Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-11-05, n. 201806257

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-11-05, n. 201806257
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201806257
Data del deposito : 5 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/11/2018

N. 06257/2018REG.PROV.COLL.

N. 07230/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7230 del 2017, proposto dalla società Società Escavi Berica - S.E.B. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati F Z, M S, M E V, con domicilio eletto presso lo studio M E V in Roma, via Barnaba Tortolini n. 13;

contro

Regione del Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati L L, F Z, E Z, A M, con domicilio eletto presso lo studio A M in Roma, via Federico Confalonieri n. 5;
Provincia di Vicenza, Comune di Albettone, Menerdi Gianna non costituitisi in giudizio;
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Italia Nostra Onlus - Assoc. Nazionale per la Tutela del Patrimonio Storico, Artistico e Naturale Nazionale, L F, G G, R N, G Figo, R B, M B, Annalisa Tonello, D M, G P, G S, L F, A A, I G, S M, R P, G S, T P, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dagli avvocati G S, Dario Meneguzzo, Orlando Sivieri, con domicilio eletto presso lo studio Orlando Sivieri in Roma, via Cosseria n. 5;

nei confronti

G M, rappresentato e difesa dagli avvocati G S, Dario Meneguzzo, Orlando Sivieri, con domicilio eletto presso lo studio Orlando Sivieri in Roma, via Cosseria n. 5;

per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 735/2017.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione del Veneto, del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di Italia Nostra Onlus - Assoc. Nazionale per la Tutela del patrimonio Storico, Artistico e Naturale Nazionale e dei Signori L F, G G, R N, G Figo. R B. M B. Annalisa Tonello, D M, G P, G S, L F, A A, I G, S M, R P, G S, T P e G M;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2018 il consigliere Fabio Taormina, e uditi per le parti gli avvocati M S, M E V, F Z, Paolo Caruso su delega dichiarata di L L, A M, Orlando Sivieri e l'Avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n.735 del 24 luglio 2017 il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto – Sede di Venezia – ha esaminato – e parzialmente accolto- il ricorso, corredato da plurimi motivi aggiunti, proposto dalla Associazione Italia Nostra Onlus e dai privati Signori L F, R N, G Figo, G M, R B, M B, A T, D M, G P, G G, G S, L F, A A, I G, S M, R P, G S, T P (odierne parti appellate) volto ad ottenere l’annullamento della Deliberazione della Giunta Regionale n. 22 del 17 gennaio 2017, pubblicata sul B.U.R.V. n. 16 del 10 febbraio 2017, avente ad oggetto: “Ditta Società Escavi Berica S.r.l. Autorizzazione ad aprire e coltivare la cava di calcare per industria, calce, granulati, costruzioni, marmorino e basalto, denominata “SEB” in Comune di Albettone e Barbarano Vicentino (VI) L.R. 44/1982”, del Decreto del Direttore della Direzione Commissioni Valutazioni n. 29 del 4 novembre 2016 , pubblicato sul B.U.R.V. n. 111 del 22 novembre 2016, avente ad oggetto “Società Escavi Berica S.r.l. Progetto di coltivazione e ricomposizione ambientale della cava di calcare denominata “S.E.B.” - Comune di localizzazione: Albettone (VI) – Comune interessato: Barbarano Vicentino (VI). Procedura di V.I.A. ed autorizzazione (D. Lgs. n. 152/2006 e ss.mm.ii., art. 24 della L.R. n. 10/1999 e ss.mm.ii., L.R. n. 4/2016, DGR n. 575/2013), con contestuale procedura per il rilascio autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell'art.146 del D. Lgs. n. 42/2004” del parere della Commissione regionale V.I.A. n. 604 del 27/7/2016 allegato al Decreto impugnato ed alla

DGRV

22/2017 impugnata.

2. La controinteressata intimata (odierna appellante) società Escavi Berica s.r.l. si era costituita proponendo un ricorso incidentale nell’ambito del quale aveva chiesto l’ annullamento della D.G.R.V. n. 1647 del 21.10.2016 avente ad oggetto: “Piano Regionale delle Attività di Cava (PRAC). Adozione aggiornamento 2016. Art. 7, comma 3, L.R. 7 settembre 1982, n. 44, «Norme per la disciplina dell'attività di cava», comma 3 dell'articolo 6 D.Lgs. 152/06”, nella parte in cui aveva inteso assoggettare alle previsioni programmatiche del P.R.A.C. anche l'estrazione del “calcare per costruzioni”, classificato quale materiale del Gruppo “B” ai sensi dell'art. 3 della vigente L.R. 44/1982.

3. Con la sentenza in epigrafe impugnata il T.a.r., ha innanzitutto risolto alcune questioni preliminari, ed in particolare:

a) ha respinto le eccezioni preliminari di carenza di legittimazione delle originarie parti ricorrenti, sul rilievo della circostanza che:

I) le persone fisiche, avevano provato (depositando in giudizio anche una perizia) i danni derivanti dai provvedimenti impugnati;

II) l’associazione Italia Nostra perseguiva per statuto compiti di tutela dell’ambiente;

b) ha esaminato il ricorso incidentale, dichiarandolo tardivo, in quanto proposto oltre il termine di 60 giorni stabilito dal quarto comma dell'art. 9 del d.p.r. n° 1199 del 1971;

c) sempre con riferimento al ricorso incidentale, ha fatto presente che lo stesso, se anche fosse stato tempestivo, avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse, in quanto:

I) il predetto ricorso incidentale era volto ad ottenere l’annullamento della D.G.R.V. n. 1647 del 21.10.2016 avente ad oggetto: “Piano Regionale delle Attività di Cava (PRAC). Adozione aggiornamento 2016. Art. 7, comma 3, L.R. 7 settembre 1982, n. 44, «Norme per la disciplina dell’attività di cava», comma 3 dell’articolo 6 D.Lgs. 152/06”, nella parte in cui ha inteso assoggettare alle previsioni programmatiche del P.R.A.C. anche l’estrazione del “calcare per costruzioni”;

II) ma la impugnazione di tale atto non spiegava rilevanza rispetto alla motivazione con cui la sentenza si accingeva a dichiarare fondato il ricorso principale, e, dunque, non aveva attitudine a paralizzare gli effetti del ricorso principale;

d) ha dichiarato infondata l’eccezione preliminare di mancata notifica del ricorso principale alla provincia di Vicenza in relazione al carattere vincolante del parere della C.T.P.A.C. di Vicenza prot. 46835 del 8/7/2016, in quanto tale ultimo atto aveva natura di atto consultivo endoprocedimentale che non spiegava propri effetti provvedimentali lesivi: infatti il provvedimento finale era stato adottato dalla sola regione Veneto cui era stato correttamente notificato il ricorso.

