Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-04-10, n. 201401739
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N. 01739/2014REG.PROV.COLL.
N. 03795/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3795 del 2013, proposto da:
Comune di Montirone, rappresentato e difeso dagli avv.ti P R e M B, con domicilio eletto presso P R in Roma, via Appia Nuova n. 96;
contro
N D P, rappresentata e difesa dagli avv.ti F F, A D, F C, con domicilio eletto presso F C in Roma, via Antonio Bertoloni, n. 35;La Fioriera S.S. Società Agricola;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE II n. 00137/2013, resa tra le parti, concernente rimozione degli animali presenti nell'allevamento
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di N D P;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2013 il Cons. Alessandro Palanza e uditi per le parti gli avvocati Rolfo, Fasani e Cappella;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - Il Comune di Montirone ha impugnato la sentenza del TAR della Lombardia- sez. staccata di Brescia n. 137/2013 che ha accolto il ricorso proposto dalla Signora N D P anche come rappresentante della società Fioreria S.s. per l'annullamento dell’ordinanza n. 4/2012, datata 11 maggio 2012 e in pari data notificata, avente ad oggetto l’ordine di rimozione degli animali presenti nell’allevamento della ricorrente entro trenta giorni dalla notifica;nonché per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno.
2. - La ricorrente in primo grado, già titolare di azienda agricola dedita, tra le altre attività, anche all’allevamento di polli, ha presentato, il 29 dicembre 2010, una D.I.A. avente ad oggetto l’inizio della nuova attività di allevamento di visoni. In data 21 novembre 2011 essa ha presentato una S.C.I.A. edilizia per la realizzazione di una vasca per lo stoccaggio dei liquami provenienti da tre dei quattro capannoni esistenti.
A seguito di tale ultima comunicazione, il Comune ha ravvisato la nullità della DIA e della S.C.I.A. presentate il 29 dicembre 2010 e l’8 giugno 2011 (inizio attività e uso di prodotti sottoalimentari in deroga), ritenendo che le stesse contenessero la falsa dichiarazione circa il rispetto dei parametri urbanistici, non risultando rispettata la distanza di 100 metri dalle abitazioni isolate stabilita dall’art. 38.4 delle disposizioni regolamentari di cui al piano delle regole e dalle norme di attuazione per le zone agricole e dall’art. 3.10.5 del regolamento locale di igiene.
3. – La sentenza del TAR ha accolto in parte il ricorso in primo grado rilevando che il Comune ha dichiarato di aver ritenuto prevalente il Regolamento di igiene adottato dalla A.S.L. di competenza sulle NTA del Piano delle regole senza dar conto delle ragioni alla base di tale giudizio di prevalenza;ragioni, che al contrario, avrebbero dovuto essere puntualmente esplicitate considerato che, come chiarito dalla giurisprudenza, le norme sulle distanze minime tendono sempre alla tutela dell’igiene e della sanità. Inoltre, non si riscontrano dichiarazioni false da parte della interessata e, di conseguenza, manca una adeguata motivazione per l’annullamento in autotutela degli effetti della D.I.A. e della S.C.I.A. a suo tempo concesse. Ciò doveva necessariamente comportare una comparazione dei contrapposti interessi, anche nell’individuazione del termine da assegnare all’imprenditore per cessare l’attività non compatibile, che non risulta essere stata effettuata. La sentenza respinge, invece, la richiesta di risarcimento del danno atteso che il ciclo vitale dei visoni è stato portato a termine grazie al provvedimento cautelare e che il comportamento della ricorrente non è stato del tutto fedele nella presentazione della D.I.A. e della S.C.I.A.
4. – Il Comune di Montirone appellante contesta la sentenza affermando che essa muove dall’errata considerazione che sussisterebbe una sorta di disciplina comunale differenziata e contraddittoria tra il Regolamento locale di igiene e quanto prescritto dalla NTA del Piano delle regole in tema di distanze che gli allevamenti devono rispettare da case isolate. Infatti il Comune di Montirone si è adeguato alla disciplina contemplata dal Regolamento locale di igiene approvato dalla ASL che prescrive la distanza di metri 100 degli allevamenti di qualunque genere (da case isolate abitate da terzi). Non è vero che il Comune possa esercitare poteri di deroga essendo la deroga prevista solo per le distanze da zone edificabili e non da case isolate. In ogni caso, anche le NTA del Piano delle regole sono violate dal momento che l’allevamento dista meno dei 50 metri da esse previste ( tra i 47,5 metri e i 50 metri). Risultano, pertanto, violate sia le norme sanitarie che quelle urbanistiche. L’interessata ha, inoltre, dichiarato il falso atteso che, come è ampiamente dimostrato, essa ha prodotto un estratto mappa a sostegno della D.I.A. del 29 dicembre 2010 privo dell’indicazione dell’esistenza della casa sparsa. La stessa sentenza non può esimersi dal rilevare che il comportamento della ricorrente non è stato del tutto fedele nella presentazione della D.I.A. e della S.C.I.A. Il provvedimento di annullamento in autotutela del Comune risulta congruamente motivato dalla violazione della disciplina in tema di rispetto delle distanze. Il mero decorso del tempo dall’epoca di presentazione della DIA non può generare alcun affidamento in capo al privato né l’Amministrazione era tenuta a concedere termini particolari per la cessazione dell’attività versandosi in ipotesi di attività illecita. Infine, trattandosi di tutela delle persone e di salubrità dell’abitato il provvedimento comunale di annullamento in autotutela era un atto interamente vincolato. Non vi è continuità tra la cessazione della vecchia attività di allevamento e l’attivazione della nuova. Il Comune ribadisce le proprie ragioni con memoria finale in data 21 ottobre 2013 sottolineando in particolare la prevalenza dell’interesse pubblico alla tutela della salute sottostante la precisa normativa in materia di distanza e la falsità delle attestazioni in sede di presentazione di DIA e di SCIA.
