Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-03-07, n. 202402223

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-03-07, n. 202402223
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202402223
Data del deposito : 7 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/03/2024

N. 02223/2024REG.PROV.COLL.

N. 00006/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6 del 2022, proposto dal signor A R L, rappresentato e difeso dagli avvocati F B C, V R e M E V, con domicilio fisico eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Giovanni Amendola, n. 46 e con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

il Comune di Prato, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati E B, P T e S L, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione terza, n. 858/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Prato;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2024 il consigliere Francesco Frigida;

udito per l’appellante l’avvocato M E V e viste le conclusioni scritte dell’avvocato E B per il Comune di Prato;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il signor A R L ha proposto ricorso (n. 1954 del 2012) dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana per l’annullamento della comunicazione del Comune di Prato, servizio edilizia e attività economiche, prot. gen. 23199/8D del 2 ottobre 2012 (ricevuta il 9 ottobre 2012) di diniego parziale di sanatoria edilizia straordinaria e per la declaratoria del suo diritto alla concessione in sanatoria di cui all’istanza presentata il 10 dicembre 2004 (prot. n. 81448) ai sensi del decreto legge n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003, e della legge regionale per la Toscana n. 53/2004, relativamente ad un compendio immobiliare formato da un’abitazione con giardino (sita in via Castruccio n. 54) e da terreni confinanti, su cui ha dichiarato di aver realizzato nel gennaio del 2001 una serie di costruzioni abusive, consistenti in un manufatto in muratura a uso ripostiglio con un gabinetto interno, un locale cantina nel sottosuolo del ripostiglio predetto, due tettoie e una recinzione esterna.

1.1. Il Comune di Prato si è costituito nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.

2. Con la sentenza in epigrafe l’adito T.a.r. ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 3.000, oltre agli accessori di legge.

2.1. Il giudice di primo grado ha sintetizzato i fatti di causa come segue: « Il signor A R L è proprietario in Prato di un’abitazione con giardino posta alla via Castruccio 54, nonché dei terreni confinanti, sui quali espone di avere realizzato nel gennaio del 2001 una serie di costruzioni abusive, consistenti in un manufatto in muratura a uso ripostiglio con w.c. interno, un locale cantina nel sottosuolo del ripostiglio predetto, due tettoie e una recinzione esterna. Relativamente a tali costruzioni, il signor L ha chiesto la sanatoria edilizia straordinaria a norma del d.l. n. 269/2003 e della legge regionale toscana n. 53/2004 sul c.d. “terzo condono”. L’istanza è stata parzialmente respinta dal Comune di Prato con il provvedimento del 2 ottobre 2012, in epigrafe. Ad avviso dell’amministrazione procedente, il ripostiglio con w.c. interno si configurerebbe come nuovo volume urbanistico eccedente il limite dei 100,00 mc e non sarebbe dunque ammissibile a sanatoria, ai sensi dell’art. 2 co. 2 lett. a) della citata l.r. n. 53/2004. Il provvedimento è impugnato dall’interessato, il quale chiede pronunciarsene l’annullamento sulla scorta di cinque motivi in diritto e conclude, altresì, per l’accertamento della fondatezza della propria pretesa (…) Resiste al ricorso il Comune di Prato (…) È impugnato il parziale diniego della sanatoria edilizia straordinaria chiesta dal ricorrente signor L con riferimento ad alcuni manufatti abusivi realizzati sul terreno di sua proprietà ubicato in Prato, alla visa Castruccio. Il diniego riguarda, in particolare, un annesso adibito a ripostiglio e dotato di w.c. interno, che il Comune di Prato ritiene eccedere la volumetria massima ammissibile a condono prevista dall’art. 2 co. 2 lett. a) della legge regionale toscana n. 53/2004 per gli aumenti volumetrici delle unità abitative esistenti. (…) In via pregiudiziale, occorre prendere atto della rinuncia del ricorrente al primo, secondo e quinto motivo di ricorso, operata con la memoria difensiva ex art. 73 c.p.a.. L’esame sarà circoscritto pertanto al terzo e al quarto motivo, con cui il ricorrente rispettivamente deduce: - violazione dei principi in materia edilizia, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 co. 2 lett. a) l.r. n. 53/2004, violazione della circolare di cui alla d.G.R. n. 1159 del 15 novembre 2004, eccesso di potere per difetto dei presupposti, errore e travisamento: il ricorrente sostiene che l’asserito superamento del limite volumetrico di 100,00 mc invocato dal Comune risulterebbe del tutto inconferente, giacché il manufatto in questione sarebbe autonomo dall’abitazione realizzata sul terreno confinante e non avrebbe destinazione abitativa, ma a ripostiglio, di modo che ad esso si applicherebbe il diverso limite dei 300,00 mc, stabilito dalla lettera c) del citato art. 2 co. 2 l.r. n. 53/2004;
- violazione e/o falsa applicazione di legge, eccesso di potere per omessa, errata e/o carente istruttoria, nonché per carente e/o errata motivazione: il ripostiglio oggetto del diniego qui impugnato avrebbe, in ogni caso, una volumetria inferiore ai 100,00 mc, quantificata e documentata mediante la relazione tecnica allegata alle osservazioni presentate dal signor L il 18 febbraio 2009. Sarebbe pertanto evidente l’errore commesso dall’amministrazione procedente, che, a fronte delle puntuali osservazioni ricevute, avrebbe dovuto verificare la volumetria del manufatto e comunque corredare il diniego di una congrua motivazione
».