3.1. Nel merito, il T.a.r. con la sentenza impugnata, ha accolto il ricorso, deducendo che:

a) con la sentenza del Consiglio di Stato n° 1182 del 2016 era stata annullata la delibera della giunta regionale del Veneto n° 60 del 2014 con cui era stato approvato ed autorizzato il progetto della società Escavi Berica s.r.l., di coltivazione e ricomposizione ambientale della cava denominata "SEB": la motivazione di tale sentenza aveva fatto riferimento alla violazione della legge regionale Veneto n. 10/99, secondo la quale il Presidente della Commissione VIA regionale deve essere di diritto il massimo dirigente regionale in materia ambientale (l’art. 6, comma 2, l.r. Veneto, n. 10/1999 vigente all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato stabiliva infatti, che: “La commissione provinciale VIA è presieduta dal dirigente della struttura provinciale competente in materia di tutela ambientale” , ma tale circostanza non si era realizzata);

b) con la delibera della giunta regionale n° 22 del 17 Gennaio 2017, impugnata con il ricorso principale, era stato autorizzato il medesimo progetto già autorizzato con delibera della giunta regionale del Veneto n° 60 del 2014: la commissione regionale Via aveva espresso parere favorevole n° 604 nella seduta del 27 Luglio 2016 all'approvazione del progetto, e tale parere della commissione VIA aveva fatto riferimento all'inchiesta pubblica svoltasi in data 9 ottobre 2013;

c) tale modo di procedere appariva illegittimo, in quanto:

I) ai sensi dell'art. 18 comma 6 della legge regionale n° 10 del 1999, l'inchiesta pubblica consisteva almeno nell'audizione, in contraddittorio con il soggetto proponente, di coloro che avevano presentato le osservazioni, da parte della commissione VIA e dei comuni e province interessati;

II) la commissione VIA, nella seduta del 27 Luglio 2016, aveva richiamato e ha recepito l'inchiesta pubblica effettuata dalla precedente commissione VIA, che era risultata propedeutica all'approvazione del progetto, annullato dal Consiglio di Stato a causa dell'illegittima composizione della commissione VIA;

III) da ciò doveva conseguire l'illegittimità dei provvedimenti impugnati perché l'inchiesta pubblica del 9 ottobre 2013 non poteva essere utilizzata in quanto illegittima: e neppure si sarebbe potuto utilmente sostenere che la commissione VIA, nella seduta del 27 Luglio 2016, avesse convalidato le operazioni svolte dalla commissione VIA in data 9 Ottobre 2013, perché nel caso di specie, l’annullamento di un provvedimento amministrativo era intervenuto in sede giurisdizionale, e la sentenza che lo aveva disposto era passata in giudicato;

IV) da ciò discendeva che gli atti che avevano proceduto alla convalida dello stesso erano nulli perché adottati in violazione del giudicato, e sarebbero stati nulli anche per difetto totale di elementi essenziali, (quali l’oggetto) non potendo sussistere alcun interesse pubblico alla convalida di un atto non più esistente (così Consiglio di Stato IV n° 2351 del 2017).

4. La controinteressata intimata società Escavi Berica s.r.l., originaria resistente rimasta soccombente, ha impugnato la suindicata decisione, deducendo che la medesima era ingiusta ed errata, ed ha in particolare, rilevato che:

a) si appalesava erronea la statuizione con la quale era stata riconosciuta la legittimazione ad agire in capo ai 18 privati cittadini sottoscrittori del ricorso di primo grado: detta legittimazione era già stata esclusa nel corso del precedente giudizio, dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1182/2016;
al solo fine di “superare” le considerazioni contenute nella detta statuizione in ultimo citata, gli originarii ricorrenti avevano prodotto una perizia dalla quale risultava che le loro abitazioni avrebbero subito un deprezzamento valoriale dall’apertura della cava, ma tale circostanza non radicava alcuna posizione attiva;

b) parimenti avrebbe dovuto essere dichiarato il difetto di legittimazione attiva in capo alla associazione originaria ricorrente Italia Nostra Onlus, avuto riguardo alla circostanza che le censure da essa sollevate teorizzavano errori procedurali ed una presunta violazione ad opera del provvedimento VIA delle previsioni (non ancora vigenti ed efficaci) del Piano di settore delle attività estrattive (attività, questa che afferiva alla materia urbanistica, così come intesa dalla norma di cui all'art. 80 d. p. r. 24 luglio 1977, n. 616);
posto che non erano state neppure ipotizzate violazioni impingenti su interessi ambientali, il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile;

c) il ricorso incidentale da essa proposto era tempestivo: la previsione di cui all’art. 9, comma 4 del d.P.R. n. 1199/1979 ”valorizzata “ in contrario senso dal T.a.r., riguardava l’ipotesi in cui non fosse stata chiesta la trasposizione;

d) il ricorso incidentale, poi, era senz’altro (oltre che tempestivo) non affetto da alcuna causa di improcedibilità, in quanto diretto a paralizzare il primo motivo del ricorso straordinario poi trasposto in sede giurisdizionale: detto primo motivo, rivestiva portata prioritaria (e tale portata gli era stata espressamente attribuita dall’associazione ricorrente in seno alla istanza cautelare) ed il Ta.r. avrebbe dovuto esaminarlo con priorità: viceversa il T.a.r aveva disatteso il vincolo della graduazione dei motivi contenuto nel ricorso principale, aveva esaminato prioritariamente il secondo motivo di censura del ricorso principale, e con questo “escamotage” aveva dichiarato comunque improcedibile (per carenza di interesse) il ricorso incidentale proposto dalla odierna appellante.