5. – La parte appellata si costituisce con memoria di costituzione e con successive memorie a difesa della sentenza impugnata e della argomentazione che la sostiene. Con memoria di replica alla vigilia della scadenza dei termini per l’udienza del 28 novembre, ribadisce in particolare che nella planimetria allegata alla D.I.A., la casa del vicino è perfettamente visibile e raffigurata, come risulta dall’All. n. 9) di parte avversa in primo grado . La stessa mappa, del resto, è stata stampata presso gli uffici del Comune. Pertanto del tutto falsa l’accusa di falso posta a base del provvedimento di revoca impugnato. Sottolinea inoltre che la questione concerne l’avvio di una attività economica di cui l’Amministrazione aveva pacifica e piena conoscenza;pertanto, ammesso e non concesso, che l’avvio dell’attività economica sia avvenuto in modo non conforme alla norma regolamentare, è l’Amministrazione ad aver mantenuto una colpevole inerzia e ha preteso di applicare tardivamente una normativa farraginosa e contraddittoria in materia di distanze. Non sussiste, quindi, il falso che possa consentire all’Amministrazione di superare i principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela di cui agli art. 19, comma 3, 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241/1990.
6. - La causa è stata chiamata ed è passata in decisione alla udienza pubblica del 28 novembre 2013.
7. – L’appello non è fondato.
7.1. – La sentenza del TAR merita di essere confermata anche se solo parte della sua motivazione regge all’argomentato atto di appello del Comune.
7.2. - L’atto impugnato che ordina il ripristino dei luoghi e la rimozione degli animali, resta illegittimo in quanto non adeguatamente motivato e non adeguatamente articolato in relazione alle circostanze e ai tempi in cui l’atto medesimo viene adottato.
7.3. – In particolare restano ferme le seguenti significative ragioni a sostegno della sentenza che non sono superate dai motivi di appello:
- il fatto che la casa del vicino fosse stata costruita negli anni 80 quando già si svolgeva negli spazi di proprietà dell’appellante un’attività di allevamento che si era costantemente svolta almeno fino al 1999 secondo la stessa Amministrazione appellante;
- non è di per sè sufficiente ad escludere la rilevanza di questa circostanza il fatto che vi sia stata una interruzione di alcuni anni dell’attività di allevamento, dal momento che si riattiva una situazione preesistente, che il vicino ha costruito mentre tale situazione era in atto e che la contiguità della nuova casa con l’attività di allevamento si era comunque svolta per un periodo di tempo assai prolungato e molto superiore al periodo dell’interruzione;
- non è stato dimostrato che in sede di presentazione di DIA e di SCIA sia stato alterato lo stato dei luoghi, dato che la mappa allegata alla presentazione e depositata agli atti reca la indicazione della casa del vicino, mentre l’attestazione del rispetto delle norme urbanistiche ed igienico sanitarie nelle circostanze date non dimostra da sola mancanza di buona fede e tanto meno una falsità di dichiarazioni, per ragion indicate nei punti precedenti;
- l’insieme delle circostanze indicate nei punti precedenti concorre ad accreditare la buona fede del richiedente nel ritenere la presenza della casa non in contrasto con il legittimo avvio negli stessi locali di una nuova attività di allevamento;
- oltre a non considerare tale contesto, il provvedimento, in assenza di elementi che possano far pensare a intenti fraudolenti, non considera nella motivazione e nella articolazione dei tempi di esecuzione del provvedimento la natura imprenditoriale dell’attività in corso e le caratterististiche specifiche dell’attività imprenditoriale in questione.
- in relazione a tali caratteristiche il Comune non poteva non considerare gli effetti del tempo che il Comune aveva lasciato immotivatamente decorrere prima di assumere le sue determinazioni ed in particolare la necessità di lasciar perlomeno completare il ciclo di vita degli animali oramai avviato per evitare danni gravissimi e non necessari ai fini della tutela dell’interesse pubblico o in alternativa doveva indicare la sussistenza o l’imminenza e la effettiva consistenza di una minaccia all’igiene e alla sanità pubblica.
- il provvedimento, nel constatare una violazione di regole sulle distanze minime, avrebbe dovuto contemplare l’adozione di tempi e modalità idonee a contemperare e a bilanciare i diversi interessi pubblici tra i quali assume certamente peso una autonoma rilevanza quello di evitare di arrecare danni - non imposti dalla necessità di tutelare effettivamente superiori interessi d igiene e sanità pubblica - alle attività imprenditoriali pur nella volontà di voler ricondurre al rispetto della normativa igienico sanitaria vigente lo svolgimento dell’attività medesima.
7.3. – Il provvedimento impugnato in primo grado deve pertanto considerarsi illegittimo in quanto avrebbe dovuto essere adottato tempestivamente in relazione ad una attività imprenditoriale della evidenza e consistenza di quella in oggetto in rapporto alle dimensioni della comunità interessata. Una volta assunto in ritardo avrebbe dovuto considerare nella motivazione la situazione nel frattempo determinatasi con la conseguenza di richiedere la immediata interruzione solo in presenza di un dimostrato pericolo alla igiene e sanità pubblica ovvero, in alternativa, di rendere necessaria una adeguata articolazione dei tempi e delle modalità attuative del provvedimento in relazione alla natura della attività imprenditoriale e ai tempi lasciati decorrere dallo stesso Comune prima di assumere le determinazioni di sua competenza.
8. – L’appello deve pertanto essere respinto e la sentenza del TAR confermata con motivazione in parte diversa.
9. – In relazione alla complessità della questione devono essere compensate tra le parti le spese per il presente grado di giudizio.