2.2. Tale ricostruzione in fatto non risulta specificamente contestata dalle parti costituite, sicché, in ossequio al principio di non contestazione recato all’art. 64, comma 2, del codice del processo amministrativo, deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

2.3. Il T.a.r. ha poi così motivato la propria statuizione: « Nella domanda di sanatoria presentata dal ricorrente il 10 dicembre 2004, la destinazione d’uso dei manufatti da condonare è indicata come “residenziale”. La nota comunale del 27 gennaio 2009, recante la comunicazione dei motivi ostativi all’integrale accoglimento dell’istanza, fa esclusivo riferimento al mancato rispetto del limite 100,00 mc, previsto per gli abusi aventi destinazione residenziale dall’art. 2 co. 2 lett. a) della l.r. n. 53/2004. Le osservazioni trasmesse dall’interessato con successiva nota del 18 febbraio 2009 non contengono rilievi circa la destinazione del manufatto, ma si limitano a evidenziare il rispetto del limite volumetrico di legge, giacché, stando ai calcoli allegati dal signor L, il ripostiglio misurerebbe 99,88 mc. È seguita, il 16 gennaio 2012, una seconda comunicazione dei motivi ostativi al rilascio del condono, con la quale il Comune rappresentava al signor L di avere verificato la sopravvenuta modifica dello stato dei luoghi e dei fabbricati rispetto a quanto indicato nella domanda di sanatoria, in conseguenza di trasformazioni realizzate nell’anno 2010. Veniva comunque ribadita la violazione del limite volumetrico dei 100,00 mc ad opera del ripostiglio. Con nuove osservazioni del 26 marzo 2012, il ricorrente ha sollecitato il Comune a valutare separatamente l’istanza di condono originaria del 2004 dalle opere realizzate successivamente alla sua presentazione, salvo rinviare alle osservazioni el 2009 in ordine alle effettive dimensioni del manufatto. Il condono è stato infine negato dal Comune sulla sola base dell’eccedenza volumetrica del ripostiglio rispetto al limite del 100,00 mc più volte richiamato. Tanto premesso, occorre ricordare che la legge regionale toscana n. 53/2004 non consentiva la sanatoria degli interventi realizzati in totale assenza di concessione /permesso di costruire, come si ricava dall’art. 2 co. 1 lett. a) della legge, che ammette al condono le opere e gli interventi edilizi sottoposti a concessione edilizia solo se “realizzati con variazioni essenziali dal titolo abilitativo o, comunque, in difformità rispetto ad esso”, laddove la successiva lettera b) per gli interventi sottoposti a D.I.A. ammette la sanatoria quando siano stati realizzati, indifferentemente, “in assenza o in difformità dal titolo abilitativo”. Ne discende che l’ammissione alla sanatoria del ripostiglio realizzato dal ricorrente senza alcun titolo presuppone, da parte del Comune di Prato, la sua considerazione quale intervento sottoposto a D.I.A. e perciò sanabile anche in assenza di titolo. A fini qualificatori, viene in considerazione l’art. 4 dell’allora vigente legge regionale toscana n. 52/1999, cui l’art. 2 l.r. n. 53/2004 rinvia, e che identifica fra gli altri interventi sottoposti a D.I.A. quelli di ristrutturazione edilizia, comprensivi delle demolizioni con fedele ricostruzione, delle demolizioni di volumi secondari e loro ricostruzione, nonché delle “ addizioni funzionali di nuovi elementi agli organismi edilizi esistenti, che non si configurano come nuovi organismi edilizi, ivi