4.1. Nella seconda parte del ricorso in appello, la società appellante ha poi:

a) riprodotto ex art. 101 del c.p.a. il testo del ricorso incidentale dichiarato inammissibile perché tardivo e comunque improcedibile;

b) censurato il capo della impugnata decisione che non aveva accolto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per non essere stato notificato alla Provincia di Vicenza (la parte originaria ricorrente aveva espressamente impugnato il parere favorevole con prescrizioni della C.T.P.A.C. di Vicenza prot. 46835 del 8/7/2016 espresso nella seduta del 23.6.2016);

c) criticato la statuizione di merito, in quanto:

I) era ben vero che la sentenza n. 1182/2016 aveva, tra l’altro, ritenuto viziato il pregresso parere V.I.A. n. 443 del 6.11.2013, allegato all’annullata D.G.R.V. n. 60/2014, in quanto la Commissione regionale V.I.A. risultava presieduta dal Segretario regionale competente in materia di infrastrutture, anziché dal massimo dirigente regionale in materia ambientale;

II) era altrettanto certo che, in sede di riedizione del potere, la nuova Commissione, era stata presieduta correttamente dal massimo dirigente regionale in materia ambientale;

III) ed era altresì vero che in sede di rieffusione del potere era stata fatta propria la pregressa istruttoria;

IV) senonchè, la sentenza n. 1182/2016, si era limitata a rilevare l’illegittimità del parere n. 443 del 6.11.2013 della Commissione V.I.A. regionale sul presupposto che quest’ultima non era stata presieduta, come stabilito dall’art. 6, co. 2 della L.R. 10/1999, dal massimo dirigente regionale in materia ambientale, ma non aveva attinto l’inchiesta pubblica del 9.10.2013;

V) il vizio di incompetenza valorizzato nella citata decisione n. 1182/2016 inficiava unicamente il parere conclusivo della Commissione V.I.A. ma non anche l’istruttoria tecnica esperita prima della pronuncia di annullamento dell’originario titolo estrattivo, compendiato nella D.G.R.V. n. 60/2014, in cui era confluito il parere della Commissione regionale V.I.A. n. 443/2013;

VI) l’ obbligo di rinnovazione del procedimento era circoscritto alle sole fasi viziate, e tale non era l’inchiesta pubblica del 9.10.2013;

VII) la sentenza n. 1182/2016 aveva infatti rimosso soltanto l’atto conclusivo dell’iter V.I.A. (parere della Commissione regionale V.I.A. n. 443/2013), espressione del giudizio di compatibilità ambientale del progetto e non aveva in alcun modo intaccato le risultanze istruttorie precedenti, delle quali pure fa parte l’inchiesta pubblica in data 9.10.2013;

VIII) e del pari infondata era la censura con la quale era stata prospettata la violazione dell’art. 18 della L.R. 10/1999, per non avere la Commissione regionale V.I.A. ripetuto l’inchiesta pubblica contemplata dal comma 4 della detta disposizione;

6. In data 17.11.2017 la regione Veneto si è costituita depositando un appello incidentale, a valere anche come appello autonomo, deducendo che:

a) era erroneo il capo di sentenza di rigetto dell’eccezione preliminare di carenza di legittimazione attiva delle persone fisiche originarie ricorrenti di primo grado (esse, infatti, non avevano dimostrato la sussistenza di alcuna condizione legittimante);

b) era del pari erroneo il capo di sentenza di rigetto dell’eccezione preliminare d’inammissibilità del ricorso per mancata notifica alla Provincia di Vicenza (sulla sola scorta che il parere da questa reso fosse confluito in conferenza di servizi, così trascurando il carattere vincolante del parere della C.T.P.A.C. di Vicenza);

c) anche la statuizione demolitoria centrale era inesatta, ben potendosi utilizzare le pregresse resultanze istruttorie, sebbene il precedente atto finale fosse stato annullato in sede giurisdizionale.

7. In data 17.11.2017 la regione Veneto ha depositato una memoria, sostenendo che:

a) la sentenza era corretta, nella parte in cui aveva dichiarato irricevibile il ricorso incidentale proposto dalla odierna appellante;

b) la decisione di prime cure era invece errata nella parte in cui aveva disatteso l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado proposto dalle persone fisiche, e nella parte in cui aveva accolto il ricorso di primo grado, ben potendosi in fase rieffusiva utilizzare pregresse resultanze istruttorie, pur ascrivibili ad un provvedimento annullato giudizialmente (ma non facenti parte della medesima fase infraprocedimentale).

8. In data 20.11.2017 la parte originaria ricorrente di primo grado si è costituita depositando una memoria nell’ambito della quale, richiamate le precedenti difese, ha chiesto l’integrale conferma dell’impugnata sentenza e la reiezione degli appelli, ed ha poi riproposto i motivi del ricorso di primo grado rimasti assorbiti dalla decisione di prime cure.

9. Alla camera di consiglio del 23.11.2017 fissata per la delibazione della domanda cautelare di sospensione della esecutività dell’impugnata decisione la trattazione della causa è stata rinviata all’udienza di merito a seguito della congiunta richiesta in tal senso avanzata dalle parti.

10. In vista della odierna pubblica udienza del 26 giugno 2018 tutte le parti processuali hanno depositato memorie e repliche ribadendo e puntualizzando le proprie rispettive tesi, mentre il Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare ha chiesto di essere estromesso dal processo stante la propria estraneità formale e sostanziale rispetto alla causa.

