Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-11-24, n. 201106195

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-11-24, n. 201106195
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201106195
Data del deposito : 24 novembre 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06117/2006 REG.RIC.

N. 06195/2011REG.PROV.COLL.

N. 06117/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6117 del 2006, proposto dal Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge,;

contro

Il signor R A D, non costituitosi nel secondo grado del giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del MOLISE – Sede di CAMPOBASSO - n. 608/2005, resa tra le parti, concernente SANZIONE DISCIPLINARE


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2011 il Consigliere Fabio Taormina e udito per l’appellante amministrazione l’ Avvocato dello Stato Grumetto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, era stato chiesto dall’odierno appellato l’annullamento del provvedimento del Questore della Provincia di Campobasso dell’ 11 dicembre 2000, n. 1067/Pers./2.8, con il quale gli era stata inflitta la sanzione disciplinare della pena pecuniaria, nella misura di 5/30 di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro atto ad esso preordinato, consequenziale e connesso. L’appellato aveva prospettato quattro distinti ed articolati motivi di censura incentrati sui vizi di violazione di legge ed eccesso di potere.

Il Tribunale amministrativo regionale ha respinto le prime tre doglianze di natura endoprocedimentale prospettate ed ha accolto la censura fondata sul difetto di istruttoria, avendo rilevato che il procedimento penale instauratosi per i fatti oggetto di verifica disciplinare era stato archiviato per insussistenza di elementi di prova certi a carico dell’indagato.

Avverso la sentenza in epigrafe, l’amministrazione ha proposto un articolato appello, evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica e non teneva conto del regime di separatezza tra procedimento penale e disciplinare e della circostanza che l’avvenuta archiviazione del procedimento penale non precludeva l’esercizio dell’azione disciplinare.

Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2011 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. L’appello è fondato e merita di essere accolto, con conseguente riforma dell’appellata decisione e reiezione del ricorso di primo grado.

2. Va premesso, al fine di delimitare l’oggetto del giudizio, che l’appellato non si è costituito nell’odierno grado di appello;
le censure infraprocedimentali proposte in primo grado e disattese dal primo giudice non sono state conseguentemente riproposte, sicchè il vaglio devoluto al Collegio è limitato alle doglianze avanzate dalla difesa dell’amministrazione.

3.Ciò rilevato, la succinta motivazione demolitoria della impugnata decisione si fonda sulla unica circostanza che il procedimento penale instaurato in relazione agli stessi fatti sanzionati in via disciplinare era stato archiviato per carenza di prova in ordine alla ascrivibilità della condotta all’appellato. Da ciò il primo giudice ha fatto discendere, in via diretta e conseguenziale il vizio di difetto di istruttoria.

4.La critica contenuta nell’appello a tale modo di procedere appare fondata.

4.1. Rammenta in proposito il Collegio che, per pacifica giurisprudenza in tema di procedimento disciplinare, è legittimo dare rilevanza a fatti che siano stati oggetto di precedenti procedimenti penali, in seguito archiviati, dal momento che il decreto di archiviazione racchiude valutazioni che afferiscono specificatamente al profilo penale, il che non può precludere un loro apprezzamento in sede disciplinare. (Consiglio Stato , sez. VI, 05 dicembre 2005, n. 6944).

Si è in proposito rilevato che in siffatta ipotesi l’amministrazione procedente deve tenere in debito conto la valutazione del giudice penale, e la possibilità di assumere quei fatti a presupposto dell'azione disciplinare è condizionata ad una autonoma valutazione della loro rilevanza disciplinare. (Consiglio Stato , sez. IV, 25 febbraio 2005, n. 972).

4.2. L’intervenuta archiviazione in sede penale, quindi, non è vincolante nel procedimento disciplinare: essa impone tuttavia un'istruttoria e una motivazione particolarmente approfondita (

ex multis Consiglio Stato , sez. VI, 30 settembre 2008 , n. 4674).

Nel caso di specie, il giudice penale ha archiviato il procedimento penale in carenza di piena prova circa il fatto storico della falsificazione di una firma da parte dell’appellato (peraltro lo stesso giudicante penale si era espresso in termini dubitativi, avendo rilevato che, seppur in carenza di prova certa, esistevano ragionevoli dubbi in ordine alla falsificazione della firma dell’intestatario del passaporto, ad opera del Ricci) e tenendo conto della circostanza del non rinvenimento agli atti della delega asseritamente falsificata.

In disparte tale circostanza, - che avrebbe comunque impedito di far da essa discendere in via automatica il vizio di difetto di istruttoria con riferimento alla statuizione disciplinare - il primo giudice ha omesso di tenere in debita considerazione un dato essenziale.

La contestazione disciplinare, aveva riguardo ad una condotta che, seppur indubbiamente connessa e logicamente legata a quella esaminata dal giudice penale, era da quest’ultima ontologicamente distinta: essa afferiva alla fattispecie di cui al n. 18 dell’art. 4 del dPR 25 ottobre 1981 n. 737 (“qualsiasi altro comportamento, anche fuori dal servizio, non espressamente preveduto nelle precedenti ipotesi, comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.”) ed era così cristallizzata: “non avendo ottenuto la consegna di un passaporto intestato ad altra persona, si rivolgeva al Dirigente della Divisione Polizia Amministrativa e Sociale, al quale rappresentava l’accaduto ed al quale riferiva di essere in possesso di regolare delega per il ritiro del documento richiesto. Successive indagini, invece, permettevano di accertare che l’intestatario del passaporto non aveva rilasciato alcuna delega”.

La condotta censurata, da un canto riposava nell’essersi rivolto per le vie brevi al superiore, e soprattutto che l’amministrazione ha svolto autonomi accertamenti in ordine alla fattispecie, atteso che aveva assunto la deposizione dell’intestatario del passaporto che l’appellato avrebbe voluto ritirare e questi aveva riferito di non avere rilasciato allo stesso apposita delega.

4.3. Appare evidente, quindi, che non sussiste il lamentato vizio di istruttoria, posto che l’amministrazione ha posto a base del provvedimento disciplinare un autonomo vaglio (non illogico né arbitrario ma, al contrario, accurato e persuasivo) ottemperando ai doveri imposti in relazione all’intervenuta archiviazione del procedimento penale.

4.4. L’appello risulta dunque fondato e va accolto e, in riforma dell’impugnata sentenza, il ricorso di primo grado va respinto.

5. Le spese processuali del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e pertanto l’appellato deve essere condannato al pagamento delle medesime in favore dell’appellata amministrazione, in misura che appare equo quantificare in Euro mille (€ 1000,00) oltre accessori di legge, se dovuti.

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