compreso le pertinenze, e limitati interventi necessari per l'adeguamento alla normativa antisismica ”. L’unica qualificazione possibile del manufatto realizzato dal ricorrente è, a ben vedere, proprio quella di pertinenza dell’abitazione già esistente, e non a caso l’istanza di sanatoria ne indica, appunto, la destinazione residenziale. Del resto, la disciplina del “terzo condono” limita la sanatoria delle opere con destinazione non residenziale alle sole ipotesi di opere realizzate in ampliamento, entro i limiti di cubatura ivi prescritti, con esclusione delle nuove costruzioni (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6855, che richiama la decisione dell’Adunanza Plenaria 23 aprile 2009 n. 4). Con la conseguenza che solo in ragione della qualificazione come pertinenza dell’abitazione il manufatto può aver avuto accesso alla sanatoria, la quale, diversamente, avrebbe dovuto essere negata in radice, non trattandosi dell’ampliamento di un fabbricato preesistente, ma della realizzazione di un manufatto strutturalmente autonomo. All’indicazione contenuta nell’istanza di sanatoria, si aggiunga che nessuna contestazione è stata mai avanzata dal ricorrente con riguardo alla destinazione residenziale dell’annesso, che costituiva il presupposto dei preavvisi di diniego comunicatigli da Comune (in sede procedimentale il ricorrente, lo si è visto, ha sempre contestato nel merito le misurazioni effettuate dal Comune, non l’applicazione del limite dei 100,00 mc) e che era, oltretutto, perfettamente coerente con la presenza di un locale w.c. all’interno del fabbricato. Per concludere sul punto, merita ulteriormente osservare come i nuovi interventi realizzati abusivamente dal ricorrente nel 2010, ancora in pendenza della domanda di condono del 2004, hanno comportato la definitiva trasformazione dell’annesso in abitazione, in continuità e a conferma della destinazione di fatto già in essere (…) Dall’acclarata destinazione residenziale ( rectius : di pertinenza di fabbricato residenziale) del ripostiglio discende la sua riconduzione alla fattispecie disciplinata dall’art. 2 co. 2 lett. a) l.r. n. 53/2004, che pone ai fini della condonabilità il limite del 100,00 mc. Il signor L invoca al riguardo le misurazioni allegate alle osservazioni endoprocedimentali del febbraio 2009, che attesterebbero una volumetria di 99,88 mc, inferiore al limite. In realtà, lo stesso elaborato grafico allegato alle osservazioni del 2009 mostra come il ricorrente abbia effettuato il calcolo del volume sulla base dell’altezza interna del ripostiglio, variabile da 2,00 a 2,40 m, e non di quella esterna, maggiore di 23 cm. Alla luce della previsione di regolamento edilizio che include nel computo dei volumi gli spazi creati dalle controsoffittature non facenti corpo con la struttura del solaio, correttamente gli uffici comunali hanno eseguito il calcolo servendosi della media delle altezze esterne del manufatto (2,23 + 2,40 = 2,315 m, secondo il calcolo operato dal Comune e più vantaggioso per il ricorrente, atteso che la misura di 2,40 m corrisponde all’altezza massima interna, mentre quella esterna andrebbe maggiorata di 23 cm, come detto), pervenendo al risultato di poco più di 105,00 mc, in ogni caso eccedente il limite di ammissibilità al condono (…) In forza delle considerazioni esposte, il parziale diniego di sanatoria opposto al ricorrente risulta del tutto legittimo ».