11. Alla odierna pubblica udienza del 26 giugno 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello principale è in parte infondato e va respinto ed in parte improcedibile;
l’appello incidentale è infondato e va respinto;
l’impugnata sentenza deve essere pertanto confermata per le assorbenti considerazioni di seguito esposte nella motivazione.

2. Preliminarmente, il Collegio evidenzia che:

a) a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a., farà esclusivo riferimento ai mezzi di gravame posti a sostegno dei ricorsi in appello, senza tenere conto di ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive, violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali (cfr. ex plurimis Cons. Stato Sez. V, n. 5865 del 2015);

b) quanto alle eccezioni volte a sostenere la originaria inammissibilità del ricorso di primo grado, esse sono infondate, in quanto:

I) per tradizionale quanto granitica giurisprudenza, l’interesse al ricorso, come anche la legittimazione a proporlo, in quanto condizioni dell’azione, devono sussistere sia al momento della proposizione del gravame, che al momento della decisione, con conseguente attribuzione al giudice amministrativo del potere di verificare la persistenza delle predetta condizioni in relazione a ciascuno di tali momenti (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 475/92)

II) non è dubitabile la sussistenza delle dette condizioni, sia in capo all’associazione originaria ricorrente, che in capo alle persone fisiche del pari co-ricorrenti in primo grado, in quanto:

1) con riferimento alla associazione, non è stato posto in dubbio da alcuno che la stessa per statuto persegua compiti di tutela dell’ambiente;

2) i provvedimenti dalla stessa avversati rientrano certamente nel novero di quelli intersecanti problematiche di natura ambientale: la circostanza che siano state sollevate censure di tipo infraprocedimentali non rileva punto, in quanto la parte che tutela un proprio interesse (ove esso sia riconosciuto sussistente, ovviamente, il che si ripete, non è contestato nell’odierno processo) ha diritto a contestare che il provvedimento –in tesi lesivo- sia legittimo sotto ogni punto di vista;
come nessuno dubita che il proprietario di un’area che si oppone ad una costruzione frontistante possa denunciare ogni vizio (anche formale ed infraprocedimentale) in tesi attingente il permesso di costruire, è logico che la parte che si duole dell’avvenuto rilascio di una V.i.a. positiva possa sollevare avverso quest’ultima anche censure procedurali (si veda sul punto il capo 12.2 della sentenza n.1182/2016 di questo Consiglio di Stato, Sezione Quinta, sulla quale, di seguito, nuovamente ci si dovrà soffermare);

3) per quanto si è appena detto, non vi sarebbe neppure l’esigenza di scrutinare le eccezioni proposte avverso la posizione dei co-ricorrenti privati (il ricorso di primo grado, come si è chiarito, era certamente ammissibile, quanto al profilo della legittimazione a proporlo, con riguardo alla posizione della associazione ambientalista originaria ricorrente): in ogni caso gli stessi, hanno dimostrato di risiedere nelle vicinanze del luogo ove dovrebbe sorgere la cava ed il pregiudizio da ciò discendente (in via di allegazione, come è ovvio, mentre costituirebbe profilo di merito, in sede di eventuale scrutinio di una domanda risarcitoria l’accertamento circa la effettiva sussistenza del pregiudizio medesimo) e pertanto anche detta eccezione va disattesa;

c) nessun onere sussisteva in capo alla parte originaria ricorrente di notificare il ricorso alla provincia di Vicenza e comunque, in nessun caso l’eccezione potrebbe giovare alle parti appellanti, in quanto:

I) anche ad accedere alla tesi estensiva (Tar Campania, Napoli, , 12 marzo 2013, n. 1406, da Tar Sardegna, Cagliari, Sezione Prima, 11 luglio 2014, n. 599 T.a.r. Campania, Napoli, sez. VII, 21/04/2016, n. 2025) secondo cui “sul piano strettamente processuale, […] il ricorso va notificato a tutte le amministrazioni che, nell'ambito della Conferenza, hanno espresso pareri o determinazioni che la parte ricorrente avrebbe avuto l'onere di impugnare autonomamente se gli stessi fossero stati adottati al di fuori del peculiare modulo procedimentale in esame" , in quanto "il ricorso avverso l'atto finale della conferenza di servizi va notificato non a tutte le amministrazioni che hanno partecipato ai suoi lavori, ma solo a quelle che, nell'ambito di essa, abbiano espresso pareri o determinazioni specificamente lesivi della sfera giuridica degli interessi della parte ricorrente. Ne consegue ancora, ai fini che qui interessano, che non è decisiva la rilevanza esoprocedimentale o meno della posizione assunta all'interno della conferenza di servizi, quanto piuttosto la concreta riferibilità a tale specifica posizione della determinazione finale della conferenza di servizi: di talché va affermata la necessità della notifica del ricorso anche all'autorità che ha espresso un parere dotato di c.d. efficienza causale. In sostanza, il gravame deve intendersi come rivolto a tutti gli avvisi e le determinazioni manifestati all'interno della conferenza che abbiano concorso a formare il convincimento e la volontà delle amministrazioni procedenti, poi tradottisi nella decisione conclusiva........", se ne dovrebbe convenire che, stante l’autonomia dei motivi di ricorso, la eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso sarebbe stata parziale, e limitata a qualcuno dei motivi “sostanziali”;

II) in nessun caso il motivo accolto dal T.a.r. ne avrebbe risentito, non rilevando in alcun modo il parere della Provincia di Vicenda nella dinamica della censura proposta ed accolta dal T.a.r.: posto che ogni motivo di ricorso introduce una singola ed autonoma azione, e posto che la determinazione provinciale in nulla interferisce sulla doglianza accolta dal Ta.r., la censura/eccezione è quindi in parte inammissibile in quanto come si vedrà immediatamente di seguito, sprovvista del necessario interesse a proporla, e comunque certamente infondata quanto all’azione proposta con il motivo di ricorso accolto dal T.a.r.;

c) va infine accolta la richiesta del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare di essere estromesso dal processo stante la propria estraneità formale e sostanziale rispetto alla causa: invero, non risulta impugnato alcun atto da quest’ultimo emesso, e deve ritenersi che lo stesso sia stato evocato per mero tuziorismo difensivo.

