni contrattualmente individuato, e ciò al fine di consentire il rispetto del corrispettivo preventivato, che deve rimanere invariato.
Ad ulteriore garanzia del rispetto dei volumi di prestazione e dei tetti di spesa, individuati in sede di programmazione regionale ma da recepirsi in sede contrattuale, vi è poi la previsione del comma 2-quinquies, sulla (se non automatica, comunque doverosa) sospensione dell’accreditamento, e quindi della possibilità di erogare prestazioni per conto del servizio sanitario nazionale, per l’ipotesi di mancata stipula degli accordi contrattuali.
Dette nuove disposizioni riguardano tutti gli enti erogatori, ad eccezione delle aziende ospedaliere e dei presidi delle unità sanitarie locali (viceversa, chiamate a stipulare accordi contrattuali alla luce di tutti i contenuti indicati dall'articolo 8-quinquies, comma 2, compresa la lettera d), che consente la rideterminazione, a consuntivo, del corrispettivo preventivato);quindi, anche gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.
A conferma di una disciplina che sembra ormai escludere per le strutture private (comprese quelle “equiparate” alle strutture pubbliche) il diritto alla remunerazione delle prestazioni rese al di fuori delle previsioni della programmazione, l'articolo 1, comma 18, ultimo periodo – anch’esso introdotto dal d.l. 112/2008 - ribadisce che «Le attività e funzioni assistenziali delle strutture equiparate di cui al citato articolo 4 comma 12, con oneri a carico del servizio sanitario nazionale, sono esercitate esclusivamente nei limiti di quanto stabilito negli specifici accordi di cui all'art. 8 quinquies».
Nella Regione Puglia, secondo il principio espresso dall’articolo 8-quinquies, comma 1, lettera d), criteri per la remunerazione delle prestazioni extra tetto sono stati definiti con l’articolo 17, della l.r. 14/2004 (che ha individuato percentuali fisse di pagamento delle tariffe – c.d. regressione tariffaria) e con l’articolo 18, della l.r. 26/2006 (che ha demandato l’individuazione delle percentuali alla Giunta regionale).
Successivamente, l’articolo 3 della l.r. 12/2010 (di approvazione del Piano di rientro sanitario), abrogando espressamente le predette disposizioni, ha vietato l'erogazione e remunerazione con oneri a carico del S.S.R. di prestazioni effettuate al di fuori dei tetti massimi e dei volumi di attività predeterminati annualmente (anche qui in riferimento alla generalità del sistema sanitario).
5.3. Alla luce delle considerazioni esposte, deve ritenersi che (non potendosi applicare la legge 133/2008 che a partire dall’esercizio successivo alla sua entrata in vigore) per gli ospedali privati classificati, al pari di quanto accadeva per gli ospedali pubblici, fino a tutto il 2008 non fosse vigente un meccanismo di prelimitazione cogente della spesa sanitaria.
E che, in ragione di ciò, fino a quel momento, per l’appellante potesse continuar ad avere piena efficacia la convenzione stipulata in data 21 giugno 1978 con la Regione Puglia, che nulla prescriveva in termini di svolgimento contingentato dell’attività, ed anzi, richiamando l’articolo 2 della legge 132/1968, disponeva che «per l’ammissione e la dismissione dei malati si applicano tutte le norme previste per gli enti ospedalieri».
Ne discende anche che lo stanziamento di somme disposto con il