3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 30 dicembre 2021 e in data 3 gennaio 2022 – il signor A R L ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, chiedendone la riforma sulla base di tre motivi di gravame e formulando un’istanza di verificazione o di consulenza tecnica.

4. Il Comune di Prato si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame.

5. In vista dell’udienza di discussione l’appellante ha depositato memoria e memoria di replica e il Comune memoria, con cui le parti hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi e insistito sulle rispettive posizioni.

6. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 16 gennaio 2024.

7. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni.

8. Tramite il primo motivo d’impugnazione l’appellante ha lamentato « Error in procedendo. Violazione e/o errata applicazione di norme processuali (artt. 63 e 64 c.p.a.;
art. 112 c.p.c.;
principi desumibili). Error in iudicando: errata pronuncia su questione decisiva della vertenza (
violazione dell’art. 2, comma 2°, lett. “a” L.R. Toscana n. 53/2004, in riferimento alla lettera “c” del citato art. 2, comma 2°;
ed art. 32 L. 326/2003;
principi desumibili. Violazione di norme interne: Circolare Regione Toscana L.R. n. 53/2004, ex delibera Giuntale n. 1158/2004. Eccesso di potere per difetto dei presupposti;
errore;
travisamento. sviamento di potere ). Motivazione errata o illogica su capo della sentenza ».

9. Mediante la seconda doglianza l’interessato ha dedotto « Violazione del “giusto processo” (art. 111 cost.;
art. 6 cedu). Error in procedendo. violazione e/o errata applicazione di norme processuali (art. 39 c.p.a.;
artt. 115 e 116 c.p.c.);
omessa motivazione in punto di ammissione dei mezzi di prova
».

10. Le prime due censure vanno vagliate congiuntamente, stante la loro stretta embricazione logica e fattuale.

10.1. Esse sono infondate.

Va innanzitutto precisato che « i mezzi istruttori appositamente richiesti con istanza 11.3.2021 » riguardano soltanto un’istanza di verificazione « per far accertare la destinazione d’uso del manufatto oggetto del diniego di sanatoria impugnato ».

Ciò posto, si osserva che la verificazione, analogamente alla consulenza tecnica d’ufficio, è un « mezzo istruttorio (…) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre o meno la nomina dell’ausiliario e potendo la motivazione dell’eventuale diniego essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato » (Cons. St., sez. V, sent. 26 maggio 2023, n. 5208), sicché non può essere fondatamente predicata alcuna omessa pronuncia o violazione del giusto processo per non aver il T.a.r. dato seguito alla su citata richiesta dell’interessato.

Nel caso di specie non vi era e non vi è alcun dubbio sulla destinazione abitativa dell’edificio e pertanto non vi era e non vi è alcuna necessità di disporre una verificazione sullo stato dei luoghi.

In proposito si osserva con valenza assorbente che la destinazione dell’abuso oggetto della domanda di condono è residenziale in base a quanto dichiarato nella stessa domanda di condono, avendo il richiedente barrato la casella dell’uso residenziale e non quella dell’uso non residenziale, e sulla base delle fotografie da questi allegate ad integrazione della pratica di condono. A prescindere dalla qualificazione giuridica di una simile dichiarazione, l’interessato non può in ogni caso venire contra factum proprium , anche alla luce del suo successivo comportamento in sede di contraddittorio procedimentale.