3. Accertato che non sussistono ostacoli a pronunciarsi sul merito, seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), in ordine logico sarebbe prioritario l’esame delle censure volte a dolersi della statuizione di irricevibilità pronunciata dal T.a.r., con riferimento al ricorso incidentale proposto dalla ditta odierna appellante.

3.1. Senonchè, in relazione alla circostanza che il ricorso principale è stato accolto per profili assorbenti, determinando la integrale caducazione di atti il cui contenuto era soltanto parzialmente attinto dal ricorso incidentale, è necessario scrutinare per prime le doglianze con le quali si censura la statuizione demolitoria resa dal T.a.r.: infatti, ove queste fossero disattese, in via consequenziale si verificherebbe la improcedibilità dell’appello principale nella parte in cui sostiene che il ricorso incidentale di primo grado era tempestivo e ripropone le censure già prospettate incidentalmente in primo grado: è evidente che ove restassero integralmente caducati gli atti che il ricorso incidentale era teso ad emendare parzialmente, non avrebbe alcun senso pronunciarsi su quest’ultimo.

4. Venendo alla disamina di tale porzione dell’appello principale (comune, in parte qua all’appello incidentale proposto dalla Regione Veneto), si rammenta quanto di seguito:

a) con la sentenza n.1182/2016 questo Consiglio di Stato, Sezione Quinta, in riforma della sentenza del T.a.r. per il Veneto n. 89/2015 ha accolto un precedente ricorso, proposto dal Comune di Barbarano Vicentino avverso l’autorizzazione paesaggistica relativa ad un progetto di coltivazione di cava ed alla connessa procedura di v.i.a. rilasciato alla ditta odierna appellante principale;

b) per quanto giova rilevare nell’odierno processo, tra i motivi del ricorso di primo grado poi accolti in appello, v’era quello (quarta doglianza) incentrato sulla violazione della previsione della legge regionale Veneto n. 10/99 sulla Valutazione di impatto ambientale (la L.R. 10/1999), secondo cui il Presidente della Commissione VIA regionale dovesse essere di diritto il massimo dirigente regionale in materia ambientale;

c) con la predetta sentenza n.1182/2016 (capo 12.5.) la censura è stata accolta, alla stregua delle seguenti affermazioni, che di seguito si riportano per esteso: “ del pari, fondato si rivela il quarto motivo dell’originario ricorso di prime cure, correttamente riproposto in questa sede con il quale ci si duole della violazione della previsione della legge regionale Veneto n. 10/99, secondo la quale il Presidente della Commissione VIA regionale deve essere di diritto il massimo dirigente regionale in materia ambientale. L’art. 6, comma 2, l.r. Veneto, n. 10/1999 vigente all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato dispone, infatti, che: “La commissione provinciale VIA è presieduta dal dirigente della struttura provinciale competente in materia di tutela ambientale”. Circostanza quest’ultima nella fattispecie non realizzatasi. È evidente anche l’interesse dell’associazione appellante a dolersi del mancato rispetto di una prescrizione di legge che richiede che la commissione V.I.A. sia presieduta da un dirigente al quale si riconoscono specifiche competenze proprio in materia ambientale.”;

d) in punto di fatto, era infatti accaduto che la Commissione Via era stata presieduta (non già dal Segretario Generale per l’ambiente) ma dal Segretario Generale alle infrastrutture.

4.1. Non è contestato (art. 64 c.II del c.p.a.) che in sede di riedizione del potere:

a) la commissione regionale Via (questa volta presieduta in conformità alle prescrizioni della legge regionale suddetta) abbia espresso parere favorevole n° 604 nella seduta del 27 Luglio 2016 all'approvazione del progetto;

b) che tale parere della commissione VIA abbia fatto riferimento all'inchiesta pubblica svoltasi in data 9 ottobre 2013 ( id est: allorchè la Commissione Via era preceduta da un soggetto che non rientrava nella indicazione legislativa, siccome accertato dalla sentenza n.1182/2016 regiudicata cui si è prima fatto riferimento).

4.1.1. In sostanza, la commissione Via che si è pronunciata esprimendo il parere favorevole n° 604 nella seduta del 27 Luglio 2016 ha “fatto propria” una istruttoria che si era svolta allorchè la composizione della Commissione era quella ex post stigmatizzata nella sentenza n.1182/2016.

4.1.2. Secondo il T.a.r., tale modus procedendi è stato (nuovamente) illegittimo, in quanto l’istruttoria pregressa, siccome svolta da un organo di cui era viziata la composizione, doveva essere integralmente rinnovata;
l’appellante principale e l’appellante incidentale sostengono che, invece -anche una volta accertata con la regiudicata sentenza n.1182/2016 l’illegittimità dell’atto “finale”- ciò non travolgeva la fase precedente illo tempore svolta, e pertanto le resultanze della medesima potessero essere riutilizzate in sede di riedizione del potere.