Al riguardo va rilevato che il T.a.r., a differenza di quanto sostenuto dall’appellante, stante il tenore complessivo della sentenza, non ha affermato (in tesi erroneamente) che l’interessato non avrebbe contestato la destinazione ad uso residenziale del manufatto in giudizio, ma che egli non l’ha contestata nel procedimento amministrativo e segnatamente nelle osservazioni presentate a fronte della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della sanatoria per superamento dei limiti volumetrici previsti dalla legge regionale sul condono per gli edifici residenziali, avendo effettivamente l’istante ivi criticato soltanto le modalità di misurazione.

Per completezza si rileva che la destinazione residenziale emerge anche dai verbali della polizia municipale e dai relativi allegati fotografici, mostranti infatti un fabbricato dotato di cucina, aria condizionata e completamente arredato.

Inoltre la destinazione non residenziale del ripostiglio, sostenuta dall’appellante, non è condivisibile in quanto, in assenza di una specifica disciplina urbanistica sui ripostigli, esso, trattandosi di un vano accessorio, segue la destinazione del manufatto principale (che nel caso di specie è residenziale) in base al principio “ accessorium sequitur principale ” sancito dall’art. 818 del codice civile.

In definitiva il manufatto di cui è stato chiesto il condono è ad uso residenziale per espressa dichiarazione dell’istante e comunque presenta univocamente tali caratteristiche alla luce del coacervo documentale in atti, con conseguente inutilità di una verificazione dello stato dei luoghi.

Va infine evidenziato che qualora il manufatto non fosse residenziale esso non sarebbe rientrato neppure astrattamente, a prescindere dalle sue dimensioni volumetriche, nell’area degli interventi condonabili in base all’allora vigente combinato disposto degli articoli 2, comma 1, lettera a), della legge regionale della Toscana n. 53/2004 e 4 della legge regionale n. 52/1999, essendo tali soltanto le addizioni funzionali di nuovi elementi edilizi a fabbricati già esistenti, che non siano nuovi organismi edilizi (tra cui le pertinenze) e limitati interventi necessari per l’adeguamento alla normativa antisismica.

In sostanza, se il manufatto pertinenziale è residenziale (come effettivamente è nella fattispecie in esame) il suo volume condonabile non può superare i 100 metri cubi (limite superato in concreto), mentre se non è residenziale il predetto limite è aumentato a 300 metri cubi, ma non potrebbe essere condonato nel caso si specie siccome sarebbe in tal caso necessariamente un fabbricato autonomo rispetto all’abitazione già precedentemente esistente.

11. Attraverso il terzo motivo di gravame l’appellante in via subordinata ha contestato « Error in iudicando: violazione e/o errata applicazione di legge (art. 2, comma 2, L.R. Toscana n° 53/2004;
art. 4, comma 2, L.R. Toscana n° 52/1999;
art. 32 L. n° 326/2003. Eccesso di potere per difetto dei presupposti;
carente e/o errata istruttoria). Errata pronuncia su questione decisiva della vertenza
».

In sostanza egli ripropone le censure recate dal quarto motivo del ricorso di primo grado, con cui si era contestata la modalità di misurazione della volumetria, sostenendo che il manufatto avrebbe un volume di circa 98 metri cubi e quindi inferiore al limite massimo di 100 metri cubi per ottenere il condono, come asseritamente dimostrato dalla nota tecnica allegata alle osservazioni procedimentali che il Comune di Prato non avrebbe considerato. Il T.a.r. avrebbe dunque erroneamente aderito ai criteri di misurazione indicati nell’allegato “A” al regolamento edilizio del Comune di Prato, che non sarebbe stato prodotto in giudizio dall’amministrazione e che comunque sarebbe in contrasto con i criteri di calcolo del volume di cui al regolamento di attuazione della legge regionale della Toscana n. 65/2014, approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 39/r del 24 luglio 2018.

Detta doglianza è infondata.