4.1.3. Rammenta in proposito il Collegio che:

a) per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, condivisa dalla giurisprudenza di primo grado (tra le tante Consiglio di Stato, sez. VI, 22/06/2011, n. 3755;
T A.R. Pescara –Abruzzo- sez. I 24 novembre 2016 n. 367 .A.R. Catania (Sicilia) sez. III 16 gennaio 2013 n. 54 ) “il vizio nella composizione dell'organo collegiale chiamato ad adottare la determinazione amministrativa che ha dato luogo alla controversia è assimilabile al vizio di incompetenza e il riscontro della sua esistenza preclude l'esame degli altri profili di legittimità dell'atto in quanto emanato da un organo privo di titolarità e impone di restituire gli atti all'Amministrazione, in modo che possa senz'altro riesaminare l'intera fattispecie sostanziale” .

d) il regime degli atti adottato dall’organo collegiale erroneamente composto (e quindi incompetente) è quello della illegittimità (e non già della nullità) in quanto in simili ipotesi non ricorre una fattispecie di incompetenza assoluta (Consiglio di Stato, sez. IV, 13/01/2015, n. 52 “in riferimento agli atti amministrativi, l'essenza del vizio della nullità risiede nell'inconfigurabilità della fattispecie concreta rispetto a quella astratta, accertabile con pronuncia giudiziale meramente dichiarativa, donde i corollari della radicale inefficacia -da intendersi in senso ampio, quale inidoneità dell'atto a produrre gli effetti da esso tipicamente discendenti-, della generale legittimazione all'impugnativa e della insuscettibilità di sanatoria attraverso convalida. Consistendo la nullità in una patologia di maggiore gravità rispetto a quella che dà luogo ad un vizio di legittimità annullabile, essa richiede una sua agevole conoscibilità in concreto, attraverso un mero riscontro estrinseco del deficit dell'atto rispetto al suo paradigma legale, tipicamente ravvisabile nelle ipotesi estreme di difetto assoluto di attribuzione o di incompetenza assoluta” ;ma si veda anche T.a.r.. Catanzaro, sez. I, 24/01/2015, n. 163 “ l'incompetenza assoluta, in quanto causa di nullità dell'atto amministrativo, richiama la cosiddetta carenza di potere in astratto, che si configura qualora un'Amministrazione assuma di esercitare un potere ad essa non attribuitole da norma alcuna.”; Consiglio di Stato, sez. V, 27/05/2014, n. 2713 “la nullità del provvedimento amministrativo per difetto assoluto di attribuzione, prevista dall'art. 21-septies, l. 7 agosto 1990, n. 241, va circoscritta ai soli casi di incompetenza assoluta o di c.d. carenza di potere in astratto, ossia al caso in cui manchi del tutto una norma che attribuisca all'Amministrazione il potere in fatto esercitato.”).

4.2. I principi sinora illustrati – che il Collegio condivide- se non risolvono il distinto problema che pone l’odierno processo, consentono però di rinvenire utili coordinate per dirimere la controversia riposante nella possibilità – o meno- che in fase di riedizione del potere si utilizzino resultanze istruttorie assunte da un Organo in irregolare composizione, e la cui attività, pertanto, è stata reputata illegittima.

4.2.1. Ad avviso del Collegio, invero, la questione va risolta sul piano logico ed in concreto, senza lasciarsi fuorviare da acritici riferimenti incentrati sulle “fasi procedimentali” che, isolatamente considerate (contrariamente a quanto sostenuto dalle parti appellanti) non spiegano alcuna rilevanza, o, quantomeno, non in termini assoluti.

4.2.2. Occorre innanzitutto rilevare che, allorchè la legge prescrive una certa composizione di un organo, ciò può avvenire in ossequio alle peculiari competenze tecniche che questo deve possedere, ovvero in relazione a garanzie di indipendenza, e terzietà che deve offrire etc.

La irregolare composizione dello stesso, viene stigmatizzata, e conduce alla illegittimità, in quanto collide con la prescrizione primaria, e, in ultima analisi, non offre le garanzie che quest’ultima intende assicurare: l’atto finale è viziato, in quanto illegittimo, ed è tale perché “suspectus” .

4.2.3. Ora, valutando la questione in chiave di riedizione del potere a seguito di annullamento dell’atto “finale” per irregolare composizione dell’Organo che lo ha emesso, con precipuo riferimento alla “sorte” delle acquisizioni istruttorie acquisite dall’organo in composizione irregolare, deve di necessità essere effettuata una distinzione in quanto:

a) ove esse riposino in acquisizioni, valutazioni, pareri, di altri organi terzi, che l’Organo collegiale (quale ne fosse stata la composizione, anche “regolare”) avrebbe di necessità dovuto richiedere e successivamente valutare, se non vi sono diversi ed ulteriori (possibili) elementi di irregolarità, non può tout court predicarsene sempre e comunque la illegittimità intrinseca ( e quindi la inutilizzabilità nelle successive fasi di rieffusione del potere): ciò, in quanto, l’attività spiegata dall’organo irregolarmente composto, si sarebbe limitata all’inoltro di una richiesta, che (salve particolari ipotesi, comunque non dedotte nel caso in esame) non “condiziona” intrinsecamente la valenza dell’atto reso dall’Amministrazione o dall’ente destinatario della medesima: quest’ultimo avrebbe reso lo stesso atto, con l’identico contenuto, anche se la richiesta gli fosse stata rivolta dall’organo in composizione “regolare”;

b) ove invece, esse riposino in apporti sui quali l’Organo collegiale in composizione irregolare potrebbe avere spiegato una attività “condizionante” (dell’esito degli stessi, ad esempio) ovvero in relazione ai quali era a questi attribuito un potere determinante (si pensi laddove q detto organo irregolarmente composto fosse rimessa la scelta se richiedere – o meno- un certo apporto) allora l’angolo prospettico cambia, e deve ritenersi che, come è illegittimo (in quanto “suspectus” ) l’atto finale, lo è pure l’atto, anche avente valenza istruttoria “condizionato” da una esplicazione di poteri effettivi, che non si siano limitati alla –mera- richiesta;

c) nel caso di specie, la legge regionale del Veneto n. 10 del 26 marzo 1999 all’art. 18 commi 4 e segg. così prevedeva: “4. Il presidente della commissione VIA, in relazione anche alle osservazioni di cui al comma 2 dell'articolo 16, può disporre l'inchiesta pubblica.

5. Il presidente della commissione VIA è tenuto a disporre l'inchiesta pubblica di cui al comma 4 qualora essa sia richiesta dal sindaco di uno dei comuni interessati.