Si rileva che l’allegato “A” al regolamento edilizio comunale è stato prodotto dal Comune nel giudizio di primo grado al documento 9 allegato alla produzione documentale del 19 marzo 2021e nuovamente depositato in secondo grado quale documento 4 allegato alla produzione documentale del 23 novembre 2023.

Ciò posto, si osserva che nel calcolo volumetrico effettuato dal tecnico dell’interessato non è stato computata in altezza la porzione del fabbricato delimitata dalla controsoffittatura, mentre il tecnico rilevatore del Comune ha computato anche lo spazio volumetrico compreso fra il soffitto e la controsoffittatura, in ossequio a quanto statuito dall’allegato “A” al regolamento edilizio comunale, nella versione vigente ratione temporis , dove si sancisce con chiara previsione che “ Sono altresì esclusi dal Volume i locali chiusi su tre lati che danno accesso ai locali principali (portici, atrii, pilotis) o sono a loro diretto servizio (logge);
la parte dello spessore eccedente cm 30 dei solai (intendendo per spessore di solaio la distanza tra la superficie del soffitto e quella del pavimento soprastante), ma con esclusione di eventuali pavimenti galleggianti, controsoffittature non facenti corpo con la struttura del solaio
”.

Il tecnico comunale ha dunque rilevato una maggiore altezza effettiva di 2,24 metri (e non di 2,10 metri), in coerenza con gli stessi grafici depositati dall’interessato e con i rilevi eseguiti dalla polizia municipale nel verbale del 2001 dove appunto è riportata un’altezza sotto longarina di metri 2,24, con la conseguenza che il volume effettivo correttamente riscontrato è pari a 105 metri cubi e dunque superiore alla soglia massima per il condono di 100 metri cubi, il che è stato specificamente riportato nella motivazione del provvedimento comunale (“ Nella fattispecie si è constatato che la volumetria del manufatto risulta superiore a quella massima consentita, da verifiche effettuate d’ufficio sulla scorta della documentazione grafica prodotta in data 10.12.2004, quella presentata all’ufficio regionale per la tutela del territorio di Pistoia e Prato (Genio civile) in data 3.10.2005 e infine da quanto rilevato dalla Vigilanza Edilizia nel sopralluogo effettuato in data 29.10.2001 e 9.11.2001 »).

È inoltre inconferente il richiamo dell’appellante alle modalità di calcolo del volume previste dal regolamento adottato con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 39/r del 24 luglio 2018, poiché, da un lato e in via assorbente, trattasi di una disciplina temporalmente inapplicabile a un diniego di condono del 2012 e dall’altro gli articoli 22, e 4, e 49, commi 1 e 2, di detto regolamento non confliggono con i criteri di calcolo adottati dall’amministrazione comunale, prevedendo infatti rispettivamente che « Ai fini del calcolo del volume totale (VTot) si considera, per l’ultimo piano dell’edificio, l’altezza che intercorre tra il piano finito di calpestio e l’intradosso della copertura, comunque configurata » e che « 1. Ai fini del presente regolamento si definisce “intradosso” il piano di imposta di strutture monolitiche quali solette o solai, oppure, nel caso di strutture composte quali quelle in legno o assimilabili, piano di imposta dell’orditura secondaria con interasse non superiore a cm 80. 2. Ai fini dell’individuazione dell’intradosso non rileva la presenza di eventuali controsoffitti, né l'eventuale maggior spessore dell'orditura principale ».

12. In conclusione l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

13. In applicazione del principio della soccombenza, al rigetto dell’appello segue la condanna dell’appellante al pagamento, in favore dell’amministrazione appellata, delle spese di lite del presente grado di giudizio, che, tenuto conto dei parametri stabiliti dal d.m. 10 marzo 2014, n. 55 e dall’art. 26, comma 1, del codice del processo amministrativo, si liquidano in euro 5.000 (cinquemila), oltre al 15% per spese generali e agli accessori di legge, se dovuti.

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