6. L'inchiesta pubblica di cui al comma 4 consiste almeno nell'audizione, in contraddittorio con il soggetto proponente, di coloro che hanno presentato le osservazioni, da parte della commissione VIA e dei comuni e province interessati.

7. Il presidente della commissione VIA decide sull'ammissibilità delle memorie presentate dai soggetti interessati, nonché dal proponente dello studio di impatto ambientale.

8. In casi di particolare rilevanza, il presidente della commissione VIA può disporre la proroga del termine di cui al comma 1 sino ad un massimo di sessanta giorni. “;

d) come è agevole riscontrare, trattasi di un atto che certamente rientra nella fase lato sensu istruttoria, ma in ordine al cui espletamento, l’organo collegiale (la cui irregolare composizione è stata accertata con sentenza regiudicata) conservava rilevanti poteri, atti, in potenza, a condizionarne l’andamento, e l’esito;

e) di più: nel caso di specie, tali poteri erano rimessi proprio all’articolazione dell’ Organo (il Presidente) che non rispondeva (quanto alla qualifica rivestita) a quella imposta dalla legge e, si ripete, tale discrasia ha determinato (tra l’altro) l’illegittimità del parere Via poi colta e stigmatizzata nella sentenza n.1182/2016;

4.2.4. A fronte di tale quadro, le stesse ragioni sottese alla statuizione di cui alla sentenza n.1182/2016, presiedono alla valutazione di illegittimità di tale segmento “istruttorio”, che avrebbe dovuto di conseguenza essere rinnovato in fase rieffusiva, non essendo – per le chiarite ragioni -utilizzabile quello pregresso: sin da tempo risalente la giurisprudenza ha ammesso (T.A.R., Bari –Puglia- 05/02/1981, n. 9 ) “che nell'ordinamento giuridico non è rinvenibile alcuna disposizione normativa o di principio che escluda la rinnovazione di un procedimento amministrativo nella parte ritenuta illegittima, qualora sia pendente un giudizio;
anzi va riconosciuta forza espansiva all'art. 6 l. 18 marzo 1968 n. 249 - che consente la convalida degli atti viziati da incompetenza relativa anche in pendenza di ricorso - fino a farne espressione di un principio generale che presiede all'esplicazione dell'azione amministrativa.”
: ma ciò ove l’atto illegittimo venga emendato dal vizio: non può utilizzarsi un segmento procedimentale viziato –e non emendato dal vizio- in sede di rinnovazione del procedimento.

5. La sentenza va quindi in parte qua confermata.

5.1. Neppure sembrano accoglibili, in contrario senso, gli argomenti esposti dall’appellante nell’ultimo capoverso della pagina 23 dell’appello (così testualmente l’appellante: “la norma di cui parte ricorrente lamenta la violazione -art. 18 della L.R. 10/1999- non risultava più applicabile al caso di specie per effetto della D.G.R.V. n. 575 del 3.5.2013. Provvedimento negletto da controparte e dallo stesso Giudice di prime cure, che ha adeguato la previgente normativa regionale in materia ambientale alla sopravvenuta -e prevalente- disciplina statale di cui al D.Lgs. n. 152/2006.” ).

Si osserva in proposito, che:

a) la D.G.R.V. n. 575 del 3.5.2013 effettivamente, all’art. 5 (“in base a quanto previsto ai punti precedenti, ai fini applicativi e procedurali, si intendono non più applicabili le seguenti disposizioni della L.R. n. 10/1999” ) individua l’art. 18 della legge regionale n. 10/1999 tra le disposizioni “non più applicabili” ;

b) l'inchiesta pubblica sottesa alla precedente delibera annullata sentenza del Consiglio di Stato n° 1182 del 2016 (delibera della giunta regionale del Veneto n° 60 del 2014) e “ fatta propria” dalla delibera della giunta regionale n° 22 del 17 Gennaio 2017 (il parere favorevole della commissione regionale Via n° 604 nella seduta del 27 Luglio 2016) impugnata col presente ricorso (e con la quale è stato autorizzato il medesimo progetto già autorizzato con delibera della giunta regionale del Veneto n° 60 del 2014) si era svolta in data 9 ottobre 2013;

c) la precedente deliberazione, quindi, all’evidenza, già non aveva tenuto conto della (già in vigore) D.G.R.V. n. 575 del 3.5.2013 ed aveva proceduto ai sensi dell’ art. 18 della legge regionale n. 10/1999;

d) è singolare quindi che, non avendo tenuto conto della supposta “abrogazione” contenuta D.G.R.V. n. 575 del 3.5.2013 né in data 9 ottobre 2013 (e quindi in sede di adozione della delibera della giunta regionale del Veneto n° 60 del 2014 poi annullata in sede giurisdizionale) né in sede di rieffusione del potere (delibera della giunta regionale n° 22 del 17 Gennaio 2017 che ha richiamato quei risultati) si voglia sostenere oggi, che l’art. 18 della legge regionale del Veneto n. 10/1999 non era (più) operativo.

5.2. Si potrebbe, in realtà sostenere che ciò non incida sulla valutazione demandata a questo Collegio e che, se l’art. 18 della legge regionale del Veneto n. 10/1999 era venuto meno, comunque tutti gli asseriti vizi della procedura incentrata sullo stesso, non spiegherebbero effetti sulla delibera finale (questo sembra essere, al Collegio, il senso della censura).

5.2.1. Senonchè, osserva il Collegio quanto di seguito:

a) una legge nazionale, o regionale, può essere “disapplicata” unicamente per contrasto con il diritto UE;

b) ove non sussista tale contrasto, può venire meno per espressa abrogazione ad opera del legislatore, nazionale o regionale, ovvero per decisione della Consulta, ove dichiarata incostituzionale;

c) non sono stati rari i casi, nel passato, in cui un certo disordine della proliferazione della legislazione, ha condotto a fenomeni di abrogazione “implicita”: la dottrina ha chiarito che ciò avviene, tra l’altro, quando una norma sopravvenuta ridisciplini l’intera fattispecie in termini incompatibili con la precedente;

d) in simili ipotesi, non può dirsi in via di massima precluso all’autorità amministrativa, a fini di chiarificazione, dettare le proprie valutazioni in ordine a quale delle disposizioni precedenti sia stata abrogata dalla legislazione successiva;

e) non rientrando però tra i poteri dell’autorità amministrativa quello di abrogare un testo di legge o una sua parte, tale valutazione dell’autorità amministrativa, che viene di regola ad essere espressa in un atto formalmente e sostanzialmente amministrativo, non ha valore dispositivo e/o cogente;
né può essere dettata da valutazioni di opportunità: essa resta, appunto una interpretazione, la cui valenza operativa dipende dalla sua esattezza;

e) e la valutazione di tale ultimo profilo pertiene al sindacato giurisdizionale.

5.2.2. In sostanza, non sarebbe possibile ritenere abrogata una norma regionale sol perché un sopravvenuto testo di legge nazionale o regionale non prevede (più) una disposizione simile: sarebbe possibile unicamente, ove la legislazione sopravvenuta contenga una disposizione incompatibile anche ove immediatamente attuativa di norme di diritto dell’Unione.

5.2.3. Ora, si osserva che:

a) in una materia quale la tutela dell’ambiente, che come è noto ex art. 117 Cost. è attribuita alla competenza legislativa statuale (Corte Costituzionale, 23/07/2009, n. 234) è consentito al legislatore regionale, prevedere più elevati livelli di tutela ambientale, (Corte Cost. n. 232 del 2005);

b) trattavasi di Via regionale, il cui procedimento applicativo restava –e resta- attribuito saldamente alla responsabile discrezionalità del legislatore regionale;

b) non si rinvengono nel d.Lgs 152/2006 (nel testo ratione temporis rilevante) norme di principio contrarie allo svolgimento della c.d. inchiesta pubblica ed anzi, può essere utile evidenziare che argomenti contrari si rinvengono nel neointrodotto art. 24 bis del d.Lgs n. 15/2006 (contenuto sub articolo 13, comma 2, del D.Lgs. 16 giugno 2017 n. 104 ) seppure ratione temporis non applicabile (“1. L'autorita' competente puo' disporre che la consultazione del pubblico di cui all'articolo 24, comma 3, primo periodo, si svolga nelle forme dell'inchiesta pubblica, con oneri a carico del proponente, nel rispetto del termine massimo di novanta giorni. L'inchiesta si conclude con una relazione sui lavori svolti ed un giudizio sui risultati emersi, predisposti dall'autorita' competente.

2. Per i progetti di cui all'allegato II, e nell'ipotesi in cui non sia stata svolta la procedura di dibattito pubblico di cui all' articolo 22 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 , l'autorita' competente si esprime con decisione motivata, sentito il proponente, qualora la richiesta di svolgimento dell'inchiesta pubblica sia presentata dal consiglio regionale della Regione territorialmente interessata, ovvero da un numero di consigli comunali rappresentativi di almeno cinquantamila residenti nei territori interessati, ovvero da un numero di associazioni riconosciute ai sensi dell' articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349 , rappresentativo di almeno cinquantamila iscritti.

3. La richiesta di cui al comma 2, motivata specificamente in relazione ai potenziali impatti ambientali del progetto, e' presentata entro il quarantesimo giorno dalla pubblicazione dell'avviso al pubblico di cui all'articolo 24, comma 1”) ;

c) la corrispondenza comunitaria dell’istituto non è dubitabile, sol che si consideri che il Parlamento Europeo ed il Consiglio Europeo erano intervenuti a parziale modifica della Dir. 85/337/CEE, adottando la Dir. 35/2003/CE del 26 maggio 2003, il cui scopo principale era è stato quello di fornire attuazione agli obblighi derivanti dalla Convenzione UN/ECE del 25 giugno 1998 (“Convenzione di Århus”),specialmente nella parte in cui essa si riproponeva di garantire il diritto di partecipazione del pubblico alle attività decisionali in materia ambientale, (art. 2, comma 2, lett. a): “[...] gli Stati membri provvedono affinché il pubblico sia informato, attraverso pubblici avvisi oppure in altra forma adeguata quali mezzi di comunicazione elettronici, se disponibili, di qualsiasi proposta relativa a tali piani o programmi o alla loro modifica o riesame, e siano rese accessibili al pubblico le informazioni relative a tali proposte, comprese tra l’altro le informazioni sul diritto di partecipare al processo decisionale e sull’autorità competente a cui possono essere sottoposti osservazioni o quesiti” (si veda anche l art. 2, comma 2, lett. b ): “gli Stati membri provvedono affinché il pubblico possa esprimere osservazioni e pareri quando tutte le opzioni sono aperte prima che vengano adottate decisioni sui piani e sui programmi ” e l’art. 2, comma 2, lett. c): “gli Stati membri provvedono affinché nell’adozione di tali decisioni, si tenga debitamente conto delle risultanze della partecipazione del pubblico ”).

5.3. Il Collegio, ritiene quindi inaccoglibile anche tale sfaccettatura della doglianza.

5.1. Come si è avvertito in premessa, tale conclusione implica con portata assorbente l’annullamento per illegittimità diretta e derivata, degli atti impugnati e, quindi, la conferma dell’impugnata sentenza : il capo dell’appello principale teso a stigmatizzare la dichiarata irricevibilità del ricorso incidentale di primo grado (ed a riproporre in questa sede le censure ivi contenute) è improcedibile, in quanto il rinnovo del procedimento non rende preconizzabile quale ne sarà il futuro esito e stante il disposto dell’art. 34 del c.p.a. e del pari sono improcedibili i motivi riproposti dalla parte originaria ricorrente in primo grado.

6. Quanto alle spese processuali del grado, esse vanno compensate tra tutte le parti, stante la complessità fattuale e giuridica della controversia.

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